La poesia cavalleresca e scritti vari/La poesia cavalleresca/V. L'Orlando Furioso/13. Olimpia abbandonata
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i3. — Olimpia abbandonata.
La situazione esaminata l’ultima volta è originale, unica fino all’Ariosto, perché drammatica, ed è la prima e l’unica tale in Ariosto. Bradamante si duole di Ruggiero, Fiordiligi di Brandimarte morto: ma sono soliloqui, scene liriche. Ne’ tanti romanzi di Cavalleria non vi è nulla di drammatico, ma scene liriche in quantità. Quelle concezioni del Boiardo sono dimenticate. Ma ne’ poeti antichi vi sono spesso scene drammatiche o liriche: per esempio, il lamento della madre di Eurialo, che attrae per la sua eleganza e tenerezza virgiliana: eleganza e tenerezza che fanno giudicar Virgilio da Lamartine pel primo poeta del mondo. E per esempio il pianto di Arianna abbandonata da Teseo, in Ovidio, poeta non tenero né elegante come Virgilio, ma che gli è stato spesso preferito pel lusso dell’immaginazione. Ma egli è come il ragazzo nella mascherata di Goethe; la sua immaginazione sta piú nella forma che nelle idee.I pedanti rimproverano il furto di questo episodio ad Ariosto. Ma leggete Ovidio ed Ariosto. Non c’è un pensiero rubato.
Olimpia, abbandonata da Bireno, è un misto d’immaginazione, tenerezza e grazia. Quest’episodio ha per soggetto il dolore d’una donna abbandonata. D’una donna, non d’un uomo, che si rialza, che sfida, che provoca a guerra: dolore cupo, che finisce con la disperazione e nel sublime. La donna non ha volontà: il suo dolore è bello, è tenero. Il dolore virile è il patetico, il femminile è il commovente, il tenero, das Rührend.
La bellezza propria del dolore femminile è il grazioso. Poeta nato per esser tenero e grazioso è il Petrarca, natura femminile. II legame fra il grazioso e il commovente è formato dall’immaginazione. L’uomo dispera o pensa all’azione, non si abbandona all’immaginazione. Le donne, al contrario.
Tre scene: prima, Bireno abbandona Olimpia; seconda, risveglio; terza, dolore di Olimpia.
Donde nasce il commovente? Dall’interesse per Olimpia. L’autore fa come i compositori: comincia con un magnifico prologo, composto di pensieri comuni (quattro ottave). Olimpia è fedele: merita d’essere amata; vi voglio raccontare che ha fatto Bireno. L’interesse sta nella musica, nella melodia: analizza questi pensieri.
Fra quanti amor, fra quante fedi al mondo Mai si trovár, fra quanti cor costanti. Fra quante, o per dolente o per giocondo Stato, fèr prove mai famosi amanti; Piuttosto il primo loco, ch’il secondo Darò ad Olimpia; e se pur non va innanti, Ben voglio dir che, fra gli antiqui e novi, Maggior dell’amor suo non si ritrovi. |
Questo è il prologo della situazione, accanto al quale v’è un prologo arbitrario, che tempera il tenero che deve seguire. L’Ariosto fa un’ammonizione alle donne per esortarle a non credere agli amanti: ed è bellàá dell’argomento. Ride di ciò che dice. Se la piglia con tutti i giovani; e, sviluppata questa seconda parte, viene la buffoneria; le esorta a contentarsi degli uomini di quarant’anni:
Guardatevi da questi che sul fiore De’ lor begli anni il viso han si polito; Ché presto nasce in loro e presto muore. Quasi un foco di paglia, ogni appetito. |
Cominciano i legni ad uscir nel mare. L’Ariosto accenna le parti prosaiche e descrive i punti poetici: vi mostra la velocità de’ legni nel numero. Giungono nell’isola: Olimpia e Bireno si ritirano in un padiglione. Ariosto vuol mostrare la plebeità di Bireno: la mostra raccontando:
Ma a dire il vero, esso v’avea la gola, Ché vivanda era troppo delicata: E riputato avria cortesia sciocca. Per darla altrui, levarsela di bocca. |
Il travaglio del mare e la paura. Che tenuta alcun di l’aveano desta; Il ritrovarsi al lito ora sicura, Lontana da rumor nella foresta, E che nessun pensier, nessuna cura. Poiché il suo amante ha seco, la molesta; Fu cagion ch’ebbe Olimpia si gran sonno Che gli orsi e i ghiri aver maggior noi ponno. |
Il falso amante, che i pensati inganni Vegghiar facean, come dormir lei sente, Pian piano esce del letto; e de’ suoi panni Fatto un fastel, non si veste altrimente; E lascia il padiglione; e, come i vanni Nati gli sian, rivola alla sua gente, E li risveglia; e senza udirsi un grido, Fa entrar nell’alto, e abbandonare il lido. |
Rimase addietro il lito e la meschina Olimpia... |
Né desta né dormendo, ella la mano Per Bireno abbracciar stese, ma invano... |
E va guardando (ché splendea la Luna) Se veder cosa, fuor eh ’l lito, puote; Né, fuor che ’l lito, vede cosa alcuna. Bireno chiama; e al nome di Bireno Rispondean gli antri, che pietá n’avieno. |
E di lontano le gonfiate vele Vide fuggir del suo signor crudele. |
Queste sono le illusioni d’un dolore femminile. Perde ogni speranza, ritorna al letto e si abbandona ai suoi ultimi lamenti. Impreca a Bireno: poi si spaventa e teme: delle belve, de’ corsari
Cosi dicendo, le mani si caccia Ne’ capei d’oro, e a chiocca a chiocca straccia. |
Né men d’un vero sasso, un sasso pare. |