La famiglia dell'antiquario/Appendice

Appendice

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Atto III Nota storica
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APPENDICE

Dall’edizione Bettinelli e Paperini.

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ATTO SECONDO.

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SCENA XIV.

Colombina e detta.

Colombina. Signora.

Isabella. Dimmi un poco. Hai tu veduto quando il Cavaliere è andato nelle camere di Doralice?

Colombina. L’ho veduto benissimo.

Isabella. Quanto vi è stato?

Colombina. Più di due ore; e poi poco fa vi è tornato.

Isabella. Vi è tornato?

Colombina. Sì signora, vi è tornato.

Isabella. Sei punto stata in camera? hai sentito nulla?

Colombina. Oh, io in quella camera non ci vado. Servo la mia padrona, e non servo altri.

Isabella. Che balorda! neanche andar in camera a sentir qualche cosa, per sapermelo dire! Va, che sei una scimunita.

Colombina. Balorda! scimunita! Non volevo dirvelo; ma ci sono stata.

Isabella. Sì? Contami, cosa facevano?

Colombina. Delle smorfie tante.

Isabella. La serve il Cavaliere?

Colombina. Eccome! Anzi io credo che l’abbia regalata.

Isabella. L’ha regalata?

Colombina. Credo di sì. Ho veduto un orologio d’oro al signor contino Giacinto. Egli ha detto averlo avuto da sua moglie; il Cavaliere ne aveva uno simile, onde credo senz’altro l’abbia egli donato alla signora Doralice.

Isabella. L’orologio d’oro lei non l’aveva; senz’altro gliel’ha donato il Cavaliere.

Colombina. Ha donato anche a me questo mezzo ducato. [p. 398 modifica]

Isabella. Per qual motivo?

Colombina. Acciò non parli.

Isabella. Discorrevano forse di me?

Colombina. Sicuro.

Isabella. Cosa dicevano? cosa dicevano?

Colombina. Che siete fastidiosa, sofistica, e che so io.

Isabella. Cavaliere malnato.

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SCENA XVI.

Il contino Giacinto e detti.

Giacinto. Signora madre, se l’amor mio può nulla nel vostro cuore, sono a pregarvi di non negarmi una grazia.

Isabella. Cosa volete?

Giacinto. Mia moglie, fra le persuasive mie e quelle di suo padre, è dispostissima a darvi tutti i segni possibili di rassegnazione e rispetto; vi supplico, vi scongiuro vederla, sentirla, perdonarle il passato e amarla per l’avvenire.

Isabella. Che avete costà? un orologio?

Giacinto. Sì signora, un orologio.

Isabella. Lasciate vedere.

Giacinto. Eccolo.

Isabella. Chi ve l’ha dato?

Giacinto. Mia moglie.

Isabella. E voi avete sì poca riputazione di portare quest’orologio?

Giacinto. Perchè? cosa vi è di male?

Isabella. Sapete da chi vostra moglie lo ha avuto?

Giacinto. Da suo padre.

Isabella. Non è vero. L’ha avuto dal suo cicisbeo.

Giacinto. Cicisbeo mia moglie?

Isabella. Signor sì. Anch’ella si è messa all’onor del mondo.

Giacinto. Voi mi fate restar stordito. E chi è questo, che voi chiamate col nome di cicisbeo.

Isabella. Il Cavalier del Bosco. [p. 399 modifica]

Giacinto. Eh, questo è un amico di casa.

Isabella. E amico di casa. Ma a lei ha donato l’orologio.

Giacinto. Il Cavaliere gliel’ha donato?

Isabella. Sì, egli appunto.

Dottore. Mi perdoni s’io entro dove non son chiamato; quell’orologio mi par di conoscerlo, mi par che fosse del signor Pantalone.

Isabella. Cosa sapete voi, che siete vecchio cadente e non ci vedete? Così è; il caro signor Cavaliere ha fatto questo bel regalo alla vostra sposa.

Giacinto. Voi mi mettete in una gran gelosia.

Isabella. Povero figlio! te l’ho detto che sei assassinato. Ecco, non basta che sia una plebea, è anche una fraschetta.

Giacinto. Mi pare ancora impossibile.

Isabella. Lo vedrai, lo vedrai.

Giacinto. In camera d’udienza ci aspettano, se volete venire.

Isabella. Sì, vengo, vengo. (Può essere che mi riesca di scuoprir qualche cosa).

Giacinto. Ma l’orologio?

Isabella. Per ora lo tengo io. Dottore, datemi mano.

Dottore. La servo. Per carità, che la non mi gridi.

Isabella. Via, via, meno ciarle. Contentatevi così.

Dottore. Pazienza. (parte, dando braccio alla Contessa)

Giacinto. Mia madre e mia moglie sono due nemiche. Non so che pensare. Il Cavaliere dare un orologio a mia moglie? Per qual cagione? Andiamo, andiamo. Il tempo scoprirà il vero. (parte)

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SCENA XX.

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Cavaliere. Io non consiglio nessuno; ma parlo come l’intendo.

Isabella. Siete un cavaliere indegno.

Cavaliere. Signora, siete dama, ma non vi conviene perdermi il rispetto. [p. 400 modifica]

Pantalone. Voleu che ve la diga, patroni? Se una chebba de matti. Destrighevela tra de vualtri, e chi ha la rogna, se la gratta. (parte)

Isabella. No, voi non sapete il trattare. (al Cavaliere)

Cavaliere. In quanto a questo, mostrate di saperlo poco anche voi.

Isabella. Impertinente! Così parlate con una dama? E voi state qui, come un asino, e non dite nulla? (al Dottore)

Dottore. Signor Cavaliere, vossignoria parla male; non si tratta così.

Cavaliere. Ho piacere che voi prendiate le parti della contessa Isabella. Con lei, come donna, non potevo prendermi veruna soddisfazione; voi mi renderete conto delle ingiurie, che ella mi ha dette. (parte)

Dottore. (Ora sono nel bell’imbroglio). (da sè)

Isabella. Animo. Signora, andate nelle vostre camere.

Dottore. Vi torno a dire, che qui ci posso stare ancor io.

Isabella. La vostra impertinenza mi provocherebbe a mortificarvi colle mie mani.

Doralice. Le mani le ho ancor io.

Isabella. Ma le donne civili non vengono alle mani. Queste son cose riserbate per le donne vili e plebee. Sono offesa, saprò vendicarmi; ma la mia vendetta sarà da dama qual sono. (parte)

Doralice. Oh quanto mi fa ridere!

Dottore. Ed io, che non sono cavaliere, converrà che per riputazione mi faccia ammazzare alla cavalleresca. Per questo è sempre ben fatto praticar gente da suo pari, perchè la troppa confidenza che un si prende con le persone di rango, a lungo andare precipita chi ha questa pazza ambizione.

Doralice. A buon conto l’ho superata. Ella è partita, ed io sono restata qui nella camera d’udienza. M’impegno colla mia placidezza confondere e superare tutte le più furiose del mondo. [p. 401 modifica]

ATTO TERZO.

SCENA VI.

Camera con tre porte, due laterali ed una in prospetto.

Il Cavaliere da una porta laterale, il Dottore dall’altra laterale: ognuno parla verso la porta di dove esce, senza vedere quell’altro, e s’incontrano poi nel mezzo della scena.

Cavaliere. Sì signora, son qui per sostenere le vostre parti.

Dottore. Si rimetta in me, lasci fare a me.

Cavaliere. Il Dottore non averà la temerità d’opporsi.

Dottore. Il signor Cavaliere non mi fa paura.

Cavaliere. Lo troverò. (vede il Dottore,)

Dottore. Oh diavolo. (cedendo il Cavaliere)

Cavaliere. Signor Dottore, pensate a rendermi conto dell’ingiurie che ho ricevute.

Dottore. Da me non ha V. S. ricevuto ingiuria alcuna.

Cavaliere. Le ho ricevute dalla dama, e voi, che avete preso le di lei parti, voi siete in obbligo di darmi soddisfazione.

Dottore. Colla spada sarà difficile, perchè io non la so maneggiare.

Cavaliere. Non ve la passate in barzellette.

Dottore. Caro signor Cavaliere, giacchè siamo qui soli, e che nessuno ci sente, mi permette ch’io gli dica quattro parole da uomo, da suo servitore e da buono amico?

Cavaliere. Dite pure, v’ascolto.

Dottore. Prima di tutto, torno a dirgli, non sono uomo da spada, ma da toga, nè so che razza di soddisfazione da me V. S. possa pretendere. Ma quando ancora fossi in caso di battermi, o facessi supplire ad un altro in vece mia, cosa intenderebbe ella concludere con tal duello? Se gli preme l’onore di questa [p. 402 modifica] casa, se ha della stima per la signora Doralice, come io confesso d’averla per la signora contessa Isabella, poniamo in silenzio queste freddure; perchè, signor Cavaliere mio, dalle contese dei pretendenti resta prima di tutto oltraggiata la riputazione della dama.

Cavaliere. Ma la signora contessa Isabella con poca prudenza mi ha offeso, e voi avete approvato le sue parole.

Dottore. Protesto che non l’ho fatto per offenderla, ma unicamente per acquietar la collera della dama irritata, la quale, sentendosi o correggere, o contraddire, averebbe dato sempre più nelle smanie. Favorisca, di grazia, non sarebbe meglio che lei per la parte della nuora ed io per la parte della suocera procurassimo di far questa pace?

Cavaliere. Io non ho questa autorità sopra la signora Doralice.

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Cavaliere. Attendetemi, che ora torno. (entra nell'appartamento di Doralice)

Dottore. Se posso colle buone, anderà bene: altrimenti non voglio impegni.

SCENA VII.

La contessa Isabella e detto.

Isabella. Signor Dottore, che discorsi avete avuti col Cavaliere?

Dottore. La collera gli è passata, e tanto lui che io desideriamo di procurare la sua quiete, la sua pace, la sua tranquillità.

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Isabella. Temeraria, ha tanto ardire di venirmi d’avanti gli occhi? Il sangue mi bolle tutto. Non la voglio vedere. Venite con me. (entra nel suo appartamento)

Dottore. Vengo. Ho paura che non facciamo niente. (entra con lei) [p. 403 modifica]

SCENA VIII.

Doralice e il Cavaliere dal suo appartamento.

Doralice. Vedete? Io vengo per parlare con lei, ed ella mi fugge.

Cavaliere. Volevate forse pacificarvi?

Doralice. Signor no. Volevo dirle, che se ella non vuole ch’io vada nella sua camera d’udienza, nemmeno lei venga qui nel mio appartamento.

Cavaliere. E bene, dunque se ne è andata; così avete risparmiata una nuova rissa.

Doralice. Per dirle queste quattro parole, non vi era motivo di attaccare una rissa.

Cavaliere. Credete forse che lei non si fosse riscaldata?

Doralice. Buon viaggio. A me non me ne sarebbe importato.

Cavaliere. E voi non vi sareste niente alterata?

Doralice. Signor no. Lo sapete, io dico la mia ragione, senza che il sangue mi si riscaldi.

Cavaliere. Ma con tutto il vostro sangue freddo, Contessina mia, la casa è in sussurro, e non vi è pace fra voi.

Doralice. Ne sono forse io la cagione?

Cavaliere. No certamente.

Doralice. Dunque, Cavalierino mio, non mi mortificate senza ragione.

Cavaliere. Giacchè siete tanto discreta e ragionevole, mi date licenza che, salve tutte le vostre convenienze, tratti l’aggiustamento con vostra suocera?

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Cavaliere. Troveremo qualche temperamento da combinare le cose con grazia.

Doralice. Sì, via, trovate de’ mezzi termini, de’ buoni temperamenti, ma ricordatevi che non voglio restare al disotto una punta di spilla. (va nel suo appartamento)

Cavaliere. Oh, questo è un grande imbarazzo! Ma ecco il Dottore. Sentiamo cosa dice la contessa Isabella. [p. 404 modifica]

SCENA IX.

Il Dottore dall’appartamento d’Isabella e detto.

Dottore. Signor Cavaliere, ha parlato colla signora Doralice?

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Cavaliere. Attendetemi, che ora vengo. (va da Doralice)

Dottore. È plenipotenziario anch’egli, come sono io.

SCENA X.

Pantalone dalla porta dì mezzo e detto.

Pantalone. Sior Dottor, la riverisso. (incamminandosi verso l’appartamento di Doralice)

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Pantalone. Come gh’intrelo sto sior Cavalier? (il Cavaliere ritorna dall’appartamento di Doralice)

Cavaliere. L’aggiustamento è fatto. Pantalone, Sì, come, cara ela?

SCENA XI.

Il conte Anselmo dalla porta di mezzo e detti.

Dottore. Signor Conte, l’aggiustamento è fatto.

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Dottore. Ehei, Colombina.

SCENA XII.

Colombina dalla camera d’Isabella e detti.

Colombina. Signore.

Dottore. Dimmi un poco, che cosa ha detto la signora Doralice della contessa Isabella? [p. 405 modifica]

Cavaliere. Ora che sì è scoperta la malizia di costei, è più facile l’accomodamento.

SCENA XIII.

Il contino Giacinto dalla porta di mezzo e detti.

Giacinto. Cavaliere, che ha Colombina che piange e pare spaventata?

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Pantalone. Vegnì qua, fermeve.

Dottore. Viene o non viene?

SCENA XIV.

Doralice sulla porta e detti, poi la contessa Isabella dal suo appartamento.


Dottore. Signor no, non vengo. Dite alla vecchia che se vuol, venga lei.

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