La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo CXV

Libro primo
Capitolo CXV

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Passatomi tempo da poi questa disputa, tutto quel giorno sino alla notte, dalla cucina del Papa venne una abbundante vivanda: ancora dalla cucina del cardinale Cornaro venne bonissima provvisione: abbattendosi a questo parecchi mia amici, gli feci restare a cena meco; onde io, tenendo la mia gamba isteccata innel letto, feci lieta cera con esso loro; cosí soprastettono meco. Passato un’ora di notte di poi si partirno; e dua mia servitori m’assettorno da dormire, di poi si messono nell’anticamera. Io avevo un cane nero quant’una mora, di questi pelosi, e mi serviva mirabilmente alla caccia dello stioppo, e mai non istava lontan da me un passo. La notte, essendomi sotto il letto, ben tre volte chiamai il mio servitore, che me lo levassi di sotto il letto, perché e’ mugliava paventosamente. Quando i servitori venivano, questo cane si gittava loro adosso per mordergli. Gli erano ispaventati e avevan paura che il cane non fossi arrabbiato, perché continuamente urlava. Cosí passammo insino alle quattro ore di notte. Al tocco delle quattro ore di notte entrò il bargello con molta famiglia drento nella mia camera: allora il cane uscí fuora e gittossi adosso a questi con tanto furore, stracciando loro le cappe e le calze, e gli aveva missi in tanta paura, che lor pensavano che fossi arrabbiato. Per la qual cosa il bargello, come persona pratica, disse: - La natura de’ buoni cani è questa, che sempre s’indovinano e predicono il male che de’ venire a’ lor padroni: pigliate dua bastoncelli e difendetevi dal cane, e gli altri leghino Benvenuto in su questa sieda, e menatelo dove voi sapete -. Sí come io ho detto era il giorno passato del Corpus Domini, ed era in circa a quattro ore di notte. Questi mi portavano turato e coperto, e quattro di loro andavano innanzi, faccendo iscansare quelli pochi uomini che ancora si ritrovavano per la strada. Cosí mi portorno a Torre di Nona, luogo detto cosí, e messomi innella prigione della vita, posatomi in sun un poco di materasso e datomi uno di quelle guardie, il quale tutta la notte si condoleva della mia cattiva fortuna, dicendomi: - Oimè! povero Benvenuto, che hai tu fatto a costoro? - Onde io benissimo mi avvisai quel che mi aveva a ’ntervenire, sí per essere il luogo cotal’ e anche perché colui me lo aveva avvisato. Istetti un pezzo di quella notte col pensiero a tribularmi qual fussi la causa che a Dio piaceva darmi cotal penitenzia; e perché io non la ritrovavo, forte mi dibattevo. Quella guardia s’era messa poi il meglio che sapeva a confortarmi; per la qual cosa io lo scongiurai per l’amor de Dio che non mi dicessi nulla e non mi parlassi, avvenga che da me medesimo io farei piú presto e meglio una cotale resoluzione. Cosí mi promesse. Allora io volsi tutto il cuore a Dio; e divotissimamente lo pregavo, che gli piacessi di accettarmi innel suo regno; e che se bene io m’ero dolto, parendomi questa tal partita in questo modo molto innocente, per quanto prommettevano gli ordini delle legge, e se bene io avevo fatto degli omicidi, quel suo Vicario mi aveva dalla patria mia chiamato e perdonato coll’autorità delle legge e sua; e quello che io avevo fatto, tutto s’era fatto per difensione di questo corpo che Sua Maestà mi aveva prestato: di modo che io non conoscevo, sicondo gli ordini con che si vive innel mondo, di meritare quella morte; ma che a me mi pareva che m’intervenissi quello che avviene a certe isfortunate persone, le quale, andando per la strada, casca loro un sasso da qualche grande altezza in su la testa e gli ammazza: qual si vede ispresso esser potenzia delle stelle: non già che quelle sieno congiurate contro a di noi per farci bene o male, ma vien fatto innelle loro congionzione, alle quale noi siamo sottoposti; se bene io cognosco d’avere il libero albitrio: e se la mia fede fussi santamente esercitata, io sono certissimo che gli angeli del Cielo mi porterieno fuor di quel carcere e mi salverieno sicuramente d’ogni mio affanno; ma perché e’ non mi pare d’esser fatto degno da Dio d’una tal cosa, però è forza che questi influssi celesti adempieno sopra di me la loro malignità. E con questo dibattutomi un pezzo, da poi mi risolsi e subito appiccai sonno.