Istoria della città di Benevento dalla sua origine fino al 1894/Parte III/Capitolo I

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PARTE TERZA


CAPITOLO I.


Il pontefice Gregorio VII, dopo che morì senza eredi l’ultimo principe di Benevento Landolfo III, dichiarò decaduta questa città da qualsiasi dritto o privilegio, e del tutto dipendente dalla Santa Sede. E ai principi dotati di sì estesi poteri furono sostituiti privati cittadini col titolo di Rettori, detti anche Presidi da Pietro Diacono. Ma a questo luogo della mia opera credo indispensabile porgere una succinta notizia di questa nuova forma di governo, e della potestà conceduta a coloro che ressero Benevento col titolo di Rettori.

L’ufficio di Rettore e quello di Contestabile erano del tutto diversi, imperocchè al primo si conferiva ogni potere politico, ed al secondo spettava il maneggio delle cose militari, con questo però che al Rettore si attribuiva anche il dritto di richiamare a sè, in tempi anormali, l’amministrazione militare, e di esercitare simultaneamente amendue gli ufficii.

L’elezione del contestabile costituiva la primaria e più gelosa prorogativa dei Rettori, ma tutto si mantenne incerto in quei primi tempi per le continue guerre e la varietà dei domimi, talchè niuno fu investito d’una sì importante carica durante l’intera vita, come più fiate intervenne nei secoli posteriori. Il Rettore poi dovea essere eletto a talento del sovrano pontefice e tra i forestieri; giacchè la [p. 92 modifica]esperienza fece comprendere che affidare la somma delle cose ai nativi di Benevento poteva divenir causa di fellonia, di sedizioni e gare civili come accadde, e lo vedremo a suo luogo, nei tempi di Azzone.

Nel XIII secolo perdurarono i Rettori di Benevento nell’esercizio dell’ampia loro giurisdizione, la quale potea paragonarsi a un assoluto dominio, come rilevasi da un autentico documento che si custodisce nell’archivio segreto del Vaticano. Se i Rettori insieme ai consoli ebbero il potere di dannare i rei nel capo, e usare del diritto di grazia, è un fatto che non si potrebbe accertare, però non ignorasi che i gradi delle pene corrispondevano alle specie dei delitti, per cui i pontefici si attennero al sistema di giudicare di alcuni reati maggiori, dando balìa ai Rettori di applicare le pene pei delitti minori, unitamente ai consoli della città. Laonde da ciò si deduce che la pienezza dei poteri, intorno al dritto di punire, era esercitata, dopo il Rettore, dai consoli e dai giudici nominati dal pontefice, i quali, insieme al Rettore, erano investiti del dritto di risolvere le cause civili e di punire i misfatti.

Nel XII secolo fu istituito in Benevento il magistrato dei consoli, i quali erano eletti dai tre ordini del popolo, ma di questo magistrato ci fan difetto le notizie precise, poichè non ne discorsero i cronisti, nè ci è stato possibile di averne lume da antiche scritture, o da qualcuno dei superstiti monumenti. Però risulta da varie cronache locali che quando in Benevento tennero il governo i rettori nominati dalla Santa Sede, esistevano due classi di cittadini, l’una detta dei Nobili, e l’altra dei buoni uomini che costituivano l’intera cittadinanza. Ma la fatale bramosìa del dominio tosto s’apprese ai consoli di Benevento; e gli abusi di un tal magistrato tant’oltre trascorsero che, tralignando esso dalla primiera istituzione, fu astretto Martino IV ad abolirlo nel 1282 con sue lettere pubblicate in una generale assemblea, tenuta nella chiesa cattedrale di Benevento. E qui non debbo omettere di dire che anticamente i Consigli o Parlamenti delle principali città si soleano d’ordinario [p. 93 modifica]convocare nei luoghi sacri, e specialmente nella Chiesa maggiore, dove al suono d’una campana, o con altro avviso, adunavasi il popolo per deliberare sui pubblici bisogni. In Benevento queste adunanze si tennero nelle chiese di S. Caterina e dell’Annunziata, e più frequentemente nel palazzo Apostolico, dopo che il Cardinale Giacomo Savelli nel suo concilio provinciale vietò tali assembramenti di popolo nelle chiese. E in seguito sul cadere del secolo XVI, essendosi dato principio alla fabbrica del palazzo municipale, il quale fu poi compiuto ai tempi di Paolo V, come era indicato dalla iscrizione che leggevasi sulla porta del medesimo, furono ivi convocate esclusivamente nei gravi affari le generali assemblee o consigli del popolo.

E neanche è a tacere che nello stesso secolo XIII, innanzi di questa abolizione, vi erano in Benevento consoli e giudici, e di più un certo numero di consiglieri eletti dal popolo, senza la cui approvazione non era dato di prendere risoluzione alcuna sugli affari di gran rilievo. Nel principio quindi del predetto secolo ebbero parte nel governo della città dodici consoli, dodici giudici, e ventiquattro consiglieri che si dissero giurati. Però non andò molto che fu abolita la istituzione dei dodici magistrati, e vennero deputati altri giudici, col titolo di vicarii, per la cognizione delle cause civili, i quali si ridussero poi ad un solo. E l’istituzione dei consoli, venuta meno pei loro abusi, rivisse nel secolo XV in numero di soli otto, ma limitata unicamente alla cura della sicurezza pubblica, della annona e di altre poche cose. Anche il numero dei giurati fu limitato a dodici, ma poi crebbero man mano sino a 40, dei quali otto in ogni quattro mesi esercitavano l’ufficio di consoli, come ne fan fede indubitata gli statuti compilati ai tempi di Sisto V, e per ogni biennio se ne rinnovava il numero, eleggendosene dodici tra i nobili, dodici tra i mercatanti, dodici tra gli artigiani e dodici tra gli agricoltori. Infine nel 1736 furono i consoli restituiti all’antico numero di XXIV, eletti dai quattro ordini della città, dei quali otto, per ogni otto mesi, esercitando il consolato, duravano in carica per un [p. 94 modifica]intero biennio, trascorso il quale si procedeva a novella elezione nel giorno otto maggio, in cui cadeva la festa della apparizione sul Gargano dell’Arcangelo Michele, che era a quei tempi il principale patrono della città. Inoltre da diverse cronache risulta che dal secolo X in poi furono in Benevento molti ufficiali secondarii, più o meno dipendenti dai primi, i quali riscotevano un segreto salario per la spedizione degli affari, e per il servizio reso al Rettore e ai magistrati, il primo dei quali prendeva nome di vicario, ovvero luogotenente del governadore. Di più, per tutelare la quiete e la sicurezza dei cittadini e delle loro entrate, si era formata una compagnia di circa 350 uomini di fratelli giurali, ossia difensori della libertà della Chiesa, di cui aveano il governo ben dodici capitani, la quale compagnia, durante il pontificato di Clemente VIII, si mutò in una eletta e numerosa milizia di 800 soldati, dipendenti dai nobili e dal popolo. Ma, ad onta di tali istituzioni, per non breve giro di tempo, i governadori di Benevento tennero ampissima facoltà, dacchè leggiamo nella relazione della Corte di Roma, scritta nel 1611 da Girolamo Lunadoro, sotto il capitolo del supremo tribunale della consulta sondato da Sisto V, «che la legazione di Avignone in Francia, quelle di Benevento nel regno di Napoli, e della città di Ceneda nello stato di Venezia non sono sottoposte alla consulta di Roma, ma chi governa quei luoghi è il loro padrone;» il che rispetto a Benevento deve intendersi con qualche restrizione. Infatti comunque i rettori e governadori esercitassero in Benevento quasi una suprema autorità, non se ne resero mai esclusivi signori, poichè nelle cose di maggior momento riconoscevano la loro dipendenza da Roma, come richiede la natura di un potere ben ordinato. Ciò si rende chiaro da un breve di Paolo II, col quale nel 969 si concedette per un anno a Corrado Capece, arcidiacono di Benevento, il reggimento di questa città, il quale breve nell’originale pergamena conservasi tuttora nella Biblioteca di Benevento.

Stefanone o Stefano Sculdascio, e Dacomario, che furono primi Rettori, tennero uniti il governo di Benevento nel [p. 95 modifica]secolo XII. Costoro si consigliavano a vicenda in ogni cosa di rilievo, e poi divisavano ciò che più importava di eseguire e secondo i cronisti di quel tempo, alcun divario non si scerneva tra loro, salvo che l’uno si addomandava Rettore e l’altro Reggente.

Stefano Sculdascio premorì a Dacomario, e a questi, morto nel 1097, successe il figlio Anzone, nominato a tal carica da Urbano II, per i distinti meriti del padre. Ma Anzone non ritraeva punto dell’indole del genitore, e però, avido di Signoria, assunse da sè il titolo di principe, ritenendosi arbitro dello Stato di Benevento. Ma il pontefice Pasquale II, essendosi recato in Melfi, nell’ottobre dell’anno 1100, per celebrare un concilio, lanciò ivi in quell’occasione l’anatema contro tutti coloro che in Benevento eransi dichiarati fautori di Anzone, per modo che molti beneventani proposero a Rettore un tal Landolfo Borrello, donde nacquero naturalmente dissenzioni e gare civili.

Il papa, sotto colore di convocare un generale concilio, trasse in Benevento il 2 dicembre 1112, e fatti chiamase i più cospicui cittadini, volle intendere da essi minutamente il tutto, e, certificato dei capi della congiura, e degli autori degli accaduti disordini, fece punire i delinquenti con sentenza del magistrato che allora teneva giustizia in Benevento, e solo a Landolfo Borrello fu dato di sottrarsi alla meritata pena, rifugiandosi presso i Normanni. E quindi il pontefice, prima di far ritorno in Roma, elesse a Contestabile nel marzo dell’anno 1113 Landolfo della Greca, patrizio beneventano, uomo d’animo grande e di sottile ingegno, il quale pose ogni studio a fiaccare l’orgoglio dei Normanni, i quali stavano all’erta per cogliere un’occasione o pretesto affine di occupare di nuovo Benevento.

Un potente normanno, per nome Roberto, avea edificata nel monte Sableta una saldissima rocca, e circondatosi d’uomini di mal affare, assuefatti a ogni maniera di rapine e di efferatezze, apportava gravi danni ai beneventani, infestando i dintorni della città, e occupandone molte terre; e non pago di ciò derubava e uccideva spietatamente i forestieri. Il papa [p. 96 modifica]intimò a Roberto di demolire quel castello, ma costui tenne duro, sicchè il pontefice adirato fulminò contro di lui la scomunica. Il Contestabile allora fece molto apparecchio di armati, per cui Roberto, mosso più dalla tema delle milizie beneventane che dell’anatema, atterrò la rocca, rendendo sicure le adiacenze della città. E per un tal fatto il Contestabile fu donato dal papa di due egregi destrieri e di duecento scudi d’oro.

Ma increscendo ai Normanni la potenza e la fama di Landolfo, si collegarono con Roberto principe di Capua, invadendo i dintorni di Benevento con grande armata; ma il Contestabile, venuto subito con essi alle mani, li pose compiutamente in rotta. Nè si rimase a questa prima vittoria l’audace Landolfo, poichè con quattro mila pedoni espugnò prima il castello di Ferraroggia. e poi quello di Apice, per cui i Normanni gli posero tant’odio addosso che risolvettero di disfarsene in ogni modo. E, dopo avergli inutilmente tesi degli agguati, impresero a predare e a devastare il territorio beneventano, protestando che non avrebbero giammai desistito da siffatte incursioni se prima Landolfo non fosse stato deposto dal grado di Contestabile. E quindi recisero delle vigne, distrussero le palafitte, e fecero prigioni quanti beneventani diedero loro nelle mani. Il Contestabile Landolfo conservò il suo grado, malgrado che l’arcivescovo della città lo esortasse a deporsi, finchè questi, indotto, a quanto pare, da un sentimento di invidia, gli suscitò contro tutto il popolo, finchè fu astretto Landolfo a rinunziare al suo ufficio nel marzo del 1114, ma il pontefice Pasquale II, grandemente turbato di ciò, istituì un serio giudizio su quei fatti, pel quale, svelate le trame dell’arcivescovo, fu questi solennemente deposto, e venne reintegrato Landolfo della Greca nel primitivo suo grado di Contestabile, che resse poi tranquillamente sino al 1117.

A Stefano II successe nel pontificato Gelasio II, il quale, avendo a cuore di conservare alla S. Sede il dominio beneventano, commise ad Ugone cardinale del titolo dei SS. Apostoli di presiedere al governo della città, che resse insieme a Stefano diacono, il quale era stato da prima nominato [p. 97 modifica]Rettore, e che non fu deposto dal suo grado. Senonchè da quel punto questi dipese sempre dal cardinale Ugone, e ciò si rileva dall’essere intervenuto il solo Ugone al terzo concilio provinciale beneventano che ebbe luogo nel 10 marzo 1119.

Dopo Gelasio, nel primo giugno del 1120, fu esaltato al seggio pontificale Callisto II, il quale nel giorno 8 agosto del medesimo anno si trasferì in Benevento, ove promosse il cardinale Ugone a più elevata dignità, e rimovendo dal suo grado il Rettore Stefano, nominò in suo luogo Rettore della città Rossemanno Diacono. Ascese dopo al pontificato Onorio II, che destinò il Cardinal Pietro a Rettore di Benevento, dove poco dopo trasse anche egli; e mentre protraeva colà la sua dimora, fu la città nella notte del 11 ottobre sconvolta da uno spaventoso tremuoto; le cui scosse, come afferma il cronista Falcone, si riprodussero con la stessa veemenza per il corso di quindici giorni, rovesciando al suolo le mura della città, e le torri e gli edifici furono scontorti per guisa da non sembrare più umane abitazioni.

In quel tempo era addivenuto assai potente Ruggiero II conte di Sicilia, che dopo varie imprese riuscì ad essere dichiarato principe di Salerno, e Benevento in quella occasione gli spedì un’ambasceria per attestargli la benevolenza e la stima della intera cittadinanza, e si ebbe in risposta promesse di vicendevole aiuto ed affetto. Ma non andò guari che avendo Ruggiero estese le sue conquiste al ducato di Amalfi, e a buona parte della Puglia, tolse da se il titolo di duca, ma poi, fatto miglior senno, ne chiese l’investitura ad Onorio II, e non venendole conceduta, con le milizie sue e degli alleati andò sopra Benevento (1127). Ugone Infante e Raone di Fragneto furono i primi a depredare le terre dei beneventani; ma il Rettore Guglielmo, senza perdersi di animo, tentò di espugnare il castello di Ceppaloni, difeso da Raone. Però non gli venne fatto, poichè il Normanno che, antivedendo il suo disegno, aveva posto a poca distanza [p. 98 modifica]buona parte della sua gente in agguato, investì d’improvviso gli aggressori e li disfece. Il papa allora conoscendo che la sua armata non avrebbe potuto da sola far testa alle milizie di Ruggiero, pregò di aiuto Roberto principe di Capua, figlio a Giordano IL Quel principe non solo accettò lo invito, ma seppe acquistarsi il favore anche del conte Rainulfo, che prima era devoto a Ruggiero. Amendue gli alleati diedero principio alla campagna col cingere d’assedio il castello di Lapillosa, ove accorse pure in loro aiuto U Rettore Guglielmo con due mila beneventani, ma il successo non rispose ai vanti, poiché dopo varii tentativi per insignorirsene, fu forza desistere dall’impresa. Onorio, caduto dalle sue speranze dopo un tale insuccesso, tornò in Roma, raccomandando la città di Benevento a Gualtieri arcivescovo di Taranto, e ingiunse a Guglielmo di consegnare a Gualtieri il denaro desunto dalle Regalie, affinchè se ne fosse potuto avvalere per la difesa della città. Questo arcivescovo poi acquistò bella nominanza, e si attirò la simpatia dei beneventani per la sua liberalità, e anzitutto per avere edificata col proprio danaro una basilica, che ora non più esiste, in cui fece riporre i mortali avanzi dei santi Gennaro vescovo, Festo diacono, e Desiderio lettore della chiesa beneventana.

Intanto nella primavera del 1128 il conte Ruggiero, che era tornato in Sicilia, passò lo stretto con poderoso esercito di Siciliani, e mediante prosperi fatti d’armi ridusse alla sua ubbidienza Taranto, Otranto, Brindisi, Oria e molte castella. Di che impensierito il pontefice si recò con un drappello di soldati romani in Benevento per metterla in istato di difesa, ma trovò che nè il principe Roberto, nè il conte Rainulfo aveano posto in abbandono la città, ma che anzi eglino con molta mano di beneventani aveano stretto di assedio il castello di Torre Palazzo che si teneva per Ugone Infante, e il quale fu espugnato dopo lunga difesa. Il papa, lieto da non dire per questo fatto, adunò la maggior parte delle milizie pontificie, a cui si aggiunsero le numerose schiere degli alleati, e mosse ardimentoso verso la Puglia, secondando l’invito di quei popoli, conturbati dalle [p. 99 modifica]minacce e apparecchi d’armi di Ruggiero. Ma questi seppe per lungo tempo tenere a bada i nemici per modo che, sopravvenuti i calori estivi, moltissimi soldati cominciarono man mano a disertare l’armata pontificia. E allora Onorio, che principe prudentissimo era, colto il tempo opportuno, propose a Ruggiero di rimanersi dalle ostilità, e la pace tra essi ebbe luogo nell’agosto del medesimo anno 1128 con il solenne atto della investitura, col quale Ruggiero non pure promise di non essere più infesto al dominio beneventano, ma di toglierne la difesa contro chiunque facesse prova di usurparlo.

Nel 1188 i beneventani, per ignoti motivi, avean fatto crudelmente trucidare Guglielmo Rettore della città dietro l’altare di S. Giovanni del Palagio, ai piedi del sacerdote che adempiva ai divini ufficii, dove erasi occultato per sottrarsi all’ira della plebe sommossa. E questa non paga di un tanto eccesso, legato il cadavere ai piedi lo trascinò lungo la precipua strada della città sino al cimitero detto di S. Lorenzo, posto fuori le mura di Benevento, nel qual luogo sotto un monte di sassi fu oscenamente sepolto. E dopo un tal fatto i ribelli accorsero a demolire le case dei giudici e di altri chiari cittadini, i quali, a fuggire il popolano furore, si ridussero a Montefuscolo, ove furono messi al bando dal popolo insorto, che a rendere durevoli gli effetti della sedizione, sondava una comunità con dipendenza dalla sede pontificia. Il papa a tal nuova, sebbene i beneventani gli deputassero ambasciadori per accertarlo che l’uccisione del Rettore era stata opera nefaria di pochi ribaldi, montò in ira, e, nominando nuovo Rettore della città il cardinale Girardi, si trasferì in Benevento, cupido di vendicarsi, sull’agosto dell’anno 1129, e chiese primamente il richiamo dei proscritti. E, non venendogli ciò conceduto, si ritrasse assai irato in una villa che si dimandava Leucubante, dove avea preso stanza il duca Ruggiero, e l’istigò a muovere contro Benevento, per rimettere ivi in tutta la sua pienezza l’autorità pontificia, ma la morte interruppe i suoi disegni, poichè passò di vita ai 14 febbraio del 1130.

[p. 100 modifica]Nel dì seguente fu Innocenzo II, benchè ripugnante, assunto alla Tiara, ma una parte degli elettori elessero invece a papa, ossia ad antipapa, Pietro cardinale di Santa Maria in Trastevere, che prese il nome di Anacleto II, e da un tal fatto derivarono gravi mali alla chiesa ed al principato, e mutaronsi in peggio le condizioni di Benevento. E in vero Anacleto, volendo trarre vantaggio dalle innovazioni ivi accadute, entrò in Benevento nel settembre del 1130, ma non trovando ancora il terreno acconcio alle sue mire, si studiò d’ingraziarsi Ruggiero, e a tal fine gli conferì il titolo di re, a cui quegli fervidamente aspirava. Indi, confidando nel favore di Ruggiero, tenne in Benevento modi di assoluto signore, e dopo di aver richiamati in città gli esiliati e restituiti ad essi gli averi, annientò l’accennata comunità— forma di governo che ritraeva molto della repubblica — e bandi dallo stato beneventano tutti coloro che ebbero parte nella uccisione del Rettore Guglielmo, e nella istituzione della Comunità, salvo il capo di essi a nome Rolpotone, al quale si credette di usare benignità per le preghiere dei suoi amici, e per l’ingente somma da lui pagata per ricuperare la libertà, allorchè preso a tradimento dai fautori di Anacleto fu dato in suo potere.

Ma tuttavia Rolpotone, che aveva in odio Anacleto, pose subito in obblìo la giurata fede, e, apparecchiando una piccola armata, si dichiarò avverso all’antipapa e ai suoi fautori, e la città fu divisa in due partiti, uno dei quali riconosceva per suo sovrano Innocenzo II, e l’altro stava per l’antipapa, onde il Rettore Crescenzio, elevato a quel posto dall’antipapa, non vedendosi sicuro altrove, si ricoverò nel monastero di S. Sofia. Intanto Rolpotone, avanzando sempre più in potere e in audacia, si confederava con Roberto principe di Capua, e con il conte Rainolfo, sebbene cognato di Ruggiero, per le quali cose bramoso questi di tirare a sè i beneventani, si valse dell’opera del cardinale Crescenzio e dell’arcivescovo Landolfo, ma il popolo, venuto in sospetto che i fautori di Anacleto divisassero dare in mano di Ruggiero la città, affinchè vi [p. 101 modifica]esercitasse il supremo potere, concitato ad ira, diede di piglio alle armi, e, dopo aver mandato in bando Crescenzio, astrinse Landolfo a mettersi in salvo nel suo episcopio.

Nel 24 luglio dell’anno 1132 gli alleati venuti a battaglia campale con Ruggiero riportarono una compiuta vittoria, e Ruggiero, travolto nella fuga dei suoi, a mala pena trovò uno scampo in Salerno. Indi, crucciato contro i beneventani per le feste ed allegrezze fatte in tale occasione, ordinò ai suoi soldati che guastassero d’ogni intorno il territorio della città di Benevento, e i danni furon tali che il popolo a mano armata invase il monastero di S. Sofia, e appena ebbe in suo potere il cardinale Crescenzio, lo deputò a recarsi incontanente da Ruggiero per impetrare la libertà dei cittadini fatti prigioni e tradotti nel carcere di Montefusco. Ma Ruggiero, non pure si rifiutò di rilasciare i prigionieri, ma prima di far vela per la Sicilia a levare nuove truppe, commise al Contestabile, che con numerosa milizia avea sede in Montefusco, di danneggiare sempre più il territorio beneventano, e di chiudere alla città ogni commercio con la Puglia.

Allora i beneventani chiesero e conseguirono nuovamente per loro reggente il Cardinal Girardi, che fu già da Onorio II dichiarato Rettore della città. Questi, a rimunerare Rolpotone dei segnalati servigi resi a Innocenzo II, gli confermava il grado di Contestabile di Benevento, associandolo a sè nel governo dello Stato. Un tal fatto riuscì oltremodo utile alla città, perchè Rolpotone, coll’aiuto del conte Rainoifo, a dar fine ai guasti e rapine dei soldati di Ruggiero, nel 21 gennaio del 1133 andò con molta mano di armati sulla terra di Fragneto, che si teneva per Raone Pinella, e, avutala in suo potere, dopo aver fatto imprigionare lo stesso Raone, la diede in preda al saccheggio. E poscia, alleatosi con Ruggiero conte di Ariano ed altri nobili normanni, si accinse a sostenere la difesa della città di Benevento contro tutte le milizie che metteva insieme in Sicilia il re Ruggiero.

Nel 1135 Ruggiero, passato il Foro con uno stuolo di Saraceni, e occupata prontamente la Puglia, fece ritorno in Salerno coll’intento di riaprire nell’anno seguente la campagna [p. 102 modifica]contro gli alleati e la città di Benevento, e, istigato dal cardinale Crescenzio, diede in balìa dei suoi soldati il territorio beneventano, e ordinò che le sue agguerrite milizie, attendate tra Capua e Benevento, travagliassero incessantemente queste due città sino al suo ritorno dalla Sicilia.

Allora il cardinale Crescenzio, divisando svolgere i beneventani dall’ubbidienza a Innocenzo II, tramò delle insidie alla vita del Contestabile Rolpotone e de’ suoi aderenti, e tentò anche d’introdursi a tradimento nella città, e occuparla per Ruggiero. Ma la congiura fu svelata in tempo, i principali cospiratori furono dannati nel capo, e la città si mantenne nella fede di Innocenzo.

Nell’anno seguente il re Ruggiero, tornato di Sicilia, riprese la guerra contro gli alleati, e coi suoi prosperi successi astrinse la maggior parte degli avversari a invocare la pace e a dichiararsi suoi vassalli. Il Contestabile Rolpotone, veduta tanta viltà, temendo di cadere in mano del Re, e d’altra parte sfiduciato di potergli da solo resistere, trasse prima in Napoli, e poi salpò alla volta di Pisa, ma colto da siera burrasca, perì miseramente con un suo figlio. E siccome la città di Benevento era rimasta priva del suo Contestabile, e non atta a far difesa, perchè sfornita di sufficiente presidio; così vi potè entrare l’antipapa che, sostenuto dal re Ruggiero, ne prese il dominio, e dopo di avere disacerbata la sua collera col far eseguire molti atti crudeli, ordinò, per soprassello di vendetta, che fossero buttate al suolo le case dei più caldi fautori del papa Innocenzo II, e restituì nella Rettoria di Benevento il cardinale Crescenzio, il quale stato di cose durò in Benevento sino all’anno 1137.

Indi Lotario imperadore, ricordevole di essersi dichiarato difensore della S. Sede, spedì Arrigo IV suo genero, duca di Baviera e di Sassonia, per dare buono assetto alle cose di Innocenzo II. Arrigo congiuntosi al pontefice in Grosseto, tolse in prima Viterbo all’antipapa, e in seguito, senza appressarsi a Roma che si teneva per Anacleto, si recò nelle adiacenze di Benevento, ponendo i suoi alloggiamenti [p. 103 modifica]dietro il monte denominato S. Felice. I beneventani, tuttochè istigati dall’arcivescovo Rossemanno e dal cardinale Crescenzio, non osarono venire alle prese coll’esercito imperiale, ma si diedero all’intutto al pontefice Innocenzo II, il quale nell’avviarsi alla volta della Puglia, per congiungersi coll’augusto Lotario, passò per Benevento, e trovò adunato innanzi la Porta Somma della città tutto il popolo per onorarlo e testificargli il suo affetto. Egli se ne gratulò oltremodo, e dopo avere ingiunto al cardinale Girardi di risedere in questa città a cui pose molto amore, lietissimo si partì, ma vi tornò dopo breve tempo insieme all’imperadore Lotario, il quale invece di prendere stanza in Benevento, pose il suo campo nell’ubertosa pianura del Covante. E siccome era seco l’imperadrice Florida sua consorte, così questa, eccitata dalla devozione che nutriva per S. Bartolomeo, entrò con gran seguito e molta pompa in Benevento a venerare il corpo del famoso Apostolo, e fu accolta con gran festa dai cittadini.

Senonchè quando Ruggiero ebbe avviso della partenza dello imperatore, raccolta una numerosa armata, mise a ferro e a fuoco la città di Capua, ottenne la resa di Napoli senza colpo ferire, e dopo avere occupato Avellino, si accampò sotto Benevento, che, trovandosi quasi inerme, per esserne usciti i giudici e gli altri ottimati, addivenne sua facile preda, e per la terza volta abbracciò il partito dell’antipapa Anacleto, e cosi l’opera di Lotario sfumò qual nebbia.

In questo tempo erasi Raone di Fragneto ribellato a Ruggiero e ai beneventani, ma questi, aiutati dalle milizie del Re, ebbero in lor potere il castello di Fragneto, e per odio a Raone lo fecero interamente demolire. Indi nel 1138 Innocenzo II, caduto con molti cardinali nelle mani di Ruggiero in una imboscata che gli fu tesa in vicinanza di San Germano, tentò amicarsi il re, e nel giorno 24 luglio di quell’anno seguì l’accordo col confermare a Ruggiero il titolo di re conferitogli dall’antipapa Anacleto, e col concedergli l’investitura del regno delle due Sicilie.

Nel giorno 14 settembre del 1143 morì Innocenzo II, e ascese al papato il cardinale Guidone, stato già Rettore di [p. 104 modifica]Benevento, che tolse il nome di Celestino, e e questo successe il cardinale Girardi, stato pure Rettore di Benevento, il quale tu assunto ai pontificato nel 12 marzo 1144 col nome di Lucio II, quello stesso che in un generale sollevamento di popolo, nell’ascendere audacemente il Campidoglio seguito dalle sue milizie, morì d’un colpo di sasso lanciatogli dai sollevati, come narrano il Muratori e il Sismondi, e come ne fa testimonianza Gottifredo Viterbese, storico del secolo in cui visse quel papa.1

In questo periodo di tempo fiorirono in Benevento più uomini insigni, di cui non debbo passarmi in silenzio.

Dell’antichissima e nobile famiglia Morra nacque Alberto, che fu poi papa Gregorio VIII, nel principio del secolo XII, e sortì una condizione degna dei suoi natali. Era in fiore in quei tempi l’ordine dei Cisterniensi sotto la disciplina di S. Bernardo, che trapassò nel 1153 dopo averlo grandemente accresciuto con la fondazione di 160 monasteri - onde Alberto rinunziando nei freschi anni alle lusinghe del secolo vestì l’abito di quell’Ordine. Adriano IV nel 1155 lo nominò cardinale diacono dal titolo di S. Adriano, e nel 1158 lo innalzò a quello di Cardinal Prete dal titolo di S. Lorenzo in Lucina.

Alessandro III lo adoperò nella gravissima legazione ad Arrigo II re dell’Inghilterra, ove egli, posta da parte qualunque sconcia adulazione, e non avendo a cuore che unicamente la causa della religione, gli riuscì di piegare il re a chiedere perdono dell’uccisione dell’arcivescovo di Cantorbery e a ricevere il beneficio dell’assoluzione.

Nello scisma che a’ suoi tempi agitò lungamente la chiesa, Alberto tenne strenuamente le parti del vero [p. 105 modifica]pontefice, e seguillo in Benevento, dove il profugo Alessandro III cercò un ricovero nel 1167.

Il cardinale Alberto di Morra nel 1174 edificò in Benevento, in nome dell’apostolo S. Andrea, una chiesa con un convento che diede ad abitare ai canonici regolari di S. Agostino. E per dotarlo poscia di una conveniente entrata si volse alla pietà di Guglielmo II re di Napoli, il quale con diploma, dato in Palermo nel 1182, concesse ai mentovati canonici il castello della Caprara con tutte le sue appartenenze, e specialmente colla stanza di Torrepalazzo, oggi feudo S. Giovanni. Nel 1186 Urbano III confermò al Monastero la regia donazione, lo arricchì di privilegi; e lo pose sotto la protezione dell’apostolica sede. La Biblioteca beneventana ne conserva documenti, pubblicati dall’Ughelli e dallo storico Borgia.

Alla notizia della disfatta dei crociati e del trionfo di Saladino in Gerusalemme, moriva di profondo cordoglio nella città di Ferrara Papa Urbano IV ai 19 ottobre 1187. E due giorni dopo, col nome di Gregorio VIII, a voti unanimi, era eletto papa, e consacrato nella seguente domenica, Alberto di Morra, che l’Audisio dice: «chiaro di lettere e di eloquenza, di vita pura ed austera.»

La sua vecchiezza, continua il medesimo storico, si animò d’un fuoco giovanile, sublime e divino alla gran difesa. I cardinali, scrive Roggero Ovedano, si votarono alla penitenza, a predicar la crociata, a non ricever doni, a non salir cavallo, sicchè fosse sotto il piede nemico la terra santificata dai piedi del Salvadore. Lettere, encicliche, annunziarono le sue risoluzioni ai principi, con tregua fra i sette anni tra i cristiani e chi la rompesse, maledetto.

Questa era la cura che teneva il pio pontefice, dì e notte, dimentico di sè medesimo, dice Ugo Antissiodorense.

E tanta virtù commosse l’animo dell’imperadore, che gli offriva del suo affine di provvedere a quanto facea bisogno pei viaggi e pel vitto. Ed il pontefice si recava a Pisa, per acconciare di pace Pisani e Genovesi in mare potentissimi e disposti al tragitto. Ma la morte, nel secondo mese del suo [p. 106 modifica]pontificato, dava termine a quella degna vita, non all’opera, monumento ai posteri della sua gloria. (Rhobacher, storia della chiesa, vol. 7 n. 23).

L’incendio della cattedrale pisana, avvenuta nel 1595, distrusse il monumento di questo venerando pontefice; ma non meno dell’incendio di Pisa è a deplorarsi col Borgia che di Gregorio VIII non vi ha in Benevento alcun pubblico monumento, non cenotafio, non pittura, non iscrizione, non bronzo, non marmo e neppur tela, e che il suo nome rimane nella sua patria in una disdicevole dimenticanza. Amalrico Augerio e Bernardo di Guidone scrissero la vita di Gregorio VIII, riportata dal Muratori nel tomo III della sua raccolta Scriptorum rerum italicarum.

Di Pietro Morra discendente dalla illustre famiglia di Gregorio VIII, sappiamo dall’Aldoino e dal Panvirio, seguiti dall’Ughelli e da altri, che, essendo suddiacono della chiesa romana, fu da Innocenzo III nel 1205 promosso a cardinale diacono del titolo di S. Angelo. A questo insigne prelato il citato Oldoino con altri attribuisce la raccolta ufficiale delle decretali di quel pontefice, e questa opinione è ribadita dal moderno storico Federico Hurter, il quale scrive che nel 1210 Innocenzo medesimo commetteva al suddiacono Pietro Morra di Benevento, già professore di dritto canonico a Bologna, di mettersi attorno a una raccolta, la quale fu autenticata, e questa collezione fu aggiunta, undici anni dopo la morte di Innocenzo, alla magna collazione di Gregorio IX. (Vedi la più volta citata opera dell’arcivescovo Beniamino Feoli sui papi ed arcivescovi di Benevento).

Tutti gli scrittori riconobbero nel cardinale Pietro di Morra un uomo distintissimo per dottrina e destrezza nei pubblici affari; e ne fa prova luminosa il fatto che Innocenzo III, per l’alta stima in lui riposta, lo mandò per legato in Francia a pacificare il re Filippo con Riccardo re di Inghilterra, che, dimentichi della crociata, erano intenti a combattersi senza sondate ragioni e utilità dei loro stati. Egli morì verso il 1213, secondo il Panvinio, e lasciò un [p. 107 modifica]gran dizionario alfabetico ad uso del clero che si addice al sacro ministero della predicazione.

L’uomo più illustre per altezza d’ingegno e dottrina che fiorì in Benevento tra il secolo XI e XII fu certamente il cronista Falcone, di cui suona alto il nome tra gli storici italiani e stranieri, benché per colpa dei tempi, scarse e incompiute notizie della sua vita ci furono tramandate.

La data della nascita del cronista Falcone non si può precisare con sicurezza, ma è innegabile che sortì i natali in Benevento sullo scorcio del secolo undecimo. Nato da povera famiglia fu nella sua giovinezza notaro e scriba del Sacro beneventano Palazzo sino al 1132, e nell’esercizio di un tale ufficio si acquistò la fiducia e la stima del cardinale Girardi, dichiarato da Onorio II Rettore della città. Questi poi, seguendo il consiglio dell’illustre Rolpotone e di altri sapienti cittadini, lo elesse per uno dei giudici di Benevento, nomina che gli fu poi rifermata con privilegio del pontefice Innocenzo II, ufficio a quei tempi, come innanzi fu riferito, di altissima importanza nella città. Egli è vero che gli scrittori non son punto concordi nel ritenere l’identità tra il giudice Falcone ed il cronista, ma questa è però l’opinione prevalente, e più comunemente accettata dagli eruditi, (Corazzini, cenno storico sul cronista Falcone pubblicato nella Gazzetta di Benevento).

La cronaca di Falcone riportata dal Muratori e dal Pellegrini, narra le dissenzioni civili che ebbero luogo ai tempi della elezione dei primi Rettori di Benevento, ed essa ha somministrato i dati più importanti agli scrittori posteriori delle cose d’Italia, per narrare ordinatamente i fatti più notevoli occorsi dal principio del secolo undecimo sino al 1140. Ed il celebre annalista Cesare Baronio molto se ne avvalse per le sue ricerche storiche, e la encomiò grandemente, reputandola un lavoro segnalato, e attribuendo all’antico cronista l’alto merito di aver saputo con rara esattezza esporre le cose accadute ai suoi tempi in Benevento non solo, ma anche nelle provincie che composero il florido reame di Napoli. E oltre a ciò non si può contendere al cronista Falcone la meritata lode [p. 108 modifica]di aver narrate le vicende politiche di Roma e dei romani pontefici con assai diligenza, seguendo con rigore l’ordine dei tempi in cui si verificarono, comecchè il Falcone non adoperi la comune epoca del giorno primo di gennaio, ma per lo contrario l’altra del mese di marzo, dal quale per lo più dà principio agli anni della sua cronaca. Ma sebbene il Falcone prenda a noverare la maggior parte degli anni dal mese di marzo, pur tuttavolta non si tiene alla stretta osservanza dell’epoca ab incarnatione dei XXV di detto mese, come fu sempre in uso dalla Cancelleria apostolica; imperocchè non ammise un certo principio del nuovo anno, che per lo più incomincia a questo modo: Anno 1112 VI Indictionis mense martio etc, e anche perchè talora enumera gli anni dal giorno 14, e dal 15, e altresì dal giorno 2 del medesimo mese di marzo. Laonde è incerto se il Falcone seguisse l’epoca dell’incarnazione, o si veramente l’altra a Nativitate ossia a Circumcisione, come si nota nelle più antiche scritture beneventane. E la medesima incertezza si rileva in alcune indizioni della sua cronaca, abbenchè sembri a prima vista che esso si conformi in ciò all’usanza dei papi e di altri, distinguendole dalle Calende di gennaio.

La sua fama di scrittore in un’età tanto povera di studii storici salì man mano nei secoli posteriori, ed ora non si dubita da alcuno che il Falcone, come cronista, meriti di essere annoverato tra i più chiari ingegni de’ suoi tempi.

E in prova che una tale opinione non debba ritenersi esagerata riportiamo le seguenti parole dei moderno storico il Gregorovius, il quale, in un suo recentissimo lavoro di ricerche storiche su alcune città del mezzodì d’Italia, scrive: «La storiografia in Benevento è rappresentata da alcuni cronisti, da un anonimo, il quale scrisse la breve cronaca del chiostro di S. Sofia, e dal notaro Falcone, che nel XII secolo compose una cronaca di grande pregio e valore,»

Note

  1. Il Niccolini nella tragedia di Arnaldo da Brescia, alludendo alla morte di quel pontefice, scriveva:

    ... Lucio ricordi!
    E tu, Romano, allo straniar tiranno
    Se ascender osa al Campidoglio, addita
    L'orme del sangue pontificio impresse...