La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo LXXVII

Libro primo
Capitolo LXXVII

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Cenato che noi avemmo, comparse sú un barcheruolo per levarci per Vinezia; io dimandai se lui mi voleva dare la barca libera: cosí fu contento, e di tanto facemmo patto. La mattina a buonotta noi pigliammo i cavagli per andare al porto, quale è non so che poche miglia lontano da Ferrara; e giunto che noi fummo al porto, vi trovammo il fratello di Nicolò Benintendi con tre altri compagni, i quali aspettavano che io giugnessi: in fra loro era dua pezzi di arme in asta, e io avevo compro un bel giannettone in Ferrara. Essendo anche benissimo armato, io non mi sbigotti’ punto, come fece il Tribolo che disse: - Idio ci aiuti: costor son qui per ammazzarci -. Lamentone si volse a me e disse: - Il meglio che tu possa fare si è tornartene a Ferrara, perché io veggo la cosa pericolosa. Di grazia, Benvenuto mio, passa la furia di queste bestie arrabiate -. Allora io dissi: - Andiàno inanzi, perché chi ha ragione Idio l’aiuta; e voi vedrete come mi aiuterò da me. Quella barca non è ella caparrata per noi? - Sí, - disse Lamentone. - E noi in quella staremo sanza loro, per quanto potrà la virtú mia -. Spinsi inanzi il cavallo, e quando fu presso a cinquanta passi, scavalcai e arditamente col mio giannettone andavo innanzi. Il Tribolo s’era fermato indietro ed era rannicchiato in sul cavallo, che pareva il freddo stesso; e Lamentone procaccio gonfiava e soffiava che pareva un vento; che cosí era il suo modo di fare; ma piú lo faceva allora che il solito, stando acconsiderare che fine avessi avere quella diavoleria. Giunto alla barca, il barcheruolo mi si fece innanzi e mi disse, che quelli parecchi gentiluomini fiorentini volevano entrare di compagnia nella barca, se io me ne contentavo. Al quale io dissi: - La barca è caparrata per noi, e non per altri, e m’incresce insino al cuore di non poter essere con loro -. A queste parole un bravo giovane de’ Magalotti disse: - Benvenuto, noi faremo che tu potrai -. Allora io dissi: - Se Idio e la ragione che io ho insieme con le forze mie, vorranno o potranno, voi non mi farete poter quel che voi dite -. E con le parole insieme saltai nella barca. Volto lor la punta dell’arme, dissi: - Con questa vi mostrerrò che io non posso -. Voluto fare un poco di dimostrazione, messo mano all’arme e fattosi innanzi quel de’ Magalotti, io saltai in su l’orlo della barca, e tira’gli un cosí gran colpo, che se non cadeva rovescio in terra, io lo passavo a banda a banda. Gli altri compagni, scambio di aiutarlo, si ritirorno indietro: e veduto che io l’arei potuto ammazzare, in cambio di dargli, io li dissi: - Levati su, fratello, e piglia le tue arme e vattene; bene hai tu veduto che io non posso quel che io non voglio, e quel che io potevo fare non ho voluto -. Di poi chiamai drento il Tribolo e il barcheruolo e Lamentone; cosí ce ne andammo alla volta di Vinezia. Quando noi fummo dieci miglia per il Po, quelli giovani erano montati in su una fusoliera e ci raggiunsono; e quando a noi furno al dirimpetto, quello isciocco di Pier Benintendi mi disse: - Vien pur via, Benvenuto, ché ci rivedremo in Vinezia. - Avviatevi che io vengo - dissi - e per tutto mi lascio rivedere -. Cosí arrivammo a Vinezia. Io presi parere da un fratello del cardinal Cornaro, dicendo che mi facessi favore che io potessi aver l’arme, qual mi disse che liberamente io la portassi, che il peggio che me ne andava si era perder la spada.