La spedizione di Sapri e la provincia di Basilicata

Decio Albini

1891 Indice:Decio Albini - La spedizione di Sapri, Tip. delle Terme diocleziane di G. Balbi, Roma 1891.djvu Storia/Risorgimento La spedizione di Sapri e la provincia di Basilicata Intestazione 9 luglio 2019 100% Da definire


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Dott. DECIO ALBINI



LA SPEDIZIONE DI SAPRI


E


LA PROVINCIA DI BASILICATA





ROMA

TIPOGRAFIA DELLE TERME DIOCLEZIANE

di Giovanni Balbi


1891


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ALLA MEMORIA


DI


MIO PADRE







[p. 7 modifica] L’esortazione che Foscolo rivolse ai suoi contemporanei, chiamandoli alle storie, potrebbe oggi ripetersi non meno opportunamente a proposito di quell’epica spedizione, che segna una data sacra nell’epopea nazionale e che fu santificata dal sangue di Pisacane e Falcone e dal valore di Giovanni Nicotera.

Non pochi particolari di quell’impresa, che ebbe a Sanza un fatale epilogo, richieggono tuttora nuova luce di testimonianze e di indagini.

Non sarebbe lavoro vano ricercare e coordinare con sereno animo tutti i documenti, inediti o poco noti, che, illustrando la spedizione di Sapri in rapporto alla provincia di Basilicata, contribuissero a rendere più luminosa la tradizione del patriottismo lucano con una più dettagliata conoscenza dei fatti storici.

La Basilicata — per la sua posizione topografica, per la naturale fusione nei suoi abitanti della rude indole latina col geniale sentimento ellenico e per la feracità di nobili intelletti — ha in ogni tempo affermato il suo odio contro il dispotismo e dato un forte contributo per l’unificazione e l’indipendenza della nazione. Essa era preparata ad una estesa ed energica insurrezione quando Carlo Pisacane con prometea ribellione, muovendo per Sapri, esclamava: — «Io porto sulla bandiera quanti affetti e quante speranze ha con sè la rivoluzione italiana».

Non mi è qui consentito dilungarmi intorno a quel lavoro di preparazione, nel quale, specialmente dal ’48 in poi, si [p. 8 modifica]era maturato il concetto della riscossa attraverso lenti evoluzioni politiche o rivoluzioni repentine.

Dirò solo che già fin dal ’50 erasi meglio determinato nelle provincie meridionali l’apparecchio collettivo delle forze liberali.

A porre l’organizzazione su basi militari contribuivano più indefessamente, a Napoli, verso quest’epoca Antonio Morici, Luigi Fortunato, Ricciardi, Balsamo, Salazar, Giacinto Albini e Claudio Del Bene. Gli affiliati erano divisi in compagnie e queste costituivano un battaglione; i gregari non dovevano aver conoscenza e comunicazioni che solo col capitano; i capitani col maggiore; i maggiori col Ministro della Guerra. Il centro direttivo d’azione costituiva il Direttorio.

Questa Associazione, denominata Carbonico Militare, non ebbe opportunità di svilupparsi su larghe basi. Bastò qualche nebuloso accenno alla Polizia, perchè questa macchinasse una mostruosa processura, qualificando così il delitto di amar la patria: «Cospirazione contro la sicurezza interna dello Stato con lo scopo di abbattere il Governo e proclamare la repubblica». Fu subito istituita una Giunta inquisitrice, che ordinò arresti senza limite.

Mentre si istruiva questo processo, un altro ben più enorme fu manipolato con perfida arte tra la Polizia ed alcuni arrestati, che speravano trarre giovamento da menzogne e da iperboliche deposizioni accennanti ad una immaginaria Setta di Pugnalatori. Tra i delatori primeggiò turpemente il Marchese di Tagliavia, il quale depose che dal signor Giuseppe Scalea, da Potenza, era stato dapprima informato della esistenza di cotesta setta e da Giacinto Albini aveva ricevuto la formola del giuramento e la nota cifrata dei patrioti settari. Il Tagliavia, disgraziatamente, era stato in qualche relazione politica con Morici, Mignogna ed Albini e quindi trovossi in grado di designare molti nomi all’ira feroce dei Del Carretto e dei Peccheneda borbonici. Depose pure, oltre a ciò, che capo della setta era il Marchese Castelluccio di Pescara, segretario G. Albini, ispiratore Giuseppe Mazzini; scopo di essa pugnalare il Re, e con esso i ministri e gli altri spregevoli strumenti del dispotismo1.

Queste denunzie, se avvantaggiarono il Tagliavia e gente di simil risma, gittarono la costernazione in [p. 9 modifica]numerosissime famiglie. Due anni si prolungò il processo, che a molti fruttò carcere o esilio o persecuzioni accanite. Mignogna (che non guari dopo subì un secondo giudizio durissimo) fu liberato per mancanza di prove. Contro altri, tra i quali Morici ed Albini, già latitanti politici del ’48, rimase a farsi il giudizio in contumacia.

Questi, ed altri processi, che al maledetto governo facevan meritare la sdegnosa esclamazione di Gladstone, disgregarono più volte la coesione delle forze e dei nuclei liberali. Ma di tratto in tratto rigermogliavano rigogliosi di vitalità quei germi, che il Borbone con sforzi inani faticava a distruggere, e divampava dalle ceneri più raggiante il fuoco non mai spento del pensiero nazionale. Anche quando più tranquilla parve la situazione, la calma non indicava apatia o morte dello spirito pubblico.


Nuovo incremento e vigore ebbero i lavori del Napoletano quando Mazzini, nel ’56, rivolse un Appello alla Nazione. La Basilicata fu tra le provincie che meglio corrisposero ad attuare le idee del grande genovese. In quasi tutti i mandamenti della Lucania si erano istituiti centri ausiliari e sub centri ed io conservo le relazioni di vari arruolatori di drappelli e commissari di Sezione, i quali comunicavano periodicamente al Comitato centrale la cronaca locale ed il numero dei militi. Dagli elenchi risulta che oltre quattromila individui della intera provincia erano provvisti di armi o promettevano di presto fornirsene a proprie spese2.


Declinando l’anno 1856 gli avvenimenti incalzavano da per tutto e due nomi valorosi echeggiarono a destare in ogni valle e in ogni cuore italiano le speranze della patria. Francesco Bentivegna e Salvatore Spinuzza avevano inalberato a Taormina la bandiera tricolore e Agesilao Milano aveva brandito il vindice ferro di Armodio contro Ferdinando II trepidante in mezzo alle schiere dei suoi soldati! [p. 10 modifica]

E venne il ’57, l’anno di Sapri.

Le relazioni, tra quanti si tenevano affratellati in un vincolo comune di aspirazioni e di ideali, si erano andate sempre maggiormente stringendo, e tutte le sparse e più operose frazioni del patriottismo meridionale continuarono ad annodarsi tra loro ed unificarsi nel Comitato Democratico, del quale facevan parte Fanelli e Dragone pel Napoletano, Vincenzo Padula e i fratelli Magnone pel Salernitano, e Giambattista Matera e Giacinto Albini per la Basilicata.

A Napoli, per quanto fossero meglio ravvivate le intelligenze con i capi-popolo, pure, trovandosi la capitale sorvegliata da più numerosa e solerte Polizia, l’organizzazione andava innanzi lenta e stentata. La Basilicata si distingueva invece per disciplinata ed estesa cospirazione; il che confermano le seguenti notizie, tolte da una cronistoria di Sapri pubblicata da Luigi De Monte.

Giambattista Matera informava, con lettera dei 29 Gennaio 1857, il Comitato degli accordi presi con i liberali di Padula, Cilento e Saponara. Accennava alle difficoltà di girare per la provincia, e tanto più di lasciarla sotto la vigilanza governativa, per non aver subito potuto adempiere alle commissioni per Bari e Lecce. Passava di poi a dar ragguaglio della sua provincia di Basilicata, diceva il fatto di Bentivegna avere infiammati gli animi, e che duemila patrioti di quella provincia erano prontissimi a prendere le armi.

Da una lettera di G. Albini, diretta da Potenza al Comitato di Napoli nel 25 di Gennaio 1857, si rileva anche meglio il vasto organamento, che da lui, coadiuvato dal fratello Nicola, dal Matera e dal Giliberti si faceva in Basilicata. Dopo aver dato ragguaglio al Comitato di vari particolari, ei dice gli animi essere impazienti, mancare nulla meno, come nucleo di un drappello agguerrito, di capi militari, di armi e di mezzi. Promette pei primi giorni di Febbraio uno stato generale della provincia, pronti allora denaro, uomini ed armi. Dimanda conto dello stato di altre provincie, che crede deplorabile, affermando che se esse fossero pronte egli consiglierebbe allora a dare il segnale, tanto sperava sui suoi. Avvisa di convocare una Dieta di tutti i Comitati delle diverse sezioni della provincia per concertare quanto occorresse. In ultimo propone un ardito colpo di mano sul capoluogo della provincia.

I vari Comitati mantenevano attivissima corrispondenza [p. 11 modifica]servendosi di cifre o di caratteri così detti simpatici, cioè scritti con preparati chimici. Le lettere erano firmate da Fanelli col nome convenzionale di Kilburn o Wilson, da Albini con quello di Armellini, e da Dragone con quello di Socio.


Fu verso il principio di quest’anno che le congiure entrarono in una fase nuova, poichè si cementò più intima l’amicizia dei Comitato con Pisacane e con Mazzini, che con l’autorità del nome influentissimo e con l’aiuto di armi poteva validamente confortare gli intenti dei patrioti meridionali.

Carlo Pisacane3, ch’era stato capo di stato maggiore nell’esercito borbonico, poi milite francese in Africa contro gli arabi, e che aveva combattuto per l’indipendenza nazionale sui campi lombardi e sotto le mura di Roma a Porta S. Pancrazio, si trovava, nel ’57, esule a Genova; con l’animo acceso del più puro amor patrio consacrava senza posa e senza stanchezza attivo intelletto ed efficace lavoro all’emancipazione dei popoli. Cominciò dal meditare il disegno di assaltare le fortezze Castel Nuovo e Castel Sant’Elmo e così, mettendosi a capo dell’esercito, abbattere l’abborrita dinastia. Se questo disegno testimoniava in lui la fiera tempra sprezzante di pericoli, urtava però per l’esecuzione contro troppe ed insuperabili difficoltà.

Un altro progetto, ideato da G. Matina, prigioniero nelle carceri di Stato, parve di più agevole esecuzione, quello, cioè, di liberare i detenuti politici di Ponza e spargerli nelle provincie a dare il segnale e la spinta alla rivoluzione.

Pisacane si infervorò del progetto, pel quale occorreva richiedere a Mazzini la potente sua cooperazione. Mazzini, a Londra vigile sentinella dei diritti d’Italia, elaborava gli avvenimenti che dovevano prorompere nel Nord e nel Centro della nostra penisola. Dapprima non accettò l’esortazione del Pisacane; ma poi stabilì di assimilare al suo vasto piano i lavori del Sud e di concatenarli a quelli, già molto innanzi, di Genova e di Livorno, ove erasi recato Maurizio Quadrio a dare incitamenti. Laonde il Mazzini, seguendo il suo ordine di idee, invocava di non darsi tempo al tempo. [p. 12 modifica]

Da una parte il Comitato, conscio delle immense difficoltà locali, opinava che non si poteva nulla iniziare senza una migliore e simultanea associazione di forze e di mezzi. Laddove dall’altra parte volevano iniziare senza preparare e Mazzini, che guardava più alle condizioni d’Europa e considerava un moto del Sud come un episodio da giovare ai suoi scopi, e Pisacane, che sentiva irresistibile l’inquieta brama di inaugurare i moti italici o di fecondarne col suo sangue la vittoria. Carattere foscoliano, volontà pertinacissima, egli si lusingava che bastasse far sventolare in un dato giorno la sua bandiera, perchè il popolo, che pur era accasciato da secoli di dispotismo, si destasse subitamente alla coscienza ed al soffio di una vita nuova.

In ciò Pisacane contava moltissimo sulla Basilicata; in una sua lettera scrisse testualmente: Basilicata promette la rivoluzione; ed armati un duemila. Se lo promette senza impulso, tanto più con impulso. Questo solo basta. (Lettera del 2 di Aprile. Pisacane al Comitato di Napoli).

Tra il Comitato, Mazzini e Pisacane nacque un vivace scambio di corrispondenze. Fabrizi, che, essendo a Malta, trovavasi meno attratto nell’orditura titanica del Mazzini e che aveva sempre manifestata l’opinione che il Sud dovesse preparare i moti per la nostra unità, si avvicinava più ai criteri propugnati dai Comitati meridionali.

I quali, giustamente, non potevano accettare le premesse e le conseguenze di questo sistema: l’azione dover essere immediata; concatenare l’insurrezione del Napoletano coi moti, già inoltrati, dell’Alta Italia e dell’Ungheria, ove, d’accordo con Mazzini, si agitavano Kossuth, Klapka e Perezel; concentrare tutte le mire per lo sbarco, trascurando di stendere e rafforzare la trama per una insurrezione con intento e indirizzo prestabilito; fondare infine tutto sul segreto e sull’imprevisto. Infatti Pisacane — giudicando la ingrata realtà attraverso miraggi iridati e con una logica che, se corrispondeva al suo cuore ed alle vedute di Mazzini, non corrispondeva alle condizioni dell’ambiente sociale, dichiarava di contar più sulle disposizioni morali che sugli accordi, e sacrificar questi al segreto. In una sua recisamente diceva: «io pongo condizione principalissima il segreto e la sorpresa. Solo con questa condizione sono pronto, se questa manca e se vi sono tutte le altre possibili ed immaginabili, rifiuto.» (Lettera del 21 Aprile. Pisacane a Fabrizi). [p. 13 modifica]

Ad affrenare le ansie ed a temperare gli animi Fanelli, che certo non poteva essere accusato di timidità (era stato combattente sotto Medici a Roma e poi fu dei Mille), opponeva le seguenti ragioni di opportunità e di prudenza. Più degli ostacoli morali, insisteva Fanelli, premono quelli materiali; arrestati i fratelli Magnone e Matina; dissestati i lavori di Bari, Lecce e Salerno; la Basilicata stare in miglior ordine che altrove4; difficilissime le relazioni con Matina a Ponza, con Agresti a Santo Stefano e con altri prigionieri politici a Ventotene; difficilissima la corrispondenza con Fabrizi, che da Malta doveva inviare un carico di armi. In altri termini, se la rivoluzione era preparata moralmente, non lo era materialmente, e quindi non potevasi illico infrangere le catene del dispotismo. Per brevità ometto la testuale citazione dei documenti, che vi si riferiscono.

Ma non basta. Anche Vincenzo Padula, prete di schiettissimi sentimenti patriottici e che per la propaganda faceva frequenti gite a Salerno ed a Montemurro, veniva arrestato. Ecco come l’Albini dava di ciò comunicazione al Comitato di Napoli: «Avversa fatalità ci persegue. Vincenzo Padula, qui condotto dalla fiera per prendersi tutto e correre tosto costà, è arrestato a Salerno; gli rovistano tutto, ma nulla rinvengono; nel contempo il sotto-intendente fa diligenza in casa sua e nulla pure rinviensi. Benedetto!!! Se no quattro provincie rovinate e molti nomi perduti.» (Lettera del 7 Marzo. G. Albini al Comitato di Napoli).

Qui diremo — a onore di questo prete, italiano di mente e di cuore, — che egli, dopo aspro carcere, venne esiliato; partì coi Mille dal lido di Quarto, combattè a Calatafìmi ed a Palermo; soggiacque, gravemento ferito, a Milazzo. Non vide che l’aurora della risurrezione della patria!

Le discussioni e le trattative si protrassero a lungo. Darò risalto alla parte che a tal proposito si riferisce alla Basilicata, attenendomi ai documenti intorno alla spedizione di Sapri, raccolti e pubblicati dall’egregio De Monte, che nel 1871 fu sindaco di Napoli, e che per questo suo lavoro ebbe il consenso e l’approvazione di Mazzini e di Fabrizi. [p. 14 modifica]

In quanto alla Basilicata, minutamente avvertiva la lettera del 22 di Maggio, diretta all’Albini, quali fossero le istruzioni inviate da Napoli ed il punto preciso a cui i lavori erano pervenuti. Non potendosi riprodurla integralmente, sarà riassunta.

Oltre alle varie avvertenze sulla politica in generale, che il Comitato esponeva per mostrare la grande opportunità di un vicino movimento, oltre alle consuete raccomandazioni di segreto e di fermezza nell’operare, più da vicino il Fanelli si faceva a indicare all’Albini le norme, le istruzioni e quanto chiedeva da lui.

Formulerò per sommi capi tutto il contenuto delle medesime. 1º aspettava il Comitato a Napoli due messi inviati da Albini, uno che dovesse guidare i Capi militari ed un altro che rimanesse a sua disposizione. 2º Se i messi per accompagnare i Capi non potessero venire fino a Napoli si fermerebbero a Salerno ed avvisato il Comitato del loro esatto arrivo questo provvederebbe ai segni di riconoscimento con i Capi. 3º Se prima di inviarsi i Capi si sentisse altrove scoppiare l’insurrezione, che s’insorgesse e si dirigessero sul punto del movimento. Spezzate le fila governative, padroni di armi, danaro e munizioni, si compromettesse il maggior numero di paesi possibile. 4º Il motto da presentare ai Capi direttori dell’insurrezione per farsi riconoscere essere l’Italia per gl’Italiani e gl’Italiani per essa. 5º Che si spedissero dei passaporti per i Capi militari, dei quali si inviavano i contrassegni. 6º Che se si sentisse scoppiare l’insurrezione, senz’altro avviso si cercasse di far massa marciando sopra Auletta, dove troverebbero i Capi militari. Se il Vallo fosse insorto bisognerebbe dirigersi colà, perchè quivi sarebbero i Capi militari5.

L’Albini rispondeva ai 29 Maggio con una lunga lettera sullo stato di orgasmo nel quale lo metteva la partecipazione del Comitato, e vedendo ei pure le istesse difficoltà, che il Fanelli aveva prevedute, si esprimeva così:

«Nel senso del vostro piano non so dirvi che cosa avverrà per l’iniziativa che dite altrove. Il certo è che tutto va in dissenso delle vostre condizioni, delle vostre promesse. Inoltre il vostro piano è falso e sfiduciante. Si muove una provincia ex abrupto. Vecchi avvisi indeterminati alle altre provincie, ignoto il punto iniziatore, il [p. 15 modifica]come, il quando. Non assegnato da noi il dì certo fatale, inalterabile, non concertato il primo nucleo, ecc., ecc.».

Manifestava ancora Giacinto Albini che una sola provincia non doveva iniziare, doverlo fare due o tre. Il moto di una sola esser noto prima al Governo che vi avrebbe frapposti ostacoli. Bisognava colpirlo nel sonno, impadronirsi dei capoluoghi di provincia, facile il resto. Impossibile che da Basilicata si recassero ad Auletta sulle strade rotabili, fuori delle loro montagne, fortezze naturali. Mancare il tempo per farlo. Ove il moto dovesse succedere così precipitoso, gli insorti appoggiassero sulla sua provincia, egli avere organizzato un drappello a cavallo. Diceva però l’Albini che il Salese aveva sparsa nel partito la notizia che il 13 di Giugno sarebbe avvenuto uno sbarco nel Cilento. «Se ciò è vero, aggiungeva egli, sarebbero eliminate le difficoltà suddette. Innanzi a quel fatto tutto cederebbe. In tal caso, non volere se non i Capi militari, i proclami, le circolari, poi otto giorni di tempo e la sommossa essere all’ordine»6.

E De Monte, a commento di questa lettera, dice: — Avveniva purtroppo ciò che il Comitato, temeva ed aveva fin dal principio dichiarato che non volendosi seguire il suo sistema, ma invece mettere in pratica l’altro del colpo di mano e di sorpresa, gli animi diffidenti della riuscita non corrispondessero e se da un lato le lettere dell’Albini sono pruova del suo caldo amor patrio e della sua avvedutezza, dall’altro son chiaro segno di non essersi il Comitato ingannato, quando affermava che un moto isolato non sarebbe stato seguito e che i soli accordi ed apparecchi bene intrecciati da vari scoppi d’insurrezione avrebbero apprestata la possibilità dell’operare; difatti la provincia meglio organizzata (cioè la Basilicata) a fronte dell’iniziativa da prendere nella insurrezione pure retrocedeva ed esitava. —

Le idee di Londra e di Genova prevalsero su quelle, che difendevano i Comitati di Napoli e di Basilicata, i quali furono costretti a subirle.

Dopo molti tentennamenti Pisacane fissò definitivamente [p. 16 modifica]la spedizione, partendo da Genova per la costiera del Golfo di Policastro, al giorno 10 di Giugno.

Frattanto che nella strettezza del tempo e nell’ansia degli eventi si dava mano in Napoli agli ultimi preparativi della sommossa, Pisacane, il 13 dello stesso mese, vi arrivò inaspettatamente e di soppiatto spinto da una tempesta a salvarsi colà. Turbini di vento e di onde lo avevano pure obbligato a gettare in mare tutte le provvigioni di guerra, restando così troncata ad un tratto la catena dei fatti e aggiunti imprevisti ostacoli al gigantesco tentativo. Pisacane, proiectus a fortuna (come Plutarco disse di Annibale), si convinse a Napoli, sia per la perdita delle anni e sia per la situazione esaminata de visu, che la spedizione doveva aggiornarsi ad epoca indeterminata.

In questo accordo si divise dagli amici, e, prima di partire, lasciò, scritta di proprio pugno, una serie di istruzioni, tra le quali questa: Lavoro in Basilicata, sospingendola alla iniziativa al più presto.

Ritornato a Genova, Pisacane trovò gli ordini perentori di Mazzini, che durante queste traversie aveva fatto rinnovare gli armamenti per una imminente spedizione. Perciò, in contrasto alle decisioni prese col Comitato di Napoli, avvertì che il 25, giovedì, avrebbe intrapreso per la seconda volta la spedizione, domenica 28 arrivo: attendessero telegramma, che significava partenza.

La lettera, scritta da Pisacane il 23 di Giugno, arrivò a Napoli il 27.

Il Comitato a così repentina partecipazione rimase turbatissimo7, ma, giacchè era d’uopo piegarsi alla dura necessita, non venne meno al dovere di prendere quei provvedimenti possibili all’ultim’ora.

Per tal modo le vicende, che ruinavano al tragico loro fine, andavano man mano assumendo uno svolgimento complicatissimo pei protagonisti, che regolavano simultaneamente le redini dell’impresa da Londra, da Genova, da Malta, da Napoli ed in Basilicata.

Il programma generale, esposto sinteticamente, era così tracciato. Pisacane con Nicotera e Falcone dovevasi imbarcare sul Cagliari, bastimento che faceva mensilmente viaggio tra Genova e la Sardegna. A un dato punto, quando avesse [p. 17 modifica]incontrato le barche dirette dal palermitano Rosolino Pilo cariche di uomini e di armi, doveva unirsi a lui, impossessarsi del bastimento e drizzarne la prua verso Ponza. I marinai delle barche ritornati a Genova, avrebbero avvisato Mazzini e questi il Comitato di Napoli. Quindi Pisacane nel vallo di Diano, tra Salerno e la Basilicata, doveva collegare tutti gli insorti, disfare le autorità dei luoghi, attaccare o fiancheggiare la truppa e muovere alla volta di Napoli, ove Fanelli cooperava a fomentare un popolare sollevamento. Parte sostanziale del disegno era l’insorgimento della Basilicata, che assicurava forti aiuti di soldati e di danaro, la proclamazione del governo provvisorio e l’irradiazione dei moti nelle provincie contermini — ed a chi conosce le giornate dell’agosto 1860, in Basilicata, queste promesse non parranno esagerate. Colà, come capo militare doveva recarsi Enrico Cosenz, pel quale il Comitato lucano aveva provveduto alle carte di passo ed a guide fidate.


Questo il programma: seguiamo i fatti.

Una densa nebbia impedì l’incontro di Pisacane con Rosolino Pilo, il quale, dopo lunga angosciosa aspettativa, fu costretto a ritornare indietro. A Genova non si ebbero notizie del Cagliari e soltanto il 27 di Giugno arrivarono informazioni che il bastimento non era approdato sulle coste di Sardegna.

Mazzini a Londra rimase sconcertato per la mancanza del convenuto annunzio. Con presaga mente intuì che Pisacane, anche senza Rosolino Pilo, avesse passato il Rubicone e perciò telegrafò, ma tardivamente, in questo senso a Napoli.

Intanto Pisacane, che nelle acque di Portofino non si era imbattuto nelle attese barche di Rosolino Pilo, non perde l'entusiasmo dell’impresa e la fiducia nelle proprie forze, ma, corazzato di indomito coraggio e di immutabile tenace fede, non dubita con Nicotera e Falcone di affrontarsi agli ardui cimenti.

Alea acta est.

S'impadroniscono della nave — il capitano e l’equipaggio si offrono compagni all’impresa — drizzano la prua verso Salerno — si fermano a Ponza — liberano i prigionieri — in legione di oltre trecento sbarcano il 28 a Sapri — si avviano verso Torraca — ascendono con celerità di mosse [p. 18 modifica]gli Appennini del Cilento — arrivano a Padula, dove sono attaccati dalla gendarmeria — nella disuguale lotta circa cento periscono o rimangono feriti......

Durante questo tempo e questo cammino, quei pionieri di libertà non incontrano nè guida, nè insorti, nè festose acclamazioni di popolo, cui la loro presenza non scuote neanche ad una ribellione passiva. Intorno all’ardita schiera dei precursori si stende un ampio cerchio di solitudine e di tenebre.

Il 2 di Luglio toccano, sbandeggiati ed esausti, la sterile terra di Sanza. Quivi sono aggrediti da plebaglia vile e feroce, che i preti e gli sbirri avevano aizzata a spegnere una luce splendente, radiosa sui destini d’Italia.

A Sanza, come eroi di Plutarco, cadono martiri Pisacane e Falcone e, dove cadono, erigono un’ara, da cui in ogni tempo si effonderà un insegnamento, apoteosi di quelle tombe, come si combatta per una idea e come si muoia per la patria. Dagli spalti, che circondano le zolle irrorate dal sangue dei ribelli di Sapri, alto risoneranno in ogni tempo le ispirate strofe di Simonide quando questi sul colle di Antela toglieasi in man la lira, di lagrime sparso le guancie:

Beatissimi voi,
Ch’offriste il petto a le nemiche lance
Per amor di costei, ch’al sol vi diede.....

Ma che cosa avveniva intanto a Napoli ed in Basilicata?

Il Comitato di Napoli ricevette da Mazzini il telegramma il giorno 28 di Giugno, quando Pisacane poneva piede sul suolo di Sapri. Si affrettò ad inviare, secondo promessa, gli emissari, che dovevano volare in aiuto di Pisacane e ad avvertire il Comitato di Montemurro. Di essi non si è saputo nulla o si è saputo troppo poco; forse mancano i documenti, se non le legittime supposizioni, per isquarciare il velo, che ombreggia questo lato dell’impresa. Certo si è che i messi non si videro ai luoghi destinati e che Fanelli, per manovre di persone e partiti renitenti all’azione, non potè rinfocolare i popolani ad una dimostrazione patriottica.

Non è meno certo che a Montemurro mancarono gli avvisi e che il Comitato di Napoli fino al 7 Luglio (cioè cinque giorni dopo l’eccidio) visse nell’ignoto di tutto. Le prime [p. 19 modifica]notizie le apprese appunto dalla lettera di Giacinto Albini, spedita il 5 Luglio, arrivata a Fanelli il 7, e che più innanzi trovasi in gran parte riprodotta.

Mentre in data del 4 dello stesso mese il Comitato aveva scritto all’Albini:

«Per carità, noi siamo sulla brace ardente per non aver ricevuto da voi nessuna notizia. Diteci, per amor di Dio, ove si trovano gli amici nostri che sbarcarono in Sapri? Sono venuti fra voi? Siete voi insorti al loro arrivo? Siete con essi? Lecce e Bari che cosa fanno? Per carità, movetevi, dategli aiuto. Pensate che quelli che dirigono il moto, sono di prima influenza europea. Correte fra essi, ingrossate le loro file. Garantite questi uomini generosi, questi eroi italiani.

Movetevi qualcuno, dettagliateci tutto. Noi siamo all’oscuro di ogni loro e vostra operazione. Qui si dicono tante cose confuse, nessuna precisione di ciò che è accaduto nella vostra provincia: dettagliateci tutto.

Fategli sapere che Livorno è in rivoluzione; questa è notizia ufficiale pervenutaci di là. Genova e Bologna si dice essere in movimento d’insurrezione, ma ciò non è per ora che una voce. Noi questa sera faremo la parte nostra cominciando con una imponente dimostrazione (la quale poi non attecchì) che porteremo all’azione. Avvisatene tutti i punti di vostra relazione. Dio sia con voi e con noi. Addio di tutta fretta, perchè andiamo a prepararci al nostro posto».8

Questa lettera, per la distanza tra Napoli e Montemurro, non arrivò che il giorno 6 o 7 di Luglio. E Pisacane era sbarcato il 28 di Giugno!

Per quanto i fatti hanno più speciale rapporto con la Basilicata, dirò che a Potenza, a Miglionico, a Montemurro e ad altri centri precipui di propaganda, tutti i patrioti in quei supremi frangenti si tennero fedeli alla propria missione, aspettando l’ordine di marciare e raggrupparsi in una sola banda insurrezionale. L’ordine mancò.

Vaghe dicerie si sparsero il giorno 30 di Giugno a Montemurro per mezzo del giudice, che fu ufficialmente avvisato che una banda di isolani di Ponza era sbarcata a Sapri. Non si seppe chi fossero e dove andassero. Per la qual cosa il Comitato tra sospetti e speranze, spiccò alla [p. 20 modifica]ventura, la notte del 30, due corrieri a cavallo, uno per andare direttamente a Napoli e l’altro a raccogliere notizie sui luoghi dello sbarco. Ma la disfatta fu più celere del fulmine!

E quando si propagò la nuova dei tristi eventi, i patrioti lucani non istettero scoraggiati e inerti, ma cercarono di dare inizio ed incremento a nuovi conati di riscossa. Ed ecco, a documento di ciò, la lettera del giorno 5, mandata a Fanelli dal Comitato di Montemurro:

«..... Quello che ci fu avvisato fu «se sentite sorgere una provincia mandate immediatamente dagli insorgenti e subito insorgete piombando sopra Aulelta». Io risposi di fuoco contro questo piano. Quelle ragioni a mille doppi erano d’applicarsi al caso, a noi ignoto, dello sbarco, mentre un moto naturale, infelice che fosse, dura sempre alquanti giorni o può dar tempo al tempo. È avvenuto appunto che il governo preseppe tutto, previde, provvide. Noi al buio. Il giorno 30 arrivava uffizio a questo giudice di una banda d’isolani di Ponza sbarcati a Sapri. Così sapemmo una cosa, non il vero, non chi fossero, dove andassero. Ci corse in mente il vostro avviso, si pensò al moto sul Cilento. Spiccai alla ventura la notte del 30 due a cavallo. Uno con ordine di volare da voi con mie lettere, l’altro tornare colle raccolte notizie. Ma la sciagura fu più celere del fulmine. La mattina del primo fu l’attacco, la rovina. E tornarono i miei inviati latori di lutto, di scompiglio irreparabile!!

«Pur non ristetti. — Mandai costà. Mandai contemporaneamente ai paesi maggiori, e più ardenti. Era facile il capire che la mia voce, sì possente il dì avanti, era già divenuta, benchè senza mia colpa, e debole ed irrisa. Ecco la necessità di fare appello al giudizio dei più valenti, porre tutto in mezzo, confortare ciascuno a prender posto nell’impegno patriottico, ed errare o far bene unitamente.

«Ahi! tutto riuscì vano. I più miti dicon follia ritentare la sventura, disordine porta disordine, perduti i bovi cercar le corna, il governo all’erta, i soldati non lontani, con qual metodo, con qual segreto magistero i nostri sparsi sopra un suolo che ha tre dì di lontananza da capo a capo, 122 comuni, due al forte nucleo successa la disfatta, all’ordito del partito lo scompiglio, ogni moto, ogni fiato agitato. I più irosi soli hanno gridato «tradimento». Impossibile tanto disastro senza di esso, o d’infernale incantesimo — Va, e rispondi!! Prima dunque del vostro avviso col messo, io tutto aveva fatto, tutto. Appelli, proclami di fuoco, organamento, provvedimenti insurrezionali. — A qual pro? Io sono morto! non so darmi pace. — Povera patria; poveri noi.

Potenza ha risposto non avversare, ma non volere iniziare abbattendo con forto colpo il centro della vita governativa provinciale. — Voler solo costituzione. — Ma come disorganizzare il [p. 21 modifica]centro? Finchè esiste chi sarà sicuro che non sieno invasi i raggi e la periferia? Capiteremo la seconda di Sala e Padula?

Andare una banda nostra colà? Questo è ciò che riesce ora impossibile Oggi non è ieri! Un solo sbaglio decide dell’avvenire di un popolo. Lo sapete. Troppo forte è stata la scossa della sventura. Peccato! che bel lavoro era qui. Se toccavano questo suolo or sarebbe mutato il destino d’Italia. — Infallibile era il colpo assolutamente. Perchè fuggirci? Perchè battere la via fatale? Sapevano o no il nostro lavoro? Gli uomini? Le cose? La topografia? Ahi! Intanto sappiate che l’invalido fu qui. Fece credere d’essere parati Lecce, Bari, Foggia. Gli si è esposta la condizione di questa provincia, di non poter più ora iniziare, ha appreso tutte le ragioni, e convellimenti della fatale scossa. Si è fatto correre là. Ivi si è più vergine dei nostri turbamenti e trambusti. Che iniziino dunque. Noi abbiamo assicurato il nostro immediato concorso. Si è combinato un piano, un metodo. Se succederà bene, se no null’altra speme; nulla in queste parti. Scrivete voi pure a Libertini. Chi sa? I moti d’oltremonte resteranno isolati, fiaccati, se pur nol sono già. Tutto il mondo tace — Sicilia, Calabria. Voi avete riconcretate tutte le mire nel già fallito colpo, e si è trascurato il resto. Avete fatto contratto unilaterale. Si è caduto sullo inganno, che all’apparire di un lembo tricolore tutte le genti avessero adorato l’inatteso vessillo.

Ma noi versavamo in organizzazione, che vale concetto, catene, ruote che si muovono per effetto della prima, non a caso, non col mistero. Gli arruolati sono gli agiati, gl’intelligenti, i liberi di anima. La massa insciente doveva seguire a tempo proprio. — Che scambio orribile! Ci avete trattato da gregge cieco, o da corpo di profeti che indovini ed esegua. Che strazio! Che dolore inaspettato! Pisacane ucciso. Chi non cadde in quei dì è cerio riparato.

Nessun altro arresto o morte si è intesa. Qui nessuno è capitato. Ci hanno decisamente fuggiti. Perchè? Onde tale idea di noi? Dio perdoni tutto.

Ora che fare? Avete comprese le condizioni? La vostra ultima fu scritta in momento di passione. Ma bisogna sangue freddo per pensare al riparo, se è possibile unitevi, meditate. O può riuscire il vostro accordo con Lecce, Bari e Foggia non dubitate che faremo.

Le vostre parole o calde o fredde non potranno nè accentrare, nè arrestare. O no, come è più probabile, e che pensate voi? Quali mezzi vi restano? Che può la capitale? Si potesse fare un conato su Salerno e prigioni, lanciarsi nelle medesime provincie. Che dice Cilento? potesse andarsi a Malta, raccogliere una banda di vecchi e nuovi compromessi, e ritentare il fato, evitando gli sbagli incorsi? Pensate una cosa. Non attribuite a colpa delle province l’avvenuto, no, no. Il nostro lavoro è saldo, saldissimo ancora. Sbalordite il governo. Ma voi siete più affraliti. Speriamo a vicenda! [p. 22 modifica]

In breve fidate sul concorso della nostra provincia in ogni caso. Delle altre vi ho detto quello che ho saputo. Incombe a voi di sapere il resto. Sarebbe anche utile qualche capo, si orizzonterebbe, intanto fidate nella sicurezza completa di costui qua. Ma nol chieggo, sì perchè, se l’aveste avuto senza tanti ghirigori l’avreste mandato, almeno per tenere in serbo il piano, occultato a noi, sì perchè potrebb’essere troppo tardi.

Se non avete mezzi di risorsa, bando alle libidini di vani sacrifici. Riordineremo meglio e per miglior tempo. Si scelga fra due mali il minore. Additatecelo. Rispondete senza ambagi; con calcolo fermo, con lealtà, noi non siamo donne; dite tutto, il bene e il male. Alla patria deve farsi la confessione de’ proprii torti. Così si può andare innanzi. So credete di mandarci in Calabria, indicateci a chi si deve. Potessimo unirci, intenderei precisamente sulla necessità di non potere una provincia sola insorgere. Il governo ha appreso che può rovesciare le forze di una sull’altra.....» (Lettera del 5 Luglio. G. Albini al Comitato di Napoli.)

In un’altra lettera, scritta pure pochi giorni dopo il massacro di Sanza da Giacinto Albini (l’originale di essa conserva la signora Rosa Morici, vedova di Luigi Dragone, donna di animo eletto) trovasi una chiara spiegazione di alcuni fatti notevoli e della condotta tenuta dalla Basilicata. Ne trascriviamo la parte più culminante:

«..... È fatto vostro o di chi? E se vostro qual discolpa pel mistero a chi doveva cooperare, e saperlo per provvedere a guida del luogo dello sbarco, od altro; e in caso di sinistro più oltre ancora fare arrivare l’appello prima delle mosse del Governo. Sappiamo dalle circolari di questo ai giudici, che un’orda di pena evadeva e sbarcava a Sapri; quindi avessero raccolte tutte le forze urbane nei capi luoghi. Benchè incerti, smarriti tra mille dubbi e sospetti, pure si mandarono in quelle parti due a cavallo alla ventura. Toccano Padula il primo a 16 ore. Era cominciato l’attacco — 3000 urbani gli davan contro. Arriva la truppa a diciotto ore. Fuggono parte in ordine, parte sbandati. Ribattono la stessa via tenuti nel venire!! Perchè non afferrare i nostri luoghi? Dunque luoghi, persone capi, contadi ignorano? Perchè prendere sulla strada nuova senza capo, a quattro miglia del capoluogo, Sala, centro di attività governativa che aveva da due giorni prima preveduto a rinforzarsi? Il telegrafo annunziò celeramante il fatto. Si aduna da per tutto forza. Buoni e tristi riuniti sulla scambievole ignoranza. Il pretesto del Governo doveva essere eseguito. Dividere gli azzardi era poscia impossibile. È da pensare che se tutti avessero tirato dritto agli infelici, tutti sarebbero periti in quattro ore di fuoco. Ignoravate voi ed essi che il nerbo dell’insurrezione sta nel frangere le fila del Governo [p. 23 modifica]correre sempre! E questo era piano generale? Resta solo nella mente di chi lo concepì, ignoto a tutti, isolato, infecondo di sviluppo? Tutta la illusione è caduta sulle parole spirito pubblico bisogno sentito. Noi versiamo invece in organizzazione. Le masse nulla debbono sapere, e seguono chi impera nei momenti. Che dire del nome di galeotti dato a costoro? Ira e furore di plebe contro. Chi doveva accreditare la loro missione? Il mistero!... l’iscienza .. Ma non dicevate all’ultimo messo «non è maturo». Invece si fosse mandato in cerca a Salerno dei capi, e dove trovarli, come? ammesso che vi fosse stato il tempo. Che caos. Io sono senza mente.

Dopo gli aununzii dei corrieri muover noi era portare al macello i pochi con cui nella strettezza del tempo, nello sconcerto fra i dubbi di tutti potevasi accorrere; strano era marciare a Padula, sito sconfitto, forte di cinquemila uomini, donde erano già fuggiti i nostri (se nostri). Andare a Potenza peggio, ove stava l’apparecchio che presentava Sala. È stata necessità salvare l’organizzazione, tenere l’accaduto come episodio o staccato o lacrimoso del fenomeno — profittare della triste lezione, forse del sonno in cui potesse cadere il Governo dopo gli evviva, onde suonano i paesi insanguinati, la fede degli urbani, il silenzio delle altre provincie. Ma ahi! che questo indarno, — ora rigori e macelli peggiorano. Io nello squallore attuale di tutti non so giudicare che possa o debba farsi, e se presto, o fare acchetare lo sconforto, rimandando l’attuazione in altra stazione. Dite la parte vostra. Quali speranze e timori dentro e fuori, come riparare. Il silenzio del Cilento mi fa pensare. Credo ciò? Diceva vero il Salese — vero il Padre, che fino agli ultimi tempi non ci era nulla, tranne il poco di V.... perduto con la sua persona. Si è verificato a riflesso quello che sottometteva al vostro giudizio di risposta alla lettera: al vago accenno ad insurrezione di una provincia. Quale? Come? Dove? E fosse stato il cielo e fosse insorta coi capi locali. — Conoscitori dei luoghi, e degli uomini non avrebbero sbagliato quei traditi avventurieri. Fidare solo sul soccorso proprio, trascurare il resto, come gente inutile non intelligente. — Dio ve lo perdoni. Vedremo da noi che può raccapezzarsi. Si potesse dare una scossa costà, qualunque, avvisate — pensate voi. Io sono annichilito dalla stranezza del caso — dalla sfiducia avuta da voi in me, che pur forse più di tutti vi ho dato prove.9 [p. 24 modifica]

Manderò fra pochi giorni un altro. Se non potrò scrivere dite a lui a voce. È nostro fidato, non temete come per lo passato. Ahi, sono stato infausto Profeta...» (Lettera spedita verso la metà di Luglio, G. Albini al Comitato di Napoli).

Abbiamo osservato, riassumendo, come la spedizione volle farsi in opposizione di quanto avevano sostenuto i Comitati di Napoli e di Basilicata; che le sorti della prima e della seconda spedizione volsero a male per improspere fortune; che fallì l’incontro di Pisacane con Rosolino Pilo; che per conseguenza Mazzini non ebbe a tempo gli avvisi da Genova ed a tempo non li trasmise a Napoli. Abbiamo pure osservato come Fanelli non riuscì a tentare niuna agitazione e che per circa dieci giorni (dal 28 di Giugno al 7 di Luglio) non ebbe nuova degli avvenimenti; che Salerno per l’arresto dei Magnoni e di Vincenzo Padula non si tenne alle prove; che a Montemurro non giunsero gli emissari da Napoli e che le notizie, confuse e tardive, si diffusero per mezzo dell’uffizio governativo; che infine il governo borbonico fu rapidamente informato della spedizione dal giudice del circondario di Sapri, Gaetano Fischetti, che in un suo libro si è studiato di dimostrare ciò e di constatare come, per la solerzia spiegata, non fosse stato abbastanza ricompensato e non fosse stato fatto neanche cavaliere..... 10.

Questi contrattempi sopra tutto sono stati, a mio avviso, i principali fattori che influirono sinistramente sulla spedizione di Sapri, contro la quale valse in special modo avversità di fortuite circostanze.

Pisacane ebbe lo stesso destino, pari all’ardire, dei fratelli Bandiera a Cosenza, dei fratelli Cairoli a Villa Glori. Anzi i Cairoli coi settanta furon forse meno del Pisacane impazienti di accelerare la spedizione e più favoriti — per casi, imprevisti a Roma come a Sapri — da mancanza di segnali e di protezione da parte dei patrioti romani quando sui Colli Parioli, bagnati del loro sangue purissimo, cadevano abbandonati, come Ettore,

..... all’ira
Degl’inimici nella patria terra?

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Ogni pagina della storia del nostro risorgimento è ricca di queste generose avventatezze e sconfitte attraverso le quali si è rafforzato il diritto italiano. In ogni pagina di questa storia, che già pare leggenda, v’ha il nome di quelli che, come Salio dell’Eneide, sono caduti senza cogliere il premio della loro fatica e di pochi, che ricordano l’Anteo della mitologia.

La Basilicata, dunque, nella impresa di Sapri aveva un compito importantissimo e furono circostanze estranee ad essa se questo compito non potè mantenere integralmente.

Aurelio Saffi, nella prefazione al vol. IX delle opere di Mazzini, afferma: «è noto come alla fidanza delle opere e al forte inizio dei fatti di Pisacane mal rispondessero con inesplicabile abbandono dopo le promesse date i suoi concittadini e noti sono purtroppo i fieri casi e l’ultima strage dei generosi che per amore d’Italia si avventurarono a crudel morte fra gente ignara e selvaggia».11

Queste parole non possono colpire, ad accusa o a biasimo, i patrioti costretti da fatali circostanze ad una inazione forzata, giacchè il Saffi fu poca parte dei preparativi per Sapri e non ebbe occasione di conoscere i dettagli precisi di quei tempestosi rivolgimenti.

Dirò, con l’autorità del chiarissimo patriota e storico lucano, Giacomo Racioppi, che «se il moto (così egli) avesse durato ancora alquanti giorni; se fosse Pisacane venuto direttamente in Basilicata causando gli scontri per via; o se piuttosto al centro della congiura di Basilicata, che era a Montemurro, si fosse data notizia certa del luogo dello sbarco, del giorno e del disegno; e il disegno in qualche modo convenuto con essi che avevano a cooperarvi; la Basilicata senza dubbio rispondeva con suoi movimenti.»

Quelli che in Basilicata avevano la direzione dei moti seppero mostrare solerzia, sagace avvedimento e, spenti o carcerati i prodi capitanati da Pisacane, preferirono la prudente politica di Fabio Massimo — cuius non dimicare [p. 26 modifica]vincere fuit — alla voluttà di sacrifici non solo vani, ma che sarebbero allora riusciti dannosi alla causa italiana. Se è vero che i sacrifici servono a protesta, se non a vittoria, non dimostra però minor valore e virtù saper salvare l’organizzazione per tempi migliori. E questi tempi vennero: tre anni dopo la Basilicata spiegò il silenzio di Sapri, insorgendo prima che Garibaldi avesse passato il Faro, prima delle altre provincie del continente meridionale.

Ai XVI Agosto 1860, data antesignana della nostra redenzione, la Basilicata onorò nella forma più splendida e nelle solenni feste della patria il sacrificio e la memoria di Carlo Pisacane, il cui nome rimane all’età ventura esempio di mirabile valore.

La spedizione di Sapri e la organizzazione ordinata e condotta nelle provincie per secondarla scossero la dinastia dei Borboni. Pisacane iniziò con meraviglia di perseveranza e di audacia sfortunata quello che poi Garibaldi con felici auspici riuscì a compiere.

Tre anni dopo Sapri vennero Marsala e il Volturno, come tre anni dopo Mentana venne la breccia di Porta Pia.


Roma, 1 Luglio 1891.


Note

  1. Volume 2º della processura.
  2. Saranno pubblicati in apposito volume i prospetti delle varie sezioni lucane e la corrispondenza, riferibile ai fatti di Sapri, tra il Comitato di Napoli e quello di Basilicata. La pubblicazione dei veri documenti varrà meglio a rischiarare e reintegrare la verità dei fatti ed a mostrare come anche adesso non manchino i Sarzana, commercianti al miglior offerente di volumi storici.
  3. C. Pisacane era nato in Napoli il 22 Agosto 1818. Era figlio del duca Gennaro di S. Giovanni e di Nicolina Basile De Luna.
  4. Lettera dell’11 Maggio 1857. Il comitato di Napoli a Pisacane.
  5. Lettera del 22 di Maggio. Fanelli ad Albini.
  6. Lettera dei 29 di Maggio. Albini a Fanelli.
  7. V. lettera del Comitato a C. Pisacane del 27 Giugno. Il Comitato scriveva a Pisacane quando egli era già partito da Genova.
  8. Lettera del 4 Luglio. Fanelli ad Albini.
  9. G. Albini, appena apprese la disfatta di Pisacane e ignaro in quei giorni di quanto erasi svolto altrove, non poteva che attribuire a sfiducia o a mistero la mancanza di avvisi avvenuta per gli accennati contrattempi.
    Infatti abbiamo notato come il comitato di Napoli ebbe con ritardo il telegramma di Mazzini e che i corrieri spediti (tardi, ma forse ancora a tempo) da Fanelli a Montemurro non giunsero.
  10. Cenno storico della invasione dei liberali in Sapri nel 1857 scritto da G. Fischetti, giudice allora di quel circondario. — Napoli, tip. italiana 1877.
  11. Un tal Venosta, in una partigiana ed astiosa narrazione della spedizione di Sapri, è giunto perfino a scagliar insulti contro un valoroso patriota di Montalbano Jonico, il compianto Dott. De Leo, cui move accusa di aver riferito al governo l’accaduto di Ponza. Questa accusa fu una calunnia, ed è davvero deplorevole come per non pochi scrittori la Storia non sia lux veritatis.