La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo LXII

Libro primo
Capitolo LXII

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Subito che il Governatore insieme col Fiscale furono tornati da Palazzo, fattomi chiamare, disse in questo tenore: - Benvenuto, certamente e’ mi sa male d’esser tornato dal Papa con una commessione tale, quale io ho; sí che o tu trova l’opera subito, o tu pensa a’ fatti tua -. Allora io risposi che, da poi che io non avevo mai creduto insino a quell’ora che un santo Vicario di Cristo potessi fare un’ingiustizia - però io lo voglio vedere prima che io lo creda; sí che fate quel che voi potete -. Ancora il Governatore replicò, dicendo: - Io t’ho da dire dua altre parole da parte del Papa, dipoi seguirò la commessione datami. Il Papa dice che tu mi porti qui l’opera, e che io la vegga mettere in una scatola e suggellare; di poi io l’ho apportare al Papa, il quale promette per la fede sua di non la muovere dal suo suggello chiusa, e subito te la renderà; ma questo e’ vuol che si faccia cosí per averci anch’egli la parte dell’onor suo -. A queste parole io ridendo risposi, che molto volentieri gli darei l’opera mia in quel modo che diceva, perché io volevo saper ragionare come era fatta la fede di un Papa. E cosí mandato per l’opera mia, suggellata in quel modo che e’ disse, gliene detti. Ritornato il Governatore dal Papa con la ditta opera innel modo ditto, presa la scatola il Papa, sicondo che mi riferí il Governatore ditto, la volse parecchi volte; dipoi domandò il Governatore, se l’aveva veduta; il qual disse che l’aveva veduta e che in sua presenza in quel modo s’era suggellata; di poi aggiunse, che la gli era paruta cosa molto mirabile. Per la qual cosa il Papa disse: - Direte a Benvenuto, che i Papi hanno autorità di sciorre e legare molto maggior cosa di questa - e in mentre che diceva queste parole, con qualche poco di sdegno aperse la scatola, levando le corde e il suggello con che l’era legata: di poi la guardò assai, e per quanto io ritrassi, e’ la mostrò a quel Tubbia orefice, il quale molto la lodò. Allora il Papa lo domandò se gli bastava la vista di fare una opera a quel modo; il Papa gli disse che lui seguitassi quell’ordine apunto; di poi si volse al Governatore e gli disse: - Vedete se Benvenuto ce la vuol dare; che dandocela cosí, se gli paghi tutto quel che l’è stimata da valenti uomini; o sí veramente, volendocela finir lui, pigli un termine: e se voi vedete che la voglia fare, díesigli quelle comodità che lui domanda giuste -. Allora il Governatore disse: - Beatissimo Padre, io che cognosco la terribil qualità di quel giovane, datemi autorità che io glie ne possa dare una sbarbazzata a mio modo -. A questo il Papa disse che facessi quel che volessi con le parole, benché gli era certo che e’ farebbe il peggio; di poi quando e’ vedessi di non poter fare altro, mi dicessi che io portassi li sua cinquecento scudi a quel Pompeo suo gioielliere sopraditto. Tornato il Governatore, fattomi chiamare in camera sua, e con un birresco sguardo, mi disse: - E’ papi hanno autorità di sciorre e legare tutto il mondo, e tanto subito si afferma in Cielo per ben fatto: eccoti là la tua opera sciolta e veduta da Sua Santità -. Allora subito io alzai la voce e dissi: - Io ringrazio Idio, che io ora so ragionare com’è fatta la fede de’ papi -. Allora il Governatore mi disse e fece molte sbardellate braverie; e da poi veduto che lui dava in nunnulla, affatto disperatosi dalla impresa, riprese alquanto la maniera piú dolce, e mi disse: - Benvenuto, assai m incresce che tu non vuoi intendere il tuo bene; però va’, porta i cinquecento scudi, quando tu vuoi, a Pompeo sopra ditto -. Preso la mia opera, me ne andai, e subito portai li cinquecento scudi a quel Pompeo. E perché talvolta il Papa, pensando che per incomodità o per qualche altra occasione io non dovessi cosí presto portare i dinari, desideroso di rattaccare il filo della servitú mia; quando e’ vedde che Pompeo gli giunse innanzi sorridendo con li dinari in mano, il Papa gli disse villania, e si condolse assai che tal cosa fussi seguita in quel modo: di poi gli disse: - Va’, truova Benvenuto a bottega sua, e fagli piú carezze che può la tua ignorante bestialità; e digli, che se mi vuol finire quell’opera per farne un reliquiere per portarvi drento il Corpus Domini, quando io vo con esso a pricissione, che io gli darò le comodità che vorrà a finirlo; purché egli lavori -. Venuto Pompeo a me, mi chiamò fuor di bottega, e mi fece le piú isvenevole carezze d’asino, dicendomi tutto quel che gli aveva commesso il Papa. Al quale io risposi subito, che il maggior tesoro che io potessi desiderare al mondo, si era l’aver riauto la grazia d’un cosí gran Papa, la quale si era smarrita da me, e non per mio difetto, ma sí bene per difetto della mia smisurata infirmità, e per la cattività di quelli uomini invidiosi che hanno piacere di commetter male; - e perché il Papa ha ’bundanzia di servitori, non mi mandi piú intorno, per la salute vostra; ché badate bene al fatto vostro. Io non mancherò mai né dí né notte di pensare e fare tutto quello che io potrò in servizio del Papa; e ricordatevi bene, che detto che voi avete questo al Papa di me, in modo nessuno non vi intervenire in nulla de’ casi mia, perché io vi farò cognoscere gli errori vostri con la penitenzia che meritano -. Questo uomo riferí ogni cosa al Papa in molto piú bestial modo che io non gli aveva porto. Cosí si stette la cosa un pezzo, e io m’attendevo alla mia bottega e mie faccende.