La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo CXIV

Libro primo
Capitolo CXIV

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Dua giorni apresso andò il cardinal Cornaro a dimandare un vescovado al Papa per un suo gentiluomo, che si domandava messer Andrea Centano. Il Papa è vero che gli aveva promesso un vescovado: essendo cosí vacato, ricordando il Cardinale al Papa sí come tal cosa lui gli aveva promesso, il Papa affermò esser la verità e che cosí gliene voleva dare; ma che voleva un piacere da Sua Signoria reverendissima, e questo si era che voleva che gli rendessi nelle mane Benvenuto. Allora il Cardinale disse: - Oh se Vostra Santità gli ha perdonato e datomelo libero, che dirà il mondo e di Vostra Santità e di me? - Il Papa replicò: - Io voglio Benvenuto, e ogniun dica quel che vuole, volendo voi il vescovado -. Il buon Cardinale disse che Sua Santità gli dessi il vescovado, e che del resto pensassi da sé e facessi da poi tutto quel che Sua Santità e voleva e poteva. Disse il Papa, pure alquanto vergognandosi della iscellerata già data fede sua: - Io manderò per Benvenuto, e per un poco di mia sadisfazione lo metterò giú in quelle camere del giardino segreto, dove lui potrà attendere a guarire, e non si gli vieterà che tutti gli amici sua lo vadino a vedere, e anche li farò dar le spese, insin che ci passi questo poco della fantasia -. Il Cardinale tornò a casa e mandommi subito a dire per quello che aspettava il vescovado, come il Papa mi rivoleva nelle mane; ma che mi terrebbe in una camera bassa innel giardin segreto; dove io starei visitato da ugniuno siccome io era in casa sua. Allora io pregai questo messer Andrea, che fussi contento di dire al Cardinale che non mi dessi al Papa e che lasciassi fare a me; per che io mi farei rinvoltare in un materasso e mi farei porre fuor di Roma in luogo sicuro; perché se lui mi dava al Papa, certissimo mi dava alla morte. Il Cardinale, quando e’ le intese, si crede che lui l’arebbe volute fare, ma quel messer Andrea, a chi toccava il vescovado, scoperse la cosa. Intanto il Papa mandò per me subito e fecemi mettere, sí come e’ disse, in una camera bassa innel suo giardin segreto. Il Cardinale mi mandò a dire che io non mangiassi nulla di quelle vivande che mi mandava il Papa, e che lui mi manderebbe da mangiare; e che quello che gli aveva fatto non aveva potuto far di manco, e che io stessi di buona voglia, che m’aiuterebbe tanto, che io sarei libero. Standomi cosí, ero ogni dí visitato e offertomi da molti gran gentiluomini molte gran cose. Dal Papa veniva la vivanda, la quale io non toccavo, anzi mi mangiavo quella che veniva dal cardinal Cornaro, e cosí mi stavo. Io avevo in fra gli altri mia amici un giovane greco di età di venticinque anni: questo era gagliardissimo oltramodo e giucava di spada meglio che ogni altro uomo che fussi in Roma: era pusillo d’animo, ma era fidelissimo uomo da bene e molto facile al credere. Aveva sentito dire che il Papa aveva detto che mi voleva remunerare de’ miei disagi. Questo era il vero, che il Papa aveva detto tal cose da principio, ma innell’ultimo da poi diceva altrimenti. Per la qual cosa io mi confidavo con questo giovane greco e gli dicevo: - Fratello carissimo, costoro mi vogliono assassinare, sí che ora è tempo aiutarmi: che pensano che io non me ne avvegga, facendomi questi favori istrasordinari, gli quali son tutti fatti per tradirmi -. Questo giovane da bene diceva: - Benvenuto mio, per Roma si dice che il Papa t’ha dato uno uffizio di cinquecento scudi di entrata; sí che io ti priego di grazia, che tu non faccia che questo tuo sospetto ti tolga un tanto bene -. E io pure lo pregavo con le braccia in croce che mi levassi di quivi, perché io sapevo bene che un Papa simile a quello mi poteva fare di molto bene, ma che io sapevo certissimo che lui studiava in farmi segretamente, per suo onore, di molto male; però facessi presto e cercassi di camparmi la vita di costui: che se lui mi cavava di quivi, innel modo che io gli arei detto, io sempre arei riconosciuta la vita mia dallui; venendo il bisogno, la ispenderei. Questo povero giovane piangendo mi diceva: - O caro mio fratello, tu ti vuoi pure rovinare, e io non ti posso mancare a quanto tu mi comandi; sí che dimmi il modo e io farò tutto quello che tu dirai, se bene e’ fia contra mia voglia -. Cosí eramo risoluti e io gli avevo dato tutto l’ordine, che facilissimo ci riusciva. Credendomi che lui venissi per mettere in opera quanto io gli avevo ordinato, mi venne a dire che per la salute mia mi voleva disubbidire, e che sapeva bene quello che gli aveva inteso da uomini che stavano appresso a il Papa e che sapevano tutta la verità de’ casi mia. Io che non mi potevo aiutare in altro modo, ne restai malcontento e disperato. Questo fu il dí del Corpus Domini nel mille cinquecento trenta nove.