L'autobiografia, il carteggio e le poesie varie/III. Poesie varie filosofiche e autobiografiche/III.

III. Poesie varie filosofiche e autobiografiche - II. III. Poesie varie filosofiche e autobiografiche - IV.

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III

ORIGINE, PROGRESSO E CADUTA DELLA POESIA ITALIANA* A Marina della Torre, marchesana di Novoli

(1723) Il candor luminoso de l’alma stirpe, che di rai celesti a le muse vestio gli alti natali onde s’odon chiamar figlie di Giove,

5di Giove il re degli uomini e de’ dèi,

e lá sovra le stelle si salutan sorelle e da Perseo e da Bacco e da’ Bellorofonti e dagli Alcidi; io tal fresca origin diva

destò ne’ lor ben generosi petti pensier tutti magnanimi e sublimi, schivi di laude ornar virtú volgari, ma celebrar sol opre e chiare e grandi 15con tai divine imagini e si vaste

che imitarle dispera umano stile.

Perché applicáro ogni alto studio e cura d’intesser i bei lor lavori eterni, di sé formando ampia immortai corona,

20cui fa splendido centro il dio del lume

che a le cose mortai numera gli anni e de’ spirti immortali eterna i nomi, al suon di quella lira, che dolce accorda in melodia celeste 25i vari error de le rotanti sfere,

ed in bell’armonia quant’eran prima dissonanti e fièri. [p. 347 modifica]

tanto poi mansueti e ben concordi fe’ risonar gli uman costumi in terra.

30Quindi gli eterni lumi,

ove la terra è ricoverta d’ombre, or senza nome allumerien l’Olimpo: anzi l’istesso Febo sconosciuto or roteria la sua gran lampa al mondo; 35Febo, che ’n forza da le sagge muse

ai dèi dispensa e lume e vita in cielo. Ond’infra l’alta sfera, che pigra corre il mietitor degli anni, sol pel rispetto e per pietá di figlio 40ha posto il suo regai inclito seggio,

pien d’apollinea luce, il sommo Giove per lunghi spazi sopra agli altri dèi; perché primo insegnò temer gli dèi a’ fèri empi giganti,

45a ’ quai le prime sue divine leggi

col fulmin scrisse e l’intimò coi tuono. Sotto lui Marte gira, che ne le crude guerre e sanguinose, dentro zuffe, terror, stragi e spaventi, 50la rabbia regge e ’l rio furor de l’armi.

E presso al truce poi Vener fiameggia con sua ridente alma serena luce, che, co’ suoi vaghi vezzi, atti leggiadri, piegonne a gentilezze il ferreo mondo. 55Mercurio tutto indi di sol vestito,

celeste araldo, détta a’ vincitori di terminar da uomini le guerre e conservar con giuste leggi i vinti.

La piu pressa di tutti a noi Diana 60gira tra l’ombre tacita e secreta,

che con schive e sdegnose sue maniere ritrose ella pur ne destò l’amor umano, [p. 348 modifica]

ch’attese a celebrar cittadi e regni,

65restando a solitudini diserte

i Pani ignudi e i satiri sfacciati.

E nel sommo del cielo eterno tempio, ch’erge le vòlte d’immortal zaffiro, queste pittrici dive

70con terren ’ombre e co’ celesti lumi

dipinsero i primier famosi eroi, che del cammin del sole oltra i confini portáro con le lor grand’ opre eccelse su Pali della gloria il greco nome.

75Anzi sovra il sublime

Campidoglio del mondo,

di cui son spettatori uomini e dèi,

per mano de le muse

le insegne de le lor stupende imprese

80in eterni trofei veggiam sospese.

Lá del leon la spoglia, che la selva nemea distrusse ed arse, tuttavia, quando la s’indossa il sole, secca i torrenti e le campagne asseta.

85E colá dove pende

de la Gorgone il teschio: col terribile aspetto e spaventoso tuttavia sembra d’impetrar Je stelle, quas’indi per stupor sieno in ciel fisse.

90E lá dove la nave,

che traggittò di Ponto a’ greci lidi il vello d’òr, ch’a Ja feroce amante costò gran scelleragini e vergogna, verso l’eternitá lenta veleggia.

95Poiché gli eroi famosi e i lor trofei

con corso egual al sole camminan stanchi una si lunga via, ch’oltra il cui fin non piu cammina il tempo.

Da si sublime stato, [p. 349 modifica]

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che ’n lavori celesti entro le stelle spaziavan le lor menti divine, sceser quaggiú le sante suore in terra; non giá per consecrare ampie virtudi che conferirò de’ gran beni al mondo, ma piú per condennar robusti vizi che strepito facean di gloria e vanto.

Ed Omero, di tutti altri poeti per merto e per etá principe e padre, cantò con chiara alta sonora tromba í violati ospizi dal troiano, quando armar d’ira il risentito Achille e di frodi infiammar le faci greche, ond’ in cener cadeo Ilio distrutto; e quanto mai senno e valor fermáro al ben accorto e tollerante Ulisse gli error del mar irato, e piú del mare le Calipsi, le Circi e le sirene, per punire in un di ben mille offese fatte al suo onor da’ dissoluti proci, ghiotti, infingardi, giucatori e vani assediator de la pudica moglie.

Però le caste dèe, pudiche e sante, ravvolgendo in sozzure i puri spirti, indebolirò il generoso e maschio ingegno che sortir dal padre Giove.

E con mostrose maschere caprine salir su i plaustri; e quelle che mai sempre bevute avean le sacre linfe e pure, quali salian dal limpido Ippocrene, di vin bagnate con ridevol motti notar di vizi i re, gli eroi, gli dèi.

Indi osar comparire in su le scene ed esporre i conviti empi e nefandi di fatti in brani pargoletti figli, pòrti in vivande agl’infelici padri; [p. 350 modifica]

talché, per non veder le infami mense, ritorse indietro il suo cammino il Sole.

Da tai scelleratezze atre esecrande, benché per detestarle e farne orrore, 140a le vergini dive

pur profanati indi i pietosi petti, degeneráro alfine in reo costume; e, burle atroci a la virtute ordendo, a’ santissimi Socrati tramáro 145le sempre piante ed onorate morti.

Cosi quelle che prima per felice natura eran portate cantar sole virtú divine e grandi, col volger tempo e col cangiar costume 150furo per legge teatral costrette

sotto finte persone e con civili motti ed innocenti de la vita insegnar privati ufizi.

E quella lira alfine,

155ond’ Apollo tessè inni agli dèi,

che recatasi in seno il forte Achille cantava i fatti di piú grandi eroi, si diede a celebrare in Isruo ed in Elea

160il lottatore vincitor del giuoco,

o con l’ardenti rote chi del volante cocchio schivò la meta e non v’infranse l’asse; e tali innalzò al ciel entro gli dèi.

165Ciò soltanto restava (e pur avvenne)

che le caste donzelle, fatte d’Amor ancelle, tributasser cantando a bellezza mortale onor divini,

170e loro rassembrasse a’ numi eguale

chi di Lesbia contempli il divin volto, [p. 351 modifica]

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che d’ogni qualitá mortai disciolto, per lui n’abbia anco a vii scettro regale le lor alte, immortali opre d’ingegno.

Perché si divolgáro le loro alte immortali opre d’ingegno, né in Pindo né in Parnaso ebber piú templi e regni e propie terre, ma profane e private andáro da per tutto egre e raminghe l’alte figlie di Giove, e ne le regie corti, a’ caldi prieghi di ben vista pace util vie piú di gloriosa guerra, radi e brievi ricovri elle trováro; il perché ne saran chiari mai sempre e gli Augusti e gli Alfonsi ed i Leoni, e i prenzi ne vivran tutte l’etadi, e Roveri ed Estensi e Medicèi.

Or se le somme laudi, onde si ornáro a’ prischi tempi giusti i sommi numi, le magnanime donne e i forti eroi, or son maniere di laudar volgari, quai maschere talor senza subbietto di Diane, di Veneri e di Alcidi; che pur di voi mi resta dir, gran donna, torre d’alta onestá, d’alto savere, cui modestia cortese orna i costumi, cui gravitá gentil gli atti compone, cui dottrina e pietá veste i pensieri e forma il favellar leggiadro e saggio? Che ’n questa etá di raffinati gusti, o gran Marina, voi ne rassembrate sabina donna in attiche maniere.

Queste son vostre laudi e propie e vere.

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