La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo V

Libro primo
Capitolo V

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Cominciò mio padre a ’nsegnarmi sonare di flauto e cantare di musica; e con tutto che l’età mia fussi tenerissima, dove i piccoli bambini sogliono pigliar piacere d’un zufolino e di simili trastulli, io ne avevo dispiacere inistimabile, ma solo per ubbidire sonavo e cantavo. Mio padre faceva in quei tempi organi con canne di legno maravigliosi, gravi cemboli, i migliori e piú belli che allora si vedessino, viole, liuti, arpe bellissime ed eccellentissime. Era ingegnere e per fare strumenti, come modi di gittar ponti, modi di gualchiere, altre macchine, lavorava miracolosamente; d’avorio e’ fu il primo che lavorassi bene. Ma perché lui s’era innamorato di quella che seco mi fu di padre ed ella madre, forse per causa di quel flautetto, frequentandolo assai piú che il dovere, fu chiesto dalli Pifferi della Signoria di sonare insieme con esso loro. Cosí seguitando un tempo per suo piacere, lo sobillorno tanto che e’ lo feciono de’ lor compagni pifferi. Lorenzo de Medici e Piero suo figliolo, che gli volevano gran bene, vedevano di poi che lui si dava tutto al piffero e lasciava in drieto il suo bello ingegno e la sua bella arte: lo feciono levare di quel luogo. Mio padre l’ebbe molto per male, e gli parve che loro gli facessino un gran dispiacere. Subito si rimise all’arte, e fece uno specchio, di diamitro di un braccio in circa, di osso e avorio, con figure e fogliami, con gran pulizia e gran disegno. Lo specchio si era figurato una ruota: in mezzo era lo specchio; intorno era sette tondi, inne’ quali era intagliato e commesso di avorio e osso nero le sette Virtú; e tutto lo specchio, e cosí le ditte Virtú erano in un bilico; in modo che voltando la ditta ruota, tutte le virtú si movevano; e avevano un contrapeso ai piedi, che le teneva diritte. E perché lui aveva qualche cognizione della lingua latina, intorno a ditto specchio vi fece un verso latino, che diceva: “Per tutti il versi che volta la ruota di Fortuna, la Virtú resta in piede”:

Rota sum; semper, quoquo me verto
stat virtus

Ivi a poco tempo gli fu restituito il suo luogo del piffero. Se bene alcune di queste cose furno innanzi ch’io nascessi, ricordandomi d’esse, non l’ho volute lasciare indietro. In quel tempo quelli sonatori si erano tutti onoratissimi artigiani, e v’era alcuni di loro che facevano l’arte maggiori di seta e lana; qual fu causa che mio padre non si sdegnò a fare questa tal professione. El maggior desiderio che lui aveva al mondo, circa i casi mia, si era che io divenissi un gran sonatore; e ’l maggior dispiacere che io potessi avere al mondo, si era quando lui me ne ragionava, dicendomi, che se io volevo, mi vedeva tanto atto a tal cosa, che io sarei il primo omo del mondo.