L'autobiografia, il carteggio e le poesie varie/II. Carteggio/XVI. Di Aniello Spagnuolo

II. Carteggio - XVI. Di Aniello Spagnuolo

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XVI

DI ANIELLO SPAGNUOLO (0

Ringrazia pel dono del De constantia iurisprudentis ed elogia l’opera del Vico.

Gentilissimo amico e signor mio,

Ricevetti a di passati la seconda parte della dotta opera da Vostra Signoria composta De universi iuris uno principio et fine uno; e perché, essendo io piú volte venuto in sua casa, non ho avuto la ventura di trovarvela e sono stato privo dell’onore di sua presenzia nella mia, ho riputato mio debito renderle con questo foglio le maggiori grazie che debbo per si pregiato dono e per l’amorevolezza dimostratami. Com’ebbi il libro, mi posi attentamente a leggerlo con mio grande piacere ed utilitá. Per certo egli è un di que’ rari volumi che, quanto piú si volgono, sempre nuove lor bellezze danno ad ammirare. Voi, signor Giovan Battista, gloriar vi potete non solo di avere inutile renduto ciò che per P investigazion del dritto naturale e delle genti scrissero Beclero, Guglielmo Grozio, Seldeno, Pufendorlío ed altri, ma di avere fornita quella grande opera che ombreggiò e sforzossi di fare il dotto Ugon Grozio nel suo trattato De iure belli et pacis. Loda ben degna di voi, che gareggiate con lui nella profonda lezione de’ filosofi, giuristi, storici, poeti ed oratori, ma lo superate nella metafisica. Senzaché egli non poche cose tolse da Baltasarre Ayala, che scrisse De iure, officiis bellicis et disciplina militari, e l’immagine con altre assai cose tolse da’ tre libri De iure belli scritti da Alberigo Gentile anconitano; ma a voi è stato sol di aiuto la vostra gran mente, la quale ha in sé abituato un si saldo e luminoso

(1) Vir sutnrais praeditus literis, italiese pofseos laude autiquis cultioribus coraparandus et rnetaphysica scieutia in primis clarus [V.]. [p. 161 modifica]

raziocinare, che quanto investigar vi brigate intorno alle piti antiche etá, lo rinvenite con tanta felicitá che par propio che voi foste in ciascuna di esse fiorito. Gran ventura di noi e di coloro che verranno, da che per lo vostro libro ci possiamo dar vanto di avere chiaramente veduto tanti e si ’ntrigati fatti di tempi lontanissimi, senza essere sottoposti allo scempio degli anni !

Mi permetta la modestia di Vostra Signoria che io alquanto piu mi distenda. Avete tolta ed egregiamente fornita una impresa non ancor tentata da teologo e metafisico veruno; imperciochè dimostrano costoro V esistenza di Dio dall’ esistenza delle sustanzie, ma voi, con lume non men evidente, il dimostrate dall’ indifferenti modificazioni, cioè dall’ idee e fatti di coloro che fondarono l’antiche ragunanze, repubbliche, imperi e leggi; e, per quantunque regnasse fra lor sovente il disordine e Io scompiglio, pur voi sempre vi ravvisate un raggio di ordine bastante a manifestare l’infinito ordine, che si è Dio. A ragion dunque egli è da affermare che a voi dee mollo la giurisprudenzia, peroché l’ assi migliate alle piú nobili facultá, che sono la teologia e la metafisica, dandole il medesimo principio ed ultimo fine. Vi dee la poesia il conoscimento della sua vera origine, la mitologia il rischiaramento, la filologia la consonanza ed unitá, ond’ella ne acquista tanta certezza che può annoverarsi fra le scienze. Vi dee (siami lecito cosi dire) la religione, da che stabilite con irrefragabile chiarezza le sue fondamentali veritá e strozzate l’insano ateismo. E finalmente vi dee l’Italia, peroché manifestate col solenne testimonio della vostra immortai opera il lodevolissimo costume che ne’ letterati di essa, e spezialmente della nostra Napoli, fiorisce, cioè di fare l’umana dottrina serva della cattolica credenza, e dirizzare la mente armata di umile e pio agume a trovare e rischiarare (quando però e ’n quanto all’umano intendimento è ciò permesso) le veritá che quella n’insegna; nel che il vero savere consiste. Taccio la bellezza del vostro stile, che ravviva il tempo di Augusto, e taccio altre considerazioni, parte delle quali le riservo alla viva voce, peroché a volere dir tutto piú tosto mancherebbe il tempo che le cose.

G- B. Vico, Opere - v.

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