La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo C

Libro primo
Capitolo C

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Partitomi la mattina, me ne andai a Santa Maria dal Loreto, e di quivi, fatto le mie orazione, ne andai a Roma; dove io trovai il mio fidelissimo Felice, al quale io lasciai la bottega con tutte le masserizie e ornamenti sua, e ne apersi un’altra a canto al Sugherello profumiere, molto piú grande e piú spaziosa; e mi pensavo che quel gran Re Francesco non si avessi a ricordar di me. Per la qual cosa io presi molte opere da diversi signori, e intanto lavoravo quel boccale e bacino che io avevo preso da fare dal cardinal di Ferrara. Avevo di molti lavoranti e molte gran faccende d’oro e di argento. Avevo pattuito con quel mio lavorante perugino, che da per sé s’era iscritto tutti i danari che per la parte sua si erano ispesi, li quai danari s’erano ispesi in suo vestire e in molte altre cose; con le spese del viaggio erano in circa a settanta scudi: delli quali noi c’eramo accordati che lui ne scontassi tre scudi il mese; ché piú di otto iscudi io gli facevo guadagnare. In capo di dua mesi questo ribaldo si andò con Dio di bottega mia, e lasciommi impedito da molte faccende, e disse che non mi voleva dar altro. Per questa cagione io fui consigliato di prevalermene per la via della iustizia, perché m’ero messo in animo di tagliargli un braccio; e sicurissimamente lo facevo, ma li amici mia mi dicevano che non era bene che io facessi una tal cosa, avvenga che io perdevo li mia danari e forse un’altra volta Roma, perché i colpi non si danno a patti; e che io potevo con quella scritta, che io avevo di sua mano, subito farlo pigliare. Io mi attenni al consiglio, ma volsi piú liberamente agitare tal cosa. Mossi la lite all’auditore della Camera realmente, e quella convinsi; e per virtú di essa, che v’andò parecchi mesi, io da poi lo feci mettere in carcere. Mi trovavo carica la bottega di grandissime faccende, e in fra l’altre tutti gli ornamenti d’oro e di gioie della moglie del signor Gerolimo Orsino, padre del signor Paulo oggi genero del nostro duca Cosimo. Queste opere erano molto vicine alla fine, e tuttavia me ne cresceva delle importantissime. Avevo otto lavoranti, e con essi insieme, e per onore e per utile, lavoravo il giorno e la notte.