La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo LIX

Libro primo
Capitolo LIX

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La infirmità gli era il vero che io l’avevo, ma credo che io l’avessi guadagnata mediante quella bella giovane serva che io tenevo nel tempo che io fui rubato. Soprastette quel morbo gallico a scoprirmisi piú di quattro mesi interi, di poi mi coperse tutto tutto a un tratto: non era innel modo de l’altro che si vede, ma pareva che io fussi coperto di certe vescichette, grandi come quattrini, rosse. I medici non mel volson mai battezzare mal franzese: e io pure dicevo le cause che credevo che fussi. Continuavo di medicarmi a lor modo, e nulla mi giovava; pur poi a l’ultimo, risoltomi a pigliare il legno contra la voglia di quelli primi medici di Roma, questo legno io lo pigliavo con tutta la disciplina e astinenzia che immaginar si possa, e in brevi giorni senti’ grandissimo miglioramento; a tale che in capo a cinquanta giorni io fui guarito e sano come un pesce. Da poi, per dare qualche ristoro a quella gran fatica che io avevo durato, entrando innel inverno, presi per mio piacere la caccia dello scoppietto, la quale mi induceva a andare a l’acqua e al vento, e star pe’ pantani; a tale che in brevi giorni mi tornò l’un cento maggior male di quel che io avevo prima. Rimessomi nelle man de’ medici, continuamente medicandomi, sempre peggioravo. Saltatomi la febbre adosso, io mi disposi di ripigliare il legno: gli medici non volevano, dicendomi che se io vi entravo con la febbre, in otto dí morrei. Io mi disposi di far contro la voglia loro; e tenendo i medesimi ordini che all’altra volta fatto avevo, beuto che io ebbi quattro giornate di questa santa acqua de il legno, la febbre se ne andò afatto. Cominciai a pigliare grandissimo miglioramento, e in questo che io pigliavo il detto legno sempre tiravo inanzi i modelli di quella opera; e’ quali in cotesta astinenzia io feci le piú belle cose e le piú rare invenzione che mai facessi alla vita mia. In capo di cinquanta giorni io fui benissimo guarito, e di poi con grandissima diligenzia io mi attesi a ’ssicurare la sanità adosso. Di poi che io fui sortito di quel gran digiuno, mi trovai in modo netto dalle mie infirmità, come se rinato io fussi. Se bene io mi pigliavo piacere ne l’assicurare quella mia desiderata sanità, non mancavo ancora di lavorare; tanto che innell’opera detta e innella zecca, ad ogniona di loro certissimo davo la parte del suo dovere.