La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo LXXI

Libro primo
Capitolo LXXI

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Pochi giorni appresso, avendo finito la mia medaglia, la stampai in oro e in argento e in ottone. Mostratala a messer Piero, subito m’introdusse dal Papa. Era un giorno doppo desinare del mese di aprile, ed era un bel tempo: il Papa era in Belvedere. Giunto alla presenza di Sua Santità, li porsi in mano le medaglie insieme con li conii di acciaio. Presele, subito cognosciuto la gran forza di arte che era in esse, guardato misser Piero in viso, disse: - Gli antichi non furno mai sí ben serviti di medaglie -. In mentre che lui e gli altri le consideravano, ora i conii ora le medaglie, io modestissimamente cominciai a parlare e dissi: - Se la potenzia delle mie perverse istelle non avessino aùto una maggior potenzia, che alloro avessi impedito quello che violentemente in atto le mi dimostrorno, Vostra Santità senza sua causa e mia perdeva un suo fidele e amorevole servitore. Però, beatissimo Padre, non è error nessuno in questi atti, dove si fa del resto, usar quel modo che dicono certi poveri semplici uomini, usando dire, che si dee segnar sette e tagliar uno. Da poi che una malvagia bugiarda lingua d’un mio pessimo avversario, che aveva cosí facilmente fatto adirare Vostra Santità, che ella venne in tanto furore, commettendo al Governatore che subito preso m’impiccassi; veduto da poi un tale inconveniente, faccendo un cosí gran torto a sé medesima a privarsi di un suo servitore, qual Vostra Santità istessa dice che egli è, penso certissimo che, quanto a Dio e quanto al mondo, da poi Vostra Santità n’arebbe aùto un non piccolo rimordimento. Però i buoni e virtuosi padri, similmente i padroni tali, sopra i loro figliuoli e servitori non debbono cosí precipitatamente lasciar loro cadere il braccio addosso; avvenga che lo increscerne lor da poi non serva a nulla. Da poi che Idio ha impedito questo maligno corso di stelle, e salvatomi a Vostra Santità, un’altra volta priego quella, che non sia cosí facile a l’adirarsi meco -. Il Papa, fermato di guardare le medaglie, con grande attenzione mi stava a udire; e perché alla presenzia era molti Signori di grandissima importanza, il Papa, arrossito alquanto, fece segno di vergognarsi, e non sapendo altro modo a uscir di quel viluppo, disse che non si ricordava di aver mai dato una tal commessione. Allora avvedutomi di questo, entrai in altri ragionamenti, tanto che io divertissi quella vergogna che lui aveva dimostrato. Ancora Sua Santità entrato in e’ ragionamenti delle medaglie, mi dimandava che modo io avevo tenuto a stamparle cosí mirabilmente, essendo cosí grande; il che lui non aveva mai veduto degli antichi, medaglie di tanta grandezza. Sopra quello si ragionò un pezzo, e lui, che aveva paura che io non gli facessi un’altra orazioncina peggio di quella, mi disse che le medaglie erano bellissime e che gli erano molto grate, e che arebbe voluto fare un altro rovescio a sua fantasia, se tal medaglie si poteva istampare con dua rovesci. Io dissi che sí. Allora Sua Santità mi commesse che io facessi la storia di Moisè quando e’ percuote la pietra, ch’e’ n’esce l’acqua, con un motto sopra, il qual dicessi “Ut bibat populus”. E poi aggiunse: - Va, Benvenuto, che tu non l’arai finita sí tosto che io arò pensato a casi tua -. Partito che io fui, il Papa si vantò alla presenza di tutti di darmi tanto, che io arei potuto riccamente vivere, senza mai piú affaticarmi con altri. Attesi sollecitamente a finire il rovescio del Moisè.