L'autobiografia, il carteggio e le poesie varie/III. Poesie varie filosofiche e autobiografiche/Notizie intorno alle poesie varie del Vico

III. Poesie varie filosofiche e autobiografiche - Notizie intorno alle poesie varie del Vico

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III. Poesie varie filosofiche e autobiografiche - XVI. Nota

[p. 367 modifica] Notizie sulle poesie varie del Vico

E SULLE PERSONE IVI MENTOVATE.

I. — Cfr. p. i io. Il cupo pessimismo della presente poesia è da porre forse in relazione con le «debolezze ed errori» religiosi che travagliarono la giovinezza del V. (pp. 108-9, 155), e anche con le sue condizioni di salute tutt’altro che buone (nella dedica di questi Affetti a don Domenico Rocca, le dice piú che mai malandate). Pubblicata nei primi mesi del 1693 (forse nel febbraio), era stata scritta alcuni mesi prima tra le «selve» di Vatolla.

II. — Cfr. pp. 59, 91, 122. La raccolta nuziale, ove l’epitalamio fu inserito, venne promossa e curata dallo stesso V., e s’intitola: Vati componimenti per le nozze di don Giambattista Filomarino principe della Rocca e donna Alaria Vittoria Caracciolo dei marchesi di Sant’ Uranio (Napoli, Mosca, 1721). — Per l’ interpetrazione filosofica della poesia, che rappresenta il trapasso dal De costantia iurisprudentis (1721) alle Notae al Diritto universale (1722), tener presente, dell’una opera, sopra tutto il capitolo XXIII della seconda parte; dell’altra, i Canones mythologici. — Nei vv. 318-434 il V. dá, in forma scherzosa, un elenco dei principali collaboratori della raccolta sopra mentovata. Il «Capassi» e il «Cirillo» sono i giá ricordati Nicola Capasso e Nicola Cirillo, amici indivisibili, non solo, quali li dipinge il V., in vita, ma anche dopo morte, perché sepolti entrambi, per loro volontá, nella cappella Argento della chiesa di San Giovanni a Carbonara. Il «Lucina», il «Galizia» e «Giacinto» sono Giuseppe Lucina, Nicola Galizia e Giacinto De Cristofaro, sui quali cfr. pp. 109, in, 113. «Ippolito» è l’amico d’infanzia del V. Vincenzo d’ Ippolito (?-i74o), allora semplice avvocato, pòi consigliere (1735) e presidente (1736) del Sacro Reai Consiglio. Su Marcello Filomarino cfr. pp. 113 e 281: l’«altra Roma» è certamente Napoli, di cui il V., forse, augurava al Filomarino di divenire arcivescovo. Il «Poeta» è Gioacchino Poeta (?-i 753), collaboratore del V. anche in altre raccolte e allora professore di «primaria di fisica», poi (1735) di «primaria di medicina» nell’Universitá di Napoli. Per l’«Egizi», cioè per Matteo [p. 368 modifica]

Egizio, cfr. p. 1 12, 116 e 300. Il «Manfredi» è il bolognese Francesco Manfredi, a proposito del quale il V. scrive in una nota inserita nella stessa raccolta: «Stampata la maggior parte della Giunone in danza (alla quale per la fretta si era proposto stamparsi questo foglio per un componimento che si aspettava pur di Toscana, né venne) è giunto questo sonetto non isperato, ma bensí prevenuto dalle preghiere che ’l Vico porse al sig. Egizi, come amicissimo del sig. Manfredi». Casimiro Rossi fu poi (1732) vicario arcivescovile, per monsignor Celestino Galiani, dell’arcivescovato di Taranto, donde nel 1738 passò a quello di Salerno. Il «Palma» è Giuseppe Palma, forse figlio del giureconsulto, letterato e matematico Giambattista, corrispondente da Napoli (1691 sgg.) del Magliabechi, antico di gioventú del V. e suo collaboratore in parecchie raccolte (p. es. in quella per la partenza del Santostefano). Il «Dattilo» era un fratello minore del marchese Dattilo (dimorante a Vienna), cioè l’avvocato Franco Dattilo, o don Franchino, come lo chiamavano a Napoli, ove (almeno da quanto appare dall’epistolario di Pietro Giannone col fratello Carlo) si rideva dei suoi tanto infelici quanto frequenti tentativi poetici. Sul «Buoncore», ossia Francesco Buonocore, cfr. pp. 119 e 284. Il «Perotti» è un Gennaro Perotti; lo «Spagnolo», Aniello Spagnuolo (pp. 102, 118 ecc.); il «Sersale», Nicola Sersale da Sorrento, giá collega del V. nell’Accademia Palatina (pp. 111-2) e suo collaboratore in parecchie raccolte. Il «Salerno», cioè Nicola Maria Salerni, che s’è giá incontrato (p. 127) quale restauratore dell’Accademia degli Oziosi, era uno dei piú cari amici del V. (che non mancò d’inserire un sonetto nelle Rime di Nicola Maria Salerno in morte dí Anna Maria Doria, sua moglie, Napoli, Mosca, 1732), e congiunto del gesuita Giambattista Salerni (?-i729), per la cui elevazione al cardinalato (1719) il V. scrisse (1720) alcuni versi latini e al quale donò, con dedica autografa, un esemplare postillato della prima Scienza nuova. Veramente il cognome di «don Andrea de Luna» era Sanchez de Luna: piú noto nei circoli frequentati dal V. era il suo parente Isidoro Sanchez de Luna, lettore primario di teologia nell’Universitá di Napoli e poi arcivescovo di Salerno. Il «Nobilione» è il sorrentino Andrea Nobilione; il «Tristano» un Vincenzo Tristano; il «Vailetta», il giá ricordato Francesco Vailetta (pp. 117, 123), allora ancora possessore del «nobil museo», cioè della biblioteca, del nonno Giuseppe. Il «Cesare» , cioè Giuseppe De Cesare, era coetaneo del [p. 369 modifica]

V., giacché lo si trova ricordato tra coloro che nel 1695 commemorarono la morte di Lionardo di Capua con una solenne accademia. Il «Cestari» è il giá mentovato Silverio Giuseppe Cestari (p. 134), verseggiatore copioso e poi pars magna dell’Accademia del Portico della Stadera. Il «Gennaio» è Giuseppe Aurelio Di Gennaro (p. 128); il «Viscini», un Vincenzo Viscini; il «Cordoni», un Andrea Cordoni. Il «Forlosia» cioè Biagio Forlosia, forni al V. alcuni versi greci in cui lo lodava oocpóv SvSpa -/.al po’joixóv: di lui e sopra tutto di suo fratello Nicola, primo custode della Biblioteca imperiale di Vienna, fa menzione il Giannone nella Vita scritta da lui medesimo e nelle lettere al fratello. Il «Mattei» è un Giulio Mattei. Del «Vanalesti», cioè di Marcello Vanalesti, si conosce che, nato a Napoli (1673) da padre gandese (Carlo van Alest), divenne doctor in utroque e fu poi gesuita (s’egli è quel «padre Vanalesti» di cui le cronache cittadine narrano che, il 30 novembre 1729, celebrò con un discorso la posa della prima pietra d’una nuova corsia dell’ospedale degli Incurabili). Il «Salernitano» è un Francesco Salernitano. Il Puoti, vale a dire Giammaria Puoti seniore, era discendente (forse figlio) dell’avvocato Luca Puoti, eletto del popolo (1705) e consigliere del Sacro Reai Consiglio (1707), e ascendente (forse nonno) del famoso «purista» Basilio (1787-1847). L’«altro Rossi» è un Alessio Niccolò Rossi. Sui rapporti tra il V. e il Metastasio (che inseri nella raccolta pel Filomarino l’epitalamio «Su le floride sponde Del placido Sebeto») cfr. pp. 116-7. Il «Marmi», cioè Casto Emilio Marmi, che dal testo medesimo appare un non regnicolo dimorante a Napoli, era quasi certamente fratello del noto bibliotecario fiorentino e successore del Magliabechi Anton Francesco Marmi, e forse proprio colui che gli forniva da Napoli particolareggiate notizie politiche e letterarie (talora anche sul V.), talune delle quali (anonime), relative agli avvenimenti del 1734, si serbano ancora tra i carteggi magliabechiani della Nazionale-Centrale di Firenze. E finalmente sui rapporti tra il V. e Anton Maria Salvini cfr. pp. 117 e 282.

III. — Cfr. pp. 59 e 91. Anche in questa poesia sono verseggiate teorie esposte sparsamente nel De constantia e nelle Nota e (e poi nelle due Scienze nuove).

IV. — Il 13 luglio 1730 giunse a Napoli la notizia dell’elezione al pontificato del Cardinal Lorenzo Corsini (1652-1740). Il V., che gli aveva dedicato, come s’è visto, la prima Scienza nuova e s’apprestava a dedicargli la seconda, credè anche suo dovere

G. B. Vico, Opere - v.

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concorrere alle feste celebrate a Napoli in quella circostanza, col pubblicare a sue spese in un suntuoso opuscolo la presente canzone.

V. — Giulio Visconti fu l’ultimo viceré austriaco di Napoli (1733-4). «Giovedí — narra un inedito «avviso» da Napoli, 21 luglio 1733 — nel reai palazzo s’unirono in accademia gli Arcadi di questa Colonia Sebezia, e, assistendovi privatamente li signori viceregnanti, vi furono recitati vari componimenti in lode del viceré, avendovi fatta l’ introduzione il principe di Colobrano Carrafa, custode della medesima, e l’orazione penegirica monsignor Iannucci, prevosto di Canosa; e a tutti fu distribuito un copiose) rinfresco». Quei componimenti furono anche pubblicati col titolo: Apertura della Colonia Sebezia in occasione dell’arrivo di Giulio Visconti viceré di Napoli (Firenze, 1733), e tra essi si trova la presente poesia. — Per il mito del Pitone, a cui il V. accenna anche nella nota, cfr. Scienza nuova, ediz. Nicolini 2 , capovv. 449, 463, 464, 542.

VI-VII. — Sulle nozze Coppola di Canzano-Caracciolo dell’Amoroso cfr. p. 122; sullo Spagnuolo, pp. 102, 118, ecc.; sul Sostegni, pp. 61-2, 123, ecc. Che il sonetto VII, t, sia di quest’ultimo, risulta da una copia manoscritta serbata tra le carte vicinane ora possedute dalla Nazionale di Napoli.

Vili. — Questo sonetto non fu compreso nella raccolta per la morte della Cimmino, sulla quale cfr. pp. 122-3.

IX. — Sul Degli Angeli pp. 123, 195 sgg.

X. — 11 minore osservante Luigi Lucia da Sant’Angelo a Fasanella (P-I790 circa) fece pubblicare nel 1745, a cura di G. A. Macri (Napoli, stamperia muziana) due grossi volumi di Rime diverse , dove si leggono i due sonetti qui pubblicati, il primo dei quali reca l’indirizzo: «All’eruditissimo signor don Giambattista Vico, uomo de’ primi che in ogni soda dottrina vanta l’etá nostra ed Italia».

XI. — Il letterato, arcivescovo di Damasco e poi (1766) cardinale Filippo Pirelli (n. ad Ariano di Puglia 1708, m. a Roma 1771), che, durante la sua gioventú, dimorò a Napoli in casa del suo maggior fratello Nicola (1706 circa-1771), consigliere del Sacro Reai Consiglio e presidente della Regia Camera della Sommaria, ebbe in grande stima il V., al quale indirizzò il presente sonetto con la dedica «Al chiarissimo signor G. B. V. suo signore e maestro». Dopo la morte del filosofo, gli fece erigere [p. 371 modifica]

in Arcadia la lapide di cui s’è giá discorso (p. 88), e nella quale indica se stesso col nome arcadico di Doralbo Triario.

XIV. — Gaetano Brancone, figliuolo di quel Giovanni che nel 1697aveva ottenuto contro il V. il posto di segretario della cittá di Napoli (p. 112) e anch’egli nel 1720 titolare di siffatta carica, era allora segretario della Reai Camera di Santa Chiara e fu dal 1737segretario di Stato per l’Ecclesiastico. Versi di lui non mancano nelle raccolte del tempo. — Il principe di Sansevero è il famoso «inventore» Raimondo di Sangro (1710-71), che il V., amico e frequentatore della casa di suo padre, Paolo di Sangro duca di Torremaggiore (?-i73o circa), cultore di filosofia e di poesia, conosceva da bambino. E da bambina, altresi, il Nostro conosceva la sposa, Carlotta Gaetani, figliuola di Nicola (cfr. p. 289) e di Aurora Sanseverino (p. 289).

XV. — Che il V. indirizzasse il presente sonetto alla duchessa d’Erce (pp. 271, 294) è affermato dal Villarosa.

XVI. — Ferdinando Carafa dei principi di Belvedere, quantunque negato alla poesia, aveva la debolezza di comporre moltissimi versi. Tra essi fu il poema in versi sciolti La Santa Fede , che il Carafa, forse, voleva ripubblicare emendato e fregiato di componimenti in sua lode, tra i quali il presente sonetto. Il «Chirone ispano», cioè l’aio di Carlo di Borbone, era, non come affermò il Villarosa e ripeterono i posteriori editori, il Montealegre, bensi Emanuele Benavides conte di Santostefano, figlio del viceré la cui partenza da Napoli aveva pòrto occasione a W’oratio del V. (p. ni). [p. 372 modifica]