L'Universo Misterioso/Capitolo II

Capitolo II - Il nuovo mondo della fisica moderna

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James Jeans - L'Universo Misterioso (1932)
Traduzione dall'inglese di Giovanni Gentile
Capitolo II - Il nuovo mondo della fisica moderna
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Capitolo II

IL NUOVO MONDO DELLA FISICA MODERNA


L
uomo primitivo deve aver trovato la natura singolarmente imbarazzante e intricata. Egli poteva aver fiducia che i fenomeni più semplici si ripetessero indefinitamente; un corpo senza sostegno cadeva inevitabilmente, una pietra nell’acqua andava al fondo, mentre un pezzo di legno galleggiava. Invece altri fenomeni più complicati non mostravano tale uniformità. Il fulmine colpiva un albero nella selva mentre il suo vicino di uguale grandezza e di simile sviluppo ne rimaneva illeso; un mese la Luna nuova portava il bel tempo, un altro il cattivo tempo.

Messo davanti ad un mondo naturale che, secondo tutte le apparenze, era capriccioso come lui, il primo impulso dell’uomo fu di creare la natura a sua immagine; attribuì l’apparente andamento disordinato e casuale dell’universo alle ire e alle passioni degli dei, o di spiriti inferiori, benefici o malefici. Solo dopo molto studio emerse il principio della causalità. Col tempo si scoprì che questo dominava tutta la natura inanimata: si trovò che una causa, che può essere completamente isolata nelle sue azioni, produceva [p. 36 modifica] invariabilmente il medesimo effetto. Quello che accadeva in un determinato istante non dipendeva da volontà estranee, ma seguiva inevitabilmente, per legge inesorabile, dallo stato di cose dell’istante precedente. E questo stato di cose era stato, a sua volta, inevitabilmente determinato da uno stato precedente, e così indefinitamente. Cosicchè il completo corso degli eventi era stato determinato inalterabilmente dallo stato nel quale il mondo si trovava al primo istante della sua storia; una volta fissato questo, la natura poteva muoversi lungo una via, verso una fine predestinata. In breve l’atto della creazione aveva creato non solo l’universo ma tutta la sua storia futura. L’uomo, è vero, si credeva una volta capace di alterare con la sua volontà il corso degli eventi, sebbene in questo egli era guidato da istinto piuttosto che da logica, scienza od esperienza; ma d’allora la legge di causalità spiegò tutti quegli eventi che l’uomo aveva precedentemente attribuito all’azione di esseri sovrannaturali. La conferma finale di questa legge come fondamentale principio della natura fu il trionfo del Seicento, il gran secolo di Galileo e di Newton. Apparizioni nel cielo furono dimostrate puro risultato di leggi universali di ottica; le comete che sino allora erano state riguardate come presagi di caduta d’imperi o morti di re, fu dimostrato che possedevano una traiettoria prescritta dalla legge universale della gravitazione. E scrisse Newton, «volere che tutti gli [p. 37 modifica] altri fenomeni naturali potessero essere dedotti con un simile ragionamento da principi meccanici».

Di qui un movimento per interpretare l’intero universo materiale come una macchina; movimento che ha guadagnato forza sino al suo culmine nell’ultima metà del secolo decimonono. Fu allora che Helmholtz dichiarò che: «Lo scopo finale di tutte le scienze naturali era di risolversi nella meccanica», e Lord Kelvin confessò che non poteva capire niente che non potesse rappresentarsi con un modello meccanico. Egli, come molti dei grandi scienziati del secolo decimonono, eccelse nella professione d’ingegnere; altri avrebbero fatto altrettanto, se l’avessero tentato. Era il tempo degl’ingegneri scienziati, la cui prima ambizione era di dare un modello di tutta la natura. Waterston, Maxwell e altri spiegavano le proprietà d’un gas come proprietà simili a quelle di una macchina. La macchina consisteva di una vasta moltitudine di minuscole, rotonde, liscie sfere, più rigide del più duro acciaio, volanti come una pioggia di palle su un campo di battaglia. Per esempio, la pressione d’un gas sarebbe causata dall’urto di particelle animate da forte velocità; essa è simile alla pressione della pioggia sul tetto d’una tenda.

Se il suono era trasmesso attraverso un gas, queste palle erano le messaggere.

Tentativi simili furono fatti per spiegare le proprietà dei liquidi e dei solidi con modelli meccanici, [p. 38 modifica] sebbene con considerevole minor successo, e così per la luce e la gravitazione, con nessun successo. Questa mancanza di successo non scosse minimamente la credenza che l’universo dovesse ammettere in ultima analisi una spiegazione puramente meccanica. Si sentì che solo sforzi più grandi fossero necessari, e tutta la natura inanimata, allo stato ultimo, si sarebbe rivelata come una macchina che funziona perfettamente.

E tutto questo ebbe un seguito nell’interpretazione della vita umana. Ogni estensione della legge di causalità e ogni successo della interpretazione meccanistica della natura, rendeva più difficile ammettere un libero arbitrio.

Se tutta la natura obbedisce alla legge di causalità, perchè dovrebbe esserne esente la vita? Da simili considerazioni sorsero le filosofie meccanicistiche del Sette e Ottocento, e la loro naturale reazione, la filosofia idealistica che successe loro. Sino al principio del secolo decimonono la vita era riguardata interamente al di fuori della natura inanimata e ciò non era in contrasto con le conoscenze scientifiche. Allora s’ebbe la scoperta che cellule viventi erano formate precisamente dagli stessi atomi chimici, costituenti della materia non vivente, e quindi che fossero, presumibilmente, governate da leggi naturali. Questo portò alla questione, come mai gli atomi particolari del nostro corpo e del nostro cervello dovessero essere formati, per [p. 39 modifica] essere esenti dalla legge di causalità. Si cominciò allora non solo ad avanzare l’ipotesi, ma a sostenere con grande calore, che la vita stessa dovesse, in ultima analisi, mostrarsi, all’esperimento, d’indole meccanica.

La mente di un Newton, d’un Bach, o d’un Michelangelo, fu detto, differivano solamente in complessità da un torchio per la stampa, un fischietto o una sega a vapore; tutta la loro funzione consisteva nel rispondere esattamente agli stimoli che ricevevano dall’esterno. Quindi una tale credenza non lasciava alcun posto per l’operazione della scelta e del libero arbitrio, e rimuoveva tutte le basi della moralità. Paolo non scelse d’essere differente da Saul; egli non poteva a meno di essere differente; egli era mosso da una serie differente di stimoli esterni.

Una quasi caleidoscopica rivoluzione avvenne nel pensiero scientifico col volgere del secolo. I primi sperimentatori erano solamente capaci di studiare la materia in frammenti grandi abbastanza da averne una penetrazione diretta, senza l’aiuto di mezzi speciali: il frammento più minuto di materia con cui potevano sperimentare conteneva milioni di milioni di molecole. Pezzi di queste dimensioni si comportano indubbiamente in maniera meccanica, ma questo non dà alcuna garanzia che la singola molecola si comporti allo stesso modo; ognuno sa la grande [p. 40 modifica] differenza che c’è tra il modo di comportarsi d’una folla e quello degl’individui che la compongono.

Alla fine del secolo decimonono divenne possibile studiare il comportamento di singole molecole, atomi ed elettroni. Il secolo decimonono aveva durato abbastanza perchè la scienza scoprisse che certi fenomeni, radiazione e gravitazione in particolare, deludevano tutti i tentativi fatti per una spiegazione puramente meccanica. Mentre i filosofi discutevano se potesse essere costruita una macchina, che riproducesse i pensieri di Newton, le emozioni di Bach, o l’ispirazione di Michelangelo, l’uomo medio della scienza si andava rapidamente convincendo, che nessuna macchina si poteva costruire, che riproducesse la luce d’una candela o la caduta d’una mela.

Ed ecco che negli ultimi mesi del secolo il professore Max Planck di Berlino propose un tentativo di spiegazione di certi fenomeni della radiazione, per cui tutti i tentativi erano falliti. Non solamente la sua spiegazione non era di natura meccanica; ma sembrò anzi impossibile metterla sulla linea della meccanica. Per questa ragione fu criticata, attaccata e persino messa in ridicolo. Ma ottenne un brillante successo, e in ultimo si è sviluppata nella moderna «teoria dei quanti» che forma uno dei principi dominanti della fisica moderna. Quindi, sebbene a quel tempo non sia sembrato così, pure questa teoria segna la fine [p. 41 modifica] dell’età meccanicistica della scienza, e l’aprirsi d’un’era nuova.

La teoria originale di Planck non andava più oltre del suggerire che la natura procede a scatti come le sfere d’un orologio. Ora, sebbene non proceda in modo continuo, un orologio è d’origine puramente meccanica, e segue assolutamente la legge di causalità. Einstein mostrò nel 1917 che la teoria fondata da Planck parve, a prima vista almeno, che producesse conseguenze più rivoluzionarie della pura discontinuità. Sembrò che detronizzasse la legge di causalità dalla posizione che sino allora aveva avuto come guida di tutti i fenomeni naturali. La vecchia scienza aveva con fiducia proclamato che la natura può seguire solo una via, segnata dal principio alla fine con una catena continua di cause ed effetti; lo stato A succede inevitabilmente allo stato B. Finora invece la nuova scienza è stata solamente capace di dire che lo stato A può essere seguito dallo stato B o C o D o da innumerevoli altri. Può essere, è vero, che B sia più probabile che C, D; si può sempre specificare la relativa probabilità degli stati B, C e D. Ma, appunto perchè è da parlarsi in termini di probabilità, non si può predire con certezza che stato seguirà a un altro. È una questione che giace sulle ginocchia degli dei, quali che essi siano.

Un esempio concreto spiegherà questo più chiaramente. [p. 42 modifica]

È risaputo che gli atomi di radio, o di altra sostanza radioattiva, si disintegrano in un atomo di piombo e in un atomo d’elio solamente per il fatto che trascorre un certo tempo. La legge che governa in che proporzione diminuisca il numero degli atomi di radio è molto notevole. La massa di radio diminuisce precisamente con la stessa legge d’una popolazione dove nessuno nasce, e c’è una proporzione uniforme nel numero di morti che è la stessa per l’individuo medio, senza riguardo alla sua età. O anche, questo numero di atomi decresce nella stessa maniera che il numero dei soldati d’un battaglione esposti a un tiro indiretto e assolutamente a caso. In breve la parola vecchiaia non significa nulla per un atomo di radio; muore non perchè ha vissuto la sua vita, ma piuttosto perchè in qualche modo il fato batte alla porta.

Per fare un esempio più concreto, supponiamo che la nostra stanza contenga 2000 atomi di radio. La scienza non può dire quanti di questi sopravviveranno da qui a un anno, può dirci soltanto la relativa probabilità in favore dei numeri 2000, 1999, 1998 e così via. In realtà, la più grande probabilità è in favore del numero 1999; con tutta probabilità, uno dei duemila atomi, e solamente uno, è destinato a spezzarsi, entro il prossimo anno.

Noi non sappiamo in quale maniera questo atomo particolare è scelto fra i 2000. Possiamo, in un primo tentativo fatto a caso, avanzare l’ipotesi che questo [p. 43 modifica] sia l’atomo che, nell’anno che viene, sarà più colpito, o andrà nel posto più riscaldato, o no.

Eppure ciò non può essere perchè se i colpi o il calore possono disintegrare un atomo, potrebbero disintegrare anche l’altro 1999, e noi dovremmo essere in grado di ottenere la disintegrazione atomica soltanto per compressione o riscaldamento. Ogni fisico non crede che ciò sia possibile; ma piuttosto crede che ogni anno il fato batte alla porta d’un atomo tra i duemila di radio, e lo costringe a rompersi; questa è l’ipotesi della «disintegrazione spontanea» avanzata da Rutherford e da Soddy nel 1903.

La storia naturalmente si può ripetere, e un’altra volta ancora può trovarsi, alla luce d’una conoscenza più piena, un’apparente capricciosità della natura che sorga al di sopra dell’inevitabile operazione di causa ed effetto. Se noi parliamo in termini di probabilità nella vita ordinaria, noi diamo a divedere che la nostra conoscenza è incompleta; noi possiamo dire che sembra probabile che domani pioverà, mentre l’esperto metereologo, sapendo che una depressione va dall’Atlantico verso l’est, può predire con sicurezza che pioverà. Noi possiamo parlare di probabilità per un cavallo, mentre il proprietario sa che ha la gamba spezzata. Nella stessa maniera, l’appello della nuova fisica alla probabilità può semplicemente celare la sua ignoranza del vero meccanismo della natura.

Un esempio suggerirà come questo può essere. [p. 44 modifica] Nei primi di questo secolo, Mc Lennan, Rutherford e altri hanno scoperto nell’atmosfera terrestre un nuovo tipo di radiazione, distinta per il suo alto potere di penetrazione nella materia solida. La luce ordinaria può penetrare per una frazione di pollice attraverso una materia opaca; noi possiamo proteggere i nostri visi dai raggi del Sole con un foglio di carta, o un foglio più sottile di metallo. I raggi X hanno un potere penetrante molto più grande; possono passare attraverso le nostre mani, o anche attraverso tutto il nostro corpo, così che il chirurgo può fotografare le nostre ossa. Al contrario, un metallo dello spessore d’una moneta li arresta completamente. Ma la radiazione scoperta da Mc Lennan e Rutherford può penetrare attraverso diverse centinaia di metri di piombo o di metallo di densità simile.

Noi adesso sappiamo che gran parte di questa radiazione, generalmente denominata «radiazione cosmica», ha la sua origine nello spazio esterno. Cade sulla Terra in grande quantità, e i suoi poteri distruttori sono immensi.

Ogni secondo essa spezza circa venti atomi in un centimetro cubico della nostra atmosfera, e milioni di atomi nei corpi nostri. È stato suggerito che questa radiazione, cadendo su un germoplasma, può produrre quelle spasmodiche variazioni biologiche che la teoria moderna dell’evoluzione richiede; può [p. 45 modifica] essere che sia stata la radiazione cosmica a cambiare le scimmie in uomini.

Alla stessa guisa, fu un tempo emessa l’ipotesi che il cadere della radiazione cosmica su atomi radioattivi fosse la causa della loro disintegrazione. I raggi cadono a caso, colpendo ora un atomo ora un altro, così che gli atomi muoiono come soldati esposti a un fuoco disordinato, e la legge che dice in che proporzione essi scompaiono sarebbe spiegata. L’ipotesi è stata dimostrata erronea con il semplice espediente di portare della materia radioattiva in una miniera. Così era completamente schermata dai raggi cosmici, eppure continuava a disintegrarsi nella stessa proporzione di prima.

Quest’ipotesi è fallita, ma probabilmente ci sono fisici che aspettano si trovi un altro agente fisico che rappresenti la parte del fato nella disintegrazione radioattiva. La media delle morti sarà naturalmente proporzionale all’intensità di questo agente. Ma altri fenomeni simili presentano difficoltà molto più grandi.

Fra questi c’è il fenomeno familiare dell’emissione della luce da un’ordinaria lampadina elettrica. L’essenziale è che un filamento caldo riceva energia da una dinamo e la scarichi come radiazione. Dentro il filamento, gli elettroni di milioni di atomi girano sulle loro orbite, in ogni istante saltando [p. 46 modifica] improvvisamente e per lo più discontinuamente da una orbita a un’altra, a volte emettendo, a volte assorbendo radiazione in questo processo. Nel 1917 Einstein investigò come poteva farsi la statistica di questi salti. Alcuni naturalmente sono causati dalla radiazione stessa e dal calore del filamento. Ma questi non sono sufficienti a render conto di tutta la radiazione emessa dal filamento. Einstein trovò che vi dovevano essere altri salti ancora, e questi dovevano avvenire spontaneamente, come nella disintegrazione dell’atomo di radio. In breve, apparve che anche qui deve essere invocato il caso. Adesso se qualche agente fisico rappresentasse la parte del fato in questo caso, la sua forza dovrebbe influire sull’intensità dell’emissione della radiazione da parte del filamento. Ma, per quanto ne sappiamo, l’intensità della radiazione dipende solamente da alcune costanti universali conosciute, che sono le stesse qui come nelle stelle più remote. E ciò sembra togliere ogni adito all’ipotesi d’un intervento d’un qualsiasi agente esterno.

Noi possiamo forse farci una qualche immagine della natura di queste spontanee disintegrazioni o salti, paragonando l’atomo a una partita di carte a quattro, che convengono d’interrompere il gioco appena è servita una mano in cui ciascun giocatore riceva una suite completa. Una stanza contenente milioni di simili partite può pensarsi rappresenti una massa di sostanza radioattiva. Allora si può dimostrare che il [p. 47 modifica] numero di partite a carte decrescerà secondo l’esatta legge del processo radioattivo a una condizione, che le carte siano mescolate bene tra un turno e l’altro. Se si mescolano le carte sufficientemente bene, il passare del tempo non significherà nulla per i giocatori di carte, perchè la situazione si rinnova sempre ogni volta che le carte vengono mescolate. Così che la percentuale delle morti sarà costante come per gli atomi di radio. Ma se si riprendono le carte, semplicemente, dopo ogni turno, senza mischiarle, ciascun turno inevitabilmente sarà condizionato dal precedente e avremo l’analogo dell’antica legge di causalità. Allora la legge di diminuzione del numero dei giocatori sarà differente da quella realmente osservata nella disintegrazione radioattiva. Noi possiamo riprodurre questa, semplicemente supponendo che le carte siano continuamente mischiate, e colui che mischia può essere quello che chiamiamo il fato.

Così, sebbene noi siamo ancora lontani da una conoscenza positiva, sembra possibile che vi possa essere qualche fattore, per il quale noi non troviamo nome migliore di quello del fato, che opera in natura per neutralizzare la ferrea necessità della legge antica di causalità. Il futuro non può essere inevitabilmente condizionato dal passato come noi pensiamo; in parte almeno egli resta sulle ginocchia di un dio, qualunque egli sia. [p. 48 modifica]

Alcune altre considerazioni puntano verso la stessa direzione.

Per esempio, il professor Heisenberg ha mostrato che i concetti della teoria moderna dei quanti implicano quello che egli chiama un «principio d’indeterminazione». Noi abbiamo a lungo pensato che l’azione della natura sia un esempio della più assoluta precisione. Le macchine fatte da noi uomini sono, lo sappiamo, imperfette e non precise, noi però accarezziamo l’illusione che il più interno meccanismo degli atomi debba fornire l’esempio d’una assoluta precisione e esattezza. Invece Heisenberg ha mostrato che la natura aborre sovrattutto dall’esattezza e dalla precisione.

Secondo la scienza antica, lo stato d’una particella, come un elettrone, è completamente determinato se noi conosciamo la sua posizione nello spazio e nel tempo e la sua velocità di moto attraverso lo spazio, in quell’istante.

Questi dati, insieme con la conoscenza di alcune forze che possono agire dall’esterno su di lui, determinano completamente il futuro dell’elettrone. Se questi dati fossero forniti per tutte le particelle dell’universo, il futuro dell’universo potrebbe essere totalmente predetto.

La scienza nuova, come è interpretata da Heinsenberg, asserisce che questi dati sono, per la stessa natura delle cose, impossibili a procurarsi. Se sappiamo che [p. 49 modifica] un elettrone è in un certo punto dello spazio, non possiamo determinare esattamente con quale velocità esso si muoverà. La natura permette un certo «margine d’errore», e se tentiamo di superarlo, la natura non ci potrà dare un aiuto: essa non pare sappia nulla di misure assolutamente esatte.

Nella stessa maniera, se noi conosciamo l’esatta velocità d’un elettrone, la natura ci impedisce di scoprirne la sua esatta posizione nello spazio. È come se la posizione e il movimento d’un elettrone fossero segnati sulle due facce diverse d’una lastra fotografica. Se noi mettiamo la lastra in un apparecchio cinematografico cattivo, noi possiamo metterlo a fuoco a mezza via tra le due facce, e vedremo abbastanza chiaramente la posizione e insieme il movimento dell’elettrone. Con una macchina perfetta, non potremo più far questo; più mettiamo a fuoco una faccia, più diventa confusa l’altra.

La lanterna imperfetta è la vecchia scienza. Ci dava l’illusione che, solo che avessimo una lanterna perfetta, potremmo esser capaci di determinare insieme la posizione e il movimento d’una particella con grande precisione, ed era questa illusione che introduceva il determinismo nella scienza. Ma adesso che abbiamo nella scienza moderna una lanterna perfetta, essa ci mostra semplicemente che la determinazione della posizione e quella della velocità giacciono in due piani differenti della realtà, che non [p. 50 modifica] possono essere messi contemporaneamente a fuoco. Così, vien tagliato fuori il motivo su cui l’antico determinismo era basato.

O ancora, per fare un’altra analogia, è come se gli ingranaggi dell’universo avessero lavorato, per così dire, lenti, quasi il suo meccanismo avesse sviluppato un certo «gioco», come quello che troviamo nelle macchine molto usate. In una macchina usata o vecchia varia il grado del «gioco» da punto a punto; nel mondo naturale esso è misurato dalla misteriosa quantità, conosciuta come la «costante h di Planck», che si dimostra una costante assoluta per tutto l’universo. Il suo valore, come nel laboratorio così nelle stelle, può essere misurato per innumerevoli vie e si trova che è sempre lo stesso.

Nondimeno il fatto che «la trasmissione lenta», d’un tipo qualsiasi, pervade tutto l’universo, distrugge la condizione per una causalità, in senso stretto, essendo quest’ultima la caratteristica di un macchinario perfetto.

L’incertezza su cui Heisenberg ha attirato l’attenzione è in parte, ma non del tutto, di natura soggettiva. Il fatto che non si possa specificare in modo preciso la posizione e la velocità d’un elettrone proviene in parte dall’imperfezione degli strumenti usati: nella stessa maniera che non ci si può pesare con sufficiente precisione, se non si pesa di meno delle misure di peso, che si hanno a disposizione. [p. 51 modifica]

La più piccola unità conosciuta per la scienza è l’elettrone, così che non può esservi unità più piccola a disposizione del fisico. Nel fatto attuale, non è la dimensione finita di questa unità che è la causa immediata della difficoltà, quanto quella della misteriosa unità h introdotta dalla teoria dei quanti di Planck. Questa misura le dimensioni degli «scatti» con cui si muove la natura, e fin tanto che questi scatti sono d’una quantità determinata, è impossibile di fare misure esatte altrettanto come è impossibile di pesare sè stessi su una bilancia che si muove soltanto a scatti.

Questa incertezza di carattere soggettivo non ha, comunque, rapporto con i problemi di radioattività e di radiazione discussi a pag. 41 e 45. Qui vi sono altri fenomeni naturali, troppo numerosi per essere enumerati qui, che non possono essere inclusi in uno schema logico, senza che il concetto d’indeterminazione sia introdotto in qualche maniera.

Queste ed altre considerazioni sulle quali noi torneremo più tardi (pp. 62 e 163) hanno condotto alcuni fisici a supporre che vi è un indeterminismo nei fenomeni in cui gli elettroni e gli atomi partecipano singolarmente, e che l’apparente determinismo negli eventi in larga scala sia solo di natura statistica.

Dirac descrive come segue la situazione:

«Se un’osservazione è fatta su un sistema atomico... in un dato stato il risultato non sarà in generale determinato, cioè [p. 52 modifica] se l’esperimento è ripetuto varie volte sotto condizioni identiche, potranno ottenersi risultati differenti. Se l’esperimento è ripetuto un gran numero di volte, si troverà che ogni particolare risultato sarà ottenuto una frazione definita del numero totale di volte, così che si può dire esservi una probabilità definita di ottenerlo ogni volta che l’esperimento è fatto. La teoria ci permette di calcolare questa probabilità. In casi speciali, la probabilità può essere l’unità, e il risultato dell’esperimento è assolutamente determinato».

In altre parole, se noi abbiamo a che fare con atomi ed elettroni, la legge matematica della media impone quel determinismo che manca alla legge fisica.

Noi possiamo illustrare il concetto con un’analoga situazione nel mondo macroscopico. Se noi facciamo girare su sè stesso un soldo, nessuno, con i nostri mezzi di conoscenza, può essere capace di dire se verrà testa o croce, ma se noi gettiamo un milione di tonnellate di soldi, noi sappiamo che ve ne sono 500 mila tonnellate di testa e 500 mila tonnellate di croce.

L’esperimento può essere ripetuto indefinitamente, e darà sempre lo stesso risultato. Noi possiamo esser tentati di chiamar questo in testimonianza dell’evidenza dell’uniformità della natura, per dedurne l’azione d’una legge riposta di causalità: nel fatto attuale è solamente una prova della pura legge matematica del caso.

Ancora il numero di soldi in un milione di tonnellate è niente in paragone con il numero d’atomi nei frammenti materiali più piccoli con cui i fisici d’un [p. 53 modifica] tempo poterono esperimentare. È facile vedere come l’illusione di determinazione — se è un’illusione — si insinuò nella scienza.

Noi non abbiamo ancora nessuna definita conoscenza di ciascuno di questi problemi. Probabilmente la maggioranza dei fisici si aspetta che in qualche modo la legge di rigorosa casualità venga, alla fine, ricollocata nel suo posto antico, nel mondo naturale. Sin a questo punto non è stata restaurata, con il risultato che, per il presente almeno, l’immagine dell’universo fatta dai nuovi fisici contiene più spazio, che non l’antica rappresentazione meccanica, perchè con la pittura stessa del mondo coesistano la vita e la coscienza, con gli attributi che comunemente associano, come il libero arbitrio, e la capacità di rendere l’universo in qualche modo differente per mezzo della stessa nostra presenza. Per quel poco che noi sappiamo, o per quel poco che la nuova scienza dice del contrario, il dio che rappresenta la parte del fato degli atomi dei nostri cervelli può essere la stessa mente nostra.

Per mezzo di questi atomi essa può, secondo il caso, produrre il movimento dei nostri corpi, e così lo stato del mondo intorno a noi. Al giorno d’oggi la scienza non può più a lungo chiudere la porta a questa possibilità; essa non ha più argomenti irrefutabili da portare contro alla nostra innata convinzione del libero arbitrio. D’altra parte, non ci dà nessun suggerimento su quel che significhi l’assenza di [p. 54 modifica] determinismo o causalità. Se noi e la natura non dobbiamo rispondere in maniera unica agli stimoli esterni, che cosa determina il corso degli eventi? Se c’è qualcosa che lo determina, noi siamo respinti indietro nella causalità e nel determinismo; se niente del tutto, come avviene che qualcosa può succedere?

Per quanto veda, noi non siamo in grado di arrivare a una conclusione definita finchè non avremo una comprensione migliore della vera natura del tempo. Le leggi fondamentali della natura, per quel tanto che ci sono familiari, non danno nessuna ragione perchè il tempo debba trascorrere in modo continuo: esse sono egualmente preparate a un tempo che si ferma o che va indietro. Il continuo fluire in avanti del tempo, che è l’essenza della relazione di causa ed effetto, è qualcosa che noi sovrapponiamo alle leggi di natura accertate dalla nostra propria esperienza; se sia o no inerente alla natura del tempo noi non sappiamo, sebbene, come tra poco vedremo, la teoria della relatività abbia progredito, in certa misura, di qualche passo, stigmatizzando questo continuo fluire in avanti del tempo e la relazione di causa ed effetto come un’illusione; essa considera il tempo semplicemente come una quarta dimensione da aggiungersi alle tre dello spazio, così che il post hoc ergo propter hoc non può essere più vero per una serie di avvenimenti nel tempo che non lo sia per una serie di pali telegrafici lungo una strada ferrata. [p. 55 modifica]

È sempre il mistero della natura del tempo che porta i nostri pensieri a un ristagno.

E se il tempo è una cosa così fondamentale che la comprensione della sua vera natura è per sempre al disopra d’ogni nostra ricerca, allora lo stesso è altresì per la controversia antica fra determinismo e libero arbitrio.

La possibile abolizione del determinismo e della legge di causalità da parte dei fisici costituisce, comunque, lo sviluppo relativamente recente della storia della teoria dei quanti. L’oggetto principale della teoria era di spiegare certi fenomeni di radiazione; per capire la questione è necessario che noi ritorniamo molto indietro sino a Newton e al seicento.

Un fatto ovvio sul comportamento di un raggio di luce, e una legge di comune osservazione, è la sua tendenza a propagarsi in linea retta; ad ognuno è familiare l’imagine d’un filo diritto di luce, attraverso una camera oscura. Siccome un corpuscolo, rapidamente mobile, tende ad andare in linea retta, così i primi scienziati, piuttosto naturalmente, pensarono della luce come d’una corrente di particelle, lanciate fuori dalla sorgente luminosa, come le pallottole dal fucile. Newton adottò questo punto di vista, e precisò questo concetto nella sua «teoria corpuscolare della luce».

È anche materia di osservazione comune che un raggio di luce non deve sempre propagarsi in linea [p. 56 modifica] retta. Egli può essere improvvisamente invertito per riflessione, come succede se cade sulla superficie di uno specchio. O la sua orbita può essere curvata per rifrazione, come accade se entra nell’acqua o in altro mezzo liquido; è la rifrazione che fa sembrare il nostro remo rotto, lì dove tocca l’acqua, e ci fa sembrare i fiumi meno profondi di quello che possiamo provare, saltando dentro.

Sin dai tempi di Newton la legge che governa questi fenomeni era conosciuta. Nel caso della riflessione l’angolo sotto il quale il raggio colpisce lo specchio è esattamente eguale a quello sotto il quale egli ritorna indietro; in altre parole, la luce rimbalza dallo specchio come una palla da tennis, rimbalzante in un campo di tennis perfettamente duro. Nel caso della riflessione, il seno dell’angolo di incidenza stava in rapporto costante con il seno dell’angolo di riflessione. Noi troviamo Newton mostrare con fatica che i suoi corpuscoli-luce devono muoversi d’accordo con queste leggi, se sono soggetti a certe determinate forze alla superficie di uno specchio o di un liquido rifrangente.

Sono le proposizioni XCIV e XCVI dei Principia:


Proposizione xciv


Se due mezzi sono separati l’uno dall’altro da uno spazio, terminato ai due lati da piani paralleli, e un corpo nel suo passaggio attraverso questo spazio è attratto, o spinto, [p. 57 modifica] perpendicolarmente, verso l’altro dei due mezzi, ma non accelerato o ritardato da alcuna altra forza; di più vi sia la medesima attrazione in ogni punto, posto a distanza, da uno o l’altro dei due piani, eguale e presa dalla medesima parte di quel piano stesso; allora io dico che il seno dell’angolo d’incidenza starà al seno dell’angolo d’emergenza dall’altro piano, in rapporto costante.


Proposizione xcvi


Supposto lo stesso, e che il moto prima dell’incidenza sia più rapido che dopo; io dico che, se la linea d’incidenza cresce continuamente d’inclinazione, il corpo sarà all’ultimo riflesso, e l’angolo di riflessione sarà eguale all’angolo d’incidenza.


La teoria corpuscolare di Newton sbaglia per il fatto che se un raggio di luce cade su di una superficie di acqua, soltanto una parte è rifratta. Il rimanente è riflesso, ed è quest’ultima parte che produce l’ordinaria riflessione degli oggetti in un lago, o l’increspatura della luce lunare sul mare. È stata fatta l’obbiezione che la teoria di Newton non può rendere conto di questa riflessione, perchè se la luce consistesse di corpuscoli, le forze alla superficie dell’acqua dovrebbero trattare tutti i corpuscoli allo stesso modo; e rifratto uno, dovrebbero essere rifratti tutti; e questo non lascerebbe all’acqua nessun potere di riflettere la luce del Sole, della Luna o delle stelle. [p. 58 modifica]

Newton tentò di ovviare a questa obbiezione attribuendo «forze alterne di trasmissione e riflessione» alla superficie dell’acqua: il corpuscolo che cade sulla superficie in un istante era assorbito, ma nel prossimo istante la barriera era chiusa, e il suo compagno tornava indietro, sotto forma di luce riflessa. Il concetto anticipava stranamente ed esattamente la moderna teoria dei quanti, nel suo abbandono dell’uniformità della natura e la sostituzione del determinismo con la probabilità, ma in quel tempo non persuase.

E, in alcuni casi, la teoria corpuscolare era messa di fronte ad altre anche più gravi difficoltà. Se si studia in dettaglio abbastanza minuto, si trova che la luce non si muove assolutamente in linea retta come suggerisce il moto di particelle. Un oggetto grosso, come una casa o una montagna, getta un’ombra definita, e così ci protegge dal solleone come lo farebbe da una pioggia di pallottole. Ma un oggetto piccolo, come un filo molto piccolo, un capello o una fibra, non dà un’ombra simile. Se noi lo teniamo di fronte a uno schermo, non c’è parte dello schermo che non resti illuminata. In certo modo, la luce si ingegna di girargli intorno, e, invece d’una ombra definita, noi vediamo un’alternativa di luce e di bande parallele relativamente oscure, conosciute come «bande d’interferenza». Per fare un altro esempio, un buco circolare in uno schermo lascia passare un fascio [p. 59 modifica] circolare di luce. Ma facciamo un buco così piccolo come un piccolissimo foro di spillo, e il disegno proiettato sopra uno schermo al di là non è il disco di luce, ma un disegno di anelli, molto più grandi, concentrici — in cui si alternano anelli chiari e oscuri — «anelli di diffrazione». La figura 1 della tavola II (p. 64) mostra l’immagine ottenuta facendo passare un fascio di luce da un foro di spillo a una lastra fotografica. Tutta la luce che è più lontana dal centro del raggio del foro ha in qualche modo girato i margini del foro. Newton riguardava questi fenomeni come la prova che i suoi «corpuscoli-luce» fossero attirati dalla materia solida. Egli scriveva:


«I raggi di luce che sono nella nostra aria, nel loro passaggio vicino agli angoli dei corpi, siano trasparenti o opachi (come gli spigoli circolari o rettangolari d’un cono, o d’un coltello, o i frammenti di pietra o di vetro), sono piegati e curvati intorno a quei corpi, come se fossero attirati da quelli; e quei raggi che nel loro passaggio arrivano più vicini ai corpi sono i più curvati, come se fossero quelli più attirati».


Qui di nuovo Newton è stranamente il precursore della scienza d’oggi, essendo le sue forze, ammesse per ipotesi, strettamente analoghe alle «forze quantiche» della moderna teoria della meccanica delle onde. Però non riuscì a dare una spiegazione dettagliata dei fenomeni di diffrazione, e perciò incontrò poco favore. [p. 60 modifica]

Col tempo tutti questi fenomeni e simili furono adeguatamente spiegati supponendo che la luce consiste di onde, qualcosa di simile a quelle che il vento suscita negli oceani, eccetto che, invece d’essere ogni onda lunga alcuni yards, alcune migliaia di onde entrano in un pollice. Le onde luminose girano gli ostacoli nella stessa maniera con cui le onde del mare girano intorno a un piccolo scoglio. Una catena di scogli lunga delle miglia dà una perfetta protezione dal mare, ma uno scoglio piccolo non dà una tale protezione — le onde gli passano intorno da una parte o dall’altra e si riuniscono dietro di esso, proprio come le onde luminose si riuniscono dopo un tenue capello o una fibra. Alla stessa guisa le onde del mare che cadono sull’imboccatura d’un porto non si propagano in linea retta, ma girano intorno agli spigoli della diga, e così increspano la superficie dell’acqua nel porto. La fig. 1 della tav. II mostra l’«increspatura» al di là d’un foro di spillo prodotta dalle onde luminose che hanno girato intorno agli angoli del buco, come le onde del mare giranti intorno alla diga. Il seicento riguardava la luce come una pioggia di corpuscoli; l’ottocento, scoprendo che ciò non era adeguato a render conto dei fenomeni in piccola scala come quelli sopra descritti, sostituì la pioggia di particelle con «treni d’onda».

Ma la sostituzione portò con sè le proprie difficoltà. Se la luce passa attraverso un prisma, si spezza [p. 61 modifica] in uno «spettro» simile all’arcobaleno — rosso, arancio, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto. Se la luce consiste di onde come le onde del mare, si può dimostrare che tutta la luce solare analizzata dovrebbe trovarsi all’estremo violetto dello spettro. E non solamente questo; ma l’estremo violetto ha un’illimitata capacità di assorbire energia, e poichè esso l’ha sempre molto accentuata, tutta l’energia dell’universo dovrebbe rapidamente trasformarsi in radiazione violetta, o ultravioletta propagantesi nello spazio.

La «teoria dei quanti» nacque dagli sforzi di liberare la teoria delle onde da queste difficoltà. Essa ha avuto successo pieno. È stato mostrato che Newton non si era completamente sbagliato, riguardando la luce come corpuscolare, perchè si è provato che un fascio di luce può essere riguardato come composto di unità distinte, chiamate «quanti di luce» o «fotoni» con la stessa precisione, con cui la pioggia può considerarsi composta di gocciole d’acqua, una pioggia di pallottole di pezzi separati di piombo, un gas di molecole separate.

Nello stesso tempo la luce non deve perdere il suo carattere ondulatorio. Ciascuna piccola particella di luce ha una quantità definita, della natura d’una lunghezza, associata con lei. Noi la chiamiamo «lunghezza d’onda», perchè se la luce in questione passa attraverso un prisma, si comporta precisamente come farebbe un’onda della sua particolare lunghezza. La [p. 62 modifica] luce di grande lunghezza d’onda è fatta di piccole particelle, e viceversa, essendo la quantità d’energia inversamente proporzionale a questa lunghezza d’onda, così che noi possiamo sempre calcolare l’energia d’un fotone dalla sua lunghezza d’onda e viceversa.

È impossibile riassumere la gran quantità di esperienze su cui questi concetti sono basati. Tutto il complesso di questi esperimenti, senza alcuna eccezione, indica che la luce passa attraverso apparecchi di laboratorio in fotoni interi; non c’è alcuna osservazione che riveli l’esistenza d’una frazione di fotone, o dia ragione di sospettare che una tal cosa esista. Due esempi per caratterizzare tutto ciò.

La radiazione può, in convenienti condizioni, rompere gli atomi su cui cade. Uno studio degli atomi spezzati ci dice quanta energia è stata fornita loro per spezzarsi. Invariabilmente si è dimostrato che l’energia è esattamente quella d’un fotone, calcolato dalla sua lunghezza d’onda. Si può pensare che un’armata di luce è venuta in conflitto con un’armata di materia. Si sa che quest’ultima è formata di soldati individuali, gli atomi; adesso appare che anche la prima consiste di individui soldati, poichè lo studio del campo di battaglia dimostra che c’è stato un conflitto a scontri individuali.

Secondo esempio: il professor Compton di Chicago ha di recente studiato quel che succede se dei raggi X cadono su elettroni. Egli ha trovato che la [p. 63 modifica] radiazione è dispersa esattamente, come se consistesse di particelle materiali di luce, o fotoni, moventisi come unità indipendenti, questa volta simili a pallottole su di un campo di battaglia, colpendo tutti gli elettroni che stanno sulla loro strada.

Dalla quantità di cui ogni fotone è curvato dalla sua orbita in queste collisioni, è possibile calcolare l’energia dei fotoni; e di nuovo si trova che questa concorda esattamente con quella calcolata dalla loro lunghezza d’onda.

Questo concetto di fotone indivisibile, di nuovo, ci conduce indietro nell’indeterminazione. Qui vi sono vari metodi per dividere un fascio di luce in due parti che seguono cammini diversi. Se il raggio è ridotto a un singolo fotone, egli deve seguire o l’uno o l’altro dei cammini, egli non può distribuirsi in ambedue, perchè il fotone è indivisibile. E la sua scelta del cammino si presenta come questione di probabilità, e non di determinazione.

Per questa via si scorge che il secolo decimosettimo che riguardava la luce come particelle, e il secolo decimonono che la riguardava come semplici onde, sono ambedue in errore — o se preferiamo, ambedue nel vero. La luce, e la radiazione d’ogni specie, è l’una cosa e l’altra, corpuscolo e onda allo stesso tempo. Nell’esperimento del prof. Compton, la radiazione X cade su di un singolo elettrone e si dimostra come una pioggia di particelle discrete; negli [p. 64 modifica] esperimenti di Laue, Bragg e altri, una radiazione esattamente simile cade su un cristallo solido e si comporta in tutti gli aspetti come una successione di onde. Ed è sempre così in natura; nessun principio generale conosciamo ancora che ci dica quale comportamento sarà scelto in un istante particolare.

È chiaro, noi possiamo mantenere la nostra credenza nell’uniformità della natura soltanto se supponiamo che particella e onda siano la stessa cosa. E questo ci porta alla seconda metà, molto più sorprendente, della nostra storia.

La prima metà, che è stata raccontata, è che la radiazione adesso ci appare come onde, e adesso come particelle; la seconda è che elettroni e fotoni, le unità fondamentali della materia, possono ancora apparire ora come particelle, ora come onde. Una dualità è stata recentemente scoperta nella natura dell’elettrone e del protone simile a quella già conosciuta nella natura della luce; questi appaiono dunque essere corpuscoli e onde nello stesso tempo.

Se la teoria corpuscolare di Newton della luce cedesse il posto alla teoria ondulatoria, diventerebbe necessario spiegare come una successione di onde possa simulare il comportamento di una pioggia di particelle, e muoversi in linea retta, eccettuato se vien riflesso o rifratto.

Se il raggio, che attraversa un foro in uno schermo, consiste di onde, sarebbe naturale attendersi che [p. tav modifica]TAVOLA II. LA DIFFRAZIONE DELLA LUCE E DEGLI ELETTRONI

Fig. 1. Anelli di diffrazione prodotti su uno schermo opaco facendo passare la luce attraverso una cruna d’ago (N. R. Fowler).
Fig. 2. Anelli di diffrazione ottenuti facendo passare un fascio di elettroni attraverso una sottilissima foglia di oro (G. P. Thomson). Fig. 3. Anelli di diffrazione prodotti da elettroni riflessi su una piccola area d’una foglia d’oro (G. P. Thomson). [p. 65 modifica] si disperdessero in tutto lo spazio, come il vapore si disperde da tutta la superficie d’un serbatoio, o come un raggio molto ristretto, passando attraverso il buco d’uno spillo, si allarga, come è mostrato nella figura i della tavola II. Tuttavia Fresnel e Young hanno mostrato che una successione indisturbata di onde di sufficiente larghezza si muoverà come un raggio, senza apprezzabile dispersione per via — come una pioggia di particelle liberamente mobili — e viene riflessa da uno specchio, precisamente come una palla di fucile rimbalza sopra una superficie perfettamente dura. È stato anche dimostrato che un tale sistema di onde sarà rifratto. Finalmente, se un tale sistema di onde si propaga attraverso un mezzo il cui indice di rifrazione varia continuamente, il suo cammino sarà simile a quello d’una particella, fatta deviare dalla linea retta da forze agenti continuamente. Infatti i due cammini possono diventare identici, se in ogni punto si prende la forza proporzionale al variare del quadrato dell’indice di rifrazione. Questo spiega il successo delle proposizioni di Newton XCIV e XCVI, che noi abbiamo riferito a pagina 56.

Così, comunque, possono portare alle stesse conseguenze sia le particelle della teoria corpuscolare di Newton, sia una successione di onde.

Ma, appunto per la loro più grande complessità quest’ultime possono darci di più, e in ogni caso [p. 66 modifica] in cui le particelle non riescono a darci il comportamento della luce, è stato trovato che un sistema di onde rappresenta la parte completamente. Così le particelle ammesse da Newton vengono risolute in un sistema di onde. Negli ultimi anni abbiamo visto similmente le particelle di cui la materia ordinaria è costituita — cioè protone ed elettrone — risolversi in sistemi di onde. In alcune circostanze, il comportamento d’un elettrone o protone è stato trovato essere troppo complesso per permettere una spiegazione come il moto d’una sola particella; Louis de Broglie, Schrödinger e altri hanno accortamente tentato di spiegarlo come il comportamento d’un gruppo di onde, e così facendo, hanno fondato la branca della fisica matematica, conosciuta col nome di «Meccanica delle onde».

Se noi seguiamo con lo sguardo un’ordinaria palla da tennis rimbalzante sulla superficie di un campo perfettamente compatto, possiamo trovare che il suo moto è lo stesso che quello d’un fascio di luce riflesso alla superficie d’uno specchio, così che noi possiamo parlare propriamente della palla, dicendo che è stata «riflessa» dalla superficie del campo. Ma con questa scoperta non si è guadagnato tanto. Senza dubbio, ciò ci permetterà d’interpretare la palla da tennis come un sistema di onde, se lo desideriamo; ma non lo facciamo, perchè noi abbiamo visto o pensiamo d’aver visto che una palla da tennis non è un [p. 67 modifica] sistema di onde. Il caso sarà differente se l’oggetto che si muove è un elettrone. Se il moto dell’elettrone rimbalzante su d’una superficie fu osservato esser simile a quello d’un sistema d’onde, niente può escludere la possibilità che l’elettrone sia un sistema d’onde. Non possiamo adesso dire: «Questo non mi interessa; io posso vedere l’elettrone ed è chiaro che non è un sistema d’onde», perchè nessuno ha visto un elettrone, o possiede il concetto più remoto di ciò che, se potessimo, vedremmo. Noi siamo proprio liberi a priori di considerare un elettrone come un sistema di onde, come di considerare i corpuscoli di Newton come un sistema di onde. E per trovare se realmente un elettrone è un sistema di onde, noi dobbiamo invertire il fenomeno, in cui una particella solida e un sistema di onde debbono comportarsi differentemente.

Adesso i fenomeni in cui l’elettrone si è comportato in modo del tutto differente da quello che ci saremmo aspettato se esso fosse un corpuscolo, ci forniscono precisamente il gruppo di fenomeni di cui abbiamo bisogno, e, in ogni caso, l’elettrone ha mostrato di comportarsi come un sistema di onde. Un fenomeno particolare è quello d’una pioggia di elettroni su una foglia di metallo; essa non deve rimbalzare come farebbe una pioggia di chicchi di grandine o di palle da tennis, ma produce figure di diffrazione come farebbe un sistema d’onde (figura 3, [p. 68 modifica] tavola II). E lo stesso è il risultato, se la corrente d’elettroni è fatta passare attraverso un’apertura molto stretta: essi si diffondono lateralmente e producono un effetto di diffrazione che rassomiglia molto a quello che producono le onde luminose (fig. 1 e 2, tav. II). Questo non deve naturalmente provare che un elettrone consiste di onde, ma si tratta di sapere se un sistema di onde non ci dia un’immagine migliore dell’elettrone, di quel che non faccia una particella rigida. Attualmente un sistema di onde fornisce un modello che sinora non ha mai mancato di tradire il comportamento d’un elettrone, mentre la concezione dell’elettrone come un corpuscolo rigido in varie circostanze ha fallito.

La nuova meccanica delle onde mostra che un elettrone o un protone in moto deve comportarsi come un sistema d’onde di determinata lunghezza; questa dipende dalla massa del mobile, e dalla sua velocità di moto, non da altro. E la lunghezza d’onda, che si assegna all’elettrone e protone, moventisi sotto ordinarie condizioni di laboratorio, è tale che può essere facilmente misurata con apparecchi ordinari.

Esperimenti che si possono descrivere come riflessione e rifrazione d’elettroni sono stati fatti da Davisson e Germer in America, dal prof. G. P. Thomson in Aberdeen, da Rupp in Germania, da Kikuchi in Giappone, e da molti altri. Elettroni mobili sono [p. 69 modifica] stati lanciati, formando un fascio parallelo, sopra o attraverso una superficie metallica. E in ogni caso l’effetto ottenuto su una lastra fotografica, convenientemente posta, non è per niente quello che si sarebbe osservato se gli elettroni si comportassero come una pioggia di piccole pallottole o altre particelle rigide. Una figura di diffrazione è stata ottenuta invariabilmente, consistente in un sistema di anelli concentrici, alternativamente oscuri e luminosi. Le figure sono le stesse di quelle che si sarebbero ottenute se onde d’una lunghezza definita fossero cadute sul metallo, e se si misura la lunghezza dell’onda, si trova che è quella predetta dalla meccanica delle onde. Recentemente il prof. A. J. Dempster di Chicago ha ottenuto gli stessi risultati con protoni mobili.

Questi e altri esperimenti mettono in chiaro che le onde e le lunghezze associate con elettroni e protoni mobili sono più che un semplice mito. Vi ha certamente qualche cosa di natura ondulatoria, e il modello che presenta elettroni e protoni come sistemi d’onde, spiega il loro comportamento nell’interno e fuori degli atomi, meglio di quello che farebbe la teoria, che li riguardava semplicemente come particelle cariche. Discuteremo più tardi la natura di queste onde. Intanto possiamo concludere dicendo che i costituenti della materia (elettroni e protoni) e la radiazione mostrano ambedue una eguale natura. Finchè la scienza lavora con fenomeni su larga scala, [p. 70 modifica] un modello adeguato può generalmente ottenersi supponendo che ambedue abbiano la natura di particelle. Ma se la scienza si fa più accosto alla natura, e passa allo studio dei fenomeni microscopici, materia e radiazione mostrano di risolversi egualmente in onde.

Se noi vogliamo intendere la natura delle cose, dobbiamo volgere la nostra attenzione a questi fenomeni microscopici. Qui giace l’ultima natura nascosta delle cose, e quel che troviamo sono onde. In questa maniera noi cominciamo a sospettare che viviamo in un universo di onde, e niente altro che onde. Noi discuteremo la natura di queste onde in sèguito. Per ora basta osservare che la scienza moderna è progredita molto rispetto all’antica concezione d’un universo come semplice collezione di frammenti rigidi di materia, in cui onde di radiazione sono dei puri accidenti. Nel prossimo capitolo andremo più avanti su la stessa via.