La crisi dell'infanzia e la delinquenza dei minorenni/La delinquenza dei minorenni

../Il suicidio dei fanciulli

../I delitti contro l'infanzia IncludiIntestazione 6 dicembre 2014 100% Da definire

Il suicidio dei fanciulli I delitti contro l'infanzia
[p. 19 modifica]

La delinquenza dei minorenni


Da parecchio tempo i criminalisti e i sociologi attiravano l’attenzione del pubblico su quello che io ho chiamato il fenomeno più caratteristico e più doloroso della criminalità moderna: l’enorme, inverosimile aumento in tutti paesi civili dei delitti commessi dai minorenni.

La statistica rivelava ovunque, con una uniformità impressionante, l’identico male. In Russia, negli ultimi vent’anni, i delinquenti minorenni aumentavano del 19%; in Prussia, del 50 %; in Olanda, raddoppiavano; in Spagna triplicavano; in Francia, in 50 anni, quadruplicavano; in Italia, da trentamila che erano nel 1892 salivano a settantamila nel 1906!

E si noti che, col numero, cresceva la gravità dei delitti commessi dagli adolescenti. Gli assassini moderni sono quasi tutti giovanissimi. Nel 1906, in Francia, su 18 condannati a morte, 11 erano minorenni! E si noti, ancora, [p. 20 modifica]che se cresce così spaventosamente la cifra dei condannati minorenni (cioè al disotto dei 21 anni), la percentuale massima è data dai fanciulli fra i 9 e i 14 anni, il cui numero aumenta in proporzioni assai più rapide che non quello degli adolescenti dai 14 ai 21. Il male è dunque profondo: più che la gioventù è la infanzia che rivela la propria progressiva corruzione.

Lo scetticismo di coloro che non credono alla statistica doveva arrendersi di fronte alla gravità complessiva di questi dati, perchè quali fossero gli errori di calcolo di confronto e di interpretazione di tali cifre, da esse risultava limpida e indiscutibile, al di fuori della precisa verità numerica, questa verità sociale: che oggi, in tutto il mondo, la gioventù è moralmente ammalata come non io fu mai. Verità triste, la quale consiglierebbe molte malinconiche riflessioni sul contenuto etico della nostra tanto vantata civiltà, e che ad ogni modo impone non solo agli studiosi ma agli uomini di Governo l’obbligo di preoccuparsi di un fenomeno che minaccia nelle sue stesse radici l’avvenire della società.



L’ex-ministro Orlando sentì la paurosa imponenza di questo problema, e la sentì oltre e [p. 21 modifica]più che come ministro di grazia e giustizia, come uomo cli scienza: volle cioè che il problema fosse studiato, non solo nei suoi aspetti giudiziari e penitenziari, ma in tutta la complessità dei suoi rapporti sociali; e nel novembre 1909 nominò per decreto reale una Commissione di quindici membri alla quale era affidato appunto l’incarico, non solo di elaborare le necessarie riforme legislative per porre argine alla delinquenza dei minorenni, ma di ricercare ed esaminare anche le cause del fenomeno per aggiungere al rimedio sempre tardo e spesso sterile della repressione, il rimedio più pronto e più fecondo della prevenzione.

Le crisi ministeriali che si sono succedute non hanno mutato, e non potevano mutare, gli intendimenti del Governo su questo problema che è per fortuna al di fuori e al di sopra della politica. E Vittorio Scialoja e Cesare Fani sono stati lieti di assicurare la Commissione che il loro pensiero è identico a quello del loro predecessore.

Grave e vastissimo è il compito che si para dinanzi a chi debba, dalla constatazione della malattia, salire al difficile consiglio della cura. Poiché non si tratta unicamente di proporre come debba essere trattato il fanciullo delinquente affinchè egli non ricada nel delitto, [p. 22 modifica]ma si tratta soprattutto di proporre quelle riforme sociali che impediscano al fanciullo di diventar delinquente. Ognuno intende che se noi ci preoccupassimo soltanto di salvare il minorenne che è già incappato in un articolo del Codice penale, noi non compiremmo che l’opera postuma del medico, il quale è chiamato solo quando la malattia è già palese nell’individuo. Bisogna far opera non di medici, ma di igienisti; bisogna impedire che la malattia si sviluppi nell’organismo, anziché attendere che la malattia si sia dichiarata per attenuarne gli effetti.

Una delle iniziative private clic ha avuto più larga eco di adesione in questi ultimi anni, è il Probation System o libertà sorvegliata, il cui meccanismo, fatto di intelligente pietà, è noto a Torino come a Roma, a Firenze, a Milano, dove lo ha introdotto il fervido apostolato di miss Lucy Bartlett. Esso consiste nel porre vicino al minorenne condannato condizionalmente una persona che dovrebbe realizzare la funzione ideale dell’angelo custode: sorvegliare il fanciullo perchè non ricada nel male, sorvegliare l’ambiente in cui il fanciullo vive, perchè non siano intorno a lui quotidiane suggestioni cattive. E non occorre dire che l’iniziativa è ottima e degna di plauso e di incoraggiamento. [p. 23 modifica]Così, è pure ottima l’istituzione di quei Tribunali per l’infanzia che creati per la prima volta in America una decina di anni or sono, furono copiati subito dall’Inghilterra, e vanno ora estendendosi con modificazioni più o meno parziali anche in altri Stati, compresa l’Italia, la quale, se non per legge, almeno in pratica, seguendo il consiglio dato da una circolare del ministro Orlando, ha istituito presso alcuni Tribunali una sezione speciale per giudicare i delitti dei minorenni. Si ottiene, in tal modo, un duplice vantaggio: da un lato, i giudici si specializzano in un ramo della criminalità e possono quindi portarvi maggiore esperienza, possono sovra tutto compiere con amore il loro dovere e anzichè limitarsi a pronunciare con monotono stillicidio delle affrettate sentenze, interessarsi ai casi dolorosi che hanno sotto gli occhi e giudicare i fanciulli più con cuore di uomini che con severità di magistrati: dall’altro lato, i minorenni giudicati in separata sede vengono sottratti all’ambiente demoralizzatore delle aule giudiziarie ove lo spettacolo dei delitti commessi dagli adulti è un esempio, un incitamento, una scuola. Ma entrambe queste istituzioni — il Tribunale per l’infanzia e la libertà sorvegliata — [p. 24 modifica]non sono e non possono essere che una piccola parte della cura al male che lamentiamo.

Più lontano, più vasto, più radicale è il rimedio.



Nessuno nega — e non lo negherò certo io, seguace della scuola italiana d’antropologia criminale — che vi siano dei casi di congenita fatale tendenza al delitto, degli individui cioè irriducibili, per i quali, nessuna educazione, nessuna suggestione, nessun ambiente può esser argine alla manifestazione dei loro istinti perversi.

Ma questi casi sono molto rari: sono delle eccezioni patologiche, clinicamente gravissime ma socialmente insignificanti per l’esiguità del loro numero.

La grande maggioranza dei fanciulli che delinquono, potrebbero — se fossero posti in condizioni favorevoli — diventare degli uomini onesti. Il che equivale a dire che la colpa di quasi tutta la criminalità dei minorenni una colpa sociale.

Dove si recluta il massimo contingente dell’esercito dei giovani delinquenti? Tra i fanciulli abbandonati. E chi ha la responsabilità di questo abbandono? O i genitori, o la socie[p. 25 modifica]tà. Ma quando i colpevoli sono i genitori, non per questo può dirsi irresponsabile la società, giacchè ad essa tocca appunto — o dovrebbe toccare — la vigilanza sul primo dovere della famiglia che è l’educazione dei figli, ed essa dovrebbe sostituirsi ai genitori che per incosciente egoismo, per malvagità o per impossibilità vengono meno al loro dovere.

È stato già detto da Enrico Ferri e mi piace ripeterlo, che tre sono le grandi categorie dell’infanzia abbandonata:

1.a) l’infanzia materialmente abbandonata, cioè i trovatelli e gli orfani;

2.a) l’infanzia moralmente abbandonata, cioè i figli di quei genitori che non vedono nella loro prole che una losca speculazione, e li spingono alla mendicità, al vagabondaggio, al furto, alla prostituzione, — o per una inversione delle leggi di natura li odiano e l’odio sfogano in sevizie e tormenti;

3.a) l’infanzia necessariamente abbandonata, cioè i figli di quegli operaj che dovendo chiedere alla fabbrica, per la ferrea legge dell’industrialismo moderno, le ragioni della loro esistenza, sono costretti ad abbandonare per parecchie ore del giorno i loro bambini.

Queste tre categorie, che racchiudono la quasi totalità dei candidati alla delinquenza, esigerebbero ognuna — come ben si compren[p. 26 modifica]de — così varie ed ampie riforme sociali che il solo accennarle impaura. Chi potrà mai togliere dal mondo la piaga dei trovatelli, dei figli di nessuno? O con quali mezzi economici potrà mai lo Stato arrivare a provvedere al loro sostentamento e alla loro educazione in modo da toglierli da quella china del vizio e del delitto su cui scivolano fatalmente? Come sorvegliare la condotta dei genitori infami, protetta dalla patria potestà e protetta più ancora dal nostro indifferentismo e dalla nostra apatia cui parrebbe volgare atto di spionaggio denunziare all’autorità i delitti che sappiamo esser compiuti in certe famiglie? E come ribellarci a un sistema economico che toglie le madri ai figli, e chiude quelle ogni giorno nelle fabbriche, lasciando questi liberi sulla strada?

Tali domande sono angosciose perchè difficilissima è la risposta. Non difficile in teoria, ma in pratica. Trovare a parole il rimedio è anzi facile: applicarlo in parte, in minima parte, è già stato fatto dall’iniziativa della carità privata e dalle istituzioni pubbliche. Ma l’applicazione si è rivelata insufficiente. Ogni volta che io entro in un asilo per l’infanzia abbandonata o in un riformatorio, e vedo un centinaio di ragazzi che noi abbiamo salvato, o crediamo di salvare, penso alle migliaja, alle migliaja di migliaja di bimbi che non han[p. 27 modifica]no chi li raccolga e chi li protegga! Quanto è piccolo il bene che si può fare in confronto all’immensità del male!

Non è dunque l’idea che faccia difetto: non è la volontà che manchi: sono i mezzi, i danari che occorrono.

Per questo io credo che il problema sottoposto alla Commissione Reale per lo studio della delinquenza dei minorenni, sia oltre che un problema giuridico, penitenziario e sociologico, anche un problema finanziario. Quando la Commissione avrà compiuto il suo lavoro e presentato le sue conclusioni e le sue proposte, sarà facile al Governo accogliere fra queste, quelle che non costano nulla e si risolvono nel mutare uno o più articoli dell’una o dell’altra legge; ma sarà difficilissimo od impossibile accogliere anche quelle che porterebbero un onere troppo grave al bilancio dello Stato. Pure il Parlamento e il Paese dovranno. presto o tardi provvedere efficacemente a quest’opera necessaria di conservazione sociale, se non vorranno meritarsi l’invettiva che Tommaso Moro rivolgeva ai legislatori: che fate voi se non dei delinquenti per avere il gusto di imprigionarli?