La Chioma di Berenice - Discorsi e considerazioni (1913)/Considerazione sesta - Scavo del monte Athos

Considerazione sesta - Scavo del monte Athos

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CONSIDERAZIONE SESTA

scavo del monte athos.

Verso 45. — Cicerone (De finib., ii, cap. 34) memora lo scavo dell’Athos; Diodoro Siculo (lib. xi), * Virgilio, in Culice, v. 30,* Properzio (lib. ii, eleg. 11, 20), Plinio (lib. iv, 10), Pomponio Mela (De sit. orb., lib. ii, 2), ed altri; oltre a questi versi di Callimaco, ed i due primi narratori Erodoto (lib. vii, 22) e Tucidide (lib. iv, cap. 109). Nondimeno i cementatori del poemetto tacciono: madama Dacier reca il testimonio di un viaggiatore del secolo xvi * (Observations de plusieurs singularités et choses remarquables trouvées en Grèce, Asie, Judée, Egypte etc., par Pierre Belon du Mans, Paris, 1583): * «Belonius tamen ait se numquam ulla vestigia divisionis in illo monte animadvertisse»; onde il Volpi, da buon gramatico, chiosa anch’egli: «De hac sive historia sive fabula» ecc.; e, dove ei ci annoia con le sue dissertazioni sull’abbici, di tanto fatto non degna di scrivere una parola. Fra gli antichi unico, ch’io mi sappia, è Giovenale, a cui sembra che Io scavo dell’Athos sia uno degli argomenti contro la fede della storia greca. Sat., x, v. 173:

                ... Creditiir olim
               velificatus Athos, et quidquid Graecia mendax
               audet in historia,
ecc

.

L’esame di questo fatto restituirá, spero, la fede dovuta a Tucidide.

Omero (Iliad., xiv, 229) e dopo lui Strabone (lib. i, poco dopo il principio), Mela (loc. cit.) e Stefano chiamano «tracio» il monte Athos, perché non era disgiunto dalla Tracia se non dal golfo strimonio. Piú ragionevolmente Plinio (lib. iv, 10) e Tolomeo, seguiti da’ moderni, lo ascrivono alla Macedonia, perché, sebbene le sia disgiunto a mezzogiorno dal golfo Singitico, tocca il suo continente per mezzo di una lingua di terra, che si prolunga dall’occidente del monte all’oriente della Macedonia. L’Athos era dunque una penisola, e tale è descritto nella Grecia antica tratta dal Sofiano (Tesoro gronoviano delle antichitá greche, vol. iv): né diverso è [p. 296 modifica] l’Athos di cui parlano i viaggiatori recenti (Sonini, Voyage en Turquie, ii, cap. 3S). Ov’è dunque la fossa operata da Serse per le sue navi? Il Belonio non la vide; e, se il monte fu sempre come è, Erodoto, Tucidide e Callimaco spacciarono a’ posteri favole. Ma poteano spacciarle a’ contemporanei? Sappiamo da Strabone (Excerpta, lib. vii) e da Plinio (lib. iv, 10; lib. vii, 2) che l’Athos era abitato per cinque grossi borghi. Per lo scavo di Serse i borghi divennero isola (Erod., vii, 22). Dunque i persiani non possono avere scavato se non l’istmo che univa il monte al lato orientale della Macedonia, e dove il Sofiano segna la cittá di Acanto. Tucidide ed Erodoto (loc. cit.) pongono Sana cittá su l’istmo, e la fossa tra Sana e le cittá dell’Athos: chi vorrá dunque supporre che sia stato tagliato il monte, anziché l’istmo? Ma Erodoto stesso non dice: ὀρύσσειν ἐκελενε διώρυχα τῇ δαλάσσῃ: «comandò che si scavasse la fossa al mare»? Anzi l’interprete latino (ediz. Vesseling) traduce, «iussit isthmum intercidi». Né Serse avea d’uopo se non di quell’apertura, onde sfuggire di costeggiare tutto l’Athos. I persiani avean tre anni addietro perduta intorno all’Athos un’armata navale (Erod., loc. cit.; Eliano, Hist. var., i, 15). Essendo l’Athos prominente sul mare ed orrido di rocce e di scogli, riusciva pericolosa la navigazione in quei tempi, quando tutta stava nel costeggiare. Gettando, per la sua altezza e per li due golfi da’ quali è bagnato, venti repentini, concitava l’Egeo, che portava le navi a rompere sulle radici del monte. Serse nell’anno primo dell’olimpiade lxxv, fatto cauto dal primo naufragio, aprí la fossa, di cui non appaiono piú vestigi. Ma non per questo sono bugiardi gli storici. L’istmo tagliato non era piú lungo di dodici stadi (Erod., lib. vii, 22). Lo scavo era appena sí largo, che potessero passare due triremi, remigando del pari ( ibid .). La fossa né potea livellarsi a’ fondi del mare, né i persiani ne abbisognavano; e bastavano otto o dieci piedi al piú, poiché tanto incirca pescavan le antiche triremi.

Ora in assai luoghi e tuttodí nelle paludi di Venezia si vede che il mare, retrocedendo, lascia banchi di arene ed isolette. Atene, oggi sei miglia lontana dalla marina, è pur quella stessa Atene (e lo confermano le sue antiche reliquie) sí vicina al Pireo. * Le montagne della Danimarca s’alzano oggi ove, venti secoli addietro, scorreva fra poche isole un vasto arcipelago (Dalin, Histoire de la Suède, traduzione dallo svedese, sul principio). * Il mare, usurpando nuovi regni, cede gli antichi; perocché anch’egli obbedisce a quella legge universale della natura, che, ne’ perpetui cangiamenti [p. 297 modifica] delle cose, nulla scemi e nulla cresca. Cosí l’istmo dell’Athos, essendo fra due golfi inquieti sempre per li venti da terra, e specialmente lo Strimonio per quei della Tracia, detta da’ poeti «sede di Borea» (Orazio, Epod., xiii, v. 4, ed altri), potea facilmente ricongiungersi, stante il perenne e violento ondeggiare che sforza il mare a ritirarsi; e molto piú in un canale non piú lungo di quattro miglia, largo appena per lo remeggio di due triremi e dieci piedi profondo. E forse la necessitá di commerciare più agevolmente col monte, che fu sempre ed è tuttora abitato, strinse le cittá ed i borghi vicini all’istmo ad aiutare la natura con l’arte.

A queste opposizioni degl’interpreti e de’ viaggiatori prosciolte, s’aggiungono due altre: una di Ubbone Emio (De Graecia veteri, lib. v), riferendo Strabone (lib. vii, p. 510, ediz. Amstel.),ove descrive l’Athos di tanta altezza, che dalle sue cime si vede il sole assai prima che sorga: però il moderno geografo taccia di favoleggiatore l’antico. Ma l’orizzonte solare cresce sempre in proporzione quadrata dell’altezza da cui si guarda, perché, nel volgersi della terra, le alture incontrano prime i raggi del sole: perciò sulla sera vediamo ultimi ad oscurarsi i vertici de’ monti. Tanto piú dunque può ciò avverarsi nell’Athos, il quale siede sull’Egeo, ed il piano orizzontale, che piú ampiamente percorra, è il mare dall’oriente. I poeti lo chiamano figliuolo di Nettuno e di Rodope, perché è tutto cinto dal mare, ed il nome Rodope è composto da ῥόδόν, «rosa», attributo dell’aurora, e da ὄπτομαι, ὄψομαι «vedere», appunto perché l’aurora appare piú presto in quei monti che nelle vicine pianure. * Oltre a tanti altri poeti, Euripide (Troiane, atto vi, sc. 3) cantò l’effetto della luce sulle vette dell’Ida, e forse questo splendore attribuí l’Olimpo e l’Ida per abitazione a’ celesti. * Eppure il viaggiatore nella Troade ( Voyage de la Troade, fait dans les années 1785-1786,par J.-B. Le Chevalier), sebbene affetti dottrina astronomica, accusa anch’egli d’esagerazione il geografo antico «et son assertion impossible à dèfendre «(vol. i, part. 2, cap. 4). L’altra opposizione è mossa dal Sonini. Viaggiò costui per ordine del re Luigi decimosesto, e scrisse il suo itinerario. Ma, con quell’enfasi tutta propria dei viaggiatori, e de’ viaggiatori francesi, «ei stenta a credere che l’Athos fosse quel monte che dovea essere eterno monumento della statua d’Alessandro immaginata da Dimocrate» (Voyage en Grèce et en Turquie, tom. ii, cap. 38). Plutarco scrive «Stasicrate» nella Vita di Alessandro; Vitruvio, nel proemio del lib. ii, «Dinocrate»; Strabone, «Chinocrate»; Giustino, lib. xii, [p. 298 modifica] «Cleomene».Dovea quel colosso tenere nella sinistra mano una cittá di diecimila abitanti, e versare dalla destra un fiume, che dall’alto cascasse nell’Egeo (Plutarco, loc. cit.). Né fa motto il Sonini dell’altre storie, per cui quel monte è nobilitato; anzi pare ch’ei tenga da poco tutte le antiche memorie. Ma, se pur fosse vero che l’Athos, come ei lo vedeva, o gli parea di vederlo, smentisse la magnificenza con che gli storici ne parlarono, non doveva essergli ignoto che i monti decrescono coll’andare de’ secoli. Ch’ei fosse altissimo, lo sappiamo dalle tradizioni di etá immemorabili, poiché sulle sue vette si salvò Deucalione dall’acque che innondarono quella parte del mondo (Platone, nel Timeo, sul principio). L’imperadore Marco Aurelio lo annovera fra le maggiori cose del mondo: «L’Asia e l’Europa sono appena cantucci del mondo; il mare una goccia dell’universo; e il monte Athos una gleba di terra» (lib. vi, cap. 36; ed Omero, Iliad., xiv, 229). Plinio scrive che l’ombra dell’Athos cadeva sino a Lenno (lib. iv, 10), appunto dentro il fòro di Mirina, borgo; Belonio sino a Mitilene, sei miglia men lontano: seppure queste degradazioni sono state osservate nella stessa ora del giorno e nella stessa stagione. La longitudine del monte Athos è di 51° 00, e la latitudine di 41° 10′. La longitudine di Mirina 52° 20′, e la latitudine 40° 56′. La distanza è dunque eguale a 1° 1′ 56″. Per la qual posizione geografica bastano 518⅒ tese di altezza, perché l’ombra cada su Mirina a’ 26 di aprile ed a’ 25 agosto: ma gli eruditi ed i viaggiatori impugnano Plinio, perché appunto suppongono esagerata l’altezza del monte. Non ch’io creda al Riccioli (Geograph. reform ., lib. vi, cap. 15, n. 9) le ottomila tese dell’Athos; e piú esatta estimazione parmi quella del Vossio (Ad Melam, i, ii, cap. 2) di undici stadi (1140 tese). Non è per altro si meschino come decanta il Sonini. Da’ greci de’ miei giorni è anzi annoverato fra gli altissimi monti, ed è abitato da innumerabili monaci, che si governano in forma di repubblica. Un monumento, che s’incontra nel tomo primo delle Antichitá greche compilate dal Gronovio, rappresenta il genio dell’Athos con la testa che posa sulla mano, e con gli occhi rivolti alla terra. La quale immagine credesi dagli eruditi simbolo del diluvio, da cui quel monte salvò i mortali.