La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo CVII

Libro primo
Capitolo CVII

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Questo Castellano aveva ogni anno certe infermità che lo traevano del cervello a fatto; e quando questa cosa gli cominciava a venire, e’ parlava assai: modo che cicalare; e questi umori sua erano ogni anno diversi, perché una volta gli parve essere uno orcio da olio; un’altra volta gli parve essere un ranocchio, e saltava come il ranocchio; un’altra volta gli parve esser morto, e bisognò sotterrarlo: cosí ogni anno veniva in qualcun di questi cotai umori diversi. Questa volta si cominciò a immaginare d’essere un pipistrello e, in mentre che gli andava a spasso, istrideva qualche volta cosí sordamente come fanno i pipistrelli; ancora dava un po’ d’atto alle mane e al corpo, come se volare avessi voluto. Li medici sua, che se ne erano avveduti, cosí li sua servitori vecchi, li davano tutti i piaceri che immaginar potevano: e perché e’ pareva loro che pigliassi gran piacere di sentirmi ragionare, a ogni poco e’ venivano per me e menavanmi da lui. Per la qual cosa questo povero uomo talvolta mi tenne quattro e cinque ore intere, che mai avevo restato di ragionar seco. Mi teneva alla tavola sua a mangiare al dirimpetto a sé, e mai restava di ragionare o di farmi ragionare; ma io in quei ragionamenti mangiavo pure assai bene. Lui, povero uomo, non mangiava e non dormiva, di modo che me aveva istracco, che io non potevo piú; e guardandolo alcune volte in viso, vedevo che le luce degli occhi erano ispaventate, perché una guardava innun verso, e l’altra in un altro. Mi cominciò a domandare se io avevo mai aùto fantasia di volare: al quale io dissi, che tutte quelle cose che piú difficile agli uomini erano state, io piú volentieri avevo cerco di fare e fatte; e questa del volare, per avermi presentato lo Idio della natura un corpo molto atto e disposto a correre e a saltare molto piú che ordinario, con quel poco dello ingegno poi, che manualmente io adopererei, a me dava il cuore di volare al sicuro. Questo uomo mi cominciò a dimandare che modi io terrei: al quale io dissi che, considerato gli animali che volano, volendogl’imitare con l’arte quello che loro avevano dalla natura, non c’era nissuno che si potessi imitare, se none il pipistrello. Come questo povero uomo sentí quel nome di pipistrello, che era l’umore in quel che peccava quel anno, messe una voce grandissima, dicendo: - E’ dice il vero, e’ dice il vero; questa è essa, questa è essa - e poi si volse a me e dissemi: - Benvenuto, chi ti dessi le comodità, e’ ti darebbe pure il cuore di volare? - Al quale io dissi, che se lui mi voleva dar libertà da poi, che mi bastava la vista di volare insino in Prati, faccendomi un paio d’alie di tela di rensa incerate. Allora e’ disse: - E anche a me ne basterebbe la vista; ma perché il Papa m’ha comandato che io tenga cura di te come degli occhi suoi; io cognosco che tu sei un diavolo ingegnoso che ti fuggiresti; però io ti vo’ fare rinchiudere con cento chiave, acciò che tu non mi fugga -. Io mi messi a pregarlo, ricordandogli che io m’ero potuto fuggire e, per amor della fede che io gli avevo data, io non gli arei mai mancato; però lo pregavo per l’amor de Dio, e per tanti piaceri quanti mi aveva fatto, che lui non volessi arrogere un maggior male al gran male che io avevo. In mentre che io gli dicevo queste parole, lui comandava espressamente che mi legassimo, e che mi menassimo in prigione serrato bene. Quando io viddi che non v’era altro rimedio, io gli dissi, presenti tutti e’ sua: - Serratemi bene e guardatemi bene, perché io mi fuggirò a ogni modo -. Cosí mi menorno, e chiusonmi con maravigliosa diligenza.