La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo CXXIV

Libro primo
Capitolo CXXIV

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Venuto l’altro giorno a portarmi il mio mangiare quel servitore del Castellano, il quale mi voleva bene, io gli detti questo sonetto iscritto; il quale, segretamente da quelli altri maligni servitori, che mi volevano male, lo dette al Castellano: il quale volentieri m’arebbe lasciato andar via, perché gli pareva che quel torto che m’era istato fatto, fossi gran causa della morte sua. Prese il sonetto, e lettolo piú d’una volta, disse: - Queste non sono né parole né concetti da pazzo; ma sí bene d’uomo buono e da bene - e subito comandò a un suo secretario che lo portassi al Papa, e che lo dessi in propia mano, pregandolo che mi lasciassi andare. Mentre che il detto segretario portò il sonetto al Papa, il Castellano mi mandò lume per il dí e per la notte, con tutte le comodità che in quel luoco si poteva desiderare; per la qual cosa io cominciai a migliorare della indisposizione della mia vita, quale era divenuta grandissima. Il Papa lesse il sonetto piú volte; di poi mandò a dire al Castellano, che farebbe ben presto cosa che gli sarebbe grata. E certamente che il Papa m’arebbe poi volentieri lasciato andare; ma il signor Pierluigi ditto, suo figliuolo, quasi contra la voglia del Papa, per forza mi vi teneva. Avvicinandosi la morte del Castellano, in mentre che io avevo disegnato e scolpito quel maraviglioso miracolo, la mattina d’Ogni Santi mi mandò per Piero Ugolini, suo nipote, a mostrare certe gioie; le quali quando io le viddi, subito dissi: - Questo è il contrasegno della mia liberazione -. Allora questo giovane, che era persona di pochissimo discorso, disse: - A cotesto non pensar tu mai, Benvenuto -. Allora io dissi: - Porta via le tue gioie, perché io son condotto di sorte, che io non veggo lume se none in questa caverna buia, innella quale non si può discernere la qualità delle gioie; ma quanto all’uscire di questo carcere, e’ non finirà questo giorno intero, che voi me ne verrete a cavare: e questo è forza che cosí sia, e non potete far di manco. - Costui si partí e mi fece riserrare; e andatosene, soprastette piú di dua ore di oriuolo; di poi venne per me senza armati, con dua ragazzi che mi aiutassino sostenere, e cosí mi menò in quelle stanze larghe che io avevo prima (questo fu ’l 1538), dandomi tutte le comodità che io domandavo.