La Teseide/Libro primo
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LA TESEIDE
LIBRO PRIMO
ARGOMENTO
La prima parte di questo libretto
A chi ’l riguarda mostra apertamente
La cagion che Teseo fece fervente
A vengiar delle Amazzone il difetto:
E come el fosse in Scitïa provetto
Col suo navilio e con l’armata gente,
E come il suo discender primamente
Gli fosse dalle Amazzone interdetto;
Mostrando appresso come discendesse
Per viva forza; e come combattendo
Con quelle donne poscia le vincesse,
L’assedio poi alla città ponendo;
E come a patti Ippolita si desse,
Con pace lui per marito prendendo.
1
O Sorelle Castalie, che nel monte
Elicona contente dimorate
D’intorno al sacro gorgoneo fonte,
Sottesso l’ombra delle frondi amate
Da Febo, delle quali ancor la fronte
Spero d’ornarmi sol che ’l concediate,
Le sante orecchie a’ miei preghi porgete,
E quegli udite come voi dovete.
2
E’ m’è venuta voglia con pietosa
Rima di scriver una storia antica,
Tanto negli anni riposta e nascosa,
Che latino autor non par ne dica,
Per quel ch’i’ senta, in libro alcuna cosa.
Dunque sì fate che la mia fatica
Sia grazïosa a chi ne fia lettore,
O in altra maniera ascoltatore.
3
Siate presenti, o Marte rubicondo,
Nelle tue armi rigido e feroce,
E tu, Madre d’Amor, col tuo giocondo
E lieto aspetto, e ’l tuo Figliuol veloce
Co’ dardi suoi possenti in ogni mondo;
E sostenete la mano e la voce
Di me, che intendo i vostri effetti dire
Con poco bene e pien d’assai martíre.
4
E voi, nel cui cospetto il dir presente
Forse verrà, com’io spero ancora,
Quant’io più posso prego umilemente,
Per quel signor ch’e’ gentili innamora,
Che attendiate con intera mente:
Voi udirete com’egli scolora
Ne’ casi avversi ciascun suo seguace,
E come dopo affanno e’ doni pace.
5
E questo con assai chiara ragione
Comprenderete, udendo raccontare
D’Arcita i fatti e del buon Palemone,
Di real sangue nati, come appare,
E amenduni Tebani, e a quistione,
Parenti essendo, per superchio amare
Emilia bella, vennero, Amazzona,
D’onde l’un d’essi perdè la persona.
6
Al tempo che Egeo re d’Atene era,
Fur donne in Scitia crude e dispiatate
Alle qua’ forse parea cosa fera
Esser da’ maschi lor signoreggiate;
Perchè adunate con sentenza altera
Diliberar non esser soggiogate,
Ma di voler per lor la signoria,
E trovar modo a fornir lor follia.
7
E come fér le nipoti di Belo
Nel tempo cheto agli novelli sposi,
Così costor ciascuna col suo telo
Da’ maschi suoi gli spirti sanguinosi
Cacciò, lasciando lor di mortal gelo
Tututti freddi in modi dispettosi:
E in cotal modo libere si fero,
Benchè poi mantenersi non potero.
8
Recato adunque co’ ferri ad effetto
Lor mal voler, voller maestra e duce
Che correggesse ciascun lor difetto,
Ed a ben viver desse forma e luce.
Nè a tal voglia dier lungo rispetto,
Ma delle donne che ’l loco produce
Elesser per reina in la lor terra
Ippolita gentil mastra di guerra.
9
La quale ancora che femmina fosse,
E di bellezza piena oltra misura,
Prese la signoria, e si rimosse
Da sè ciascuna femminil paura;
Ed in tal guisa ordinò le sue posse,
Che ’l regno suo e sè fece sicura;
Nè di vicine genti avea dottanza,
Sì si fidava nella sua possanza.
10
Regnando adunque animosa costei,
Alle sue donne fe’ comandamento,
Che Greci, o Traci, Egizii o Sabei,
Nè uomin altri alcun nel tenimento
Entrar lasciasson, s’elle avean di lei
La grazia cara, ma ciascuno spento
Di vita fosse che vi si accostasse,
Se subito il terren non isgombrasse.
11
Se per ventura lì fosser venute
Femmine di qual parte si volesse,
Da lor benignamente ricevute
Comandò fosser, e se a lor piacesse
D’esser con loro insieme, ritenute
Dovesson esser, sicchè si riempiesse
Il loco di color ch’ivi morieno
Di quelle che d’altronde lì venieno.
12
Sotto tal legge più anni quel regno
Stette, ed i porti furon ben guardati:
Sicchè non vi venía nave nè legno,
O da fortuna o da altro menati
Che fosser lì, che non lasciasser pegno
Oltra al piacer di loro, e malmenati
Lor conveniva del luogo fuggire,
Se non volevan miseri morire.
13
A questo scotto i Greci assai sovente
Incappavan per lor disavventura:
Perchè a Teseo il lor signor possente
Duca di Atene spesso con rancura
Eran porti richiami di tal gente,
E di lor crudeltade a dismisura:
Ond’egli in sè di ciò forte crucciato
Propose di purgar cotal peccato.
14
Marte tornava allora sanguinoso
Dal bosco, dentro al qual guidata avea
Con tristo agurio del re furïoso
Di Tebe l’aspra schiera, e si tenea
Lo scudo di Tideo, il qual pomposo
Della vittoria, siccome potea,
Ad una quercia l’aveva appiccato
Cotal qual era, a Marte consagrato.
15
E in cotal guisa in Tracia ritornando,
Si fe’ sentire al crucciato Teseo,
In lui di sè un fier caldo lasciando.
E col suo carro avanti procedeo,
Dovunque e’ giva lo cielo infiammando;
Poi nelle valli del monte Rifeo
Ne’ templi suoi posando si raffisse,
Sperando ben che ciò che fu avvenisse.
16
Quinci Teseo magnanimo chiamare
Li baron greci fe’ , e a lor propose
Ch’egli intendea voler vendicare
La crudeltà e l’opere noiose
Amazzoni donne, ed a ciò fare
Richiese lor, nelle cui virtuose
Opere si fidava: e ciascun tosto
Rispose, sè al suo piacer disposto.
17
Commossi adunque i popoli d’intorno,
Qual per dovere e qual per amistate,
Tutti in Atene in un nomato giorno
Si ragunar con quella quantitate
Ch’ognun potea, e senza far soggiorno,
Sopra le navi già apparecchiate
Cavalli ed arme ciascun caricava
Con ciò che a fare oste bisognava.
18
E quando e’ parve tempo al buon Teseo
Di navicar, veggendol chiaro e bello,
Tutta la gente sua raccoglier feo
Con debito dover; siccome quello
Che altravolta il buon partito e ’l reo
Del mar provato aveva, e piano e fello,
E nel mar col suo stuol tutto si trasse,
Vento aspettando ch’al gir gl’invitasse.
19
Essendo a tal partito sopra l’onde
La greca gente bene apparecchiata,
La notte che le cose ci nasconde
Aveva l’aria tututta occupata:
Onde alcun dorme, e tal guarda e risponde,
E così infino alla stella levata;
La qual sì tosto com’ella appario,
L’ammiraglio dell’oste si sentio.
20
A riguardare il ciel col viso alzato
Tutto si diede, e quindi fe’ chiamare
I marinai, dicendo: egli è levato
Prospero vento, onde mi par d’andare
A nostra via: e però sia spiegato
Ciaschedun vel senza più dimorare.
Ed e’ fu fatto il suo comandamento,
E quindi si partir con util vento.
21
Ma la corrente fama, che trasporta
Con più veloce corso ch’altra cosa
Qualunque opera fatta dritta o torta,
Senza mai dare alli suoi passi posa,
Cotal novella tosto la rapporta
Ad Ippolita bella e grazïosa,
E in pensiero la pon di sua difesa,
Di mal talento e di furore accesa.
22
Ma poichè l’ira alquanto fu affreddata,
Con utile consiglio, immantinente
Di volersi difendere avvisata,
Fece chiamar ciascuna di presente
Donna che nel suo regno era pregiata,
E tutte a sè venisser tostamente:
Alle qua’ poi in pubblico consiglio
A parlar cominciò con cotal piglio.
23
Perciocchè voi in questo vostro regno
Coronata m’avete, e’ s’appartiene
A me di porre e la forza e lo ’ngegno
Per la salute vostra, e si conviene,
Senza passar di mio dovere il segno,
Nel prestar guiderdone e porger pene:
Ond’io, a ciò sollecita, chiamate
V’ho perchè voi a me con voi atiate.
24
Non vede il sol, che senza dimorare
D’intorno sempre ci si gira, in terra
Donne quanto voi siete da pregiare;
Le qua’, se in ciò il mio parer non erra,
Per voler viril animo mostrare
Contro a Cupido avete preso guerra:
E quel ch’all’altre più piace fuggite,
Uomini fatte, non femmine ardite.
25
E che questo sia vero assai aperto
Non ha gran tempo ancora il dimostraste,
Allor ch’Amor nè paura nè merto
Non vi ritenne, che voi non mandaste
A compimento il vostro pensier certo
Quando da servitù vi liberaste:
Nell’arme sempre esercitate poi
Cacciando ogni atto femminil da voi.
26
Ma se mai viril animo teneste,
Ora bisogno fa, per quel ch’io senta;
Perciocchè voi, siccom’io, intendeste
Che ’l gran Teseo di venir s’argomenta
Sopra di noi avendoci moleste,
Perchè nostro piacer non si contenta
Di quel che l’altre, ciò è soggiacere
Agli uomini, facendo il lor volere.
27
Al suo inimicarci altra cagione
Veder non so, nè credo voi veggiate;
Perocchè mai alcuna offensione
Ver lui non commettemmo, onde assaltate
Dovessim essere: e questa ragione
Assai è vôta di degna onestate;
Perocchè non fa mal quel che s’aiuta
Per aver libertà, se l’ha perduta.
28
Ma qual che siasi la cagion che il mova,
A noi il difender resta solamente,
Sicchè non vinca per forza la prova:
Laond’io vi richieggio umilemente
E prego, se in cotal vita vi giova
Di viver qual noi tegnamo al presente,
Che l’animo, lo ingegno ed ogni possa
Mettiate contro a chi guerra ci ha mossa.
29
Nè vi metta paura coscïenza
D’aver peccato negli uomini vostri,
Chè morte loro la lor sconoscenza
Licita impetrò nelli cori nostri:
Che non stimavan che d’egual semenza
Che lor nascessim, ma come da mostri,
Da querce ovver da grotte partorite,
Eravam poco qui da lor gradite.
30
Essi tenevan l’altezze e gli onori
Senza participarle a noi giammai,
Le quali eravam degne di maggiori
Che alcun di loro, a dir lo vero, assai:
Perchè di ciò gl’iddii superïori
Rison che noi facemmo; e sempre mai
Ci avranno per miglior, l’altre schernendo,
Che per viltà si van sottomettendo.
31
Nè vi spaventi il nome di costoro,
Perchè sien Greci, che non son guerniti
Di forza divisata da coloro
Che nel passato fur vostri mariti:
Se fiere vi mostrate verso loro,
E’ non saranno verso voi arditi:
Chè niun può più che un uom chi ch’e’ si sia sia;
Perciò da voi cacciate codardia.
32
Non risparmiate qui, donne, il valore,
Non risparmiate l’arme non l’ardire,
Non risparmiate il morire ad onore,
Considerate ciò che può seguire
Dall’esser vigorose, o con timore:
Voi non avrete avale a far morire
Padre o figliuol che vi faccia pietose,
Ma inimiche genti a voi odiose.
33
Ritorni in voi aval quella fierezza
Che in quella notte fu quando ciascuna
Mai non usata usò crudele asprezza
Ne’ padri e ne’ figliuoi: nè sia nessuna
Che qui, se degl’iddii la forza apprezza,
Stea per aver nosco egual fortuna,
Usi pietà; altrove che qui morta
I’ la comando in ogni donna accorta.
34
Benchè forse gl’iddii non ne saranno
Contrarii, per la nostra gran ragione:
Anzi se giusti son n’aiuteranno,
Dimenticando quel, se fu offensione:
E se atarci forse non vorranno,
Il danno suppliran nostre persone
Contro a colui che si muove a gran torto
Per navicare in verso il nostro porto.
35
E acciocchè non ponga in più parole
Il tempo, il qual ne bisogna al presente,
A ciascheduna che libertà vuole
Ricordo e prego ch’ella sia valente:
Ed a qual morte per libertà duole,
Dipartasi da noi immantinente:
Noi varrem molto me’ senza colei.
E così detto, si tacque costei.
36
Grande fu tra le donne il favellare,
Quasi pendendo tutte in tal sentenza,
Di dover pure a Teseo dimostrare
Quanta e qual fosse la lor gran potenza,
Sed egli ardisse a’ lor porti appressare:
Perchè senza null’altra resistenza
Sè offerse ciascuna in fino a morte
Alla reina vigorosa e forte.
37
Ippolita poi le profferte intese,
Senza dimora i porti fe’ guernire,
E le miglior del regno alle difese
Senza nessun indugio fece gire;
Ed in tal guisa armò il suo paese,
Ch’assai sicura poteva dormire,
Se soperchio di gente oltre pensata
Non fosse, come fu, su quello entrata.
38
Nè altrimenti il cinghiar ch’ha sentiti
Nel bosco i can fremire e i cacciatori,
I denti batte, e rugghia, e gli spediti
Sentieri usa a salute; e pe’ romori
Ch’egli ha ’n qua e ’n là, in su e in giù uditi
Non sa quai vie per lui si sien migliori,
Ma ora in giù ed ora in su correndo,
Sino al bisogno incerto va fuggendo.
39
Così facea costei per lo suo regno,
In dubbio da qual parte quivi vegna
Teseo, o con che arte ovvero ingegno:
Onde gire a ciascuna non isdegna,
Nè di pregar che ciascheduna al segno
Di quel ch’ha imposto ben ferma si tegna:
Perocchè se a tal punto son vincenti,
Più non cal lor curar mai d’altre genti.
40
L’alto duca Teseo con tempo eletto
Al suo viaggio lieto navicava;
Passando pria Macron sanza interdetto,
Ad Andro le sue prode dirizzava:
Il qual lasciato con sommo diletto
Pervenne a Tenedos, e quel lasciava
Entrando poi nel mar, che all’abideo
Leandro fu soave e poscia reo.
41
E oltre quel cammin che Frisso tenne
Allor che la sorella cadde in mare
Servò fin ch’al Bisanzio poi pervenne:
Quivi fatta sua gente rinfrescare,
Per piccola stagion vi si ritenne:
E come del mar Tanas ad entrare
Incominciò, così delle donzelle
Le terre vide grazïose e belle.
42
E come lioncel cui fame punge,
Il qual più fier diventa e più ardito
Come la preda conosce da lunge,
Vibrando i crin con ardente appetito,
E l’unghie e’ denti aguzza, in fin l’aggiunge:
Cotal Teseo rimirando spedito
Il regno di color, divenne fiero,
Volonteroso a fare il suo pensiero.
43
Esso mandò solenni avvisatori
A discerner la più leggiera scesa,
I qua’ mirando d’intorno e di fuori
Le rive tutte colla mente intesa,
Tornarono avvisati da’ migliori
Dove discender con minore offesa
Potessero, e al duca il raccontaro,
E in quella parte lo stuol dirizzaro.
44
Quindi Teseo per due de’ suoi baroni
Significare ad Ippolita feo
La sua venuta, e ancora le cagioni:
E oltre a questo sì le concedeo
Termine a poter fare eccezïoni
Ne’ patti fatti a lei, se per men reo
Consiglio forse le fosse piaciuta
La pace pria che fosse combattuta.
45
Ma di que’ patti ch’egli dimandava
Da lei neuno ne fu accettato;
Anzi di lui assai si rammarcava
Pur di quel tanto ch’aveva operato;
Riprendendol di ciò che s’impacciava
Fuori del regno suo nell’altrui stato:
Ma che, s’ella potesse, ancor pentere
Nel farà tosto, e ciò l’era in calere.
46
Tornaron que’ con sì fatta risposta,
Qual fu lor data, senza star niente,
E a Teseo davanti l’han disposta,
Il quale l’udì mal pazientemente,
Dicendo: poco a questa donna costa
Così rispondere, ma certamente
I’ la trarrò d’error, se ’l cor non erra:
Quinci gridò: Signori, ogni uomo a terra.
47
A questa voce i legni fur tirati
Quasi in sul lito, e volendo smontare,
Già le scale poneano; quando alzati
Gli occhi ad un bel castel vicino al mare
Sopr’una montagnetta, onde calati
I ponti, gente vidono avvallare
Ben a cavallo armati, e in sulla rena
In prima fur che ’l vedessono appena.
48
E quasi presi d’ogni parte i passi,
Con archi in mano or qua or là correndo,
Traendo le saette de’ turcassi
Con viva forza givan difendendo
Tagliate fatte avanti, e di gran sassi
I balzi a grosse schiere provvedendo;
Arpalice era questa che ’l faceva,
A cui commesso Ippolita l’aveva.
49
Il gran Teseo magnifico barone
Poichè co’ suoi alle terre pervenne,
Vedendole guernite, per ragione
Per savie donne in l’animo le tenne:
Ed alquanto mutato d’opinione,
Fra mar lo stuolo suo fermo ritenne;
Poi fe’ ciascun de’ suoi apparecchiare,
Diliberando pur volervi entrare.
50
Poichè ciascun fu bene apparecchiato,
In verso ’l porto si tiraro i legni
Per scendere nel luogo divisato;
Si fero avanti li baron più degni,
E in quel modo ch’avieno ordinato
Gittaro in terra scale e altri ingegni:
Ma troppo fu più forte lor la scesa,
Che non fu ’l dilivrar cotale impresa.
51
Egli eran quasi colle poppe in terra
Degli lor legni i Greci tutti quanti,
E con ogni artificio utile a guerra
Arditamente si traeano avanti:
Ma bene era risposto, se non erra
La mente mia, a lor da tutti i canti;
Perocchè quelle donne saettando
Forte, li giano ognora danneggiando.
52
Esse gittavan fuoco spessamente
Sopra l’armate navi, il quale acceso
Molto offendeva i Greci; e similmente
Con artifizii e pietre di gran peso,
Che rompevan le navi di presente
Dove giugnean se non era difeso:
E oltre a questo, pece, olio e sapone
Sopra lo stuol gittavano a fusone.
53
Battaglia manual nulla non v’era,
Perciocchè ancora non avien potuto
Prendere i Greci di quella rivera
Parte nessuna; e ’l conforto e l’aiuto
Del buon Teseo per niente gli era;
Anzi pareva ciaschedun perduto,
Di quelle donne mirando le schiere
Crescere ognora e diventar più fiere.
54
Di dardi, di saette e di quadrella
Non fo menzion, che ’l ciel n’era coperto,
Ed occupata tutta l’aria bella,
Gittando l’uno all’altro; e per lo certo
Battaglia non fu mai sì dura e fella,
Nè in alcuna mai tanto sofferto:
Molti ve ne fediea le donne accorte,
Benchè di loro alcune fosser morte.
55
Grandi eran quivi le grida e ’l romore
Che le donne facieno e i marinari,
Tal che Nettuno e Glauco mai maggiore
Sentito non l’aveano: i duoli amari
Ch’a’ marinar fediti giano al core
Eran cagion di molto, perchè rari
Ve n’eran che nel capo, o nel costato,
O in altra parte non fosse piagato.
56
Il sangue lor vedevan sopra l’onde
Con trista schiuma molto rosseggiare;
E male a’ Greci l’avviso risponde,
Poichè così si veggon malmenare:
E qual più core aveva or si nasconde,
Temendo delle donne il saettare;
Perciocchè ell’eran di cotal mestiere
Più ch’altre somme, vigorose e fiere.
57
Teseo, che d’altra parte riguardava
La falsa punta della greca gente,
Di rabbia tutto in sè si consumava,
Maladicendo il duro convenente,
E d’ultima vergogna dubitava,
E quasi uscia per doglia della mente;
Perchè sdegnoso al cielo il viso volto,
Così parlò, alto gridando molto.
58
O fiero Marte, o dispettoso Iddio,
Nimico alle nostre arme, i’ mi vergogno
D’aprirti con parole il mio disio:
E certo prego per cotal bisogno
Non averai nè sacrifizio pio;
Ma senza te la vittoria che agogno
Farò d’avere, o l’alma sanguinosa
Ad Acheronte n’andrà dolorosa.
59
Opera omai in male i tuoi rossori,
E contro a me le femmine fa’ forti
Con quell’arte che in Flegra i successori
D’Anteo vincesti; e fa’ che le conforti.
Quanto tu sai, e spargi i tuoi vapori
Sopra gli miei, che or fosser già morti:
Perocchè sol mi credo me’ valere
Ched io non fo con tutto il lor potere.
60
E tu, Minerva, che il sommo loco
Tra gl’iddii tieni in la nostra cittate,
Non aspettar da me altar nè foco,
Nè ch’io ti liti bestie in quantitate,
Nè che per te io adorni alcuno gioco
In onor fatto di tua maestate:
Aiuta pure a queste le qua’ sono
Teco d’un sesso, e me lascia in bandono.
61
Poi si rivolse a’ suoi con vista viva,
Con peggior piglio, e incominciò a dire:
Ah vituperio della gente achiva!
Ov’è fuggito il vostro grand’ardire?
È la forza di voi tanto cattiva
Che molli donne vi faccian fuggire?
Tornate adunque nelle vostre case,
E qua le donne vengan là rimase.
62
Il chiaro Apollo, il cielo, e il salso mare
Fien testimonii eterni ed immortali
Del vostro vile e tristo adoperare;
E porterà la fama i vostri mali
Con perpetuo nome, e voi mostrare
Farà a dito a gente diseguali,
Dicendo: vedi i cavalier dolenti,
Che vinti fur dall’amazzonee genti.
63
Fuggitevi di qui, vituperati,
Poi Marte più che voi donne sovviene,
E delli vostri arnesi dispogliati
Li lasciate vestire a chi conviene:
Or non era migliore che onorati
Di morte aveste sostenute pene,
Che con vergogna indietro rinculare,
Ed a donzelle lasciarvi cacciare?
64
Entri nell’armi adunque chi n’è degno,
L’altro le lasci che non vuole onore,
Morte pigliando per fuggire sdegno;
Ed a cui piace più con disonore
Vita, che pregio, non segua ’l mio segno,
Vivasi quanto vuol senza valore:
Ch’io sarò troppo più solo onorato,
Ch’essendo da cotali accompagnato.
65
O che avreste voi fatto se avversi
Vi fossero i Centauri addosso usciti?
Ed i Lapiti popoli diversi,
Turba dolente, uomini scherniti?
Credo nel mar vi sareste sommersi,
Poichè per donne vi siete fuggiti:
Or vi tornate e fate nuovo duca,
E Marte me siccome vuol conduca.
66
E questo detto, sotto l’armi chiuso
Tirar fe’ la sua nave in ver lo lito,
E senza scala por ne saltò giuso,
Nè si curò perchè fosse fedito
Da molte parti, ma siccome uso
Di tal mestier, più si mostrava ardito,
Sè riparando e di sopra e d’intorno,
E fuor dell’acqua uscì senza soggiorno.
67
Non altrimenti si gittano in mare
I marinai, il cui legno già rotto
Per la fortuna sentono affondare,
E chi più può, senza agli altri far motto
Briga notando di voler campare;
Che i Greci si gittar, tutti di botto,
Dietro a Teseo nell’acqua lui vedendo,
Nè ben nè male al suo dir rispondendo.
68
E sì gli avea vergogna speronati
Colle parole del fiero Teseo,
Ch’egli eran presti ed arditi tornati:
Perchè ciascun com più tosto poteo,
Così com’eran tututti bagnati,
E tai fediti, al suo duca si feo
Vicino, e fero in sul lito una schiera
Subitamente assai possente e fiera.
69
Fatta la schiera tal quale poteano
Nel marin lito, ov’essi eran discesi,
Perciocchè bene i luoghi non sapeano,
Nè seco avevan tutti i loro arnesi,
Al lor poter le donne sosteneano
D’alto vigor ne’ loro animi accesi,
Disposti a far gran cose in poca d’ora,
Purchè le donne lì faccian dimora.
70
Le donne in su’ cavalli forti e snelli
Givano armate in abito dispari,
E que’ correan come volanti uccelli,
Facendo spesso i loro colpi amari
Sentire a’ Greci, che ne’ campi belli
Eran discesi a piè non avia guari,
Or qua or là correndo, e ritornando,
Ispesso e rado i Greci molestando.
71
Così pugnavano alla morte loro,
Poichè potuto non avien la scesa
Colle lor forze vietare a coloro,
Li qua’ sentendo ognor crescer l’offesa,
Chieser di poter gir senza dimoro
Al duca lor ver quelle in lor difesa:
E poi a piè in fra le donne entraro,
Ed a combatter fieri incominciaro.
72
E fedirono allora arditamente,
Siccome que’ che ben lo sapien fare;
Ed a’ lor colpi non valea niente
Di quelle donne il presto riparare:
E se non fosse ch’eran poca gente,
A rispetto del lor moltiplicare,
Tosto le arebbon del campo cacciate,
O morte tutte, o ver prese e legate.
73
Ma il numero di lor ch’era infinito
Ognora la battaglia rinfrescava;
Questo contra Teseo fiero ed ardito
Il campo lungamente sostentava:
Ed esso senza riposo e spedito
Ferendo, or qua or là correndo andava;
Ed ammirar di sè ciascun facea,
Che in quello stormo mirar lo potea.
74
Nè altrimenti in fra le pecorelle
Si ficca il lupo per fame rabbioso,
Col morso strangolando or queste or quelle,
Fin ch’ha saziato il suo disio goloso,
Che facesse Teseo fra le donzelle,
A piè colla sua spada furïoso,
Coperto dello scudo ognor ferendo,
Or questa or quella misera uccidendo.
75
Così Teseo fieramente andando
Co’ suoi compagni in fra le donne ardite,
Molte ne gien per terra scavallando,
E morte quali, e quali altre fedite
Lasciando per lo campo: indi montando
Sopr’a’ cava’, che a redine sbandite
Le lor lasciate donne si fuggieno
Or qua or là così come potieno.
76
E già di lor gran parte eran montati
Per tal procaccio sopra i buon destrieri,
E tutti in sè di ciò riconfortati
Contra color ferivan volentieri,
Ed esse, lor vedendo inanimati
Più ch’al principio non erano e fieri,
Temendo cominciarono a voltare,
E ’l campo a’ Greci del tutto a lasciare.
77
Fuggiensi adunque nel castello tutte,
E dietro ad esse la duchessa loro,
E sopra l’alte mura fur ridutte
Armate senza fare alcun dimoro;
Fra lor dicendo: noi sarem distrutte
Se alle man pervegnamo di costoro;
E la sconfitta lor quasi non suta,
A ben guardar si dier la lor tenuta.
78
Era la terra forte e ben murata
Da ogni parte, e dentro ben guernita
Per sostenere assedio ogni fïata
Lunga stagion ch’ella fosse assalita:
Però ciascuna dentro bene armata
Non temeva nè morte nè fedita:
Chiuse le porte, al riparo intendieno,
E quasi i Greci niente temieno.
79
Come Teseo le vidde fuggire,
In un raccolse tutta la sua gente,
E comandò che le lasciasser gire.
Poi fe’ cercare il campo prestamente,
E fece i corpi morti seppellire:
E le fedite assai benignamente
Lasciò andar, senza ingiuria nessuna,
Là dove piacque di gire a ciascuna.
80
E in cotal guisa avendo preso il lito
Colla sua gente, malgrado di quelle,
In su un piccol poggio fu salito
Dirimpetto al castel delle donzelle,
E comandò che quel fosse guernito,
Sicchè resister si potesse ad elle
Senza battaglia, in fin che scaricate
Fosser le navi, e le genti posate.
81
I Greci prestamente scaricaro
Tutte le navi degli arnesi loro,
E altri in breve il poggetto afforzaro
Quanto poterno senz’alcun dimoro:
Nè dì nè notte mai non si posaro,
Che forte fu a contastar con loro:
Ben fer le donne loro ingombro assai,
Che d’assalirli non ristetter mai.
82
Poscia che i Greci furono afforzati
Sì che le donne niente temieno,
E’ legni loro in mar furon tirati,
Per corseggiar d’intorno ove potieno,
Ed i fediti furon medicati,
E quegli ancor che ’l mar temuto avieno
Posati fur, parve a Teseo che stare
Quivi porria più nuocer che giovare.
83
Ed esso ancor con sollecita cura,
Ch’al suo più presto spaccio più pensava,
Immaginò, che se intorno alle mura
Di quella terra il suo campo fermava,
E’ potrebbe avvenir peravventura
Che senza utile il tempo trapassava;
Perocchè, quando pure e’ succedesse,
Poco avria fatto perchè lor vincesse.
84
E tornandogli a mente come Alcide
All’Idra, che de’ suoi danni crescea,
Avea la vita tolta, seco vide
Che là dov’era Ippolita dovea
Sua prova far; perchè se lei conquide,
Più contasto nessun non vi sapea:
E per cotal pensiero il campo mosse
Per gir colà dove Ippolita fosse.
85
Corse la fama per tutto ’l paese
Della sconfitta fatta tostamente;
Perchè ciascuna sè alle difese
Si metteva di sè velocemente:
Ma quella cui tal cosa più offese
Ippolita è da creder certamente;
La qual, poichè così la cosa andare
Vide, propose di volersi atare.
86
Nè fu stordita per quella sciagura;
Ma le sue donne a sè chiamò, dicendo:
A ciascuna conviene esser sicura,
Non dico in campo Teseo combattendo,
Ma nel difender ben le nostre mura,
Le quali ad assalir vien come intendo:
Perocchè non potrà lunga stagione
Dimorar qui per nulla condizione.
87
Noi siam di ciò ch’al vivere è mestiere
Fornite bene, e la terra è sì forte,
Che non è così ardito cavaliere,
(Se al guardar vorremo essere accorte)
Che appressar ci si possa, che pentere
Non ne facciam, forse con trista morte:
Quando ci fieno stati, e’ vederanno
Il nostro ardir, per vinti se n’andranno.
88
Dunque se mai amaste libertade,
Se vi fu caro mai il mio onore,
Ora mostrate vostra nobiltade,
Ora si scuopra l’ardire e ’l valore
Ver chi s’appressa alla nostra cittade
Per voler noi di quella trarne fore:
Eterna fama ora acquistar potete,
Se ben contra Teseo vi difendete.
89
E questo detto niente interpose,
Ma ciò che seco aveva divisato,
Fece, dando ordine a tutte le cose;
Per le mura ponendo in ogni lato
A guardia savie donne e valorose,
Facendo ancora ognun altro apparato
Che a tal cosa bisogna, sempre andando
Or questa or quella sempre confortando.
90
E per salute ancor delle sue genti
Gran doni a’ templi poi fece portare,
Gl’iddii pregando che negli emergenti
Casi dovesser lor pietosi atare,
Quinci adoprando tutti gli argomenti
Ch’a sua difesa potevan giovare:
E guernita così, come poteo,
Colle sue donne aspettava Teseo.
91
Poichè Teseo si fu di quel loco
Partito, onde le donne avea cacciate;
Alla città sen venne in tempo poco,
Dove Ippolita e molte erano armate:
Ei giurò per Vulcano iddio del fuoco
Di non partirsi mai, se conquistate
Da lui non fosser per forza o per patti
Prima egli e’ suoi vi sarebbon disfatti.
92
E fe’ tender trabacche e padiglioni,
Ed afforzar suo campo di steccati,
A’ cavalier dicendo e a’ pedoni
Ch’essi facessero e tende e frascati;
E che di lor nessun giammai ragioni
Di ritornare a’ suoi liti lasciati,
Se Ippolita pria non si vinceva
Così come con lor proposto aveva.
93
E fe’ rizzar trabocchi e manganelle,
E torri per combattere alle mura;
E fe’ far gatti, ed alle mura belle
Spesso faceva con essi paura;
E con battaglia spesso le donzelle
Assaliva con sua gente sicura;
Ma di tal cor guernite le trovava,
Che poco assalto o altro gli giovava.
94
Egli stette più mesi a tal berzaglio,
E poco v’acquistò, anzi niente,
Fuor che paura e onta con travaglio,
Perchè le donne dentro assai sovente
Di morte si metteano a repentaglio
Predando sopra loro arditamente:
Cotanto s’eran già assicurate,
Per non potere esser soperchiate.
95
Di ciò era Teseo assai crucciato,
E nel pensiero sempre gía cercando
Come potesse abbatter loro stato;
Un dì n’avvenne ch’egli cavalcando
Alla terra d’intorno, fu avvisato
Ch’ella si arebbe sotterra cavando:
E perchè avea maestri di tal’arti,
Cavar la fe’ da una delle parti.
96
Quando la donna del cavare intese,
Dubbiò, e tosto di mura novelle
Un cerchio dentro più stretto comprese,
Il qual fer tosto e donne e damigelle:
Appresso inchiostro e carta tosto prese,
E colle mani dilicate e belle
Una lettera scrisse, e trovar feo
Due savie donne, e mandolle a Teseo.
97
Eran le donne belle e di gran cuore,
Con compagnia leggiadra e disarmate,
Vestite in drappi di molto valore;
Le qua’ giunte nel campo fur menate
Da’ maggior Greci davanti al signore,
Le quali assai da lui prima onorate
La lettera gli diero, e la risposta
Addomandaron grazïosa e tosta.
98
Teseo la prese assai benignamente,
E innanzi a sè chiamati i suoi baroni
Insieme con molt’altra buona gente,
Disse: signori, le donne amazzoni
Questa lettera mandan veramente;
Però l’udite, e con belle ragioni
Lor si risponda: e poi la fece aprire,
E legger sì che ognun potesse udire.
99
La lettera era di cotal tenore:
A te Teseo alto duca d’Atene
Ippolita regina di valore
Salute, se a te dir si conviene,
E accrescimento sempre di tuo onore,
Senza mancar di quel che m’appartiene,
E pace con ciascuno, ed ancor meco,
Che ho ragion di aver guerra con teco.
100
I’ ho veduta la tua gente forte
Ne’ porti miei con isforzata mano;
Tal che sarebbe paura di morte
Data a qualunque popol più sovrano
Fuor ch’alle donne mie di guerra scorte
Più ch’altra gente che al mondo siano,
Le qua’ di que’ cacciasti assai superbo,
Delle qua’ meco una parte ne serbo.
101
E poi venuto se’ ad assediarmi
Come nimica d’ogni tuo piacere,
E più volte provate hai le tue armi
Alle mie mura, e ancora potere
Da quelle non avesti di cacciarmi,
Perchè, per adempier lo reo volere
Ch’hai contro a me, la terra fai cavare,
Per poi potermi senza arme pigliare.
102
Certo di ciò la cagion non conosco,
Ch’io non t’offesi mai, nè son Medea
Che per invidia ti voglia dar tosco:
Anzi la tua virtù sì mi piacea,
Quando si ragionava talor nosco,
E di vederti gran disio avea,
E ancora disiava tua contezza,
Tanto gradiva tua somma prodezza.
103
Ma di ciò veggio contrario l’effetto,
Considerando la tua nuova impresa;
Pensando che non ci abbia alcun difetto
Commesso, e sia subitamente offesa,
Senza aver io di te alcun sospetto:
Di che nel core non poco mi pesa.
E non men forse per la tua virtute,
Ch’io faccia per la mia propria salute.
104
Tu non hai fatto come cavaliere
Che contro a par piglia debita guerra:
Ma come disleal uom barattiere
Subitamente assalisti mia terra,
E come vile e cattivo guerriere
Mai non pensasti, se ’l mio cor non erra,
Che ’l guerreggiar con donne e aver vittoria
Del vincitore è più biasmo che gloria.
105
Ben ti dovresti di ciò vergognare,
Se figliuol se’ com’ di’ del buono Egeo;
Nè ti dovresti con arme appressare
Alle mia mura. E già se ne penteo
Chi ha volute mie forze provare;
Perocchè mal sembiante mai non feo
Nessuna ancora delle mie donzelle,
Che tutte sono ardite prodi e snelle.
106
Ma poscia che le mie forze provate,
E il tuo pensiero hai ritrovato vano,
Diverse vie hai sotterra trovate
Per avermi prigione a salva mano:
Ma non sarà così in veritate;
Chè già ci è preso il rimedio sovrano,
E di combattere in oscura parte,
Non è di buon guerrier mestier nè arte.
107
Dunque mi lascia in pace per tuo onore,
Senza voler più tua fama guastare,
Che ti perdono ciascun disonore
Che fatto m’hai, o mi volessi fare:
E se nol fai, con forze e con dolore
I’ ti farò la mia terra sgombrare:
Nè qui mi troverai qual festi al lito,
Perch’io ti giucherò d’altro partito.
108
Quando Teseo la lettera ebbe udita,
A’ suoi baroni e’ disse sorridendo:
Beato a me che campato ho la vita
Mercè di questa donna, che ammonendo
Mi manda, acciocchè mia fama fiorita
Tra le genti dimori, me vivendo.
Poi si rivolse a quelle donne, e disse:
Tosto risposto fia a chi ne scrisse.
109
In cotal guisa fe’ scrivere allora:
Ippolita reina alta e possente,
La quale il popol femminile onora,
Teseo duca d’Atene e la sua gente,
Salute tal qual ti bisogna ora,
Cioè la grazia mia veracemente:
Una tua lettera e messi vedemo,
Per questa ad essa così rispondemo.
110
Chi ’l nostro popolo uccide e discaccia
Delle sue terre, a noi fa villania:
Però se adoperiam le nostre braccia
In far vendetta, grande onor ci fia;
Nè viltà nulla i nostri cuori impaccia
Se sottoterra cerchiam di far via
Per lo tuo orgoglio volere abbassare,
Ma facciam quel che buon guerrier dee fare.
111
Cioè prendere vantaggio, acciocchè i suoi
Più salvi sieno, e vincasi il nimico;
E tosto ci vedrai ne’ cerchi tuoi
Della città, nè mica come amico,
Se non t’arrendi tostamente a noi,
Uccidendo e tagliando: ond’io ti dico
Che ’l mio comando facci, ed avrai pace;
Chè in altra maniera non mi piace.
112
E poi ch’egli ebbe scritte e suggellate
Le lettere, donolle alle donzelle,
Le quali avanti avea molto onorate:
Ed a caval salito poi con quelle,
E tutte le sue forze a lor mostrate,
E similmente alle cave con elle
Entrò, e fece lor chiaro vedere
Le mura puntellate per cadere.
113
Poi disse loro: o messaggere care,
Alla reina vostra tornerete:
E in verità potrete raccontare
Ciò che apertamente qui vedete;
Sicchè le piaccia di non farmi fare
Asprezza contro a quantunque voi siete,
E contro a lei, la qual mi par valente;
Ch’io ne sarei poi più di voi dolente.
114
Le damigelle allor preson commiato,
Dicendo: signor nostro, volentieri:
E nella terra per occulto lato
Si ritornar, non per mastri sentieri:
Ed alla donna lor tutto contato
Ciò ch’han veduto in fra que’ cavalieri:
Poi le lettere hanno presentate,
Le qua’ fur lette tosto ed ascoltate.
115
Poichè di quelle Ippolita il tenore
Ebbe compreso, e ’l dir delle donzelle,
Nel cor sentì grandissimo dolore,
E similmente sentir quante quelle
Ch’eran presenti ch’avesson valore,
Pensose assai e nell’aspetto felle:
Ma dopo alquanto Ippolita chiedendo
Con mano udirsi, cominciò dicendo:
116
Chiaro vedete, donne, a qual partito
Ci hanno gl’iddii recate, e non a torto;
Se di ciascuna fosse qui ’l marito,
Fratel, figliuolo, o padre, che fu morto
Da tutte noi, non sarie stato ardito
Teseo mai d’appressarsi al nostro porto;
Ma perchè non ci sono e’ ci ha assaltate,
Come vedete, e ancora assediate.
117
Venere giustamente a noi crucciata
Col suo amico Marte il favoreggia;
E tanta forza a lui hanno donata
Che contro a nostro grado signoreggia:
D’intorno a noi ha la citta assediata,
E come vuole ognora ne danneggia,
Perocchè vie più che noi è forte;
Se noi non ci arrendiam, minaccia morte.
118
Però a noi bisogna di pigliare
De’ due partiti l’un subitamente:
O contro a lui ancora riprovare
Le forze nostre in campo virilmente,
O a lui, poichè ci vuol, ci vogliam dare:
Perocchè qui più tenerci niente
Noi non possiam; chè, come voi sapete,
Le mura in terra tosto vederete.
119
E ’l dir che noi con esso combattiamo
Mi par che sia assai folle pensiero;
Perciocchè tutte quante conosciamo
La gente sua, e lui ardito e fiero:
E se ancora ben ci ricordiamo,
E con noi stesse vogliam dire il vero,
Noi lo provammo, non è molto ancora,
Di che noi ci pentemmo in poca d’ora.
120
E oltre a questo egli ha seco l’aiuto
Degli alti iddii, che noi han per nimiche;
E noi l’abbiamo assai chiaro veduto,
Che orazion, vigilie, nè fatiche,
Forza di corpo o atto provveduto
Campar non ci ha potuto, che mendiche
Della sua grazia esser non ci convenga,
Se noi vogliam che ’n vita ci sostenga.
121
Però terrei consiglio assai migliore
Renderci a lui, che del valor mondano,
Per quel ch’i’ senta, egli ha il pregio e l’onore;
Ed è, a chi s’umilia, umile e piano:
E già non ci sarà a disonore,
Se vinte siam da uomo sì sovrano:
Perciò che ogni uom per femmine ci tiene
Come noi siamo, e lui duca d’Atene.
122
Tacquesi qui: ma un grande mormorio
In fra le donne surse, lei udita:
L’una reputa buono, e l’altra rio
Cotal consiglio; ma nessuna ardita
È di dir contra e d’aprir suo disio:
Perchè cotal sentenza diffinita
Per le più sagge fu, che si mandasse
Chi con Teseo per lor patti trattasse.
123
Poichè cotal sentenza fu fermata,
Ippolita due donne fe’ venire,
Polista e Dinastora, e informata
Ebbe ciascuna di ciò ch’hanno a dire:
E poichè libertà loro ebbe data
Quanta ne bisognava a ciò fornire,
Disse: omai donne a vostra posta andate,
Ma senza pace qui non ritornate.
124
Fur costoro a Teseo, ed e’ con esse;
E dopo lungo d’una e d’altra cosa
Parlar, fermarsi, che esso prendesse
Ippolita per sua eterna sposa,
E che la terra per lui si reggesse
Sotto le leggi della valorosa
Ippolita reina: ed accordarsi
Con molti altri più patti, e ritornarsi.
125
Ippolita era a maraviglia bella,
E di valore accesa nel coraggio:
Ella sembrava mattutina stella,
O fresca rosa del mese di maggio;
Giovane assai, e ancora pulcella,
Ricca d’avere, e di real legnaggio,
Savia e ben costumata, e per natura
Nell’arme ardita e fiera oltre misura.
126
A cui le donne da Teseo venute,
Ed a molte altre i patti raccontaro;
Recando a tutte da Teseo salute,
Il che fu alle più grazioso e caro:
E poi che fur le parole compiute,
Le donne l’armi di botto lasciaro:
Ed ella comandò, per suo amore,
Che a Teseo e a’ suoi sia fatto onore.
127
Poscia che furono i patti fermati,
Teseo co’ suoi montati in su’ destrieri,
E’ più di loro essendo disarmati,
A piccol passo i lieti cavalieri
Senza contasto in la città menati,
Nella qual ricevuti volentieri
Umili d’essa preser possessione
Senza fare ad alcuna offensione.
128
Incontro venne sopra un bel destriere
Al suo Teseo Ippolita reina,
E più bella che rosa di verziere
Con lei veniva una chiara fantina,
Emilia chiamata al mio parere,
D’Ippolita sorella piccolina;
E dopo lor molte altre ne venieno
Ornate e belle quanto più potieno.
129
E ’n cotal guisa con solenne onore
Ricevetter Teseo e la sua gente;
Nè fu guari di lì lontano Amore,
Ma co’ suoi dardi molto prestamente,
E molti ancora ne ferì nel core:
E se n’andaron molto lietamente
Fin al palagio, e quivi dismontaro,
E in su quello Teseo accompagnaro.
130
Egli era bello, e d’ogni parte ornato
Di drappi d’oro e d’altri cari arnesi
Per ogni cosa ricco e bene agiato:
Ma Teseo gli occhi non teneva attesi
A ciò guardar, ma ’l viso dilicato
D’Ippolita mirando, con accesi
Sospir dicea: costei trapassa Elena,
Cui io furai d’ogni bellezza piena.
131
Egli avea già nel cor quella saetta,
La qual Cupido suole aver più cara;
E seco nella mente si diletta,
D’aver per cotal donna tanto amara
Fatica sostenuta; e lieto aspetta
D’avere in braccio quella stella chiara:
Parendogli colei assai più degno
Acquisto che tututto l’altro regno.
132
Le donne avieno cambiati sembianti
Ponendo in terra l’armi rugginose,
E tornate eran quali eran davanti
Belle, leggiadre, fresche e grazïose;
Ed ora in lieti motti e ’n dolci canti
Mutate avien le voci rigogliose:
E’ passi avevan piccioli tornati,
Che pria nell’armi grandi erano stati.
133
E la vergogna, la qual discacciata
Avean la notte orribile, uccidendo
I lor mariti, loro era tornata
Ne’ freschi visi, gli uomini veggendo:
E sì era del tutto trasmutata
La real corte, a quel che prima essendo
Senz’uomini le femmine parea,
Che appena alcuna di loro il credea.
134
Ripresi adunque i lasciati ornamenti,
Di Citerea il tempio fero aprire,
Serrato ne’ lor primi mutamenti;
Qui fe’ Teseo Ippolita venire,
E dati i sagrifizii riverenti
A Venere, sposò con gran disire,
Ippolita, l’aiuto d’Imeneo
Chiamando, quivi il gran baron Teseo.
135
Molte altre donne a’ greci cavalieri
Si sposarono allora lietamente,
E per signor gli preson volentieri,
Come avean gli altri avuti primamente.
Con giuramenti santissimi e veri
Lor promettendo che al lor vivente
Nella prima follia non tornerieno,
E che lor cari sempre mai averieno.
136
Tra l’altre belle vedove e donzelle
Che fossono in quel loco, una ve n’era
Che di bellezza passava le belle,
Come la rosa i fior di primavera:
La qual Teseo veggendola tra quelle,
Fe’ prestamente domandar chi era:
Detto gli fu, sorella alla reina,
Emilia nominata la fantina.
137
Piacque a Teseo la bella donzelletta,
Non meno ch’alcun’altra che vi fosse:
E ancor che gli paresse giovinetta,
Nella sua mente già determinosse
Che ad Acate sua cosa distretta
Per moglie la darà: quindi si mosse,
E al palazzo reale ritornaro,
Dove pien di letizia ognun trovaro.
138
Le nozze furon grandi e liete molto,
E più tempo durò il festeggiare,
E ciascun dalla sua fu ben raccolto,
Ed a tutti pareva bene stare,
Perchè fortuna avea cambiato volto:
E le donne sapeano or che si fare
Sè ristorando del tempo perduto
Mentre nel regno uom non era suto.