La famiglia dell'antiquario/Nota storica

Nota storica

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NOTA STORICA

Narrando la promessa, fatta dal poeta al pubblico dopo il fatale insuccesso dell’Erede, i Mémoires (Paris, Duchesne, 1787, II vol., pagg. 46, 47) per una svista dell’autore o del tipografo che sia, sfuggita poi al correttore, ricordano quindici commedie soltanto, non sedici. Mancano Il vero amico e Il poeta comico e vi è, per errore, la Famiglia dell’antiquario. In verità questa commedia era stata rappresentata a Venezia, col solo titolo d’Antiquario, già l’anno prima (Ediz. Paparini, vol. IV, pag. 75) e nel Teatro comico (Atto I, sc. IX) se ne parla come di lavoro già noto agli spettatori. Una dunque delle molte inesattezze cronologiche delle Memorie, dettate dall’autore quand’era già presso agli ottanta, ma ripetuta poi da troppi che non possono addurre a scusa la stessa ragione.

Avverte il Goldoni che la commedia col nome d’Antiquario intitolada... xe laorada su l’argomento de madona e niora (Malamani, L’Episodio goldoniano delle sedici commedie nuove. L’Ateneo Veneto a C. G., 1907, pagg. 32, 33). Il lavoro, in quanto offre un quadro realistico ed esilarante de’ litigi tra suocera e nuora, fu detto imitazione della Suocera e la nuora di Iacopo Angelo Nelli, per la grande affinità che corre tra le due commedie (Landau, Geschichte der ital Litt., im achtzehnten Jahrhundert. Berlin, 1899, pag. 421: Maddalena, Intorno alla Famiglia dell’antiquario, in Rivista teatr. ital. Anno I, vol. I, 1901, Napoli). Ma le troppo scarse notizie cronologiche sulla vita e sulle opere del commediografo senese costrinsero a un faticoso lavoro d’ipotesi chi, accettando la recisa affermazione del Landau (Maddalena, op. cit.), volle corroborarla di prove. Il Nelli, nato con ogni probabilità intorno al 1673 (Mandò, Il più prossimo precursore di C. Q. [Iacopo Angelo Nelli], Firenze, 1904, pagg. 45, 46), cominciò a raccogliere le sue commedie in volumi nel 1731, a 58 anni. Dopo lunga interruzione se ne riprese la stampa nel 1751 e la Suocera e la nuora venne a luce, la prima volta, appena nel 1755, quando cioè l’autore era quasi ottuagenario. È lecito arguire che fosse proprio lavoro della sua più tarda senilità, mentre la commedia, nè per fattura, nè per qualità sue o difetti, si stacca in modo alcuno dalle sorelle composte certo più decenni prima? E se creata assai tempo innanzi a quella goldoniana, il Veneziano non potè averla vista recitare a Siena o altrove in Toscana? Senza tener conto alcuno delle somiglianze reali delle due opere, il Valeri [Carletta] (Intorno a una commedia di Goldoni. Fanfulla d. domen., 2 giugno 1901) respinge «tranquillamente» queste congetture per fede ferma (dalla realtà non sempre giustificata!) che il Goldoni, ogni volta attinse a fonti letterarie, lo confessò. Poco convinta della derivazione avvertita dal Landau si mostra anche Marietta Ortiz (La cultura del Goldoni. Giorn. stor. d. lett. ital. 1906, voi. XLVIII, p. 1 07-9), e per suo conto mette innanzi l’ipotesi che, concesso un rapporto di dipendenza tra le due produzioni, l’imitatore poteva essere stato invece il Nelli. Ma è verisimile che vicino agli ottanta il Senese scrivesse ancora gaie commedie e che lui, imitatore pedantesco del castigatissimo Molière, si mettesse proprio allora per altre vie? Notizie più certe sul Nelli, e magari dirette su rapporti tra il Senese e il Veneziano, potranno quando che sia risolvere la questione. [p. 408 modifica]

Più sicuro cammino batte forse il Vederi (op. cit.) cercando l’originale onde il Goldoni copiò il suo antiquario in quell’Antonio de’ Capitani, raccoglitore Mantovano, del quale il Casanova lasciò questa gustosa descrizione (Mémoires, Bruxelles, 1881, voi. II, pag. 59 segg.): «Les raretes de son cabinet consistaient dans la genealogie de sa famille, dans des livres de magie, reliques de saints, monnaies soi-disant antédiluviennes, dans un modele de l’arche pris d’après nature au moment ou Noé aborda dans le plus singulier de tous les ports, le mont Ararat en Arménie; dans plusieurs medailles, dont une de Sésostris, une autre de Sémiramis...» Forestieri che capitassero a Mantova, scrive il Casanova, non potevano dispensarsi da una visita a queste meraviglie. Avrà fatto il dover suo anche il Goldoni per trarne poi, come voleva il suo ingegno, felicissimo partito. Ma abbia egli esemplato il suo antiquario sul Capitani o su altri, i modelli in quel torno abbondavano. E quanto più ingenui i collettori, tanto più sfacciati e più numerosi gli impostori. Nella sua propria famiglia lo stesso Casanova ebbe il fratello Giovanni, che spacciò al Winckelmann per quadri antichi due tele sue, e reca esempi d’altre truffe e d’altri truffatori il famoso avventuriere nelle sue Memorie. Con il solito meraviglioso spirito d’osservazione, il Goldoni aveva visto giusto e la satira giungeva opportuna. Satira o caricatura? Il disegno della figura sembra un po’ grossolano e l’episodio della truffa caricato così da far ridere il buon popolo, meglio che i buongustai. Ma l’esperienza della vita consiglia prudenza estrema nel tacciare d’inverisimiglianza l’artista che la ritrae sulla scena. Si noti a buon conto che ancora nel 1867 un discendente di Brighella e d’Arlecchino vendeva — non più in commedia — a Michele Chasles per la somma di 147.000 franchi 27.000 autografi, tra i quali figuravano i nomi di Cleopatra, Alessandro Magno, Attila, Lazzaro risorto e Ponzio Pilato (Budan, L’amatore d’autografi, Milano, 1900, pag. 42 segg.)!

Al conte Anselmo, antiquario ingenuo e padre di famiglia indolente, il Goldoni con felice antitesi oppone la simpatica figura di Pantalone, tutto senno, tutta bontà. Ebbe una sola debolezza il vecchio Bisognosi: l’ambizione d’imparentarsi con gente d’altra classe. E dal matrimonio disuguale tra la figliuola del mercante veneziano col contino Giacinto ecco sorgere i dissensi tra la suocera, più che mai fiera del suo grado, e la nuora, non men superba della sua dote, che aveva salvato da certa rovina la comitale famiglia! Dissensi che totale mancanza di nobiltà d’animo nelle due femmine rende via via più aspri, più incresciosi. Anzi un episodio, tolto poi dalla lezione definitiva del lavoro, dava alle controversie tra suocera e nuora un carattere ripugnante addirittura. Per un orologio, regalo di Pantalone a Doralice, la contessa insinua — neanche in buona fede — nel suo figliolo il sospetto d’infedeltà a carico della nuora, dicendolo dono d’un cicisbeo. Ma il Goldoni uomo, venuto a più miti consigli col Goldoni autore, tolse poi la nota eccessivamente antipatica.

Per il valore civile del teatro goldoniano questo matrimonio disuguale, frutto di bassi interessi e di piccine ambizioni, ha un significato che sarebbe ingiusto menorare, come fa chi nega qui intenzione di satira (Schneegans, in Litteraturblatt f. germ. u. rem. Philologie, 1902, n. 8-9; Schmidbauer, Das Komische bei Goldoni, München, 1906, pagg. 89, 90). Satira forte e pungente in verità, abbozzata con vigoroso brio, e oggi ancora la parte più viva e più [p. 409 modifica]umana della commedia. Sbiadite invece, e solo interessanti per la storia del costume settecentesco, le figure dei cicisbei che per troppo affaccendarsi ritardano al terz’atto la soluzione.

Nella quale una volta tanto il commediografo non volle indulgere al vieto pregiudizio del lieto fine. Nè lagrime di resipiscenza, nè baci d’affetto repentino. Liti tra suocera e nuora, quando le due donne rispondano alla natura di Isabella e Doralice, non si compongono. Parlando della traduzione francese di questo lavoro, opera di M. Collet, segretario dell’Infante di Parma, il Goldoni scrive: «... il crut que la pièce finissoit mal, laissant partir la belle - mere et la belle - fille brouillèes, et il les raccommoda sur la scene. Si ce raccommodement pouvoit être solide, il auroit bien fait; mais qui peut assurer que le lendemain ces deux dames acariàtres n’eussent pas renouvellè leurs disputes? Je puis me tromper, mais je crois que mon dénouement est d’après nature» (Mèm. P. II, cap. VIIIMemorie di Carlo Goldoni).

Dalla chiusa, certo ardita per quei giorni, tolse il Chiari pretesto a criticare aspramente la commedia: «Le commedie dei nostri giorni paiono tutte fatte sul maraviglioso modello che ce ne dà un moderno Accademico in quella sua Filippica, dove il periodo di tempo, che alle medesime assegna, viene ad essere d’anni 5750. Di fatto nulla meno che tanto durar potria una commedia in cui s’introducano suocera e nuora inviperite, implacabili, indiavolate alla fine dell’atto terzo, come lo erano sul cominciarsi del primo, se l’ingegnoso Poeta stabilite non avesse delle regole nuove nuovissime spettanti all’integrità della favola, e direttamente contrarie a quanto scrisse Aristotile; veder facendo coll’esempio suo che, per finire una commedia, non è più necessario sviluppare e conchiuder la favola; ma che basta cavar due risate; e lasciando le cose imbrogliate peggio di prima, a suon di zufolo calar il sipario» (Lettere scelte di varie materie ecc. Venezia, 1752, III, p. 158).

Son le censure cui risponde, breve ma arguto, il Goldoni, nell’Autore a chi legge. Nell’edizione Paperini (IV, p. 82, 83), accennava anche in nota a una lettera del Chiari, dove questi l’assicura d’aver scritto il suo libro con perfetta innocenza.

Come la traduzione francese del Collet, che non risulta sia a stampa (la promise e non la diede il Journal encylopédique. Cfr. Febbr. 1 757, Tomo I, p. 130), finiva con la pace tra suocera e nuora anche una versione polacca, eseguita a Leopoli il 24 l’1824 (Mnemosyne. Galizisches Ab. bl. f. geb. Leser, 1 824, n. 43) che pare inedita anch’essa. Era forse fatta dietro qualche traduzione tedesca come spesso accadde per il Nostro nella Slavia. E in Germania le traduzioni della Famiglia dell’antiquario non mancano. Prima per valore letterario, e fortunata anche per copia di ristampe, quella di Carlo Federico Kretschmann (1738-1809), poeta di buona fama, imitatore di Klopstock nelle sue Canzoni de’ bardi (Die Familie des Antiquitätenkrämers. Ediz.: 767, 1 786, 1787, 1792), eseguita sulla prima lezione dell’originale. Imitazione libera dell’Antiquario è Die unerwartete Zusammenkunft oder der Naturaliensammler (L’incontro inaspettato o il naturalista raccoglitore) di C. F. Weisse (1728-1804), che del Goldoni scrisse e altro ancora imitò. Ma la Famiglia dell’antiquario era stata recitata già nel 1754 in veste tedesca a Vienna, tradotta dall’attore Defraine (Repertoire des Thèàtres de la Ville de Vienne, [p. 410 modifica]depuis l’annèe 1752 jusqu à l’annèe 1757. Vienne, Ghelen, 1757). Versioni spagnole e portoghesi menzionano il Moratin (Obras postumas. Madrid, 1867, vol. II, pag. 95) e il Braga (Historia do theatro portuguez no seculo XVIII. Porto, 1871, pag. 392). Ricordiamo da ultimo, imitazioni italiane, il Bibliomane del Nota, rappresentato a Torino il 3 VIII 1822 dalla C. R. S. (ricorda solo nelle figure di Geronzio [Anselmo] e di Filippo [Pantalone] il lavoro goldoniano) e quelle Barufe in famegia, che furono il primo felicissimo passo di Giacinto Gallina, l’allievo più degno di Carlo Goldoni.

Scomparsa oggi affatto dai repertori delle nostre compagnie, se anche non del tutto da quello dei dilettanti (L. Schiavi, L’antiquario borioso, comm. di C. G. ridotta pel Teatro del Seminario di Padova. S. Benigno, 1821) o dal teatro dialettale (El diavèl in cà, riduzione bolognese di A. Fiacchi. Bologna, 1893), nella prima metà del secolo scorso si recitava ancora (Cfr. Costetti La C. R. S. Milano, 1893, pag. 14: Seconda continuaz. della serie cronologica delle rappres... dei princ. teatri di Mil. Mil. 1821, pag. 114). Trascurata dai comici, non dalla critica, come s’è visto. Notevole anche un cenno di Ferdinando Martini, il quale lodandone il primo atto si chiede se protasi fu mai più sollecita, più svelta, più completa (C. G. Conferenza di F. M., in Vita italiana nel 700, pag. 229).

E. M.


Questa commedia fu stampata la prima volta l’anno 1752, nel t. III dell’ed. Bettinelli di Venezia, tra il Cavaliere e la Dama e l’Avvocato Veneziano: il qual posto, assegnato dall’autore, conserva qui pure. Fu ristampata a Bologna (Pisarri, III. ’53), a Firenze dal Paperini (t. IV, ’53), a Pesaro (Gavelli, IV, ’53), a Torino (Fantino-Olzati, V, ’56 e Guibert-Orgeas, VII, ’73), a Venezia dal Pasquali (t. VII, ’65?) dal Savioli (t. II, ’70) dallo Zatta (cl. 2.a, t. VIII, ’91), a Livorno (Masi), a Lucca (Bonsignori) e altrove nel Settecento. Si citano due recenti edizioni con note, per le scuole, la prima di Emma Boghen Conigliani (Torino, Paravia, 1902), la seconda di Ambrogio Mondino (Livorno, Giusti, 1903). — La presente ristampa fu compiuta principalmente sul testo del Pasquali, ma reca in nota le forme varianti e in Appendice le scene delle edd. Bettinelli e Paperini che furono modificate. Ridurre a perfetta unità la grafia del dialetto veneziano non parve opportuno, per non togliere inutilmente un dei caratteri pur singolare del Goldoni e del tempo. Le note a piè di pagina segnate con lettera alfabetica appartengono al commediografo, quelle con cifra al compilatore. La data della recita, ch’è nell’intestazione, si legge soltanto nell’ed. Paperini, mentre le edd. Pasquali e Zatta recano, meno esattamente, il carn. 1750.