La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo LXXXI

Libro primo
Capitolo LXXXI

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Accadde che Ottaviano de’ Medici, il quale pareva che governassi ogni cosa, volendo favorire contra la voglia del Duca il maestro vecchio di zecca, che si chiamava Bastiano Cennini, uomo all’anticaccia e di poco sapere, aveva fatto mescolare nelle stampe degli scudi quei sua goffi ferri con i mia; per la qual cosa io me ne dolsi col Duca; il quale, veduto il vero, lo ebbe molto per male, e mi disse: - Va, dillo a Ottaviano de’ Medici, e mostragnene -. Onde io subito andai; e mostratogli la ingiuria che era fatto alle mie belle monete, lui mi disse asinescamente: - Cosí ci piace di fare -. Al quale io risposi, che cosí non era il dovere, e non piaceva a me. Lui disse: - E se cosí piacessi al Duca?- Io gli risposi: - Non piacerebbe a me; ché non è giusto né ragionevole una tal cosa -. Disse che io me gli levassi dinanzi, e che a quel modo la mangerei, se io crepassi. Ritornatomene dal Duca, gli narrai tutto quello che noi avevamo dispiacevolmente discorso, Ottaviano de’ Medici e io; per la qual cosa io pregavo Sua Eccellenzia che non lasciassi far torto alle belle monete che io gli avevo fatto, e a me dessi buona licenzia. Allora e’ disse: - Ottaviano ne vuol troppo; e tu arai ciò che tu vorrai; perché cotesta è una ingiuria che si fa a me -. Questo giorno medesimo, che era un giovedí, mi venne di Roma uno amplio salvo condotto dal Papa, dicendomi che io andassi presto per la grazia delle Sante Marie di mezzo agosto, acciò che io potessi liberarmi di quel sospetto de l’omicidio fatto. Andatomene dal Duca, lo trovai nel letto, perché dicevano che egli aveva disordinato; e finito in poco piú di dua ore quello che mi bisognava alla sua medaglia di cera, mostrandognene finita, li piacque assai. Allora io mostrai a Sua Eccellenzia il salvo condotto aùto per ordine del Papa, e come il Papa mi richiedeva che io gli facessi certe opere; per questo andrei a riguadagnare quella bella città di Roma, e intanto lo servirei della sua medaglia. A questo il Duca disse mezzo in còllora: - Benvenuto, fa’ a mio modo, non ti partire; perché io ti risolverò la provvisione, e ti darò le stanze in zecca con molto piú di quello che tu non mi sapresti domandare, perché tu mi domandi quello che è giusto e ragionevole: e chi vorrestú che mi mettessi le mia belle stampe che tu m’hai fatte? - Allora io dissi: - Signore, e’ s’è pensato a ogni cosa, perché io ho qui un mio discepolo, il quale è un giovane romano, a chi io ho insegnato, che servirà benissimo la Eccellenzia Vostra per insino che io ritorno con la sua medaglia finita a starmi poi seco sempre. E perché io ho in Roma la mia bottega aperta con lavoranti e alcune faccende, aùto che io ho la grazia, lasserò tutta la divozione di Roma a un mio allevato che è là, e di poi con la buona grazia di Vostra Eccellenzia me ne tornerò a lei -. A queste cose era presente quello Lorenzino sopraddetto de’ Medici e non altri: il Duca parecchi volte l’accennò che ancora lui mi dovessi confortare a fermarmi; per la qual cosa il ditto Lorenzino non disse mai altro, se none: - Benvenuto, tu faresti il tuo meglio a restare -. Al quale io dissi che io volevo riguadagnare Roma a ogni modo. Costui non disse altro, e stava continuamente guardando il Duca con un malissimo occhio. Io, avendo finito a mio modo la medaglia e avendola serrata nel suo cassettino, dissi al Duca: - Signore, state di buona voglia, che io vi farò molto piú bella medaglia che io non feci a papa Clemente: ché la ragion vuole che io faccia meglio, essendo quella la prima che io facessi mai; e messer Lorenzo qui mi darà qualche bellissimo rovescio, come persona dotta e di grandissimo ingegno -. A queste parole il ditto Lorenzo subito rispose dicendo: - Io non pensavo a altro, se none a darti un rovescio che fussi degno di Sua Eccellenzia -. El Duca sogghignò, e guardato Lorenzo, disse: - Lorenzo, voi gli darete il rovescio, e lui lo farà qui, e non si partirà -. Presto rispose Lorenzo, dicendo: - Io lo farò il piú presto ch’io posso, e spero far cosa da far maravigliare il mondo -. Il Duca, che lo teneva quando per pazzericcio e quando per poltrone, si voltolò nel letto e si rise delle parole che gli aveva detto. Io mi parti’ sanza altre cirimonie di licenzia, e gli lasciai insieme soli. Il Duca, che non credette che io me ne andassi, non mi disse altro. Quando e’ seppe poi che io m’ero partito, mi mandò drieto un suo servitore, il quale mi raggiunse a Siena, e mi dette cinquanta ducati d’oro da parte del Duca, dicendomi che io me gli godessi per suo amore, e tornassi piú presto che io potevo. - E da parte di messer Lorenzo ti dico, che lui ti mette in ordine un rovescio maraviglioso per quella medaglia che tu vuoi fare -. Io avevo lasciato tutto l’ordine a Pietropagolo romano sopraditto in che modo egli avev’a mettere le stampe; ma perché l’era cosa difficilissima, egli non le misse mai troppo bene. Restai creditore della zecca, di fatture di mie ferri, di piú di settanta scudi.