La capitana del Yucatan/24. Il colpo di testa di Cordoba

24. Il colpo di testa di Cordoba

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CAPITOLO XXIV.


Il colpo di testa di Cordoba.


L’isolano che muoveva incontro al tenente era un uomo sulla trentina, un po’ tarchiato, dalla pelle giallo-bronzina, con due occhi assai grandi che tradivano subito l’incrocio del sangue negro col bianco ed i capelli lanuti.

Vestiva come un piantatore del tropico: giacca e calzoni bianchi, fascia di cotone a vivaci colori e sul capo un gigantesco cappello di paglia che lo riparava forse quanto un ombrello.

A tracolla portava un fucile, un Martini-Henry a quanto [p. 206 modifica]pareva, regalatogli certamente dagli americani e una lunga navaja dalla lama acuta e scintillante.

Egli si diresse senza esitare verso Cordoba che si trovava dinanzi a tutti, dicendogli con un certo cipiglio poco rassicurante:

— Cosa vogliono questi stranieri? Chi vi ha dato il permesso di sbarcare e di cacciare nella mia piantagione?... —

Il signor Cordoba invece di rispondere si volse verso i suoi compagni, dicendo con voce ironica:

— Credevo che fosse un bipede cortese, ed ora mi accorgo d’aver incontrato una scimmia selvatica. È vero, signor Del Monte? Sarebbe anche questo un vostro amico? —

Il cubano alzò le spalle sforzandosi a sorridere.

— Cosa avete detto, señor? — chiese il mulatto aggrottando la fronte.

— Dicevo che a S. Felipe devono abitare degli antropofagi, — rispose Cordoba.

— Volete dire degli insorti, dei buoni patrioti?

— Può darsi.

— Allora voi mi direte se siete uno dei nostri od un amico degli spagnuoli.

— E se fossi uno spagnuolo? — chiese Cordoba, con crescente ironia.

— In tal caso vi consiglierei d’andarvene subito se vi preme la pelle. Qui la bandiera di Spagna non sventola più.

— Lo so ed è per questo che sono sbarcato.

— Da dove venite?

— Dalla baia di Cortez.

— E desiderate?

— Sapere innanzi a tutto se il mio amico Pardo ha mandato a Guaymo una donna che si deve consegnare ad una nave americana. —

Il mulatto guardò Cordoba con una certa sorpresa, poi disse:

— Sì, una bella signora accompagnata da quattro robusti marinai e da un capitano spagnuolo.

— Quando è giunta qui? — chiese il tenente, sforzandosi a nascondere la sua gioia.

— Due giorni or sono, caballero, — rispose il mulatto.

— E si trova ora?...

— Presso il signor Guaymo, capo degli insorti di S. Felipe.

— Io sono l’ufficiale americano incaricato di ricevere quei prigionieri.

— Voi!... Ma... dov’è la vostra nave?...

— All’isola dei Pini, nascosta in una baia sicura. Sono stato avvertito che tre cannoniere spagnuole sono partite dall’Ensenada della Broa per dare la caccia ai filibustieri americani e non ho osato dirigermi qui colla mia nave.

— Potevate dirlo prima che eravate americano, signore, — disse [p. 207 modifica]il mulatto. — Vi avrei accolto con maggiore affabilità. In che cosa posso esservi utile?

— Desidererei che voi mi conduceste dal signor Guaymo.

— Sono ai vostri ordini, signore. —

Il mulatto accostò le mani alla bocca e mandò un fischio acutissimo. Quasi subito si videro sorgere fra le canne da zucchero venti o venticinque negri armati di tromboni e di qualche fucile a retrocarica.

— Oh!... Oh!... — fece Cordoba. — Avevate una scorta?

— Comando un drappello d’insorti, signore, — disse il mulatto. — Camardo!

Un negro che indossava una camicia di flanella rossa e che portava sul capo un vecchio cappello da ammiraglio adorno d’un mostruoso ciuffo di piume si fece innanzi sgambettando come una scimmia e s’arrestò presso il mulatto salutando militarmente.

— Condurrai qui sei cavalli, i migliori della fattoria. Durante la mia assenza comanderai tu il posto. —

Il negro partì correndo, mentre i suoi compagni, ad un cenno del mulatto, tornavano a nascondersi fra le canne da zucchero.

— Temevate un attacco? — gli chiese Cordoba.

— Avevo scorto la vostra scialuppa ed avevo fatto radunare i miei uomini per catturarvi, — rispose il mulatto. — Viviamo in tempo di guerra, signore.

— Avete fatto bene; la sorveglianza non è mai troppa.

— Avete armi da sbarcare, signore? Gli insorti di Cuba ne hanno estremo bisogno.

— Ho ventimila fucili e duecento casse di munizioni che andrò a sbarcare alla ensenada della Broa, appena mi sarà possibile. Ah! Ecco il vostro aiutante di campo. —

Il negro dal cappello d’ammiraglio usciva allora dal bosco, spingendo al galoppo sei bellissimi cavalli di razza andalusa, di piccola taglia, e d’una robustezza e d’una resistenza a tutta prova.

Il mulatto, Cordoba ed i suoi compagni si affrettarono a salire in sella, impazienti di giungere a S. Felipe.

— Andiamo, — disse il mulatto.

Il drappello partì al galoppo costeggiando la piantagione e si cacciò in mezzo ad un superbo bosco di cedri altissimi, che si estendeva lungo la spiaggia.

Cordoba aveva fatto segno a Quiroga di accostarsi al mulatto per tenergli compagnia, poi si era messo a fianco del cubano, parlandogli a bassa voce. Quel dialogo non doveva essere molto interessante pel prigioniero, poichè si vedeva questi fare sovente certe smorfie che indicavano come non fosse gran che soddisfatto. Pure quando Cordoba ebbe terminato, finì col fare un cenno d’assenso.

— Badate!... — conchiuse Cordoba, con un gesto minaccioso. — Sapete che non sono uomo da scherzare. [p. 208 modifica]

— Non temete, — rispose il cubano.

Intanto i cavalli, eccitati dai cavalieri, divoravano la via con crescente velocità, passando sotto i grandi alberi come un uragano.

Il bosco ben presto fu attraversato ed agli sguardi dei cavalieri apparve un grazioso villaggio, annidato all’estremità d’una piccola baia ed ombreggiato da una doppia fila di splendidi palmizi reali colle grandi foglie piumate e dal tronco altissimo ed elegante.

— S. Felipe, — disse il mulatto.

— Non credevo di essere così vicino, — si limitò a rispondere Cordoba.

I cavalli in meno di quindici minuti attraversarono la distanza, costeggiando una piantagione di cacao ed entrarono nel villaggio di galoppo, arrestandosi dinanzi ad un ampio steccato, dietro al quale si vedevano sorgere un gran numero di immense tettoie.

S. Felipe non era che un povero villaggio formato da una cinquantina di casette ed abitato da due o trecento persone per lo più negri e mulatti, però gl’insorti ne avevano fatto un centro per lo sbarco delle armi e delle munizioni. Non osando i filibustieri americani accostarsi troppo alle coste di Cuba che sapevano essere sorvegliate dalle cannoniere spagnuole dell’Ensenada della Broa e della baia di Cazones e di Cienfuegos, avevano scelta quella località poco frequentata per operare gli sbarchi delle armi mandate dal Comitato rivoluzionario di New-York.

Però per non venire sorpresi, gl’insorti avevano mandato colà un buon numero di combattenti, un trecento circa, i quali avevano formato un piccolo campo trincerato, munendolo di alcuni cannoni a tiro rapido, ricevuti dai filibustieri yankees.

Il mulatto scambiò alcune parole con una sentinella che vegliava all’entrata del recinto e introdusse i suoi compagni.

Quella specie di campo trincerato, difeso da una solida stecconata e da un fosso profondo, misurava sei o settecento metri di circuito e comprendeva otto ampie tettoie sotto le quali si vedevano un gran numero di casse contenenti probabilmente delle armi e delle munizioni da spedirsi a Cuba, probabilmente agl’insorti di Pinar del Rio.

Un centinaio d’uomini per la maggior parte creoli cubani, si trovava nel recinto. Vedendo entrare quei cavalieri, alcuni si affrettarono ad andarli a ricevere.

— Dov’è il capo? — chiese il mulatto. — Questi americani desiderano parlare a lui.

— Seguitemi, — rispose un insorto.

Cordoba ed i suoi compagni scesero da cavallo ed attraversarono il piccolo campo trincerato. Il tenente si era messo vicino al signor Del Monte e di quando in quando gli dava una stretta al braccio, mentre uno dei due marinai, il più robusto, li seguiva ad un passo di distanza, pronto ad accoppare il prigioniero al menomo sospetto. [p. 209 modifica]— Quattro metri, — disse.
— Fuggiamo dalla finestra? — chiese la marchesa.
[p. 211 modifica]Cordoba pareva tranquillissimo, quantunque sapesse di giuocare una carta estremamente pericolosa, che poteva costargli non solo la libertà, anche la vita. Quell’indiavolato lupo di mare doveva avere una straordinaria sicurezza nella riuscita del suo progetto ed una grande dose di energia e di audacia per mostrarsi così calmo in quel supremo momento.

Anche i due marinai non sembravano molto preoccupati, avendo completa fiducia nel loro comandante. Forse solamente Quiroga non era interamente tranquillo poichè lo si udiva a mormorare di sovente agli orecchi di Cordoba:

— Siate prudente o perderete tutti. —

Giunti all’opposta estremità del campo, l’insorto si arrestò dinanzi ad una casetta a due piani, circondata da una veranda ed ombreggiata da un gruppo di banani le cui foglie, di dimensioni veramente esagerate, si allungavano verso il tetto.

Un uomo vestito di tela bianca e che teneva il capo riparato da un largo feltro, una specie di sombrero messicano, adorno di tre stelle d’oro e che stava seduto sull’affusto d’un cannone fumando un grosso avana, scorgendo quel gruppo di persone, si alzò.

Era un bell’uomo, alto di statura, dai lineamenti regolari, con una barba fitta e nerissima, con due occhi intelligenti e vellutati che tradivano la sua origine spagnuola, quantunque avesse la pelle piuttosto oscura, bruciata dal sole.

— Chi sono questi caballeros? — chiese all’insorto, gettando via il sigaro.

Poi facendo bruscamente due passi innanzi, con una certa sorpresa:

— Toh!... Il signor Del Monte!... Da dove venite, amico?... Avete lasciato Pardo?... —

Il cubano brontolò qualche cosa fra i denti, ma vedendo gli sguardi minacciosi di Cordoba, dilatò la bocca ad un sorriso forzato, dicendo:

— Ben contento di rivedervi, signor Guaymo. Vi porto, innanzi a tutto, i saluti del capitano Pardo. —

Il mulatto vedendo che si conoscevano, credette inutile di aprire le labbra e se ne andò assieme all’insorto.

— Qual vento vi porta qui, signor Del Monte? — continuò il comandante di San Felipe.

— Un motivo urgente, — rispose il cubano. — Voi dovete aver ricevuto dei prigionieri.

— Sì, la marchesa del Castillo, un capitano spagnuolo, e quattro marinai.

— Che dovevate consegnare ad un capitano americano.

— È vero, signor Del Monte. Al comandante dell’Oyster.

— Ecco qui il tenente Zames Mac-Kye, comandante in seconda dell’Oyster.

— Carrai!... — esclamò il capo degl’insorti, con stupore, — [p. 212 modifica]L’Oyster è già giunto qui?... Da quando?... Nessuno me lo ha segnalato!...

— Non qui, signore, — disse Cordoba massacrando atrocemente lo spagnuolo. — La mia nave si è fermata nella baia di Siguanea.

— All’isola dei Pini?...

— Sì, signor Guaymo.

— Me ne dispiace, signor Mac-Kye, — disse l’insorto, stendendogli la mano. — Attendevo il carico d’armi e munizioni per mandarlo all’Ensenada della Broa, dove i nostri compagni lo attendono non potendo mettersi in marcia contro Cinfuegos.

I vostri compatrioti contano sui nostri per attaccare quella piazza e cacciare in acqua la guarnigione spagnuola. Come siete venuto qui?...

— Con una scialuppa.

— Allora non avete veduto Pardo.

— Sì, l’ho veduto ieri mattina nell’Ensenada di Cortez. Prima di venire qui sono andato a salutare il bravo capitano.

— E siete venuto per prendere i prigionieri?

— Precisamente, signor Guaymo, — disse Cordoba audacemente. — Mi preme condurli a bordo dell’Oyster essendo degli ostaggi preziosissimi. La marchesa farà fruttare agl’insorti cinquantamila fucili e ottocento casse di cartucce.

— Cinquantamila fucili!... — esclamò il capo insorto con stupore. — Forse il carico del Yucatan?

— Ah!... Conoscete l’Yucatan? — chiese Cordoba.

— So che nave è, signor Mac-Kye e se devo dirvi la verità credevo di vederla giungere in queste acque.

— Non speratelo, signore.

— E per quale motivo?

— Si trova bloccata nella baia di Corrientes da una cannoniera e da alcune bande del capitano Pardo. È vero, signor Del Monte?

— Verissimo, — rispose il cubano, a denti stretti.

— E non si arrende? — chiese il capo insorto.

— Il suo comandante ha fatto dire al capitano Pardo che acconsentirà a cedere il carico dietro la restituzione della marchesa.

— E Pardo accetta?

— Ha accettato.

— Malissimo, signor Mac-Kye. Doveva aspettare che si arrendessero.

— Eh, signor mio, quel comandante è un uomo capace di dar fuoco alle polveri, piuttosto che consegnare il carico.

— Sicchè la marchesa verrà restituita?...

— Sì, e presto; però vi saremo anche noi coll’Oyster e se possiamo giuocare quel caro signor Cordoba che comanda l’Yucatan in assenza della proprietaria, ci guarderemo bene dal non farlo. [p. 213 modifica]

— Vi comprendo, — disse l’insorto, ridendo. — Pardo è furbo e si prenderà l’Yucatan, le armi, le munizioni e l’equipaggio.

— Lo spero.

— Signor tenente, da quando navigate?...

— Da ieri sera; abbiamo lasciato le coste di Cuba prima del tramonto.

— Allora v’invito a colazione.

— Un uomo di mare non si rifiuta mai, signor Guaymo, — rispose Cordoba. — E la marchesa?

— La vedremo più tardi.

— Si trova qui?

— Laggiù, in quella piccola costruzione che vedete all’estremità della stecconata.

— Sarà ben guardata.

— Da quattro uomini risoluti.

— Signor Guaymo, andiamo a far colazione. Stamane ho messo sotto i denti un solo biscotto bagnato in un bicchiere di pessimo xeres. —

Il capo insorto introdusse Cordoba in una stanzetta che si trovava al pianterreno, dove si vedeva una tavola già pronta, essendo quasi mezzodì.

Un giovane negro stava collocando degli altri tondi mentre un giovane mulatto portava delle bottiglie abbastanza polverose, che avevano delle etichette promettenti: Porto, Xeres ed Alicante.

— Signori miei, vi accontenterete di quello che può offrire un villaggio povero come S. Felipe, — disse il signor Guaymo. — Voi sapete d’altronde che gl’insorti sono d’una frugalità ormai proverbiale.

— E le genti di mare sanno adattarsi a tutto, — rispose Cordoba.

Si sedettero; il tenente vicino al capo insorto, il quale dall’altra parte aveva il soldato spagnolo, ed il signor Del Monte fra i due marinai. Il cubano avrebbe forse desiderato trovarsi un po’ lontano dai due erculei guardiani, ma Cordoba con un gesto minaccioso gli aveva già assegnato il posto.

Un robusto negro che pareva fosse un cuoco, si affrettò a servire ai commensali dei filetti di testuggine annegati in una certa salsa assai pimentata, poi un paio di anitre selvatiche sapientemente preparate e bene arrostite, quindi delle frutta ed eccellente caffè, vero San Domingo.

Tutti fecero onore al pasto, anche il cubano, non ostante il suo cattivo umore; poi fra un bicchiere di Porto ed uno di Xeres, la conversazione si riaccese vivissima.

Il capo insorto che pareva molto bene informato degli ultimi avvenimenti accaduti sulle coste di Cuba, informò minutamente Cordoba delle operazioni guerresche delle flotte americane, operazioni limitatissime d’altronde, non avendo intrapreso fino a [p. 214 modifica]quell’epoca nulla di serio, malgrado le smargiassate dei loro comandanti.

Nessun sbarco era stato ancora tentato e le poderose quanto numerosissime navi, che parevano dovessero distruggere tutte le città costiere della grande isola in meno di una settimana, si erano accontentate di scambiare qualche cannonata col forte del Morro di Avana, di lanciare alcune bombe su Matanzas distruggendo qualche parapetto e qualche trincea dei fortini, ed in un tentato sbarco a Cardenas, prontamente respinto dalle truppe spagnole, non ostante gli americani fossero stati protetti dalle cannoniere Winslow, Wilmington, Hudson e dalla Tecumsck che era andata a picco, avvenimenti già stati gonfiati dall’ormai celebre stampa americana, come altrettante vittorie.

Di combattimenti marittimi uno solo era avvenuto e di poca importanza. Si trattava d’un duello a cannonate fra la cannoniera spagnola la Lygera contro la torpediniera Cushing, che aveva cercato di forzare il porto di Cardenas, terminato colla peggio della seconda.

— I vostri compatrioti, mio caro signore, — disse il capo insorto, con tono piuttosto acre, volgendosi verso Cordoba, — pare che non abbiano troppa fretta. A quest’ora colle poderose loro navi, avrebbero dovuto ridurre in cenere i forti dell’Avana e prendere d’assalto la città.

— Abbiate pazienza, signor Guaymo, — rispose Cordoba che prendeva sul serio la sua parte d’ufficiale americano. — Aspettate che le truppe nostre siano tutte concentrate a Key-West e vedrete che lo sbarco si farà ed in grandi proporzioni.

— Ma non all’Avana.

— Sarà a Santiago che avverrà probabilmente il primo urto.

— Voi avete ragione, signor Mac-Kye. Mi hanno detto che gli spagnuoli lavorano attivamente intorno ai forti di Santiago. Mi hanno pure riferito che la squadra dell’ammiraglio spagnuolo Cervera andrà là a rifornirsi di carbone. È vero che le navi spagnuole hanno lasciato Cadice?

— Così si dice.

— E che la squadra volante del commodoro Schley corre loro incontro per dar battaglia presso le Piccole Antille?

— Credo che la voce sia vera.

— Riuscirà a cacciarle a fondo?...

— Eh!... Lo si vedrà, signor Guaymo. La flotta spagnuola è inferiore di gran lunga all’americana, però le navi sono molte, rapide e le comanda un uomo che si dice sia molto valente e molto astuto.

— Bah!... Anche se il Cervera riuscisse ad entrare in qualche porto cubano nulla potrebbe poi tentare. La flotta americana è tre o quattro volte superiore.

— Lo so, signor Guaymo. Tutt’al più potrà cooperare alla [p. 215 modifica]difesa di Santiago o dell’Avana, ma niente di più. Signor Guaymo, ora che abbiamo parlato perfino troppo di guerra, andiamo a trovare la marchesa del Castillo. Sono assai curioso di conoscere la Capitana del Yucatan. Si dicono meraviglie sul suo conto.

— Non è necessario andarla a trovare.

— E perchè?

— Perchè la marchesa è già qui.

— Davvero?

— Ho dato ordine di farla venire. Ehi, Miko, fa introdurre la prigioniera. —

Mentre il negro usciva, Cordoba lanciò ai suoi compagni un rapido sguardo che voleva significare:

— Badate di non tradirvi. —