La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo CXXII

Libro primo
Capitolo CXXII

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Dette queste parole, da quello Invisibile, a modo che un vento io fui preso e portato via, e fui menato in una stanza dove quel mio Invisibile allora visibilmente mi si mostrava in forma umana, in modo d’un giovane di prima barba; con faccia maravigliosissima, bella, ma austera, non lasciva; e mi mostrava innella ditta stanza, dicendomi: - Quelli tanti uomini che tu vedi, sono tutti quei che insino a qui son nati e poi son morti -. Il perché io lo domandavo per che causa lui mi menava quivi: il qual mi disse: - Vieni innanzi meco e presto lo vedrai -. Mi trovavo in mano un pugnaletto e indosso un giaco di maglia; e cosí mi menava per quella grande stanza, mostrandomi coloro che a infinite migliaia or per un verso or per un altro camminavano. Menatomi innanzi, uscí innanzi a me per una piccola porticella in un luogo come in una strada istretta; e quando egli mi tirò drieto a sé innella detta istrada, all’uscire di quella stanza mi trovai disarmato, ed ero in camicia bianca sanza nulla in testa, ed ero a man ritta del ditto mio compagno. Vedutomi a modo, io mi maravigliavo, perché non ricognoscevo quella istrada; e alzato gli occhi, viddi che il chiarore del sole batteva in una pariete di muro, modo che una facciata di casa, sopra il mio capo. Allora io dissi: - O amico mio, come ho io da fare, che io mi potessi alzare tanto che io vedessi la propia spera del sole? - Lui mi mostrò parecchi scaglioni che erano quivi alla mia man ritta, e mi disse: - Va quivi da te -. Io spiccatomi un poco da lui, salivo con le calcagna allo indietro su per quei parecchi scaglioni, e cominciavo a poco a poco a scoprire la vicinità del sole. M’affrettavo di salire; e tanto andai in su in quel modo ditto che io scopersi tutta la spera del sole. E perché la forza de’ suoi razzi, al solito loro, mi fece chiudere gli occhi, avvedutomi dell’error mio, apersi gli occhi e guardando fiso il sole, dissi: - O sole mio, che t’ho tanto desiderato, io voglio non mai piú vedere altra cosa, se bene i tuoi razzi mi acciecano -. Cosí mi stavo con gli occhi fermi in lui; e stato che io fui un pochetto in quel modo, viddi in un tratto tutta quella forza di quei gran razzi gittarsi in sulla banda manca del ditto sole; e restato il sole netto, sanza i suoi razzi, con grandissimo piacere io lo vedevo; e mi pareva cosa maravigliosa che quei razzi si fussino levati in quel modo. Stavo a considerare che divina grazia era stata questa, che io avevo quella mattina da Dio, e dicevo forte: - Oh mirabil tua potenzia! oh gloriosa tua virtú! Quanto maggior grazia mi fai tu, di quello che io non m’aspettavo! - Mi pareva questo sole sanza i razzi sua, né piú né manco un bagno di purissimo oro istrutto. In mentre che io consideravo questa gran cosa, viddi in mezzo a detto sole cominciare a gonfiare; e crescere questa forma di questo gonfio, e in un tratto si fece un Cristo in croce della medesima cosa che era il sole; ed era di tanta bella grazia in benignissimo aspetto, quale ingegno umano non potria inmaginare una millesima parte; e in mentre che io consideravo tal cosa, dicevo forte: - Miracoli, miracoli! O Idio, o clemenzia tua, o virtú tua infinita, di che cosa mi fai tu degno questa mattina! - E in mentre che io consideravo e che io dicevo queste parole, questo Cristo si moveva inverso quella parte dove erano andati i suoi razzi, e innel mezzo del sole di nuovo gonfiava, sí come aveva fatto prima; e cresciuto il gonfio, subito si convertí innuna forma d’una bellissima Madonna, qual mostrava di essere a sedere in modo molto alto con il ditto figliuolo in braccio in atto piacevolissimo, quasi ridente; di qua e di là era messa in mezzo da duoi Angeli bellissimi tanto quanto lo immaginare non arriva. Ancora vedevo in esso sole, alla mana ritta, una figura vestita a modo di sacerdote: questa mi volgeva le stiene e ’l viso teneva vòlto inverso quella Madonna e quel Cristo. Tutte queste cose io vedevo vere, chiare e vive, e continuamente ringraziavo la gloria di Dio con grandissima voce. Quando questa mirabil cosa mi fu stata innanzi agli occhi poco piú d’uno ottavo d’ora, da me si partí, e io fui riportato in quel mio covile. Subito cominciai a gridare forte, ad alta voce dicendo: - La virtú de Dio m’ha fatto degno di mostrarmi tutta la gloria sua, quale non ha forse mai visto altro occhio mortale: onde per questo io mi cognosco di essere libero e felice e in grazia a Dio; e voi ribaldi, ribaldi resterete, infelici e nella disgrazia de Dio. Sappiate che io sono certissimo, che il dí di tutti e Santi, quale fu quello che io venni al mondo nel mille cinquecento a punto, il primo dí di novembre, la notte seguente a quattro ore, quel dí che verrà, voi sarete forzati a cavarmi di questo carcere tenebroso; e non potrete far di manco, perché io l’ho visto con gli occhi mia e in quel trono di Dio. Quel sacerdote, qual era vòlto inverso Idio e che a me mostrava le stiene, quello era il santo Pietro, il quale avocava per me, vergognandosi che innella casa sua si faccia ai cristiani cosí brutti torti. Sí che ditelo a chi volete, che nissuno non ha potenzia di farmi piú male; e dite al quel Signor che mi tien qui, che se lui mi dà o cera o carta, e modo che io gli possa sprimere questa gloria de Dio, che mi s’è mostra, certissimo io lo farò chiaro di quel che forse lui sta in dubbio.