L'Ossola

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Illustrazioni

[p. 9 modifica] affresco nella sala d’onore al «boarengo».(Fot. O. Leoni, Ferrara).

DD
ALLE sue lontane scaturigini di tra i ghiacci dell’Hohsand, il corso della Toce s’allunga quasi rettilineo, trascorrendo per lungo tratto giù per l’alta e solitaria valle Formazza, per la diritta e profonda Antigorio, pel largo ed aperto bacino di Domodossola; poi s’inflette con brusco angolo in direzione di levante dal confluente dell’Anza in giù, e corre a cercar pace alle sue rapide acque in quel bellissimo seno del Verbano, che da Pallanza e da Stresa si fa così triste e chiuso verso Fondotoce e Feriolo. Ossola è il nome della convalle, esteso sovente a indicare tutto quanto il bacino della Toce, ma più rettamente limitato a quel tratto della valle maggiore piano ed uniforme, occupato da prati e da ghiaieti, fasciato d’una fitta cintura di borghi e di casali, sul quale la Toce, uscita dai corridoi e dalle gole del suo corso più alto, si allarga divagando

tra i raddolciti pendii fino al lago.

Collo stesso ordine, o quasi, che i rami ad un tronco, si connettono colla valle corsa dalla Toce le laterali, scendenti brevi e precipitose dai colossi agghiacciati delle Pennine e delle Lepontine o dalle giogaie meno aspre che fronteggiano da ponente il Verbano. Ricordano veramente nella disposizione la nervatura d’una foglia: — da levante, la nuda e deserta val dell’Isorno, sboccante nel piano stesso di Domodossola a paro dell’opposta Diveria, — e Vigezzo, la più dolce ed amena fra le valli ossolane, scendente quasi in faccia a Domo e a val Bognanco; — da ponente, l’alpestre, pittoresca val Dévero confluente in Antigorio sotto Baceno, — la valle della Diveria, a tratti allargata in ridenti bacini, a tratti nuda e severa, scendente al piano di Domo dal giogo del Sempione, — la breve valle di Bognanco sboccante poco sopra Domo, che le sue acque devastarono tante volte, — la solitaria e pittorica valle d’Antrona, confluente nella maggiore pochi chilometri a mezzogiorno di Domo, — [p. 10 modifica]la lunga e varia val Anzasca, scendente dalla magnifica muraglia ghiacciata del monte Rosa fin quasi a Vogogna, dove il piatto fondo della valle maggiore s’incurva verso il Verbano.

Così disposto e formato col suo tronco maggiore e colla varia ramificazione delle valli laterali, il bacino dell’Ossola rimane ampiamente e facilmente aperto verso la pianura padana, sia pel doppio ingresso a valle verso il Verbano, sia per l’altro pur agevole accesso dal lago d’Orta verso Novara; mentre dall’altro canto paesaggio dell’ossola inferiore — mergozzo colla ferrovia del sempione.
(Fot. E. Galloni, Mergozzo).
esso è pur fornito di comunicazioni abbastanza agevoli coi paesi d’oltremonte, per parecchi passi frequentati fin dall’antichità, dove l’alpe è men ardua. Ond’è che l’Ossola può veramente dirsi posta da natura, così da accogliere da un lato le influenze e la vita largamente penetranti dal piano lombardo e piemontese, dall’altro i modi e gli influssi oltremontani filtranti, per assai più ristretta vena, dai valichi aperti nella grande cerchia delle Alpi.

Di tale doppia penetrazione sono documento tutte le vicende storiche del bacino ossolano dalla più remota antichità fino ai tempi nostri, nei quali i mezzi e le vie di comunicazione così rapidamente moltiplicati nella loro potenzialità ed efficienza hanno accentuato ancora più il carattere, che l’Ossola in certa misura ha avuto [p. 11 modifica]sempre, di paese intermediario fra due stirpi. Gli ultimi cento anni hanno veduto infatti il magnifico nastro della via del Sempione gettarsi arditamente dalla valle della Toce a quella del Rodano, una linea ferroviaria risalire da Novara lungo il lago d’Orta e la Toce fino a Domodossola, una seconda linea, potentissima fautrice di scambi, forare le viscere dell’Alpe passando, traverso l’Ossola, dalla pianura padana all’Elvezia; e per le moltiplicate vie accrescere gli Ossolani il secolare loro esodo paesaggio alpestre dell’ossola — dintorni di macugnaga. in cerca di ricchezze nei paesi stranieri, affluire d’altronde ogni giorno più d’oltralpe forestieri e turisti, accorrer dalla valle padana villeggianti al fresco riposo dei monti e artieri e industriali in cerca di forze e di opere nuove.

Tempo è dunque oggi, che di codesto felice bacino alpestre, aperto ora più che non sia stato mai agli scambi, alle ricerche industri, agli studi, all’ammirazione di chi più sente le bellezze della natura, siano resi noti tutti i tesori che, per dono naturale e per opera umana, esso racchiude nel suo seno. Chi scrive queste righe, avendo già avuto occasione di dare alla conoscenza dell’Ossola qualche contributo nel campo scientifico, è lieto ora di recare ad essa un contributo nuovo coll’illustrare [p. 12 modifica]una parte almeno dei tesori maggiori che l’Ossola possiede nel campo dell’arte. Vengano, dietro a questa traccia segnata da un inesperto distolto per brev’ora da studi di troppo diversi, coloro cui son meglio note le vicende della storia dell’arte italiana, e richiamino degnamente a nuova vita nei loro studi tutto il non inglorioso passato artistico delle terre ossolane. ospizio vecchio del sempione.

Le vicende dei tempi anteriori al dominio di Roma sono nell’Ossola, come altrove, ricoperte da un velo assai fitto. Dominarono dapprima in tutta questa parte delle Alpi i Leponzii, ed ebbero lor centro maggiore in Oscela (la Domo attuale), onde trasse il nome l’Ossola tutta: dalla valle del Po risalirono poi lungo il corso delle acque le popolazioni celtiche del piano, alle quali si sovrappose in progresso di tempo (secolo I a. C.) la conquista di Roma.

Delle civiltà anteriori alla romana non è rimasto quasi alcun documento, se ne togli forse le necropoli recentemente dissepolte a Ornavasso, a Mergozzo e presso Candoglia, e la ricca suppellettile funeraria, appartenente in parte a tempi anteriori alla conquista romana, ivi trovata dall’erudito cav. Enrico Bianchetti e dall’avvocato [p. 13 modifica]Egisto Galloni. Ben altrimenti indelebili appaiono invece ancora oggi nell’Ossola i segni dell’impero di Roma, impressi in opere d’arte grandiose sopravvissute alle ingiurie dei secoli. Se appena si scorgono ancora le traccie d’una scritta incisa su d’una rupe presso il ponte dell’Orco in val Divedro, sorge intatta pur oggi la famosa iscrizione romana presso il ponte della masone. iscrizione, che, un chilometro e mezzo più su di Vogogna; in prossimità del ponte della Masone (dove la strada del Sempione oltrepassa la Toce), ricorda la via antica quivi fatta riattare da Settimio Severo nel 196 d. C. Risaliva questa vetusta precorritrice della grande strada napoleonica, dalla bassa Ossola lungo la Toce verso il Sempione; e qui, nel punto ove la valle lascia la direzione occidentale volgendo diritta a settentrione la vigile cura del governo di Roma aveva fatto scolpir nella roccia la scritta, che, a stento rinvenuta nel 1837 dopo faticose ricerche, nascosta quasi [p. 14 modifica]interamente sotto l’edera e i muschi e per di più mezzo rovinata da vandali ignoti, fu tosto riprodotta integralmente al disopra, a parecchie parole mancanti supplendo bene o male le congetture dei dotti. Nuova iattura minacciò testè lo storico sasso, quando, costruendosi ivi la ferrovia del Sempione, parve dovesse venir sacrificato quel ricordo delle glorie antiche alla moderna insofferenza d’ogni ostacolo frapposto al più breve cammino; ma una deviazione del terrapieno ferroviario salvò il sasso, ponte mallio e ingresso in valle antigorio (da mezzodì). rimasto però malamente isolato fra il terrapieno e la strada rotabile. Così parla ancora l’antica voce:

«Q VIA FACTA EX HS XXII DC || C. DOMITIO DEXTRO II P[VBLI]O FVSCO COSS || M. VALERIO [OPTATO C. VALERIO THALETE] || CVRATORIB[VS OPERI DATIS I]M[PER]IO || VENVSTI CON[DIANI PROC. ALP. ATRE]CT. || MARMOR[EIS CREPIDINIBVS MVNITA]»1

Ancora in più luoghi a nord del punto ov’è la memoranda iscrizione, appaiono traccie di quella stessa antica via, che alla stretta di Ponte Mallio, venti chilometri [p. 15 modifica]circa più in su della Masone, abbandonava finalmente la sinistra del fiume per gettarsi sull’altra sponda e volger quindi a ponente verso la valle della Diveria. Ed è a quella stretta appunto, dove una strozzatura repentina segrega quasi la valle Antigorio dal bacino ossolano, che un’altra opera richiama fondatamente il ricordo ponte mallio (da tramontana).
(Fot. E. Lossetti, Piedimulera).
di Roma antica: vogliamo dire l’arco ardito di quel ponte (oggi in gran parte riattato), che se nessun ricordo ci conserva del favoleggiato console Manlio, appare tuttavia veramente per la forma e pel modo della costruzione lavoro romano. Gettato sopra le acque turbinanti all’ingresso della breve gola, colla strada di val Antigorio a lato intagliata aspramente nella roccia, coll’orizzonte largo e sereno del bacino ossolano chiudente lo sfondo a valle, il sottile arco romano pone nel pittoresco paesaggio una vaga nota di più. [p. 16 modifica]

Voglionsi ancora, con troppa facilità, attribuire a costruzione romana l’arco sveltissimo che cavalca il Rio lungo la vecchia mulattiera fra Trasquera e Bugliaga (alta val Divedro), — il caratteristico ponte detto dell’Orco, gettato sopra la Diveria un’ora disotto di Varzo. — i resti visibili ancora del ponte vecchio di Crevola, che impostava il suo arco, da gran tempo crollato, poco sotto agli altissimi ponte antico fra trasquera e bugliaga (val divedro).
(Fot. Roggeri, Domodossola).
archi dell’attuale ponte napoleonico, — un altro ponte in val Devero, dove ancora apparirebbe l’antico lastricato della strada romana che conduceva di là nel Vallese, — e altrove ponti e tratti più o meno lunghi di strada, fin sul valico agghiacciato del Monte Moro, recanti veramente o creduti recare l’impronta sicura della romanità. Nè d’altro diciamo, chè, a numerare per intero le traccie rimaste di quell’età antica, occorrerebbe ricordare ancora tutti gli oggetti, dalle tombe ai bronzi, alle armi, alle [p. 17 modifica]ponte dell’orco (val divedro). [p. 18 modifica]monete che in ogni valle ossolana il caso o l’opera diligente di pochi ricercatori appassionati ha tratto di sotterra e ridonato, specie in questi ultimi anni, alla luce.

Al finire della dominazione romana segue per l’Ossola, come per tutte le regioni alpine, un periodo più volte secolare di oscurità, durante il quale le vicende del nostro territorio son note soltanto per rarissime notizie di storici e di monumenti. Certo qui come in tutta l’Italia due fatti fondamentali dominano la storia di quei secoli oscuri, il fatto delle invasioni dei popoli germanici e quello della diffusione del cristianesimo; e sull’uno e sull’altro dobbiamo fermarci per rilevare quanta ponte dell’orco (val divedro).(Fot. O. Leoni). influenza essi abbiano avuto nello svolgersi della storia artistica di tutto il bacino ossolano.

Per ciò che riguarda le invasioni dei popoli d’oltralpe, noi non ripeteremo certamente qui quel ch’è troppo noto, sulle dominazioni straniere che dopo la caduta dell’Impero d’Occidente ebbero in loro balìa l’Ossola insieme colle vicine contrade dell’Italia settentrionale. Nessuna manifestazione d’arte d’altronde, per quanto rozza ed oscura, può parlarci oggidì, nel territorio che abbiamo preso ad illustrare, di Eruli, di Goti, di Longobardi, di Franchi: e solo un’impronta speciale ben netta e distinta, intatta ancor oggi dopo lunghi secoli, possiamo riscontrare in alcuni luoghi dell’Ossola, occupati stabilmente da gruppi di popolazioni tedesche vallesane. Abbastanza numerosi per costituire delle vere colonie etniche sul versante meridionale [p. 19 modifica]delle Alpi, codesti gruppi si stanziarono di qua dai passi facilmente superati, nelle alte valli quasi deserte, durante i secoli dal VI al XIII: ai penetrati dall’alta valle del Rodano pel passo del Gries appartenne la val Formazza, colle due comunità isolate, un po’ più a sud, di Salecchio e di Agáro; — ad altri, che, passato agevolmente il Sempione, furono arrestati dalla stretta di Gondo, appartenne l’alta val Divedro; — ad altri ancora, tratti dalla val di Saas per volontà di feudatari di qua dal varco nevoso del Monte Moro, toccarono i pascoli e le selve di Macugnaga. — ad altri ponte moderno e resti del ponte antico sulla diveria presso crevola.
(Fot. Bochi, Lugano).
finalmente, spinti da Naters nel secolo VI o poco più tardi fin nel piano della bassa Ossola quasi in vista del Lago Maggiore, fu residenza Ornavasso colla retrostante valletta del Boden.

Di tutte queste colonie, quella d’Ornavasso sola, più esposta nel piano all’assalto delle circostanti parlate lombarde, ha perduto ormai il nativo dialetto tedesco; le altre, più aperte verso la valle del Rodano che verso la nostra (come nell’alta val Divedro), o chiuse noi fondo di valli accessibili da ieri appena o ancora inaccessibili alle strade rotabili, hanno conservata quasi intatta la parlata d’oltralpe. Ma anche Ornavasso come diversa nell’aspetto del paese e in tutte le sue costruzioni meno recenti dagli altri borghi ossolani! Mentre Mergozzo, tre chilometri lontana, affolla le sue [p. 20 modifica]vecchie case l’una a ridosso dell’altra sulle strettissime viuzze scendenti al lago, Ornavasso sparge su un’area assai vasta le sue case tutte intramezzate da larghissimi cortili e separate dalla strada per mezzo d’un recinto arborato, mentre le vie corrono larghe e regolari sotto un ininterrotto pergolato di viti. Chè se da Ornavasso saltiamo a Macugnaga, ad Agáro, ai villaggi di val Formazza, ancora più ponte antico in val devero.(Fot. O. Leoni). caratteristiche appaiono (per la necessità di difendersi, come oltralpe, dall’accumularsi lungo delle nevi) le costruzioni, pittoresche oltremodo e ricordanti identiche forme facili a rintracciare nei châlets della vicina Svizzera.

Quanto diverse forme si riscontrano invece, pur dove ricorre la stessa commistione del legno e del sasso, nelle vecchie abitazioni rurali dei vicini villaggi rimasti in tutto italiani! Povere abitazioni di montanari, lontane da ogni gentilezza d’arte, ma pur segnate anch’esse, come ogni umile ed alta manifestazione artistica di queste vallate, come i loro costumi, come la loro lingua, come la loro civiltà, dall’impronta [p. 21 modifica]d’un’italianità schietta, che in pochi luoghi e con ben rari segni rivela traccia d’influenze straniere.

Se, tranne che nelle alte valli e nell’isola etnica d’Ornavasso, l’influenza transalpina si manifestò nell’Ossola in modo così poco appariscente, ben diversamente improntò di sè tutto il paese, fin dal principio del Medio Evo, con profondo rivolgimento in ogni manifestazione di civiltà e di cultura, la diffusione del ponte antico in val bognanco. cristianesimo, qui operata specialmente per merito dei santi fratelli Giulio e Giuliano sullo scorcio del secolo IV.

Prima chiesa matrice dell’Ossola tutta fu, secondo la tradizione, quella ch’esiste ancor oggi dedicata a san Quirico e a santa Giulita madre di lui, eretta solitaria fra i vigneti, a piè della collina, pochi minuti fuor di Domodossola verso mezzogiorno; il quieto recesso, quasi nascosto al riparo del forte poggio di Mattarella, è valso a salvare questa dalla ruina toccata a tutte le chiese antiche della vicina Domo. Rozza e semplice, nella sua piccola pianta rettangolare a una sola navata, come niun’altra delle vecchie chiese dell’Ossola (tranne la santa Marta di Mergozzo), guasta sulla facciata e sul fianco sinistro da misere appiccicature assai tarde, trasformata nelle finestre, che quasi nulla hanno più della forma originaria, e rifatta in [p. 22 modifica]tutta la parte più alta del campanile, la rustica chiesetta conserva soltanto nel fianco destro e nell’abside semicircolare la caratteristica cornice romanica ad archetti pensili, le lesene e taluna delle finestre antiche a tutto sesto: e per questi caratteri peculiari e per tutta la vetusta rozzezza della costruzione rivela un’antichità che, se non è certo quella che la tradizione pretende (anche certe Guide parlano del secolo IV!), è pur superiore forse a quella d’ogni altra chiesa ossolana.

La stessa pianta, le stesse forme e gli stessi particolari architettonici che in san Quirico, costumi di val formazza. troviamo ripetuti nella ancor più piccola chiesetta di santa Marta in Mergozzo abbastanza ben conservata nei fianchi e nell’abside benchè posta nel fitto delle case e benchè rialzatole tutto il terreno all’intorno. Così poco discosta per cammino dal tempio (che presto ricorderemo) di san Giovanni in Mont’Orfano, la vecchia chiesa di Mergozzo sembra per la sua povertà architettonica rappresentare una forma d’arte anche meno progredita, che parrebbe quindi potersi far risalire a tempi forse più antichi del secolo IX.

Più antica ancora, prima chiesa matrice anzi di tutta l’Ossola inferiore, fu, secondo la tradizione, quella che ancor oggi dà il nome di pieve alla località di Pieve Vergonte, posta sulla destra della Toce un paio di chilometri a ponente di Vogogna. Oggi ancora ricorrono, in riconoscimento della tradizione, a quella chiesa per i santi olii tutte le parrocchie di val Anzasca e della bassa Ossola; ma dell’edificio antico, scomparso, come l’antico borgo, per le ripetute alluvioni rovinose dei corsi d’acqua vicini, nulla più rimane, e son resti più tardi un tratto di muro con traccie di antica pittura nascosto inferiormente al pavimento dell’attuale chiesa seicentesca, ed il bel campanile rifatto in gran parte nel secolo XVI.

Egual vanto d’una delle prime adunatrici dei cristiani dell’Ossola trae dalla tradizione la chiesa di san Giovanni in Mont’Orfano, menzionata per la prima volta in un documento dell’885. Di essa esiste ancora quasi intatto l’edificio solitario, solidamente costruito in granito, nascosto insieme con poche e povere case di villici in un piccolo ripiano verde del Mont’Orfano, sull’ultimo dirupato sperone orientale del monte. Deturpata in parte all’esterno con l’aggiunta d’un pinacolo quadrilatero al [p. 23 modifica]sommo della cupola e con l’appiccicatura d’una rozza casupola sul fianco sinistro, guasto l’interno da un intonaco venato di violetto, di giallo e di turchino, nonchè da una sciagurata decorazione a fiori ricoprente le volte, la chiesetta conserva però quasi intatto il fascino della sua arte semplice e vetusta. La pianta è a croce rozzamente disegnata con una sola navata, con le volte a crociera, coll’abside semicircolare e colla cupola a tamburo ottagono: una vaga cornice di coronamento ad archetti pensili agaro.
(Fot. E. Lossetti).
intrecciati gira tutt’intorno ai fianchi e alla cupola, e una loggetta a galleria corona esternamente il giro dell’abside; le finestre sono intagliate variamene nello strombo, le mensole degli archetti e i capitelli della loggetta s’adornano, allo stesso modo che nella santa Marta di Mergozzo, di rozzi disegni geometrici e di fogliami rudimentali o di teste d’animali e d’uomini grottesche2. Tanto l’organismo costruttivo come le forme decorative richiamano alla memoria, fra gli edifici più prossimi per epoca e per distanza di luoghi, il battistero di Biella (sec. X); ma qui al fascino dell’arte veneranda s’aggiunge per di più quello della verde solitudine montana, non turbata [p. 24 modifica]case al ponte (val formazza). dalla vicinanza dei pochi e poveri abituri e accresciuta ancora pel totale abbandono che intorno al vecchio tempio derelitto ha fatto la concorrenza fortunata e giovane d’una nuova chiesa evangelica.

Altri edifizi sacri venerandi per età e per interesse artistico può dirsi che manchino quasi del tutto nell’Ossola inferiore. Vogogna, che per cinque secoli, dopo la rovina toccata a Vergonte, fu il capoluogo di questa parte dell’Ossola, ha bensì, accanto alla adorna e pomposa parrocchiale eretta ai giorni nostri, la parrocchiale vecchia; ma in codesto edificio degli inizi del secolo XVI l’unica parte interessante è la porta maggiore costrutta con frammenti più antichi, tra i quali gli stipiti raffigurano scolpiti in figura intera san Cristoforo e san Giacomo ai quali è dedicata la chiesa, mentre sopra a loro e ad altre due piccole teste frammentarie l’architrave rappresenta tra due angeli e in mezzo a rozzi ornati il Padre Eterno reggente il globo: il tutto difeso al disopra da una lunga cornice ornamentale a fogliami.

Al medio evo risale ancora l’unica chiesa antica rimasta nella valle Anzasca, cioè la chiesa vecchia di Macugnaga, eretta verso la fine del secolo XIII quando incominciarono per la prima volta a popolarsi quegli alpestri recessi; benchè rifatta nel 1580 (e nel secolo XVIII eclissata dalla parrocchiale nuova assai ampia e suntuosa), rimane ancora il coro con le sue finestre archiacute ad attestare dell’antichità del primitivo edificio, «Col suo tiglio gigante alla cui ombra si trattarono per tanti secoli [p. 25 modifica]al ponte (val formazza).(Fot. E. Lossetti). gl’interessi di quel comune alpino, colle sue memorie, coll’aspetto severo delle sue reliquie venerande», la chiesa vecchia di Macugnaga «è tal monumento per quei valligiani, che merita d’essere con ogni cura preservato dalle ingiurie dei torrenti, degli uomini e del tempo». Dolce, a chi l’ha veduta, ricordarla tra il verde dei prati silenziosi e la candida imminente corona delle nevi e dei ghiacci!

Nella località di Villa d’Ossola risalgono ancora ai secoli medioevali la vecchia chiesa di san Bartolomeo, fabbricata nel piano lungo la sponda sinistra dell’Ovesca, appena fuori del paese verso Domo, e i resti della chiesuola di san Maurizio nella frazione del Piaggio, presso la stazione ferroviaria. Nella prima attraggono ancora l’attenzione, non tanto la nuda facciata cogli ornati infantili della lunetta sovrapposta alla porticina d’ingresso, quanto i fianchi e la parte posteriore coll’abside semicircolare, conservanti le solite tipiche lesene e gli archetti pensili con le mensole segnate di rozzi disegni geometrici, non diversamente di quel che già vedemmo in tutte le più antiche chiese ossolane; solo che qui tutto l’insieme attesta una minor vetustà, tanto da poter ricondurre l’edifizio all’XI o XII secolo. Il campanile, conservato abbastanza bene, offre il leggiadro tipo caratteristico dei campanili romanici dell’Ossola (e non dell’Ossola soltanto), colle finestre monofore nei due piani inferiori, bifore nel [p. 26 modifica]terzo e nel quarto, trifore nei tre piani di sopra, e col giro degli archetti pensili ad ogni piano: un insieme ricco di grazia e di leggerezza.

Quanto alla chiesuola del Piaggio, solo il campanile ischeletrito, simile un giorno a quello di san Bartolomeo, rotto oggi ad ogni piano da grandi vani spalancati alla pioggia e al vento, si regge ancora contro le ingiurie del tempo, mentre della piccolissima chiesa, tutta crollata, rimane solo il coro (costruzione del secolo XVI o poco più tarda), aperto alle intemperie, invaso dalle piante selvatiche, pieno di stoppie ammonticchiate a ridosso d’un vecchio affresco assai guasto. A piè delle ruine, di sul poggetto erboso, l’occhio s’arresta a contemplare il sereno piano corso dalle acque erranti della Toce e degli altri torrenti, mentre l’orecchio non trova più l’antica pace, rotta dall’assiduo ferreo rombo delle macchine affannate al lavoro fra le tristi mura delle attornianti officine.

Delle chiese medievali di Domo non è rimasta purtroppo quasi alcuna traccia, poichè l’antica e bella collegiata dei ss. Gervaso e Protaso, che sorgeva nei pressi dell’attuale palazzo del Municipio, fu fatta demolire nel secolo XV per guadagnare spazio all’ampliamento del vicino castello; e della vecchia chiesa di san Francesco, consacrata nel 1381, solo rimane oggi, con la porta principale e coi resti di due finestre bifore, la parte inferiore, tutta contesta nella facciata di marmi bianchi e neri. Ma le tre navate, sui cui muri interni l’intonaco ha nascosto quasi ogni traccia degli antichi affreschi, son oggi divenute in vari scomparti deposito di pollame e di erbaggi, magazzino di botti, rimessa d’un vetturale ed altre cose, mentre la parte superiore è stata interamente riedificata, di sui muri perimetrali inalzandosi con assai scarso valore d’arte un palazzo destinato a pubblici uffici. Chi guardi il dipinto di Domo antica da noi riprodotto a p. 103 e vi scorga a man diritta presso le mura la chiesa francescana con l’elegante facciata a finestre bifore e con l’alto e aguzzo campanile, non può che deplorare che in pieno secolo XIX si sia compiuto lo scempio di questa, ch’era certamente la più notevole chiesa della vecchia Domo e che per secoli era stata il centro di gran parte della vita spirituale e morale della borgata. Così devastavasi nel secolo XIX anche l’attiguo chiostro dei Minoriti, solo rimanendone in piedi, riconoscibilissima ancora benchè ridotta a misere bottegucce e dimore, tutta l’ala destra colla lunga e leggiera loggia del piano superiore e colla bella finestra verso mezzodì. Ma di ripristinare o di conservar meglio questo resto del bell’edificio deturpato non si parla, bensì d’abbatterlo per migliorare ancora la viabilità di Domo moderna e per affrettare la scomparsa del poco che ancor ricorda qua e là la vaga caratteristica borgata medievale.

Non diversa sorte da questa delle antiche chiese di Domo è toccata, pochi chilometri più lungi, al vecchio duomo di san Martino in Masera, interessantissimo edificio romanico datato, come i documenti attestano, dalla fine del secolo XIII, se non prima. Durava esso ancora, pochi anni or sono, vigoroso e salvo [p. 27 modifica]l’aggiunta d’una navata a sinistra e il rifacimento del coro, quasi intatto nella sua forma primitiva: ma nel 1882 gli abitanti lo vollero inconsultamente demolito per sostituirlo con altra chiesa, che fosse più grande... e più brutta. Nè a rendere men grave una casa a grovella (val formazza)(Fot. O. Leoni). la perdita, vale la conservazione d’un altro frammento di chiesa antica, voglio dire del vecchissimo campanile di sant’Abbondio, pittorescamente ritto da forse otto secoli su uno scoglio roso dalle acque rapide del Melezzo; nulla rimane della chiesa cui esso vegliò, mal sostituita in tempi più vicini a noi da un meschino oratorio, che per unica ricchezza conserva un bel crocifisso di legno del Cinquecento o del Seicento. [p. 28 modifica]

costume di val antigorio

Se da Masera, passato il Melezzo, saliamo all’aprica Trontano dominante l’ingresso della val Vigezzo, troviamo accanto ad un forte campanile piantato, come in tante altre località ossolane, sopra uno scoglio, la chiesa di Santa Maria menzionata già in documenti dell’anno 1294. Di tale epoca appunto sembra faccia testimonianza la rozza facciata, interessante per parecchi particolari costruttivi e adorna delle solite lesene e dei soliti archetti pensili, retti da mensoline recanti deformi sculture di volti umani; una lapide, sovrapposta internamente a una delle porte minori, attesta, è vero, che la chiesa fu costrutta nel 1554 e restaurata più tardi, ma per la facciata è da credere i costruttori del secolo XVI si giovassero con poche modificazioni di quella del tempio preesistente. L’interno, a tre navate rette da grosse e tozze colonne, intonacato e dipinto con cattivissimo gusto, non merita parola alcuna.

Delle numerose borgate, disseminate a pochi minuti di cammino l’una dall’altra intorno e nel mezzo alla piana dolcissima conca di val Vigezzo, poche conservano ricordi artistici d’età lontane, poichè l’agiatezza, che a tutte le località vigezzine ha procacciato da secoli l’emigrazione laboriosa degli abitanti in Francia, in Germania e domodossola - la chiesa di s. quirico. altrove, ha fatto sorgere dappertutto nuove e linde villette al posto dei vecchi tuguri e moderne chiese suntuose ove eran le antiche ristrette e povere di luce e di fasto. Più antica di tutte, secondo la tradizione, la chiesa matrice della valle dedicata alla Vergine in Santa Maria Maggiore, menzionata già in un documento del 1022; senonchè la riedificazione avvenuta nel 1500 e [p. 29 modifica]costume di val antigorio. il rifacimento ulteriore del 1733 manomisero così completamente l’antico edificio romanico, che di esso si salvarono appena due frammenti di scultura raffiguranti due mostri fantastici (incastrati rispettivamente nel muro esterno della chiesa e in una rozza cappelletta a sud di essa), una colonna con interessanti figurazioni bestiarie eretta ora a una delle estremità del paese, e forse taluno degli ornamenti della facciata antica adattato alla moderna: cioè la rosa centrale, e il fregio ad archi impostati su mensolette variamente scolpite ricorrente per tutta la larghezza della facciata. Forse se questa si spogliasse del grosso strato d’intonaco che la ricopre, altri indizi rivelerebbero essersi in questa parte conservato abbastanza della chiesa primitiva; anche il brutto intonaco del campanile, scrostandosi ora e cadendo per larghi tratti, va discoprendo (e speriamo non si voglia, abside della chiesa di s. marta in mergozzo.
(Fot. E. Galloni).
per goffo amore d’imbellettature, ricoprirlo) l’aspetto originario della grossa torre campanaria conservata ancora dai tempi medioevali, coi suoi archetti pensili e colle finestre (ora murate) varie dal basso in alto al modo stesso di quelle di san Bartolomeo a Villa.

Ben altre chiese sussistono oggi ancora nell’Ossola, oltre alle già ricordate, interessanti per la storia dell’arte nostrana, ma perchè in esse più che l’arte dei secoli medioevali attrae l’attenzione quella di tempi men lontani da noi, vorremo farne parola più innanzi, fermandoci qui ad accennare quel nelle chiese brevemente illustrate finora conserva ricordo dell’arte pittorica semplice e ingenua anteriore al pieno fiorire della Rinascenza. Non attendiamoci già ad opere che risalgono come [p. 30 modifica]la tradizione locale e spesso le complici Guide pretendono, a secoli assai remoti, nè che attestino l’opera di alcuno fra i celebrati pittori nostri più antichi; nessuna traccia sicura di affreschi conservati oggi nelle chiese ossolane ci riconduce più in là del secolo XIV (o forse XV), e la tavola del Ghirlandaio che taluno ricorda nella parrocchiale di Varzo è un dipinto di due o tre secoli fa raffigurante non so che testa di santo cinta da una ghirlanda di fiori di scelleratissimo gusto! chiesa di pieve vergonte.(Fot. E. Lossetti).

Tiene forse anche per la pittura il primato, in ordine di tempo, l’antica chiesa di san Quirico presso Domo, non tanto pel vecchio affresco quasi interamente scomparso (probabilmente un san Cristoforo) che adornava all’esterno il muro meridionale, ma per gli affreschi, che dall’intonaco ricoprente le pareti dell’unica navata ha in buona parte discoperti, con affettuosa e paziente ricerca, l’opera d’una colta signora sui cui terreni sorge la vetusta chiesetta. Sulla parete di destra è dipinta una santa Caterina cogli emblemi del martirio, accanto a una graziosa Madonna col Bambino sedente in una nicchia di schietto stile quattrocentesco; ma tale affresco appare [p. 31 modifica]facciata della chiesa di s. giovanni in montorfano. perato per antichità da un san Giulio, sul quale io stesso potei scoprire l’iscrizione «Hoc opus fecit fieri Antoninus f. q. Guiglermi de Antigorio MCCCCXV», — da un pianta della chiesa di s. giovanni in montorfano.
(dai disegni di b. benzoni).
san Michele, rappresentato nell’atto di pesare due anime mentre il diavolo caccia il suo forcone su un piatto della bilancia, — e soprattutto da una Cena, che nel disegno affatto rudimentale e nell’ingenua prospettiva appare risalire almeno al secolo XIV. Nel catino dell’abside, sotto un san Giulio mezzo cancellato che incanta i serpenti, è dipinto il Cristo fra i simboli degli apostoli, con una rozzezza di disegno e di stile che richiamano all’affresco della Cena; a tergo dell’altar maggiore, completamente nascosti (e perciò assai ben conservati) da una brutta tela d’altare che vorrebbe essere immediatamente rimossa, sono ancora dipinti a fresco, con semplice ma degna fattura e con nobile espressione di volti, san Quirico, «Iulita [p. 32 modifica]pianta della chiesa di s. giovanni in montorfano (sezione ongitudinale).
(dai disegni di b. benzoni.)
abside della chiesa di s. giovanni in montorfano.
(disegni di b. benzoni).
[p. 33 modifica]mater eius», san Iacopo e san Tomaso tutti in elegante costume quattrocentesco attorno al Cristo in gloria.

Alla fine del secolo XIV risalgono forse gli affreschi dell’oratorio di san Pietro abside della chiesa di s. giovanni in montorfano.
(Fot. C. Nigra, Torino).
in Dresio (Vogogna), raffiguranti con povero disegno e secca fattura la Vergine con san Rocco, san Sebastiano ed altri santi. Un altro affresco di parecchi decennii più tardo, rappresentante il Crocefisso con ai piedi le tre donne, san Giorgio ed altri santi, sta mezzo nascosto in fondo a una cappelletta lungo una strada abbandonata presso Quarata (in quel di Cosa); la cappelletta, semisepolta dalle alluvioni della [p. 34 modifica]Riana, dimenticata dai viandanti percorrenti poco lungi la rotabile da Beura a Domo, fu da ben poco tempo sgombrata dai sassi che l’ingombravano tutta, e nel fondo ricomparve il dipinto tutto segnato d’iscrizioni grafite che dal 1543 vanno al 1675 potendosi dunque arguire aver le alluvioni isolato il sacello forse due secoli fa. portale della parrocchiale vecchia di vogogna.
(Fot. E. Ravasenga, Vogogna).

E ancora, conservatisi di que’ tempi pochi frammenti d’affresco della fine del secolo XIV o del XV, venuti alla luce nel superstite cortile del chiostro di san Francesco in Domodossola: lo stemma dei signori di Baceno (Rhodes), due oranti prostrati davanti alla Vergine col Bambino, a san Francesco e ad altri santi, — e null’altro3. [p. 35 modifica]

Ed ora torniamo da questi ad altri edifizi sacri, che ci presentano da sola o accanto a traccie più o meno ragguardevoli dell’arte romanica, l’arte del periodo più fiorente della rinascenza o quella di tempi anche più vicini a noi: prima fra tutte la chiesa vecchia di macugnaga. quella monumentale chiesa di Baceno in valle Antigorio, che rappresenta una pagina così interessante e così singolare nella storia artistica di queste vallate.

Sorge codesto edificio imponente su uno sperone di roccia a picco proteso verso la forra dove ribolle nell’ombra perpetua delle pareti strapiombanti il torrente Devero: lo sperone, che si riattacca con linea dolce ed eguale alla conca ove s’adagiano le case soleggiate del villaggio, precipita così subitamente disotto alla mole della chiesa che fu uopo sottoporre a questa a tergo e in qualche tratto dei fianchi, il sostegno di molte alte e poderose arcate in muratura. Il vivo scoglio sul quale fu fondato [p. 36 modifica]l’edifizio appare tuttavia ancora palese nell’interno stesso della chiesa, dove è nuda roccia tutto il pavimento sotto l’altare di san Pietro (a sinistra nella nave transversa) ed è pur ricavato nel sasso tutto il basamento del pilastro più vicino all’altare.

La pianta della chiesa ha forma regolare di croce latina, coll’abside esagonale volta a mezzodì, ma il braccio di croce nella sua estremità di ponente è diminuito a piccola rientranza del contorno, perchè troppo breve spazio concedeva abside e cimitero (con la lapide a damiano marinelli) nella chiesa vecchia di macugnaga.
(Fot. C. Nigra).
l’estremo scoglio, mentre per converso poco più oltre sullo stesso fianco di ponente, pel forte allargarsi della rupe, ebbero campo ad estendersi due ampie cappelle aggiunte in tempo recente alla chiesa, e dall’opposto lato, addossate all’angolo rientrante tra il braccio transverso ed il coro, trovarono posto l’antica e forte torre campanaria, e, modernamente, la sacristia.

L’edificio, il quale, relativamente alla piccolezza del villaggio e alla povertà della valle, può dirsi veramente imponente, reca, nella parte mediana della facciata, in alto tre serie sovrapposte di archetti pensili, sotto la più bassa delle quali son quattro finestrette aperte di recente e due nicchie con statue di santi; più in basso gira la sua ruota una bella rosa, finemente intagliata, al disotto della quale la porta [p. 37 modifica]maggiore s’inquadra in una fine decorazione cinquecentesca, notevole, fra l’altro, per l’ornamento d’un capitello fregiato da uno scudo coi tre gigli di Francia. La porta è protetta per intero al disopra da uno sporgente attico secentesco, disegnato e decorato con ricco e buon gusto e sorretto da due mensoloni in forma di busto di donna che poggian su due rozzi ma forti mascheroni; l’attico, aggiunto lungo tempo dopo che la porta esisteva (nel 1603. secondo i documenti), taglia un’antica macugnaga - in chiesa. iscrizione che rimane tuttavia abbastanza leggibile ancora e che suona: «hoc.... vm op’ hv’ eccllie sct... detii || fct... ano doi cvr mcccccv di.t... rtii».

Così come sta, — non tutta comprensibile, perchè le parole originali sono state in più punti svisate da qualche ignorante, ch’ebbe a reincidere gli antichi caratteri corrosi dal tempo, — l’antica lapide narra, che quest’opera della chiesa di san Gaudenzio fu fatta (compiuta) in un giorno del marzo 1505. Ma quale opera deve intendersi (se pur la data non fu svisata ancor essa): quella della porta, o quella della facciata, o quella della chiesa intera? Certo tutta l’ornamentazione attorno alla porta e alla [p. 38 modifica]lunetta appare del principio del secolo XVI, e poco diversa data attestano l’enorme San Cristoforo dipinto a destra e segnato in alto 1542, le due porte delle navate minori una delle quali reca sull’architrave la data 1546, la porta laterale a monte datata del 1533, e le due eleganti finestre bifore e la piccola finestra tonda finemente lavorata, che nel fianco di levante si son salvate sole dai rimaneggiamenti più tardi. Ma se queste ed altre parti (come vedremo poi) dell’edificio ci riconducono al secolo la processione dell’assunta a macugnaga. XVI non è possibile tuttavia interpretar l’inscrizione nel senso di una completa costruzione della chiesa in quel secolo.

Assai più complicata che a prima vista non paia, è la storia di quest’edifizio. Chi, sotto la guida pronta ed intelligente del parroco della borgata, penetri pel foro rotondo aperto al disopra della porta minore di destra, nel basso e lungo sottotetto che ripara e nasconde tutta la volta della navata di ponente, toccherà alla sua sinistra per quasi tutta la lunghezza del buio vano il muro laterale della navata maggiore, poi nell’ultimo tratto di quel muro scorgerà con sorpresa, mutata sensibilmente l’opera muraria dei grossi conci squadrati, disegnarsi intatta nell’ombra un’antica facciata rivolta a ponente: tale infatti si rivela evidentemente [p. 39 modifica]l’ultima porzione del muro, dalle lesene che ancor lo dividono dall’alto in basso, e dall’antichissima finestra bifora che tuttora vi appare nel mezzo, murata da secoli ma un giorno aperta certamente a dar luce sulla fronte alla primitiva chiesa antica. Era dunque questa, deve credersi, la facciata d’una chiesetta di piccole dimensioni, volta, come tutte le antiche, da ponente a levante, incorporata in progresso di tempo nell’edificio nuovo quando, volendosi ingrandire il tempio, ne fu mutato facciata della chiesa di s. bartolomeo a villa d’ossola. l’orientamento: onde quella ch’era facciata, lasciata quasi intatta, divenne parte integrante del fianco occidentale della chiesa nuova, e vi fu dipinto, com’oggi vedesi, nella parte interna il grandioso affresco cinquecentesco della Crocifissione. Nè la facciata, del resto, rimane documento unico di quella costruzione vetusta, poichè anche dell’antico muro laterale volto a mezzodì rimane tra il coro ed il campanile una piccola porzione nascosta, visibile nel buio vano praticato sotto il tetto fra il campanile e la volta dell’abside.

Dire quando quell’antichissimo edifizio sorgesse, quando esso cedesse il luogo ad un nuovo, non è possibile oggi. Un documento novarese datato tra il 1032 e il 1039 parla di una «cappella in honorem s. Gaudentii» esistente in Baceno, ma il termine cappella sembra indicare un edificio anteriore a quello già degno del nome di chiesa, del quale abbiamo ricordato ora le traccie superstiti. A questa chiesa dovrebbero piuttosto riferirsi i due documenti del 1133 e 1148 che parlano appunto d’una «ecclesia s. Gaudentii in Baceno», mentre, d’altro canto, al maggior edificio più tardo, che, per essere volto contro la regola antica da nord a sud, può difficilmente ritenersi anteriore al secolo XIV, andrebbe riferito un documento del 1326, conservato nell’archivio parrocchiale, nel quale si legge d’una nuova cappella da erigere e da dotare nella chiesa di san Gaudenzio4. Aggiungasi a conforto di tale opinione, che soltanto col secolo XIII sorge in questa valle la potenza feudale dei De Rhodes, i quali, ottenute da Ottone IV le terre di val Formazza, Agaro e Salecchio, estesero poi, coi Da Baceno loro discendenti, il dominio feudale su tutta [p. 40 modifica]l’alta valle Antigorio: onde è facile connettere col sorgere della nuova signoria locale l’erezione del nuovo tempio più degno e più ricco.

È da supporre però che la maggiore chiesa, che la pietà dei signori e degli altri fedeli volle novellamente eretta al posto della primitiva, corrispondesse fin dal abside della chiesa di s. bartolomeo a villa d’ossola.(Fot. C. Nigra). tempo della sua erezione al grandioso tempio di cinque navate che oggi domina dall’alto la valle? La risposta a tale domanda non può essere a lungo dubbiosa, per chi consideri, non soltanto la poca verosimiglianza del passaggio subitaneo da una costruzione angustissima ad una di così ampia mole, ma altresì il fatto, ben visibile a chi osservi la facciata, del distacco costruttivo delle navate minori dalla maggiore. [p. 41 modifica]chiesa di s. bartolomeo a villa d’ossola. [p. 42 modifica]Nè si tratta già d’un distacco puramente esteriore, insufficiente di per sè solo a testimoniare di due diverse età della costruzione, chè due argomenti decisivi si aggiungono a dimostrare essere esistita prima dell’attuale una chiesa comprendente resti della chiesa del piaggio a villa d’ossola. il solo corpo di mezzo dell’edificio odierno: da un lato, un riattamento recente del pavimento della chiesa mise in luce le fondamenta d’un muro perimetrale, che una volta chiudeva a ponente la chiesa là dove oggi son gli archi dividenti le tre [p. 43 modifica]veduta di craveggia, in valle vigezzo. vate mediane dalla laterale di destra; da un lato, il muro divisorio tra le dette tre navate e la laterale di sinistra mostra ancora nell’alto fra la tenebra a chi penetri pel foro tondo masera — la nuova parrocchiale. sopra la volta della navata sinistra, due finestrette murate che evidentemente dovevan dar luce di fianco alla chiesa quando questo antico muro la terminava e chiudeva a levante.

Onde è da concludere riassumendo, che al posto di una chiesetta romanica volta da ovest a est esistente prima del secolo XIV, dovè sostituirsi, forse in principio di codesto secolo, certo non molto prima, un nuovo e maggiore [p. 44 modifica]difizio, orientato (poichè la ristrettezza dello spazio non concedeva più di seguire la vecchia regola) da tramontana a mezzodì, e delimitato sul dinanzi dalla parte mediana della facciata odierna (ancora immutata oggi nella parte più alta), sui fianchi e a tergo da muri perimetrali nei quali erano incorporati la facciata e altri tratti di muro superstiti della chiesetta antica. Un tratto solo di tali muri perimetrali è ancora visibile esternamente oggidì: ed è, nella parte posteriore, a ponente dell’abside, oratorio di san pietro in dresio (vogogna).(Fot. E. Ravasenga). un piccolo tratto di muro antico coronato da archetti pensili (identicamente alla parte mediana della facciata) e fornito d’una rozza bifora stretta e allungata, assai diversa dalle ornate bifore cinquecentesche che ricorron sui fianchi.

Un ingrandimento successivo, che può essere fissato in principio del secolo XVI, mutava poi ancora una volta radicalmente la fisionomia della chiesa, con l’aggiunta delle due basse navate di destra e di sinistra al corpo centrale, col perfezionamento o rinnovamento della decorazione esterna nella porta maggiore compiuta forse insieme col rosone nel 1505 se pur l’iscrizione non significa compiuto in quest’anno tutto il rifacimento della chiesa), coll’aggiunta poco più tarda delle porte minori e [p. 45 modifica]delle eleganti finestre, e sopratutto col radicale mutamento dell’interno della chiesa da tempio a navata unica in tempio a cinque navate.

Tempo è bene, che, a chiarire codesta ultima trasformazione e ad illustrare, come per noi si può, l’interno del caratteristico edificio, noi ne varchiamo finalmente la soglia. la vergine e s. caterina
affresco nella chiesa di s. quirico presso domodossola.

Dividesi nell’interno la chiesa in cinque navate, delle quali le due laterali, assai basse, coperte con volte a crociera e costituenti per l’appunto le due ali dell’edificio aggiunte nel secolo XVI, sono divise dalle tre navate di mezzo da una serie di tozzi archi a tutto sesto sorretti da grosse e basse colonne, sulle quali viene a pesare tutta la parte alta superstite dei muri laterali della chiesa trecentesca. Il corpo centrale dell’edificio appare a sua volta diviso in una grande larghissima nave di mezzo e in due quasi corridoi, piuttosto che navate, laterali a quella, separati dalla nave maggiore da una serie di alti e leggeri archi acuti poggianti su sottili colonne: coperta la nave di mezzo da un moderno soffitto ornatissimo, i due corridoi laterali da una volta a botte ch’è in continuazione di quello e che, come quello, nasconde il vecchissimo soffitto a travicelli conservato ancora nell’alto. affresco dell’oratorio di s. pietro in dresio.(Fot. E. Ravesenga). [p. 46 modifica]

Ora, se la aggiunzione delle due navi laterali (quella di ponente più larga di quella di levante) è avvenuta nel tempo e nel modo che abbiamo veduto disopra come si spiega la presenza di quei due singolari corridoi a destra e a sinistra fra le alte arcate a sesto domodossola — traccie di affreschi
nel cortile dell’antico chiostro di s. francesco.
acuto e i bassi vicini archi a tutto sesto? Una sola spiegazione appare possibile, ed è questa. La chiesa trecentesca, limitata, come abbiam veduto, al corpo centrale dell’edifizio, sorgeva in origine come chiesa d’una sola navata, non già divisa, come oggi vediamo, in una nave maggiore e in quei due corridoi laterali i quali nell’organismo dell’edifizio d’allora non avrebbero avuto veduta di baceno in val antigorio. [p. 47 modifica]sufficiente ragione di essere. Soltanto una impellente necessità, sorta forse in progresso di tempo, dopo che la chiesa trecentesca da più o men lungo tempo sorgeva, di recar sostegno al tetto insufficientemente sorretto dai muri della troppo larga navata, può aver dato origine all’erezione dei due ordini di colonne e degli archi acuti e alla conseguente creazione de’ due corridoi. Quando tale necessità la parrocchiale di baceno (lato orientale). sorgesse, parrebbe possibile dedurre dal fatto, che la seconda colonna di destra reca dipinto (e purtroppo mal ritoccato) un «S. Bertoloneus» datato del 1401 (?), mentre la quarta colonna dello stesso lato ha (sotto un affresco del Redentore del 1509) una lunga preghiera in caratteri gotici; onde, e per il carattere arcaico di codesta scrittura e per la data del san Bartolomeo, saremmo ricondotti senz’altro al principio del secolo XV, se però non ci trattenesse il dubbio abbastanza fondato, che non 1401 ma 1501 debba veramente intendersi la data dell’affresco, il quale ci riporterebbe così all’inizio del secolo XVI. [p. 48 modifica]facciata della chiesa parrocchiale di baceno.
(Fot. C. Anadone, Novara).
[p. 49 modifica]porta maggiore della chiesa parrocchiale di baceno.(Fot. O. Leoni). interno della della chiesa parrocchiale di baceno.
navata minore di levante.
(Fot. O. Leoni).
[p. 50 modifica]

Comunque, sia quale si voglia il tempo dell’erezione degli archi a sesto acuto e dei muri soprastanti, e che alla fine del secolo XV, o perchè paresse ormai troppo piccola la chiesa al cresciuto numero degli abitanti o perchè i feudatari del luogo volessero dare al tempio lustro nuovo e maggiore, fu deliberato allargare l’edificio con due aggiunte laterali: e per ciò fare, profittando del valido sostegno che interno della chiesa monumentale di baceno.(Fot. C. Anadone). gli archi acuti porgevano al tetto, furono aperti arditamente in basso i muri laterali della chiesa e, sorrettili con una serie di massicci pilastri e d’archi robusti, fu così congiunta la triplice nave centrale colle due minori aggiunzioni che venivano sorgendole ai fianchi. Il che felicemente essendo riuscito (e ne risultò quel pittoresco effetto di contrasti fra gli archi acuti larghi e leggieri e gli altri tondi pesanti e forti), ed essendosi aggiunto, come vedremo, il maggior fasto di pitture e di ornamenti alla chiesa così grandiosamente rinnovata, ed essendosi ancora in quel tempo compiuta l’opera dell’attuale massiccio campanile, nulla fu più rinnovato nell’organismo [p. 51 modifica]costruttivo della chiesa, se si eccettui l’aggiunta delle due grandi cappelle laterali a ponente, della sacrestia e del Coro rinnovato, opere tutte della fine del secolo XVII o posteriori.

La ricchezza d’ornamentazione della chiesa in tutto l’interno (esternamente, oltre all’affresco del san Cristoforo e alle già dette eleganze delle porte e delle finestre di levante, quasi nulla è da ricordare), è tale che, quantunque non si leghi finestra della chiesa parrocchiale di baceno (fianco orientale).
(Fot. O. Leoni).
ad essa il nome di nessun artista di grandissima fama, desta veramente stupore, sol che si ponga mente alla povertà e all’isolamento alpestre dei luoghi ove tanta ricchezza è venuta a raccogliersi. Fortuna volle ancora che, sebbene restauri sciagurati togliessero all’opera pittorica troppo gran parte della sua genuinità, e brama inconsulta di lucro spogliasse l’edificio di taluno dei suoi ornamenti migliori, rimanesse tuttavia intatto nel complesso alla chiesa il suo patrimonio d’arte. Così le colonne e i pilastri (tacciamo di certa colonna reggente il pulpito, atrocemente tinteggiata in grigio col capitello color pistacchio) conservano ben visibili ancora gli antichi dipinti a fresco: una colonna reca, come abbiam detto già, un san Bartolomeo, [p. 52 modifica] un’altra il Redentore, un’altra un san Gaudenzio, un’altra ancora un san Sebastiano, mentre il pilastro quadrilatero che regge l’arco più interno della navata di levante ha sui quattro lati dipinte le figure di santa Caterina, di sant’Apollonia, della Vergine col Bambino e di san Rocco e l’altro pilastro della navata destra ha la Madonna col Bambino con a piè grafito un ricordo del 1553: pitture tutte di fare cinquecentesco, se di tutte fosse possibile giudicare con certezza dopo gli sgarbati ritocchi che le più fra esse hanno subito, dai quali tuttavia sembrano essere stati colpiti in minor grado il san Gaudenzio e il san Sebastiano e meno ancora le notevoli figure delle due sante.

Dipinti ancora della medesima epoca ed egualmente ritoccati sono tutti gl’intradossi degli archi tondi, recanti figure a mezzo busto di sibille, di profeti e di santi, tutti gli spicchi delle volte delle navate minori, e in gran parte i muri laterali fin nello sguancio delle finestre, con scene della Passione di Cristo e della vita di questo o di quel santo. Così, per menzionare soltanto taluna delle figure e delle scene frescate, sulla parete di sinistra son dipinte una Crocifissione e una Deposizione di Croce, sulle lesene della parete di destra un san Sebastiano e un san Fabiano di fattura similissima alle sante Apollonia e Caterina, negli spicchi della volta a sinistra scene della vita di Cristo ricche di figure e di vita e scene della vita di sant’Antonio ridipinte più sciaguratamente del resto, a destra scene della vita di san Rocco, di san Giovanni Battista, e d’altri santi. In tutti codesti affreschi delle volte le figure hanno un’impronta rude e verista che ferma l’attenzione, e in più d’uno e soprattutto in quelli della vita di san Rocco appare anche nei particolari e negli sfondi di paesaggio qualche cosa che sembra richiamare a una chiara influenza d’arte transalpina: chi ravviserebbe infatti altro che una città tedesca in quella singolare «città de Piasenza» che riproduce una delle nostre fotografie? Nulla è pos[p. 53 modifica]sibile precisare tuttavia nè sugli artisti nè sul tempo dell’esecuzione, compreso probabilmente tra il principio e la fine del secolo XVI; solo è da notare, come nella chiave della volta in una delle crociere della navata sinistra sia figurato uno stemma spaccato nel partito superiore all’aquila, nell’inferiore alla ruota colle sigle L e BA. sulla parete di destra presso l’ingresso della cappella di santa Vittoria un altro stemma (ridipinto modernamente) recante una croce e, nei quarti, alternatamente la

s. caterina s. apollonia s. sebastiano
affreschi della chiesa parrocchiale di baceno.
stella e il giglio araldici, e finalmente in una delle volte della navata destra ancora il medesimo stemma (che figura anche sulla porta esterna del 1546), più un altro che reca i gigli d’oro, la ruota e le sigle A e S. e un altro coll’aquila e la ruota, e un altro partito al giglio e al leone eretto reggente un ramoscello. La ruota con l’aquila sovrapposta è l’arma dei De Rhodes feudatari della regione dal secolo XIII al XVI, il BA è sigla dei Da Baceno (un ramo dei Rhodes stessi), e l’A.S. è forse segno di Andreina dei Baceno, la quale andando sposa a Paolo della Silva congiunse le due famiglie in una sola. Cosicchè noi ritroveremmo anche qui, [p. 54 modifica]con quelle dei Rhodes, le tracce della munificenza di quei Silva, che del loro illuminato amore per l’arte han lasciato così vivo ricordo nelle più insigni borgate dell’Ossola.

la vergine col bambino - affreschi nella parrocchiale di baceno.
(Fot. C. Anadone).

Ma veniamo finalmente alla nave transversa, e prima che agli affreschi delle pareti, fermiamo l’occhio alle grandi composizioni che decorano gli spicchi della volta della gran crocera centrale: l’Assunzione della Vergine da un lato, il Padre Eterno in gloria dall’opposta parte, e negli altri lati quattro santi sedenti. Qui ancora, come nelle altre parti della chiesa, l’arte del restauratore s’è esercitata troppo [p. 55 modifica]a mascherare il carattere originario della pittura e ad alterarne il sapore d’ingenuità primitivo, tanto che neppure appar facile decidere oggi, se l’opera debba essere attribuita, come taluni vogliono, al secolo XV, o se, come mostrano dal la fuga in egitto — affresco nella volta della navata sinistra della parrocchiale di baceno.
(Fot. C. Anadone).
canto loro le figure dei santi, non vada riportata al secolo posteriore: solo gli angioletti, specie quelli attornianti il Padre, meno ritoccati per la loro posizione, dicono abbastanza quali fossero la finezza e il sentimento dell’opera originaria.

Un altro affresco grandioso, che sappiamo aver raffigurato l’Inferno e il Paradiso, ornava la parete terminale abbattuta per intero nel 1698 per aprirvi il Coro: [p. 56 modifica]s. rocco a piacenza — affresco nella navata destra della parrocchiale di baceno.
(Fot. O. Leoni).

la crocifissione — affresco di a. zanetti
detto il bugnate (1542) nella parrocchiale di baceno.
[p. 57 modifica]solo ne rimane una minima porzione al sommo dell’arco d’ingresso al Coro, con un bel frammento d’una testa di Cristo coronata di spine.

Il braccio di croce è singolare per la sua disposizione, come quello che mentre sporge normalmente a sinistra, rimane monco del tutto verso destra, non essendosi da questa parte, al tempo dell’aggiunzione delle navate esteriori, abbattuto il tratto del muro perimetrale ov’era la facciata della prima chiesa romanica, ma l’assunzione della vergine — affresco nella volta della nave di croce
della parrocchiale di baceno.
(Fot. C. Anadone).
solo praticatovi un bassissimo arco adducente alla navata novellamente aggiunta. Cosicchè il termine di questa estrema navata di ponente forma una cappelletta quasi nascosta e chiusa dietro quella gran parete: preziosa cappelletta, poichè se tre degli spicchi della volta sono stati, al solito, del tutto ritoccati, un quarto ve n’ha che, per essere quasi completamente nascosto dall’alto baldacchino che protegge l’altare, non fu potuto toccare dal pennello del restauratore ed oggi ancora si rivela intatto a chi possa arrivare con lo sguardo fin lassù. L’affresco, rappresentante lo Sposalizio della Vergine, opera evidentemente contemporanea alla costru[p. 58 modifica]zione della navata (fine del secolo XV), sobria e fine di colore, veramente bella per dignità ed espressione dei volti, è soltanto con grandissimo disagio ed assai malamente visibile, ed è da raccomandare sovra ogni altra cosa, ch’essa, l’unica intatta la più bella fra le pitture più antiche del tempio venga tolta al più presto all’ignota oscurità in cui si trova da secoli.

Tra le altre meno antiche pitture che adornano il tempio, superan di gran lunga ogni altra per importanza le grandiose composizioni di Antonio Zanetti da s. paolo sulla via di damasco — affresco di a. zanetti nella chiesa parrocchiale di baceno.
(Fot. O. Leoni).
Bugnate: la grandissima Crocifissione che occupa nel braccio di croce tutta la parete interna dell’antica facciata romanica, la visione dell’Apocalisse dipinta nella volta disopra della Crocifissione, il san Paolo sulla via di Damasco ed altri affreschi minori nell’opposta parete del medesimo braccio di croce. Sulla paternità di tutte queste opere tra loro identiche per stile e per fattura, non lascia dubbio il cartellino dipinto, che a lato della Crocifissione reca: «Antonius novariensis pictor abitator Burgimanerij fecit 1542» mentre un altro di sotto aggiunge: «Restaurato l’anno 1834 da Pa.lo Rain.ri di St’Agata» e un altro in faccia ripete: «Quod proavus pinxit. merito gens sera refecit. MDCCCXXXIV». Tutti codesti dipinti richiamano [p. 59 modifica]scultura di legno dorato nella chiesa parrocchiale di baceno.
(Fot. C. Anadone).
[p. 60 modifica] vetri istoriati di finestre nella parrocchiale di baceno.(Fot. O. Leoni). [p. 61 modifica]l’attenzione per i medesimi caratteri di una facilità di pennello e di una disinvoltura di composizione troppo poco obbedienti al freno dell’arte, e d’una bizzarra e, direi, umoristica ricerca di singolarità nei volti, nelle foggie, negli atteggiamenti, negli aggruppamenti di tutti i personaggi: vedansi i volti dei ladroni nella Crocifissione, i drappeggi delle vesti degli angioletti, i ceffi singolari dei soldati a piè della croce e di quelli che accompagnan san Paolo, le pazze foggie di vestire di questi cotali, i vessilli bizzarri, i cappelli d’ogni più grottesca foggia che lo Zanetti dipinge per ogni dove. Certo pecca troppo spesso il disegno e manca ogni espressione di sentimento, vetri istoriati nella piccola rosa della chiesa parrocchiale di baceno.
(Fot. O. Leoni).
mentre lo sfoggio di singolarità attesta, insieme con molta facilità di pennello, assai più di bizzarria che d’ingegno; ma sono pur da ricordare la vivacità e il movimento dei gruppi e in più punti la nobiltà delle figure (nel gruppo dei cavalieri a piè della croce la tradizione ravvisa i Da Baceno), e soprattutto gli effetti che il pittore raggiunge là dove la bizzarra sbrigliatezza della sua fantasia risponde meglio all’argomento trattato, come nella sfrenata e folle rappresentazione del mostro dell’Apocalisse che merita lode di originale ed efficace opera d’arte.

Nè coll’opera dello Zanetti è chiusa la già lunga rassegna delle cose notevoli di questo fortunatissimo tempio, poichè una parola ancora deve ricordare gli antichi vetri colorati dei dodici Apostoli che un tempo adornavano la grande rosa della [p. 62 modifica]affresco di a. zanetti nella chiesa parrocchiale di baceno.
(Fot. O. Leoni).
il mostro dell’apocalisse — affresco di a. zanetti nella chiesa parrocchiale di baceno.
(Fot. O. Leoni).
[p. 63 modifica]facciata, venduti, pochi lustri or sono, da un segretario del comune per 250 lire a non so chi, e gli altri vetri colorati fortunatamente rimasti a adornare in parte alcune grata dell’altare di santa vittoria nella chiesa parrocchiale di baceno.
(Fot. C. Anadone).
finestre: vero tesoro questo, per lo splendore dei colori incomparabilmente smaglianti, per la finezza della rappresentazione, per la ricchezza davvero esuberante della decorazione tutta volute, fogliami, rabeschi, colonne fiorite e ritorte. La bifora [p. 64 modifica]predicazione di s. domenico — dipinto segnato «petrus paulus joaneius, 1587» nella parrocchiale di baceno.
(Fot. C. Anadone).
maggiore spogliata del suo tesoro ha conservato solo i vetrini nell’alto ma lavorati così finemente con una piccola scena della Crocifissione da apparire un gioiello; la piccola rosa presso la pianeta del sec. xvi — chiesa di baceno.
(Fot. C. Nigra).
porta laterale colla scenetta nel mezzo e coi quattro arcangeli girati intorno è un’altra piccola meraviglia. Le date appaiono quasi ad ogni finestra: 1547 nei vetri della prima e della seconda bifora a levante, 1527 in quelli della finestra di ponente in fondo alla navata; il tipo della decorazione, le chiome bionde, i volti, le figure, gli atteggiamenti, tutto rivela con la più immediata evidenza l’opera di artisti tedeschi.

Ricordiamo finalmente per ultimo (che della chiesa monumentale abbiam detto più a lungo forse che non volesse la natura di questo lavoro) il fonte battesimale, similissimo nel fusto e nella parte superiore (dove ricorre più volte il leone dei Silva) a quello cinquecentesco che ora è fontana pubblica nella piazza di Crodo, — il fine lavoro di scultura e d’intaglio in legno dorato (un tempo colorato anche in rosso e bleu nelle vesti e nel fondo), anch’esso dovuto probabilmente ad artisti d’oltralpe, [p. 65 modifica]ora conservato, a riparo dai guasti già gravi, nella parte più interna del Coro, — la ricca grata del 1718 che chiude l’urna di santa Vittoria, — e finalmente la preziosa pianeta del secolo XVI(?), ch’è la gemma del tesoro del tempio. madonna del rosario — pala del sec. xvii nella chiesa parrocchiale di baceno.
(Fot. C. Anadone).

Tutte queste ricchezze d’arte basterebbero da sole a consigliare al visitatore di queste valli una sosta a Baceno, se anche non fosse la serena bellezza della conca prativa ove siede il paese, gli orridi incanti delle forre ove ad ogni tratto si rinserrano con sempre nuove meraviglie Dévero e Toce, le cascate, le roccie arduissime, i fiori e le nevi dei monti vicini. [p. 66 modifica]

Nè mancano ne’ dintorni i richiami d’altre memorie d’arte. Poco a nord di Baceno, la chiesa parrocchiale di Premia, riedificata quasi per intero nel secolo XVIII, facciata della chiesa parrocchiale di cravegna, in val antigorio.
(Fot. O. Leoni).
tradisce ancora nell’abside un’età più antica, e per di più disotto all’abside attuale quadrilatera comparisce semisepolto un piccolo tratto di un’altra semicircolare, probabilmente appartenuta alla primitiva chiesa fondata da Guido De Rhodes nel secolo XIII; dentro alla chiesa, un altare a destra ha un dipinto cinquecentesco con [p. 67 modifica]tre santi, nobile di fattura e robusto di colore, a torto attribuito, colla solita fantasia, a Gaudenzio Ferrari.

Pure a breve distanza da Baceno, sull’aprica costa occidentale di valle Antigorio, sorge in disparte il villaggio solitario di Cravegna, ricco anch’esso d’una chiesa assai più notevole dal lato artistico che non s’attenderebbe il viandante capitato per caso lassù. La ben costrutta facciata ricorda così dappresso in ogni particolare della parte mediana, come mostra chiaramente la nostra fotografia, la interno della chiesa parrocchiale di cravegna.(Fot. O. Leoni). facciata della chiesa di Baceno (solo che un piccolo protiro sostituisce l’attico), da mostrar chiaramente l’identità dell’epoca e forse pur quella degli artefici, come attesta del resto anche la data del 1516 incisa sull’architrave della porta maggiore. Neppure manca alla somiglianza il san Cristoforo, oggi del tutto guasto, dipinto a sinistra dell’ingresso; ma il mal gusto degli ultimi tempi ha fatta l’opera sua con ritoccare pessimamente il bel dipinto cinquecentesco della lunetta e con porre alla rosa un disgraziato sfondo rosso, giallo e turchino!... Quanto all’interno, una doppia serie di archi acuti, retti da colonne sciaguratamente dipinte a imitazione di porfido con capitelli color canarino, lo divide in tre navate decorate nel soffitto [p. 68 modifica]con dipinti moderni e variamente ornate di ricordi di quel Giovanni Antonio Facchinetti, che, nato in Bologna da un umile facchino di Cravegna (Antonio Nocetti), fu papa col nome d’Innocenzo IX dall’ottobre al dicembre del 1591.

Il coro è tutto affrescato, a sinistra con una scena della Passione assai ben affresco nel coro della parrocchiale di cravegna.(Fot. O. Leoni). conservata e viva di colore ma disgraziatissima per disegno e per fattura, nella parete di fondo con una Crocifissione di egual pennello, a destra con un’altra Crocifissione assai ritoccata ma forse migliore degli affreschi vicini; per di più ornati vaghi e di buon gusto, oltre a inquadrare gli affreschi, decorano finemente la rosa ch’è in fondo, le slanciate finestre archiacute e i costoloni della volta a crociera. Nella parete di destra, sotto la finestra, è l’iscrizione seguente, non tutta comprensibile, col nome di un Battista da Legnano (al quale vanno attribuiti probabil[p. 69 modifica]mente tutti gli affreschi del coro): «D: La Decapieno Curator | istius eccle per mgrum | Baptam de Legnano nomine | cois Cravegne et Viceni | opus f. f. die XII agusti 1539». Di questo oscuro maestro altri potranno dire più a lungo: a noi basti affresco nel coro della chiesa parrocchiale di cravegna(Fot. O. Leoni). osservare non solo la somiglianza, ma l’identità di certe parti dei suoi affreschi (vedasi ad esempio il ladrone crocifisso, in basso a sinistra sotto la rosa) con i dipinti dello Zanetti nella parrocchiale di Baceno, e sollevare il dubbio (ch’altri potrà risolvere) se, essendo di tre anni più recente la data segnata nella Crocifissione di Baceno, non sia da ritenere che lo stesso Battista da Legnano abbia lavorato quivi con lo Zanetti dopo aver condotto a termine la sua opera nella vicina Cravegna. [p. 70 modifica]

Da Cravegna, lasciato in disparte Mozzio dove un santuario assai venerato vanta una volta dipinta con la solita facilità di pennello dal vigezzino Borgnis nel secolo XVIII, un tronco di via rotabile ci conduce rapidamente giù nella valle a Crodo, vecchio capoluogo della valle Antigorio. La chiesa pievana, dalla quale dipese ab antico con tutte le altre d’Antigorio pur quella di Baceno, non ha memorie antiche se non in qualche lapide di dubbia autenticità murata nel massiccio campanile: i rifacimenti del secolo XVII e posteriori hanno tolto ogni interesse alla chiesa, tanto all’esterno con cattivo gusto dipinto, quanto all’interno dove nulla attira l’attenzione. Ben altrimenti affresco della chiesa parrocchiale di cravegna(Fot. O. Leoni). notevole è l’aggraziatissimo fonte battesimale, che, scolpito nel 1566 (come suona un’iscrizione lungo l’orlo superiore) e conservato per qualche tempo nell’oratorio di san Giovanni attiguo alla parrocchiale, trasportato poi nel secolo XVII entro la chiesa, fu pochi lustri or sono collocato nel bel mezzo del sagrato con un piccolo delfino sovrapposto; convertito così in fontana pubblica, esso dà una nota di grazia pittoresca alla piazza ombreggiata da folti alberi annosi.

La casa parrocchiale ospita due affreschi, provenienti probabilmente dalla chiesa com’era prima che i rifacimenti le togliessero ogni attrattiva; son due Madonne col Bambino, delle quali la più antica (qui riprodotta), non ritoccata come l’altra, conserva un sapore quattrocentesco delicatissimo. E l’una e l’altra meritano certamente più attenzione che il ritoccatissimo affresco, vantato, al solito, dagli storici [p. 71 modifica]locali, che si trova in un oratorio di san Giovanni Battista alla estremità del paese verso Domo.

Continuando di qui a scender la valle fin oltre la stretta di Ponte Mallio, interno del santuario di smeglio presso mozzio.(Fot. O. Leoni). nessun edificio sacro attira lo sguardo del viandante nei piccoli abitati, sparsi lungo il cammino; ma, quasi a compenso, come attrae l’attenzione, — giunti al pittoresco villaggio di Crevola, che da uno sperone del monte s’affaccia a signoreggiare il piano di Domo, — la chiesa costrutta nel punto più isolato ed aprico, onde maggiore e più lieto s’apre l’amenissimo panorama! [p. 72 modifica]

Non grigio o annerito dal tempo ma lieto dei toni luminosi e caldo di quella pietra di Crevola che tanto ariegga per nobiltà di marmo, l’edifico sorge, come quel di Baceno, così isolato sul ciglio estremo, che una serie d’arcate dovè essergli eretta sotto a sostegno. Precede la facciata il sagrato, chiuso da un muricciolo di cinta nel quale s’apre un arco d’ingresso: a’ due lati dell’arco sono quattro bassorilievi d’un san Pietro, d’un san Paolo e di quattro angioletti (conservanti gli fontana nella piazza maggiore di crodo.(Fot. O. Leoni). angeli traccie di colore nelle vesti e nel fondo), d’una rozzezza di fattura che accusa un’età anteriore di parecchio a quel secolo XVI che vide sorger nelle forme attuali la chiesa. Grandeggia accanto alla facciata il campanile, contrastante con essa per il tono più freddo delle sue pietre grigie e pei caratteri d’arte romanica che esso, indubbiamente anteriore al vicino edifizio, mostra evidenti nei consueti archetti pensili ricorrenti ad ogni piano e nelle finestre trifore conservate ancora (benchè parzialmente otturate) al terzo piano ed al quarto.

La candida facciata, monca dal lato sinistro ove s’appoggia alla torre campanaria, presenta una grande semplicità di linee e si rivela tosto, per i vari caratteri [p. 73 modifica]suoi e per l’assenza degli archetti pensili e della finestra a croce che sono ornamento tipico delle facciate di Baceno e di Cravegna, costruzione di epoca più prossima a noi. Difatti, sopra la piccola ma elegante rosa, che, cinta di un vago fregio, campeggia nel mezzo, rivela l’epoca cinquecentesca della costruzione una la vergine col bambino — affresco del sec. xv nella casa parrocchiale di crodo.
(Fot. C. Anadone).
piccola lapide leggiadramente sagomata, la cui iscrizione suona così: «1556 || Qui Rome existut | Hoies de Crevla | Vocati hoc cum au|xilio hoinu fie | ri statuerut.» Alquanto sotto alla rosa, un bassorilievo del Cristo risorgente, scolpito su un fondo assai vagamente ornato a rabeschi, sovrasta a un’antica lapide annerita recante una decina di righe in caratteri gotici illustranti la Passione. Sotto questa lapide un attico secentesco, identico, o quasi, in ogni più minuto particolare a quello egualmente appiccicato alla facciata della chiesa di Baceno, nasconde in gran parte tre targhe cinquecentesche, scolpite rispettivamente d’un gelso (Morone), d’una rosa (Rhodes?), e del leone dei Silva. Delle porte, la maggiore coi ricchi fregi degli stipiti e dell’architrave appare un’aggiunzione secentesca, mentre la minore a destra, assai semplice, porta la data del 1559. Otto figure di santi in bassorilievo, di stile e fattura uguali e ricordanti immediatamente il san Pietro e il san Paolo all’ingresso del sagrato, completano finalmente la decorazione della semplice e graziosa facciata.

Piccole finestre rotonde con rose variamente lavorate ricorrono poi sui fianchi a dar luce alle navate minori: una porticina semplicissima s’apre sul lato sinistro e reca nell’architrave la data 1535; svelte bifore terminate ad arco acuto e vagamente intagliate nella bianca pietra, dan luce all’abside esagonale che chiude il tempio di contro al sole sorgente.

Non meno dell’esterno è degno d’attenzione l’interno, non per le tre navate divise da semplici e rozzi archi a tutto sesto (forse la parte più antica della chiesa), [p. 74 modifica]veduta di crevola. [p. 75 modifica]nè pel soffitto moderno della navata centrale, nè manco per gli affreschi cinquecenteschi delle pareti, fra i quali quelli di destra, generalmente ritoccati e di scarso valore, dovrebbero (stando al Cotta, scrittore novarese del Seicento) attribuirsi ad facciata e campanile della chiesa di crevola. Antonio Zanetti; ma ben altro richiamo è dato dall’interessantissimo Coro, ricco delle insigni opere d’arte che vi adunò la munificenza di Paolo Silva, signore del luogo. Qui le volte a crociera rette da agili nervature s’adornano tutte di rosoni e di fregi, e una serie di santi decora tutto l’arco acuto d’ingresso, mentre un grande affresco della Cena occupa la parete di destra, e una Crocifissione (appena visibile) [p. 76 modifica]interno della chiesa di crevola. vetri istoriati con le figure di paolo e andreina silva nel coro della chiesa di crevola.
(Fot. M.me J. Morgantini, Crevola).
[p. 77 modifica]si disegna sopra la gran rosa nel fondo; altre figure di santi son rappresentate in basso delle finestre, nello sguancio delle finestre stesse e nella parete di fondo sotto la rosa, e figure gentili di putti sormontano l’arco acuto delle finestre, quasi nascondendosi l’ultima cena — affresco nel coro della chiesa di crevola. nell’ombra della volta. Nella più parte di codesti affreschi (altri, a quanto narra il Morbio, sono miseramente periti) par di ravvisare una medesima mano, e solo sembra distaccarsi alquanto dagli altri il grande affresco della Cena; tutti son opera, in ogni modo, di non volgare pennello, e, specie in alcune delle figure di santi, davvero eccellenti per compostezza di disegno e per nobiltà di volti e di [p. 78 modifica]porta principale della chiesa di crevola.
(Fot. Mme. J. Morgantini).
atteggiamenti. Un nome solo d’artista suggeriscono la tradizione e gli storici ed è quello di Fermo Stella da Caravaggio, poco propriamente detto discepolo di Gaudenzio Ferrari; nè le date contrastano all’attribuzione, poichè da un lato gli anni 1545 e 1550 segnati o grafiti nel muro a piè della Cena, dall’altro gli anni 1524 e 1526, inciso il primo nell’architrave d’una porticina presso la Cena, attestato l’altro (come vedremo) dai vetri colorati delle finestre, inducono ad assegnare a tutta l’opera artistica del Coro una data di poco posteriore al quarto lustro del secolo XVI.

Ultima ricchezza, che occorre ricordare, nel Coro di questa bella affresco del coro della chiesa di crevola. chiesa di Crevola, sono i vetri istoriati, che adornano le quattro finestre e la grande rosa nel fondo. Nella prima finestra san Vitale e san Marco reggono lo stemma dei Silva (il leone colle chiavi) con la colomba, il motto e il cimiero, san Biagio e san Francesco tengon lo stemma Silva dimezzato con quello dei Rhodes (l’aquila sulla ruota); — in altre due finestre, i due stemmi si ripetono tali e quali con le immagini della Madonna e di altri santi, più due piccole figure di personaggi genuflessi, che l’iscrizione, eguale in ambedue le finestre, chiaramente identifica: «Paulus Silvius Mag. Dni. Capitanius | et Andryna eius csors [p. 79 modifica]stemma e sigla di paolo silva nel coro della chiesa di crevola.
(Fot. Mme. J. Morgantini).
f. f. 1526»: — nell’ultima finestra altri quattro santi con gli stemmi ripetono con poca diversità il motivo della prima. Fra le volute marmoree nell’arco acuto che termina le finestre sono altre piccole figure sacre, i gigli di Francia con la corona, lo stemma Silva e in tre luoghi ripetuta la data 1526. Finalmente la rosa dell’abside ha nel mezzo la Vergine col Sudario tra san Pietro e san Paolo, negli altri frastagli quattro teste d’angioletti, i simboli degli evangelisti, e l’arme dei Silva colle sigle PA. SIL. E pertutto in questi vetri è un ardore di smaglianti colori, che sembrano fiammeggiare ancora dei riflessi del fuoco onde sono usciti: e l’arte si fa ancora più accesa e più sottile là dove più ristretto era il campo all’artefice, nelle piccole imagini splendide per evidenza e per finezza di Paolo e d’Andreina, nella magnifica Crocifissione (mutila purtroppo) che rifulge piccolissima a destra nell’alto della prima finestra. Arte non nuova per noi, poichè le stesse figure, la stessa affresco nel coro della chiesa di crevola. [p. 80 modifica]ornamentazione, lo stesso stile ci sono apparsi nei vetri colorati di Baceno, quasi contemporanei (1527-1547) a questi di Crevola, solo mancando a questi quel motivo ornamentale degli strani capitelli e delle colonne bizzarre e contorte, che è nota caratteristica dei vetri istoriati di Baceno.

Tali le bellezze, che l’arte seppe adunare fra il quinto e l’ottavo lustro del secolo XVI in questa insigne chiesa di Crevola, fra le quali il munifico creatore di tante vaghezze volle ai piedi dell’altar maggiore l’estremo riposo alla vita tutta agitata camino in una sala a terreno nel palazzo silva, a domodossola. di guerre e d’armi. Onde l’epitaffio: «O tu qui nullam nosti vivendo quietem | Nunc aeterna Deo sit tibi dante quies | Paulus 1536 Silvius».

Basti ora un cenno fuggevole a ricordare il piccolo villaggio di Montecrestese, situato quasi in faccia a Crevola, su un poggio dominante l’opposta sponda della Toce. Dell’antica parrocchiale s’è salvata appena da un completo rifacimento secentesco la facciata (coronamento escluso) con la sua serie di archetti pensili e con le finestre che ancora s’intravvedono benchè completamente manomesse; e ancora le porte minori a lato della principale recano su vecchie lapidi nell’architrave la data del 1521, e due santi cinquecenteschi appaiono nell’interno (il Cotta attesta aver quivi dipinto Antonio Zanetti) liberi dall’intonaco che ha ricoperto tutto il resto delle pareti. Ma assai più che per la chiesa è noto il villaggio per l’aguzzo campanile solitario che posto alto su uno scoglio un po’ discosto dalla chiesa, domina [p. 81 modifica]colla sua forma slanciata e sottile, visibile da ogni punto, tutto quanto il piano ossolano dallo sbocco d’Antigorio a Domo e da Domo a Vogogna.

Più addentro fra i monti, in un aperto bacino vallivo sulla via che adduce al Sempione, s’adorna d’una chiesa pur notevole per opere d’arte la grossa borgata di Varzo. All’edificio primitivo, che constava d’una sola e breve navata, furono aggiunte ancor nell’età di mezzo le due navi minori, le quali con altre aggiunzioni successive camino in una sala a terreno nel palazzo silva, a domodossola. vennero a mutare del tutto la pianta della chiesa. Nella facciata, alla quale le varie modificazioni subite hanno tolto assai delle linee originali, appare visibilissima l’attaccatura delle navi minori alla primitiva; la parte mediana ha infatti una finestra colla data del 1440, e sulle lesene affreschi mal riconoscibili apparentemente quattrocenteschi, mentre nell’architrave della porta minore di destra è inciso: «1540. Addita fuit hec ecclesia nova»; la porta di mezzo ha la data del 1582. La torre campanaria, moderna e brutta nella parte superiore, mostra ancora nella parte inferiore gli antichi archetti pensili; una piccola torricella ottagona colla guglia sostenuti da otto colonnine aggiunge una nota non priva di grazia alla parte estrema [p. 82 modifica]della chiesa. Quanto all’interno, notevole è il fatto che, mentre la divisione fra la navata maggiore e quella di destra è formata da archi a tutto sesto sorretti da tozze colonne, la divisione tra la navata maggiore e quella di sinistra è ad archi assai più bassi poggianti su grossi pilastri quadrangolari, il che attesta quel che pare anche all’esterno, esser cioè più antica l’aggiunzione laterale di sinistra che l’altra. abside della chiesa parrocchiale di varzo. Ma la cosa più degna d’attenzione nell’interno son gli affreschi dipinti sul muro della navata, che l’iscrizione esterna dice del 1540; una parte, raffigurante la Madonna col Bambino e con vari santi, è ben visibile ancora, ma ivi presso i santi dipinti ai lati della finestra, e accanto alla porta il san Martino e le altre figure di santi e di cavalieri nascosti da una scala che sale all’organo, o sono cancellati in gran parte o compaiono appena di sotto all’intonaco che li ha ricoperti. L’opera pa[p. 83 modifica]ziente, ma certamente fruttuosa, di chi s’adoperasse a toglier l’intonaco, rimetterebbe in luce buona parte di queste opere, che, a giudicare dal gruppo della Vergine, sono, se non per vigore d’espressione, certo per nobiltà di composizione e di fattura, tra i migliori affreschi che il Cinquecento abbia lasciato nell’Ossola. Altri potrà forse agevolmente rintracciarne l’autore; a noi basti rilevare, che se pur nella chiesa dipinse, come vuole la tradizione, il noto Bugnat, difficilmente possono essergli attribuiti questi frammenti così diversi dalle scene tanto caratteristiche da lui dipinte in Baceno. affresco della chiesa parrocchiale di varzo).(Fot. Vigo, Varzo).

Detto così di questo, che certo è il più notevole edificio sacro della val Divedro, dobbiamo ora ridiscendere al piano e cercare ancora nelle vie vivaci e affollate del capoluogo dell’Ossola ciò che di chiese meno antiche vi rimanga, poichè le più antiche già volemmo miseramente desolate o distrutte. La grandiosa Collegiata attuale, dedicata come l’antica ai santi Gervasio e Protasio, è una costruzione senza interesse degli ultimi anni del secolo XVIII, eretta sul posto della Collegiata dei secoli XV-XVI, della quale il tempio attuale conserva soltanto il protiro e qualche frammento insignificante nella facciata; gli affreschi assai guasti di Fermo Stella (?) nel protiro, il quadro secentista di san Carlo del Tanzio, i buoni affreschi delle volte dovuti al Peretti vigezzino (1831), non aggiungono nulla di molto notevole all’edifizio. [p. 84 modifica]

L’altra più nota chiesa di Domo, la B. V. della Neve, costruzione a pianta poligonale del secolo XVII, non serba più traccia degli affreschi che, nel 1519 secondo il Capis, nel 1526 secondo il Morbio, vi aveva dipinto Fermo Stella da Caravaggio per invito di Paolo della Silva; le alluvioni del Bogna, scorrente una volta, con corso assai diverso dall’attuale, accanto alla chiesa, han fatto sì che delle opere dello Stella rimangan solo le vestigia sepolte al disotto del pavimento della chiesa odierna, la quale non offrirebbe quindi nessuno speciale interesse, se essa non possedesse una dello migliori pitture a olio dell’Ossola nella tavola che adorna l’altare maggiore. facciata della chiesa collegiata parrocchiale di domodossola. Campeggia nel mezzo la Madonna col Bambino in ricca veste a fiori d’oro, rigido affresco quattrocentesco staccato evidentemente dal muro dell’antica chiesa sepolta e qui ricollocato in onore (con l’aggiunta di due angioletti dipinti assai più tardi); completano il trittico i due santi Gervasio e Protasio dipinti su tavola ai lati della Madonna, figure di nobile fattura e ricche di colore e d’ornati finissimi, — la predella dipinta al disotto colle vive figure dei dodici apostoli, — le due mezze lunette in alto con l’Annunciazione. Opere tutte, secondo ogni probabilità, dovute a uno stesso autore, che la tradizione afferma essere Gaudenzio Ferrari, ma che le iniziali F. T. P., poste sotto un dei santi, bastano a far supporre opera d’altro autore, mentre la data 1516 (la terza cifra non è leggibile con piena certezza) dà l’indicazione precisa dell’età del dipinto. Come basterebbe del resto a rivelare l’epoca anche il solo [p. 85 modifica]particolare della fine aurea medaglia classica, che l’artista ha disegnato nel pomo della spada di san Protaso!5

Toglie a questa tavola il vanto d’essere il miglior dipinto a olio di tutta l’Ossola un altro bellissimo trittico cinquecentesco, conservato nella nuova chiesa parrocchiale (ricordata poche pagine addietro) di Masera, poco lontano da Domo. In un domodossola — interno della collegiata. nuovissimo contesto di bianchi marmi, semplice ed elegante veramente di linee, sono inquadrate le tre tavole antiche, nel mezzo la Vergine col Bambino, san Giovanni e san Martino, a sinistra san Sebastiano e sant’Antonio abate, a destra san Rocco e sant’Antonio eremita. Il disegno è nobile e fine, armonioso e caldo a colore, dolci, serene e veramente nobili le linee e le espressioni dei volti (specie quello della Madonna bionda), morbidi e aggraziati i panneggiamenti; e solo offende [p. 86 modifica]l’insigne bellezza di tutto il lavoro un sciaguratissimo ritocco iniziato e troncato a mezzo nel manto della Vergine. Al manto, ch’era come quello del san Martino dipinto d’argento e di gemme ma che il tempo aveva assai danneggiato, s’arrogò di trittico nella chiesa della b.v. della neve in domodossola — scuola di gaudenzio ferrari.(Fot. O. Leoni). ridar vivezza, or son pochi anni, un ristauratore d’oltralpe, ma l’opera malaugurata, appena venuta a conoscenza dei competenti, fu troncata a mezzo, e il restauro, voglio dir la ruina iniziata, rimase a deturpare con una grande vergognosa macchia gialla l’opera insigne, che la tradizione afferma di Gaudenzio Ferrari.

D’altre opere notevoli, che la religione abbia ispirato nelle borgate e nei vil[p. 87 modifica]laggi delle valli ossolane, è ormai ben poco da ricordare ancora. Vogna, presso Domo, ha nella chiesa parrocchiale una tela della Visitazione, dipinta dal valsesiano Antonio d’Enrico detto il Tanzio probabilmente nell’inizio del secolo XVII; Crana, in val Vigezzo, possiede nell’antico oratorio di san Rocco sei affreschi particolari del trittico della chiesa della b.v. della neve in domodossola.
(Fot. O. Leoni).
quattrocenteschi della vita del santo ritoccatissimi, e nell’oratorio di san Giovanni Battista una pala del Tanzio assai guasta e una cupola frescata dal Borgnis colla solita pennellata facile e fluida; Craveggia, poco più lungi, vanta una suntuosa chiesa parrocchiale costrutta nel 1733 sul disegno del San Salvatore di Venezia e ornata di tele del Morazzone e d’altri, mentre fra le numerose composizioni a fresco, oggi quasi distrutte, che ornavano le vie principali, attira ancora l’attenzione per la [p. 88 modifica]trittico della chiesa parrocchiale di masera — scuola di gaudenzio ferrari. buona conservazione e per la finezza delle figure l’affresco della Madonna e di S. Sebastiano cogli stemmi dei Borromei, dei Visconti e di Craveggia e con una iscrizione del 1531, esistente nella via dei Benefattori. affresco della vita di s. rocco nella parrocchiale di crana (val vigezzo).

Antronapiana, nella valle omonima, vanta solamente il suo ricco ciborio, scolpito in legno da artisti d’oltralpe a mezzo il secolo XVII; la vall’Anzasca, priva di chiese notevoli, dalla vecchia di Macugnaga in fuori (pur ve n’ha di moderne e suntuose), si gloria solo del tesoro racchiuso nella parrocchiale, vecchia di tre secoli, del villaggio di Bannio.

Ma quale tesoro! Nella nuda chiesa, da una cappella laterale, il bronzeo corpo d’un crocifisso, cui una ripulitura recente ha tolto la patina secolare, risplende tragico di sulla gran croce di larice: la fredda maestà della morte pervade tutto il corpo possente, mirabile per verità, per evidenza e per vigoria, la testa reclinata s’impronta d’un’angosciosa espressione di strazio, e tutta la persona e le estremità fremono ancora nel doloroso abbandono dell’agonia. L’opera poderosa, informata insieme a un così vigoroso realismo e a una ricerca così nobile di sen[p. 89 modifica]timento, riempie del suo fascino possente e della sua muta voce di dolore tutta la solitudine silenziosa della chiesetta, nella quale essa per così strane vicende è venuta a rinchiudersi. Opera fiamminga e del secolo XVI l’han giudicata gli studiosi; ma di essa queste sole notizie certe risultano, che da Cadice (dove secondo la tradizione era venuta dall’Inghilterra al tempo di Enrico VIII) essa fu nel 1780 recata qui la visitazione di s. elisabetta - pala di antonio d’enrico detto il tanzio nella chiesa parrocchiale di vagna da alcuni della famiglia Battaglini di Bannio esercitanti la mercatura in Ispagna, e che, ceduta poi alla parrocchia per tenue compenso e trasportata nella chiesa nel 1827, la conservò all’Ossola e insieme la rivelò all’ammirazione di più largo pubblico la tenace resistenza opposta dal parroco del luogo alle lusinghe degl’incettatori. L’offerta di 28.000 lire fatta al parroco nel 1897 fu troncata coll’intervento del benemerito maggiore G. G. Bazetta, R. Ispettore dei monumenti, e coll’iscrizione del [p. 90 modifica]Crocifisso nel catalogo degli oggetti d’arte della provincia; l’opera fu allora, può dirsi, rivelata al pubblico, e trasse fra i primi ad ammirarla nella valle remota Margherita regina.

Finalmente nella bassa valle ossolana una diffusa parola meritano la chiesa parrocchiale d’Ornavasso e quella di Mergozzo ricca la prima d’una facciata interno della chiesa parrocchiale di craveggia (dis. e dip. da giuseppe borgnis, 1733. cinquecentesca (1587) in marmo di gusto eccellente, e ben costrutta anche nell’interno che s’adorna, tra altro, d’un notevole pulpito di legno intagliato: attraente costruzione settecentesca la seconda, ove il campanile solo coi suoi archetti pensili appartiene all’età medievale. Notevole è nella chiesa di Mergozzo una vecchia tela annerita, la quale ha nello sfondo il panorama di Mergozzo qual era tre secoli fa («Carolus Canis Novar. pinxit 1623 »), veduta dal lago, col grande olmo ancor oggi vigoroso sulla riva, col campanile in fondo privo della guglia aggiunta poi nel Settecento. [p. 91 modifica]ciborio in legno scolpito nella chiesa parrocchiale di antronapiana. chiesa parrocchiale di calasca (valle anzasca). [p. 92 modifica]un oratorio a vanzone (valle anzasca).

Mentre il Medioevo prima, i secoli recenti poi vedevano la pietà dei fedeli ornare così di sacri edifizi tutte le terre ossolane, le vicende politiche varie, frementi per troppo lunga era di discordie tra i fratelli d’una stessa contrada e di guerre sanguinose tra gli Ossolani e i vicini d’oltralpe, cingevan di mura e incoronavan di castella tutte le borgate maggiori e segnavan di torri, solitariamente poste a vedetta, le rupi più prominenti e le vie più aperte e minacciate. chiesa parrocchiale di vanzone (valle anzasca).

Così Mergozzo serba ancora nella parte più alta il nome di Castello, quantunque della rocca rimanga appena visibile un tratto dei fondamenti, e della cinta di mura sia scomparso anche il solo arco di porta fino a pochi anni sono superstite; Piedimulera, allo sbocco di val Anzasca nel piano, reca ancora diritta e robusta la torre (oggi ridotta ad abitazione), sotto la quale, per uno stretto arco detto la Porta di val Anzasca, s’inerpica la ripida mulattiera della valle, oggi quasi abbandonata.

Ma con ben altra imponenza domina l’antico capoluogo dell’Ossola inferiore, Vogogna, il grandioso castello visconteo, la cui costruzione, almeno nella parte oggi ancora così pittorescamente conservata, è attribuita all’arcivescovo Giovanni Visconti; gli Svizzeri e gli Ossolani dell’alta valle che lo misero a fuoco nel 1514, i repubbli[p. 93 modifica]cani del 1798 che ne divelsero gli stemmi viscontei, l’incuria e il malo uso di chi ridusse i ruderi a uso di carcere, di chi lo lasciò per secoli nel più desolato abbandono, di chi in anni assai vicini a noi vi accomodò con discutibile gusto certi belvederi merlati e imbandierati, non han tolto a ciò che rimane la sua forte e severa bellezza. La massiccia eppur leggiadra torre rotonda cinta della sua rude corazza di macigni, la cortina che la segue a monte fino al mozzo torrione quadrato, ingentilita soltanto chiesa parrocchiale di bannio (valle anzasca). dall’erba e dai fiori che ne rivestono il piede, son tutto ciò che rimane al difuori. Una porticina aperta nel muricciolo merlato a destra della torre rotonda conduce nell’interno sotto un pergolato di vite ad un’alta cortina e all’antica porta d’ingresso archiacuta, dietro alla quale una povera casa rustica s’è annidata tra le antiche mura cadenti: dell’edificio vetusto due nude tetre enormi sale terrene rimangono ancora, adorne solo d’un vastissimo camino nero di sarizzo. Più in là un altro arco acuto s’apre in un’altra muraglia transversa, vestita d’edera dal basso fino ai beccatelli cadenti, e le viti e le ortaglie crescono ov’era la dimora antica, mentre le folli erbe selvatiche veston le mura di vivente verzura. L’occhio intanto corre [p. 94 modifica]più su dei ruderi all’alto poggio sovrastante, e scorge incoronarsi l’altura d’altre rovine di possenti mura merlate e di torrioni: è la Rocca, più antica del Castello, ridotta oggi una tragica grandiosa rovina superbamente dominante tutta la vallata da Vogogna a valle ed a monte. crocefisso del sec. xvi nella chiesa parrocchiale di bannio.

A tramontana di Vogogna, Cardezza vanta a vedetta delle sue disperse casette quattro ruderi di torri antichissime, Beura annovera dentro e sopra il villaggio più torri rotte e smozzicate ridotte ad abitazioni o a ripari di rustici abituri, mentre sulla salita ombrosa di castagni che dal pian di Domo conduce a Trontano torreggia solitaria su una punta quella che la tradizione dice la torre di fra Dolcino, ora [p. 95 modifica]chiesa parrocchiale di mergozzo.(Fot. G. Galloni). [p. 96 modifica]ruderi del castello e della rocca di vogogna.(Fot. E. Lossotti). [p. 97 modifica]castello visconteo di vogogna (dall’interno).(Fot. E. Lossetti). [p. 98 modifica]barbaramente racconcia e intonacata da non so che proprietario che ne ha fatto il belvedere d’una sua villa.

Domo, come appare nel dipinto settecentesco della chiesa parrocchiale di Bognanco dentro, era cinta di mura e di torri, che risalivano al secolo XIV quando i cittadini avevan dovuto cercare una stabile difesa contro le incursioni dei Vallesani; Filippo Maria Visconti e gli Sforza poi avevan rafforzato le mura e munito validamente il vecchio castello, che solo il secolo XIX, quando la strada del torrione del castello di vogogna (sec. xiv). Sempione, col suo largo nuovissimo rettifilo, obbligò ad abbatter in gran parte le mura e a sventrar la borgata, vide smantellato, poi raso al suolo. Rovinosa dispersione di tante memorie vetuste! ma la cerchia antica spezzata permise al borgo di allargarsi con nuove vie, palazzi e case verso la campagna aperta, rapidamente assumendo veste e aspetto maggiori di città.

Più del castello cittadino ebbe, del resto, fama nella storia il maggior castello di Mattarella, che incoronava a sud della città il poggio (ora chiamato il Monte Calvario) dominante il corso della Toce e la via da Domo a mezzodì. Eretto nel secolo XIII se non prima, e cresciuto rapidamente a giurisdizione feudale così vasta da [p. 99 modifica]designarsi col nome di Corte o Curia o Giurisdizione di Mattarella tutto il territorio dell’Ossola superiore, guasto poi e rovinato dalle guerre dei secoli XV e XVI e dal consecutivo abbandono, ebbero il luogo e vi incominciarono l’erezione di cappelle e di chiese i Cappuccini di Domo nel secolo XVII, vi stabilì poi in tempi assai più vicini a noi il suo pio e studioso istituto Antonio Rosmini. Ben poco rimane oggi porta del castello di vogogna.(Fot. E. Lossetti). del castello antico, e molto è mutato anche da quando Federico Ashton lo ritraeva nel marzo del 1882; appaiono tuttavia ancora qua e là, fra il verde dell’incantevole parco annesso alla casa dei Rosminiani, lunghi tratti di mura massiccie quasi nascoste dalla vegetazione lussureggiante e avanzi di torri demolite; sulla vetta estrema domina ancora l’antico mastio smozzicato, con troppo artifizio accomodato a belvedere di facile accesso: più in giù s’erge ancora il severo e imponente arco acuto d’ingresso, pittoresco oltre ogni dire tra il verde fittissimo e i garruli zampilli dell’acqua, guasto però dalla vicinanza d’un affresco sacro dipinto or son pochi anni coi più vivi [p. 100 modifica]e stridenti colori; una lunga serie di merli ghibellini, fabbricati vent’anni fa corona al sommo le mura durate per secoli guelfa dimora di vescovi!

Un’altra torre, quella di Rencio, domina coi suoi ruderi, pittorescamente eretti su un masso enorme precipitato dal monte, il fondo di valle Antigorio, disotto a porta del castello di vogogna (dall’interno).(Fot. E. Lossetti). Crodo; un'altra, massiccia e smozzicata, la torre di Rondola, sorge ancora in alto, vicina a Mozzio; forti muraglie diroccate e i ruderi d’un torrione a tre piani, sotto la cui porta passa ancor oggi la via mulattiera (e si scorgono ancora negli stipiti i segni del ponte levatoio), sbarran tuttora la strada di val Dévero onde dai passi delle Alpi minacciavan Baceno e tutta Antigorio i vicini Vallesani. [p. 101 modifica]ruderi della rocca di vogogna. [p. 102 modifica]

Ma non soltanto di torri e di castelli, armi di difesa e d’offesa contro vicini e contro stranieri, munì quella ferrea età le chiuse e le vette; sorsero per essa, ingentilite nel chiuso recinto dal sorriso di più lieta vita, le dimore dei signori, che pur ora fregiano di lor pittoresche rovine tanti luoghi dell’Ossola.

Sotto Baceno, nella conca ponente del villaggio, là dove passava l’antica mulattiera risalente val Dévero, è un chiuso gruppo di case dette alla Torre, nel quale è palese, dalle porte sotto le quali passa la via, dal mozzo torrione, dalle robuste chiesa del calvario e ruderi del castello di matarella, presso domodossola.
(Fot. Büchi).
mura, dagli archi apparenti ancora nelle rustiche dimore, l’antica residenza dei Rhodes signori di Baceno.

Sopra Crodo, lungo la strada che sale tortuosamente a Mozzio, è un povero gruppo di case contadinesche detto al Bovarengo. Salendo per una scala di legno rotta e crollante in una delle casette, si trova una stanza ridotta a fienile, nella quale, arrampicati sul fieno, si scorge con istupore, alla scarsa luce che penetra dalle finestre, conservato su tre parti un largo fregio pittorico. Da uno zoccolo dipinto a medaglioni d’intenzione classica sorgono goffe figure di donna nude (sirene o simili), reggenti una fascia ricorrente sotto il soffitto, tutta dipinta a stemmi e a figure; fra gli stemmi è facile ravvisare quello della famiglia Silva e quello dei [p. 103 modifica]domodossola nel sec. XVI (da un quadro nella chiesa parrocchiale di bognanco dentro). ruderi del castello di matarella — marzo 1882 (da un disegno di F. Ashton). [p. 104 modifica]Rhodes; il resto son patti, maschere, frutta e scene varie goffamente dipinte e ancora fresche di colore, Lucrezia che si trafigge, Orfeo che suona il violino, e un buffo Atteone spruzzato d’acqua da tre ninfe ignude, e un più buffo Paride fra le tre Dee. Resti di dimora signorile certamente anche questi, come attesta il «Jo: Mar: 1551» (Marini?) inscritto disopra alla porta. E ancora in basso sul muro d’una delle contigue casupole è traccia di una Madonna di buona fattura del tardo Quattrocento o del Cinquecento (con un’iscrizione appena decifrabile), e ruderi del castello di matarella.(Fot. O. Leoni). due passi più in là sotto un portico è un altro affresco sacro assai malandato.

Ben altra dall’ornata povertà del Bovarengo doveva esser la ricchezza della dimora dei Silva in Crevola; ma se dell’esterno, della dimora ancor si rivela qualche cosa ai nostri occhi nulla rimane ormai più dell’ornamento interno, che, a giudicare dagli altri segni di lor gentilezza lasciati dai Silva nell’Ossola, doveva essere degno veramente di principesca famiglia. Ben ampia doveva esser la dimora, poichè essa forma oggi ancora, sminuzzata in tante abitazioni di privati, la parte maggiore dell’abitato di Crevola; molta parte dei muri nascondon la costruzione antica sotto [p. 105 modifica]gl’intonachi bianchi, rosei e gialli, molta parte delle finestre di piccole e strette si son rifatte modernamente larghe e luminose, un gran arco dal quale una scala scende nel buio è divenuto dimora d’un bottaio, una porticina sagomata chiude a mezzo un porcile; ma ben visibili traccie dell’antico rimangono nella porta archiacuta dell’ingresso verso Domo sul cui sommo è cresciuto pittoresco un piccolo larice, nella gran porta aperta a levante verso la valle, nei tratti di muro alti e massicci colle antiche piccole finestre, negli scudi a colori mezzo svaniti e nelle targhe marmoree ruderi della torre di bencio, in val antigorio.(Fot. O. Leoni). infisse qua e là, nella torre finalmente che, estremamente mutata d’assai, s’erge ancora all’estremità settentrionale. Dell’interno invece nulla sopravanza, poichè i pochi frammenti superstiti son conservati ora (salvati così da altro depredazioni) nel museo del palazzo Silva in Domo; e soltanto i ricordi degli scrittori ci permettono ormai d’indovinare la vaghezza della «camera verde», tutta fregiata a stemmi di quel colore, la magnificenza della sala maggiore dipinta di fanciulle che invitavano a danza una schiera di giovani vagamente vestiti alla provenzale, e la maestà della sala della giustizia dove, tra gli altri dipinti, sopra un lupo imba[p. 106 modifica]cuccato nella tonaca d’un religioso predicava dal pulpito al gregge ed azzannava intanto la pecora più bella6

Altre località vantano altri ricordi. Le antiche case della frazione Castello in Trontano possedettero fino a pochi anni fa un bellissimo camino in sarizzo, che, coll’aggiunta moderna della targa in alto e del sottofuoco con iscrizione e sigle, forma oggi uno dei più interessanti ornamenti della bellissima casa dei Bagatti-Valsecchi di Milano. Della storia di codesto camino parlano soltanto gli stemmi, ch’esso ruderi della torre di bencio.(Fot. O. Leoni). reca scolpiti: l’uno nell’ornato centrale del fregio (spaccato, nel partito superiore all’aquila, nell’inferiore al castello a sinistra, alla pianta — Morone? — a destra) con le sigle IA-CO, altri due nei capitelli dei pilastrini e due ancora sui fianchi interni delle spalle (recanti l’aquila poggiata sul castello, o spaccato l’aquila con la pianta, o l’aquila su una forma di chevron): stemmi e sigle riferibili probabilmente alla nobile famiglia Conti de’ Salati di Trontano.

Beura anch’essa vanta, congiunto con un cavalcavia alla maestosa diruta torre. [p. 107 modifica]quadrata, l’antico palazzo dei signori. Il portone archiacuto con l’incudine dei Ferrari (capi di parte ghibellina Dell’Ossola) scolpita nella chiave dell’arco e con un’altra targa più sopra fregiata del biscione visconteo e della data MCCCCL..., le tre finestre del pianterreno conservate come in antico, le quattro finestre archiacute in alto intonacate e seminascoste da un misero ballatoio moderno, il vecchio resti di fortificazioni medievali in val devero.(Fot. O. Leoni). affresco scrostato tagliato dal ballatoio stesso, conservano ancora l’impronta antica all’esterno dell’edifizio: un piccolo portico retto da rozze colonnine con l’architrave in legno, i resti della loggia in legno del primo piano murata oggi in tutti i vani mantengono la stessa impronta anche al cortile interno, sordido in modo estremo ma pur pittoresco.

Piedimulera, povera di edifizi antichi, vanta (e ci sia permesso ricordarla qui, malgrado l’anacronismo, accanto alle dimore signorili dei secoli medioevali) la più bella casa secentesca dell’Ossola e la meglio conservata. È la casa Testoni integra [p. 108 modifica]ancora oggi nel caratteristico campaniletto e nei camini, nella pittoresca decorazioni a gran fregi architettonici dipinti di verde intorno alle porte e alle finestre, nelle ringhiere in ferro ricche di dorature dei terrazzini, nelle antiche porte ornate, nella vetrina nei battenti della bottega a sinistra coll’arguta iscrizione NEGOOTIUM ripetuta nel fregio decorativo.

E basti di queste minori ville e borgate, che ben più a lungo ci conviene illustrare, a chiusa della nostra già lunga rassegna, i due capoluoghi, Vogogna dell’Ossola inferiore, Domo della superiore e oggi di tutta l’Ossola: luoghi non soltanto: di memorie delle grandi famiglie avite, ma insigni per pubblici edifizi degni di particolare ricordo.

Prima d’entrare in Vogogna, chi arriva dall’alta valle per la grande strada rotabile osserva a destra, a fregio d’una «Trattoria del Moretto con alloggio e stallazzo», una porta leggiadramente ornata negli stipiti e nell’architrave, fregiati i primi di due stemmi (spaccati coll’aquila ad ali spiegate sopra e una colomba sotto), l’altro del motto «In hoc signo vinces» e, più su, dell’altro «Salve redemptio nostra». Una finestra sovrapposta assai graziosamente ornata, ha sotto il davanzale il motto «Deo gloria» il quale farebbe, come gli altri, pensare ad un edificio religioso, se d’altra un camino visibile in una saletta terrena non ricordasse colla sua iscrizione essere stata eretta la casa dal dott. Antonio Biondini «artibus et medicis». Un’altra porta simile alla superstite ornava l’edificio, ma essa fu acquistata pochi anni sono da un signore ossolano e tolta dal posto suo così poco accortamente da lasciarne dei frammenti sul luogo.

Penetrati da codesta parte nell’interno dell’abitato di Vogogna, passata la modesta chiesa vecchia e la nuova pomposa e vanitosa, s’entra nella vecchia via centrale del borgo, stretta e fiancheggiata per un buon tratto di portici: prima fra gli edifizi con portici è un’antica casa dei Borromei, ornata di due porte notevoli pei fregi degli stipiti e dell’architrave. Poco più in là la via s’allarga dinanzi all’edificio caratteristico del Pretorio: robusta costruzione a due piani, interamente sorretta da un largo porticato che sulle basse e tozze arcate giranti tutt’attorno regge poderosamente tutto l’edificio. L’aquila imperiale e lo stemma del biscione, ancor riconoscibili nei prospetti di ponente e di levante nonostante i colpi di scalpello dati dai repubblicani nel 1798, rivelano abbastanza il tempo della costruzione, che una lapide antica attesta del 1348; scomparsi sono l’arme dei Borromeo e i dipinti che ornavano il porticato, la gran loggia che doveva sporgere nel lato di mezzodì, la rozza cattedra di legno che nell’angolo meglio riparato del portico serviva ai giudizi del podestà; rimangono invece le finestre in tutto deformate dalle antiche, il poggiolo di ponente (aggiunta probabile del secolo XVI), la scala esterna, appoggiata al lato [p. 109 modifica]di tramontana, che permette l’adito ai piani superiori, e soprattutto le sentenziose lapidi antiche (tre solo son moderne) apposte nella chiave degli archi od altrove. Curiose lapidi, scolpite d’iscrizioni piene di senno e di saviezza politica e civile: l’una, che registra, ad ammonimento dei cittadini, tutte le nequizie dell’anima femminile, resti della torre e della loggia della giustizia alla torre presso baceno.
(Fot. O. Leoni).
suona: «Femina corpus, opes, animam, vim, lumina, voces | Polit et nichilat, necat, eripit, orbat, acerbat»: altre, più brevi e meno acerbe suonano: «Verecundiam time» .... «Qui autem festinat ditari non erit innocens» .... «Vidi solertem legalem in conspectu regum et non in medio populi» ... e cosi via. Tali le iscrizioni antiche; delle moderne non giova parlare, nè delle brutture colle quali si è creduto di ornare la meschinissima porta d’ingresso la palazzo nel lato di tramontana: perchè fregiare di tali miserie la nuda grandezza antica? [p. 110 modifica]affresco nella sala d’onore al «boarengo».(Fot. O. Leoni).

Tutto il borgo, del resto, conserva nella parte alta attorno al Pretorio, presso alla stretta via dai portici archiacuti, a piè dei ruderi superbi e minacciosi del castello visconteo, un’impronta caratteristica di vetustà; rimangono intatti coll’antico fascino ingressi di case a volta con oscuri androni, volte di conventi, loggette a colonne aperte di sotto ai tetti: povere case di contadini, negli stanzoni pieni di fascine e stuoie per filugelli, mostrano ancora i soffitti dipinti a leggiadri fregi settecenteschi. Segni tutti dell’antica floridezza, onde Vogogna contese a Domo per secoli il primato sull’Ossola tutta.

Domo anch’essa, benchè segnata assai più di Vogogna della moderna impronta rinnovatrice, conserva, in una piccola parte del vecchio centro, raccolti i tesori superstiti delle antiche memorie. Le vicende, che hanno veduto nei secoli andati cadere in rovina le chiese più venerande, e in tempi più vicini a noi andar distrutti per far posto alle nuove vie e ai nuovi edifizi la chiesa e il chiostro di san Francesco, il Pretorio secentesco il Castello e le vecchie mura di cinta, hanno pur affresco nella sala d’onore al «boarengo».(Fot. O. Leoni). [p. 111 modifica]diana e atteone (particolare degli affreschi nella sala d’onore al «boarengo».
(Fot. O. Leoni).
il giudizio di paride (particolare degli affreschi nella sala d’onore al «boarengo».
(Fot. O. Leoni).
[p. 112 modifica]lasciato intatta qualche parte del cuore della vetusta cittadina. Fra le vie nuove e larghe è pur rimasta taluna delle viuzze antiche, ribattezzate, è vero, più o meno felicemente con nomi nuovi, ma non in tutto spoglie dei vecchi edifizi (vedi soprattutto la caratteristica via Monte Rosa): qualche casa d’impronta antichissima, per quanto guasta da adattamenti più o meno recenti, qualche portico basso e oscuro, qualche stretto androne, qualche vecchio ballatoio di legno cadente, qualche aerea loggetta fiorita reca ancora la sua nota pittoresca fra le uniformi case moderne. Rimane soprattutto, ingresso meridionale dell'antico castello di crevola.
(Fot. M.me J. Morgantini).
benchè taluno degli edifizi antichi sia caduto e troppi dei superstiti si sian rimbellettati di freschi e poco intonati colori, quel gioiello ch’è la Piazza del Mercato, colla pittoresca irregolarissima serie delle case che la cingono intorno, sostenute in basso da tozzi portici antichi, ornate nel mezzo e in alto da una varia e festosa ghirlanda di poggioli, d’archi, di loggette snelle e leggiere tutte ridenti di fiori.

La casa, che da sinistra (per chi viene dalla via denominata con singolare errore degli Osci) sporge di più nella Piazza del Mercato, conserva nel porticato le vecchie tozze colonne, ornate nel capitello di stemmi che in parte si vogliono [p. 113 modifica]ingresso meridionale del castello di crevola (dall’interno). ingresso meridionale del castello di crevola.
(Fot. M.me. J. Morgantini, Crevola).
[p. 114 modifica]ingresso orientale del castello di crevola (dall’esterno). torre del castello di crevola.
(Fot. M.me. J. Morgantini).
[p. 115 modifica]dell’antica corporazione di Santo Spirito: colonne e capitelli del VI secolo, asserisce una delle solite Guide imaginose! La casa di fronte a destra retta da altre antiche colonne sorrette da alti zoccoli e ornate dell’arme dei Ferrari; poco più in là da camino della casa bagatti-valsecchi in milano (proveniente dal castello di trontano).
(Fot. F. Bagatti-Valsecchi).
questa è la casa Baioni, abbellita d’una leggiadrissima loggia sporgente; un’altra, più oltre, sporge irregolarmente col portico dai capitelli stemmati; un’altra quasi piramidale reca in alto una loggia, alla quale s’affaccia curiosamente appoggiata la statua di legno d’un santo; un’altra ancora, a sinistra, meno rammodernata. [p. 116 modifica]casa testoni (sec. xvii), in piedimulera. sull’angolo che forma la piazzetta colla via Briona, conserva coll’antico nome di casa del Vescovo una vaga loggetta tutta fiorita e chiusa da una bella balaustra settecentesca al primo piano, e, in alto sull’angolo, il vecchio tetto sporgente coi cassettoni dipinti porta dell’antica casa brondini in vogogna.
(Fot. E. Ravasenga).
sotto di stemmi, lo stemma della città (fra gli altri) ben visibile ancora... La pittoresca irregolarità delle case, la vaga nota d’arte dei portici oscuri e gravi e delle loggette piene di sole e di fiori, la serie disordinata dei tetti acuminati grigi e neri sormontati dagli svelti camini e dalle banderuole che coronan le case nell’atmosfera serena, fanno di tutta questa piazzetta una cosa assai vaga e gentile, cui accresce vivezza nei giorni di mercato (un mercato che risale ai tempi di Berengario I) la variopinta folla, vestita di vari e caratteristici costumi, che vi ha convegno da tutte le vallate vicine. [p. 117 modifica]

In via Briona sorge ancora la vecchia torre dello stesso nome, congiunta alle case che erano della nobile famiglia Del Ponte; un basso voltone presso la torre, sormontato da un’iscrizione gotica poco leggibile, adduce ad un gran cortile interno dove la sala terrena d’un’osteria conserva ancora un bel camino della Rinascenza. Poco più in là la via s’allarga di nuovo, e alle vecchie case annerite della Domo antica succedon nuovamente le case e i palazzetti della lieta e industre Domo di oggi. vogogna — casa de’ borromei.(Fot. E. Ravasenga).

Ma assai maggiore ricchezza d’arte Domo possiede nel palazzo eretto per dimora sua e dei suoi da Paolo della Silva, condottiero di Francesco I di Francia, una tra le più belle e fra le meglio conservate dimore signorili che il Cinquecento abbia lasciato nella regione subalpina. Abbandonato dopo il perire della famiglia Silva e sempre più minacciato di guasto e di rovina irreparabile, fu salvo il palazzo, pochi lustri or sono, per l’intervento della benemerita istituzione ossolana che porta il nome del fondatore Giangiacomo Galletti; ad essa che l’acquistò per raccogliervi tutte le antiche memorie delle valli ossolane, e all’opera illuminata e generosa di Vittorio [p. 118 modifica]Avondo che sanò le ingiurie e le devastazioni del tempo, deve la gentile città di aver conservato all’arte italiana questo monumento veramente insigne.

Sorge il bell’edificio a ponente della Piazza del Mercato, tosto rivelato, fra le modeste dimore che l’attorniano, dalle leggiadre finestre e dalle porte spiccanti coll’annerita via principale e palazzo del pretorio in vogogna.(Fot. E. Lossetti). decorazione di pietra di Crevola sul rinnovato intonaco della facciata e dei fianchi. Tutti i particolari costruttivi, il disegno semplice ed elegante della decorazione, la forma varia e pittoresca del vaghissimo cortile aperto a settentrione, fanno chiara testimonianza dell’epoca della costruzione, da taluno voluta attribuire al Bramante (per essere questi venuto nell’Ossola nel 1493), ma iniziata, come si legge nelle due finestre del pianterreno a tramontana, nel 1519 quando il Bramante già da più [p. 119 modifica]anni era morto. Tutte di codesta epoca, e rammentanti in parecchi particolari il palazzo di Venezia di Giuliano da Majano, sono le leggiadrie del cortile, delle finestre quadripartite fregiate col motto «Humilitas alta petit» e ricche di ornati, di motti religiosi, di targhe colle armi Rhodes e Silva nei lati di tramontana e di ponente. Solo appartiene ad epoca più tarda l’ultimo tratto del iscrizione medioevale sulla facciata del palazzo pretorio in vogogna.
(Fot. E. Ravasenga).
palazzo verso mezzodì, poichè Guglielmo della Silva nel secolo XVII aggiungeva in questo lato all’edifizio parte d’una vecchia casa del Quattrocento, riducendo così simile questo agli altri prospetti, che solo da una finestra a terreno più fastosamente ornata delle altre si rivela chiaramente il Seicento; in questa finestra è la data 1640 e il nome GVG. SIL., ripetuto poi nelle due ultime finestre a terreno verso mezzodì. Anche, in questo stesso lato meridionale, i recenti restauri hanno scoperto intorno a una finestra murata un tratto di graffito più antico alternante [p. 120 modifica]domodossola — piazza del mercato. [p. 121 modifica]il leone dei Silva col gelso dei Morone7. Da questa parte il passaggio non era aperto come oggi, ma vi esisteva una bella e adorna porta a sesto acuto sormontata da un grave attico secentesco, la quale poco opportunamente fu abbattuta, conservandosi l’arco oggi nella prima sala interna a terreno. domodossola — palazzo silva — lato settentrionale.

Dalla porta aperta verso ponente o da quella del cortile d’onore si ha accesso all’interno al piano terreno, il quale, per mezzo d’una ben architettata scala a [p. 122 modifica]chiocciola costrutta nel vano della torre sporgente sul cortile, è messo in comunicazione coi piani superiori. Le porticine interne sulla scala e tra stanza e stanza son rifatte sul modello d’un’antica, trovata intatta coi vecchi serramenti. Così pure son conformi all’antico i soffitti delle sale, e in taluna conservansi ancora i vecchi grandi camini marmorei apposti alle pareti.

Tale, come una prudente opera di restauro la ripristinava, la dimora di Paolo della palazzo silva — lato occidentale (prima delle ultime modificazioni). Silva, monumento memorabile del fine gusto d’arte di quest’uomo che, tratto dalla sua valle nativa nel turbine di guerra che insanguinò l’Italia nei primi lustri del secolo XVI, trovò pur fra l’armi l’ozio felice pei diletti dell’arte; onde da lui ebbe l’Ossola la chiesa di Crevola e parte degli ornamenti di quella di Baceno e il coro della Madonna della Neve in Domo (oltre a ciò che scomparve colla distrutta chiesa di san Francesco), mentre a riposo della vita agitata egli si erigeva o rinnovava il castello di Crevola e la signorile delicata dimora di Domo.

Ora, poichè fortuna volle che questa dimora appunto durasse incolume e vincesse tutti i danni del tempo, a nessun uso più nobile essa poteva venir consacrata [p. 123 modifica]cortile d’onore del palazzo silva. porta d’onore del palazzo silva, oggi demolita.(Fot. C. Nigra). [p. 124 modifica]che a quello di conservarvi le memorie antiche e preziose dell’Ossola; e una savia disposizione consacrò appunto a tal fine una parte dei redditi vistosi della Fondazione Galletti. Resti preistorici, frammenti architettonici, lapidi, sculture, camini, bronzi, medaglie, quadri, stampe, abbigliamenti, vi furono accolti con cura ed affetto, palazzo silva — lato meridionale. salvandoli da dispersione e rovina. E solo è da lamentare, che troppe cose disformi si siano aggiunte a quelle, talchè fra le memorie ossolane abbian trovato posto le collezioni etnografiche dell’Africa e dell’America, la suppellettile delle tombe romane si sia mescolata colle antichità messicane, gli strumenti musicali di cent’anni fa si siano accompagnati ai cofanetti d’avorio medievali, e soprattutto si sian qui ve[p. 125 modifica]nate adunando certe enormi vetrine destinate alla flora, alla fauna e ai minerali dell’Ossola, le quali dovrebbero trovarsi in tutt’altra sede che in questa.

Nella prima sala a terreno il soffitto a cassettoni e il camino marmoreo sono frammenti architettonici conservati nel cortile di palazzo silva.
(Fot. E. Nigra).
quelli originali del secolo XVI; ma il camino, riccamente decorato e ornato delle armi Rhodes e Silva, è deturpato da una vetrina di non so che animali cacciatavi dentro, e tutta la sala è malamente zeppa d’altre vetrine consimili. Nella seconda sala, che ricovera la pregevolissima collezione mineralogica Dell’Angelo, nulla si contiene d’artistico; nella terza, destinata anch’essa alla mineralogia, una [p. 126 modifica]dalle solite vetrine ostruisce un elegante camino marmoreo (opera della fine del secolo XV), proveniente dal castello di Crevola fregiato delle armi Rhodes, Silva e Morone e del nome «Ioannes Ant. Silva». Più in là, dopo un’altra sala di storia naturale, un piccolo passaggio raccoglie numerosi frammenti di scultura, tra i quali sono particolarmente notevoli un tabernacolo secentesco proveniente dalla cappella del castello di Crevola, guasto ma ancora segnato delle armi Rhodes e Silva, un frontone di tomba ornato e scolpito con una figura e con l’arme Silva e datato del 1475, e due tombe romane provenienti dalla necropoli di Gurro in val Cannobina.

Da un’ultima sala di collezioni naturalistiche si può accedere al cortile, che, frammenti architettonici nel cortile di palazzo silva. vigilato dalla torretta, dall’alta loggia e dalle ornate finestre, chiuso fra le tacite mura antiche e la solinga via Paletta (dalla quale lo separa un bel cancello di ferro disegnato su modello antico), copre d’ombra e di musco i molti interessanti frammenti ivi deposti. Degni particolarmente di ricordo: la graziosa bifora marmorea proveniente dal castello di Crevola, infissa nel muro accanto alle grandi targhe dei Silva, dei Rhodes e d’altre famiglie ossolane, l’altro frammento quattrocentesco con figure inginocchiate, proveniente anch’esso dal castello dei Silva, le due Madonne del XIV e XV secolo, il bel mortaio marmoreo ornato di stemmi gentilizi, il grosso frammento di serpentino scolpito di rozze figure di re, di guerrieri combattenti, di cavalli e di cammelli, attribuito al secolo XIII. A quest’ultimo specialmente s’è volta l’attenzione degli studiosi, da un lato stimandosi ch’ei facesse parte d’un monumento a san Giovanni Nepomuceno esistente già a Piedimulera (presso il luogo ove il frammento fu trovato), dall’altro giudicandosi che il re giacente al quale appare [p. 127 modifica]l’angelo con la croce sia Costantino o altrimenti Luigi IX di Francia. Accanto al re giacente sono due orsi (?), l’uno dei quali reggente un vessillo: in, questa figurazione forse potrà trovarsi la spiegazione dell’interessante bassorilievo. sala d’onore del palazzo silva.

Nella sala d’onore al primo piano, racchiudente cinque vetrine di collezioni etnologiche africane e americane, nonchè di oggetti trovati in tombe romane dell’Ossola e d’altre cose varie e discordi, son da notare il soffitto a cassettoni rifatto conformemente all’originale, alcune cassapanche e cofani antichi, e il bel camino cinquecentesco in pietra ollare ornato, fra gli altri fregi, dello stemma Silva e sor[p. 128 modifica]montato da una gran cappa istoriata d’età più tarda, Quando pochi anni sono la sala, sgombra ancora delle attuali vetrine, severa e nuda come in antico, s’ornava appena di qualche seggiola posta accanto al focolare, e quivi nei costumi dei secoli andati quasi in atto di vita favellando insieme stavano la signora vigezzina e la contadinella di Montecrestese, veramente pareva, a chi s’affacciava all’uscio della sala, veder risorta per un attimo inafferrabile la semplice lontana vita degli avi; ma i cestelli degli Arabi nomadi e i piedi delle mummie egizie e gli antichi vasi del Messico e del Perù, così freddi ed estranei fra queste mura, han cacciato via le due care e vive figure paesane, che ora, ben chiuse, ordinate e catalogate, insieme bronzi raccolti nel museo di palazzo silva. a parecchie altre delle vicine valli ossolane, in una delle solite gabbie di vetro all’ultimo piano, son divenute anch’esse fredde desolate mummie da museo remote da ogni più piccola parvenza di senso e di vita. Sola, nell’antica sala d’onore, fra le strane morte voci di genti disformi ed ignote, una parla ancora d’una passione che qui tra queste mura ha vibrato e pianto: «1597. 30 agosto, — ha graffito una mano tremante nel muro presso la finestra, — chi sapesse che cosa fa amore haria compassione di mei dolori».

La sala seguente accoglie oggetti varii ed interessanti: in una vetrina, pettini, piatti, fibbie, orologi antichi, gioielli, croci ed altri arredi di chiesa; lungo le pareti, lampade, bracciali, pendole antiche. La terza sala vanta un grande ed ornato camino in marmo con le armi Silva e Morone, e in alcune vetrine bronzi ed altri [p. 129 modifica]oggetti profani, oggetti di devozione, frammenti romani e preromani provenienti da scavi: tra le cose più preziose (e una nostra fotografia ne riproduce taluna) sono una saliera lavorata a sbalzo da Jean Briot, un interessante turibolo in bronzo del secolo XIII proveniente dalla cappella d’Anzuno, due controaltari di cuoio dipinto, un piatto d’argento a sbalzo raffigurante il combattimento d’Ercole contro le Amazzoni, copia bellissima (dicono) dal Cellini. sculture in legno nel palazzo silva.

Coll’ultima sala del primo piano, contenente, fra altro, un notevole quadro votivo datato del 1635 e una tela rappresentante una vecchia nell’antico interessante costume di Varzo, incomincia la raccolta dei dipinti e delle stampe, che continua nelle sale e salette del piano superiore. Alla stanzetta delle incisioni, più o meno autenticamente attribuite al Dürer, al Breughel, al Callot, al Potter, al Piazzetta, al Calamatta, seguono quelle dei dipinti: taluni di questi, su tavola a fondo d’oro (un san Cristoforo col Bambino, due quadri della Vergine), rappresentano le forme più rozze della pittura medievale e risalgono presumibilmente al secolo XIV; — una [p. 130 modifica]proporzione d’affresco con interessanti figure, staccata all’interno della chiesa di san Francesco in Domo, rappresenta l’arte del Quattrocento; - un bel ritratto d’un Delfino di Francia e quello secentesco d’un papa (proveniente pur esso da san Francesco) stanno, insieme ad altre tele, a documento dell’arte dei secoli più tardi. Tutta questa collezione, non piccola nè spregevole, di dipinti antichi attende ancora chi la studi e ne chiarisca gli autori e il valore; non così dei moderni, occupan due sale intere, con troppe cose di scarso pregio mescolate, ahimè, alle poche buone.

Due ultime salette contengono l’una frammenti di sculture ossolane antiche, costume di valle anzasca. l’altra armi e vessilli di varie epoche e la già accennata vetrina coi fantocci vestiti dei variopinti costumi antichi delle valli ossolane; fra le armi, la più preziosa è la bellissima spada del secolo XV trovata nel castello di Crevola; fra le sculture antiche primeggia il bellissimo leggìo cinquecentesco (riprodotto da una nostra fotografia) proveniente dalla chiesa di san Giuseppe in Domo.

Così si chiude la serie delle preziose cose, che vigile cura e assiduo affetto della terra natia radunò in pochi anni in questa antica sede, alla quale è solo da augurare che le collezioni di storia naturale (già in passato assai meglio allogate altrove) siano ritolte al più presto di qui insieme colle altre meno rispondenti all’ambiente, affinchè più largo spazio e miglior disposizione vi trovino invece i rimanenti cimelii. Questo solo manca, a che la gentile cittadina ossolana possa vantarsi appieno di questo insigne museo, che, e per la squisita eleganza della dimora e per i ricordi d’arte e di storia che vi si raccolgono dall’Ossola tutta, è tale veramente quale molte città maggiori e più ricche di fama possono invidiare. [p. 131 modifica] Così Domodossola con imitabile esempio salvava dalla dispersione o dalla rovina e legava ai posteri i ricordi preziosi del suo passato, nell’ora istessa che, dando alle industrie novelle le acque turbinose delle sue vallate e squarciando nelle sue montagne una via nuova alle genti, essa si volgeva fiduciosa, col ridente corteo dei borghi e delle ville vicine, ad un nuovissimo avvenire di ricchezza e di forza. Possa in questo avvenire, che per l’Ossola si annunzia così ricco di speranze e di sicure promesse, sorridere ai cari luoghi, come in passato, insieme col fascino immortale dei monti e delle acque, il sereno conforto ideale dell’arte! medaglia commemorativa del traforo del sempione.

  1. Le prime parole, corrette dagli studiosi recenti, ricordano la spesa della via, ascesa a 22600 sesterzi; le altre ricordano i due consoli, e, se pur sono esatte, i due curatori e il procuratore del tempo. Il procuratore reggeva la provincia detta allora delle Alpi Atrezziane (oggi Leponzie).
  2. Vedi i disegni del Benzoni, riproducenti anche molti particolari decorativi, nei Ricordi di Architettura, vol. II serie 2, Firenze, 1891.
  3. Notizie d’altri dipinti esistenti già nella chiesa e nel convento de’ Francescani vedi in C. Morbio Storia della città e diocesi di Novara, Milano, 1841.
  4. I due documenti del 1032-1039 e del 1133 sono autorevolmente citati nella Novara Sacra del Bescapè del 1448, pubblicato di recente, ripete, quasi in tutto, quello del 1133.
  5. Se s’indovina in quelle tre iniziali il fecit o il pinxit, non è facile arguire il nome dell’artista: forse un Tomaso Peraccini, che dipinse anche il val Bognanco? Quanto ai lavori dello Stella, più a lungo ne parla nella sua opera il Morbio.
  6. Di questi affreschi è memoria nell’opera già citata del Morbio, il quale ci conserva anche il nome dell’artista che aveva decorato la sala maggiore: «Ego Antonius pictor filius Magistri l’etri Pictoris habitator Novariae pixi hoc opus».
  7. L’arme dei Morone ricorre sovente, per essere stata moglie di Giovanni Antonio e madre di Paolo della Silva una Dorotea Morone, sorella del gran cancelliere Girolamo.