La palermitana/Libro secondo/Canto XI
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CANTO XI
Congresso dei duoi fanciulli, l’uno santo e l’altro santificato nel ventre.
Gelosia di Gioseppe.
Felicissimo albergo, e che sembianza
(se d’esso agli abitanti metti cura)
sol potè aver dell’alta empirea stanza,
ove del mondo e d’ogni sua fattura
5entrato è l’architetto, e seco ha i santi
duo principali dentro a quelle mura!
Giovanni avea passato giorni alquanti
al sesto mese dopo, ancor acerbo,
quando il Signor del ciel si vidde innanti.
io Viddesi innanti l’incarnato Verbo,
degnando a sé venir, che servo gli era,
contro l’uso mortai vano e superbo.
Tuttoché in ventre è chiuso, pur la nera
stanza raggiò nell’apparir del sole,
15e il grembo fu qual vetro a tanta spera.
Come di rose, gigli e di viole
le piante, mentr’è freddo, ardir non hanno
di fuore aprir la nuova loro prole;
poi, quando appresso all’alba vederanno
20spuntar Apollo, quelle rugiadose
ai sostentati fior la briglia danno:
cosi Giovanni e molte altr’alme, ascose
sotto a quel tetto, e che veder non ponno
mentr’ha sul viso a loro il velo Mòse,
25nel sottentrar che fece il maggior Donno,
splendor del sommo Padre e lume eterno,
tutte saltár fuor d’ombra, notte e sonno.
Quante vi si trováro, un dolce interno
fuoco sentirò, ai freddi cuor disceso,
ch’eran di Legge attratti nell’inverno.
30
Ciascun saggiollo in spirto e stette acceso.
Sol il Battista le due grazie ottenne,
eh’oltre sentirlo agli occhi fagli reso.
Quali dal nido le anco mille penne
battono i polli a lei, che gli empie il gozzo
e per nudrirli ogni altro ben contenne;
non men Giovanni, ancor in piume e rozzo,
al vivo pan che il suo Signor gli apporta,
guizza, gambetta e in ventre dá di cozzo.
Sente il materno spirto e sen conforta,
ed a parole non mortali e sante
d’affocati pensieri apre la porta.
Poi ch’ebbe detto, il sovrumano Infante,
in grembo a Pudicizia e fra le dive
sue grazie, stava dritto in su le piante;
guata quell’altro, e queste ardenti e vive
parole incominciò divinamente
(Giován le ascolta solo e in cuor le scrive:)
— Tu, innanzi che giammai fosser distente
le viscere materne ove t’informo,
sempre mi fosti, com’or sei, presente.
Io son, né fuor di me fu alcun. Io dormo,
e il cuor mio veglia in me. Nel ciel son Dio,
qua in terra Dio ed uomo, il qual reformo.
Ecco, tu, liber d’esto umano oblio,
per me santificato innanzi ch’esci
di vulva, conosciuto hai Tesser mio.
A me sei fatto; a me nel ventre cresci ;
e fra le genti a me sarai profeta,
che a me trarrai, siccome in rete pesci. —
Giovanni a lui con voce mansueta:
— Ah ah ! Signor, ah ah ! che in tal impresa
mia pueril etá parlar mi vieta ! —
Cui Cristo: — Il giogo mio non molto pesa;
ch’ovunque t’invierò, tu, infante, irai,
e fia la lingua tua dal mondo intesa.
Non le lor dure facce temerai,
ch’io ti sto sempre accosto e ti do mano,
qualor s’accingeran per darti guai.
Ecco, t’apro la bocca, e a man a mano
parole vi ho formate; non tu muto,
o a popol circonciso o dille a strano;
acciò tu, baldo del divin aiuto,
strugga, disperda, svella, pianti e dricci
quel che in le spine fin ad or è suto;
acciò le fredde voglie, i petti arsicci
quelle riscaldi, questi ammolli e bagni
e i molli troppo induri ed animassicci ;
acciò con giusti detti e sacri bagni
prepari l’alme, ed io, venendo appresso,
il mal nel buono, il buon nel meglio cagni.
Cosi parlò l’eterno Figlio; ed esso,
gentil suo precursore, in spirto alzossi
e disse fuor quel ch’era dentro impresso:
— Insole, udite, e voi, popoli, smossi
dal vero, sol tendete a me, ch’eletto
da Dio nel ventre fuor di quel mi scossi!
Post’ha la bocca mia, ch’alcun rispetto
nel dir lo ver non aggia, e come spata
radente il capo v’apra, il fianco, il petto.
Io di sua man sott’ombra fida e grata
sono il suo dardo scelto, ed esso il prome,
esso il rimette in faretra dorata.
A me non ancor nato ha posto nome
confatto all’esser mio fulmineo e baldo
e che terrá superbia per le chiome.
Non contra borea ed aquilon piú saldo
stiè mai si forte quercia, com’io a’colpi
degli empi farisei, del re ribaldo.
Non varrá lor entr’esser lupi e volpi,
fuor pecorelle e semplici colombe;
sará chi ipocrisia disnervi e spolpi.
Sará delle giá roche antiche trombe
una sonora alfin, che introni e tocchi
105sul vivo i morti e cacciali di tombe.
Sará chi a sordi e ciechi orecchie ed occhi
dia pronti a udir lo vero ed abbracciarlo,
veder il falso, acciò non vi trabocchi.
Sará colui, cui fia bisogno alzarlo,
110me sminuire alfin, ch’io sono indegno,
ed altri ancor saranno, di scalciarlo. —
Cotai ragionamenti non fu degno
mortale orecchio udir, né esse madri
sentian parlar nel proprio ventre pregno.
115lo fra quel tempo, ad asce, a serre, a squadri
intento, in Nazarette dimorava,
osservata cittá da’ santi padri.
Madonna, che me indegno molto amava,
dalla cugina sua congedo tolse,
120ch’ai parto in pochi di si avvicinava.
Forse vederla partorir non vòlse
per lo futur concorso al parto novo,
si che l’affetto a me benigna volse.
Io ben degno le fui che sotto giovo
125arassi come bestia i campi, mentre
ver’ lei di gelosia mi strinse il chiovo.
Ché, quando vidi lei tornar col ventre
alquanto in fuor: — Ah! — dissi — creder deggio
ch’a simil puritade adúlter entre? —
130Altrui dirlo abborriva, ed era peggio;
ché celato dolor piú forza piglia,
e a questo l’infernal non ha pareggio.
La vicinanza nostra e la famiglia
credean, come si crede, d’opra mia
135gravida lei, né vi torser mai ciglia.
Sol io quel succo amar di gelosia
bevuto avea, pensando il di, la notte
come da lei potessi tórmi via.
Sospiri accesi e lacrime dirotte
140sorgean dal cuor distorto e cruciato,
né ornai potea durarmi a si aspre bòtte.
Ma il grazioso Dio, c’ha l’uomo grato
d i sovruman valor non mai tentarlo,’
me ne francò mentr’erami assonnato:
145non assonnato no, ch’un simil tarlo
non dorme mai né desto vuol star solo,
ma il cuor m’era giá manco a piú cibarlo.
Mi vidi, ecco, dal ciel venir a volo
un medico gentil d’acerbe doglie:
150— Gioseppe — disse, — di David figliolo,
a che rifiuti l’innocente moglie?
Non sai che il Re del cielo in lei vestito
ora si sta di vostre umane spoglie?
Ma gravidezza tal secondo il rito
155vostro mortai non è, ch’a’ miei sol detti
lo Spirto santo ebb’ella per marito.
Sposo sei giunto a lei per molti effetti,
duo delli quali fúr: l’un per serbare
la Vergine da iniqui altrui sospetti ;
160l’altro, ch’un mistier tanto singolare
all’angel negro piú d’ogni etiopo,
angel astuto, possasi celare.
Né dianzi al parto altissimo né dopo
tu sarai degno, né altri, di tal donna. —
165Cosi dicendo sparve, e a tal siropo,
di vetro, venni solida colonna.