Ipazia la Filosofa/Ipazia la Filosofa

Ipazia la Filosofa

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«Ὅταν βλέπω σε προσκυνῶ, καὶ τοὺς λόγους τῆς παρθένου τὸν οἲκον ἀστρῷον βλέπων εἰς οὐρανόν γάρ ἐστι σου τὰ πράγματα, Ὑπατία σεμνή, τῶν λόγων εὐμορφία, ἄχραντον ἄστρον τῆς σοφῆς παιδεύσεως.»

Quando io ti vedo e odo la tua voce, ti adoro, guardando la casa stellata della vergine: poichè i tuoi atti si estendono al ciclo, o divina Ipazia, ornamento di ogni discorso, stella purissima dell’arte della sapienza.




NOTIZIA STORICO-BIBLIOGRAFICA


Sommario. — I. Ragione di questo studio. — II. Alessandria d’Egitto nel secolo IV d. G. C. — III. Vita, coltura, virtù, discepoli d’Ipazia. — IV. Scritti d’Ipazia. — La filosofia platonica e la neoplatonica in Alessandria. — V. San Cirillo ed i parabolani contro Ipazia. — Sua tragica fine.


I. — Le Parche, dicevano i Greci, divinità misteriose, tessono, tessono, in telai d’alabastro, con fili bianchi e rossi, una tela mortale: per dare vesti, veli, alle scintille del Cielo, alle anime. Il telaio d’alabastro, lo scheletro umano; i fili policromi sono i nervi, sono le vene ed i fasci di fibre di carne.

Talvolta non scintille, ma in mezzo ai veli cadono i soli: cadono stelle, prive di natural fuoco distruttivo, ma fatte soltanto di luce.

Che in questo basso inferno perfezionino le esperienze del dolore anime rozze è regola: d’eccezione però la caduta quaggiù di enti pel completo evoluti, sostanze costrutte di soave melodia.

Quando tal caso avviene c’è una ragione: sono pure Essenze, dicevano i Greci, sono eroi, uomini cioè molto vicini agli Dei, e che scendono o per purificare la Terra dai mostri, come Teseo ed Ercole, o per servire altrui d’esempio: Lino, Museo, Orfeo!

Questi spiriti eccelsi, per vie diverse, con la musica o con l’architettura, con la matematica o la poesia, compirono la missione celeste, espressero la copia delle idee sempiterne che portarono nel grembo dall’alto. [p. 4 modifica]

Molte, nel mondo, appaiono spiccate e preclare, le inclinazioni dell’animo umano; e per quante ve ne sono di singolari, tante classi enumeriamo di spiriti.

Chi alle opere rudi; chi alle arti gentili. Viene alla vita pieno di forza esuberante, alcuno ch’è pronto alle lotte cruente; e giunge del pari qui, con naturale di squisiti sentimenti, tale ch’è fatto per commuovere e per affratellare.

Saranno: quegli che in altre esistenze molto ha lottato, guerriero; e filosofo o poeta, questi che anni diede alle meditazioni ed agli intensi amori.

Così dai tempi storici! Ed avviene tuttora. Ma, pure fra i più nobili spiriti, alcuni, ch’ebbero riepilogate nella mente tutte le facoltà, eccellono. Son quelli che sanno praticare gentili virtù femminili nei contatti con gli altri, e per sè quelle virili. Hanno il giaco, per usare un paragone medievale, sotto il giustacuore di velluto! Armonizzano, raccolgono essi tutte le doti sublimi dell’animo, formate nella personalità con tanti affanni, nelle vite passate, e di più vi aggiungono, come vittoria ultima e nuova della propria evoluzione spirituale, la coscienza dell’essere loro e della missione divina.

Occultista, matematica, oratrice, di tale schiatta spirituale è la greca Ipazia alessandrina.

Ragione ed incoraggiamento a scrivere di lei, sono, per un membro della Società Teosofica, le belle ma succinte parole, l’elogio fattole da E. P. Blavatski, fondatrice della suddetta Società, nell’opera sua prima, intitolata Isis Unveiled. Lo riferiamo in nota1, in ossequio a chi lo scrisse e per debito onore a Colei cui andò tributato. [p. 5 modifica]

Ma un’altra e maggior ragione per raccogliere notizie sulla vita e l’opera d’Ipazia (ed io non ho inteso con questo studio modesto se non di riunire, per comodo degli studiosi di Teosofia, le sparse informazioni che i suoi contemporanei ci hanno tramandato) sta nella notizia molto impressionante dataci dalla rivista Theosophy and New Thought, che Annie Besant sia stata in una precedente vita, la celeberrima cattedratica alessandrina2.

Può questa notizia venir provata col metodo storico? Si possono intuitivamente riconoscere somiglianze profonde d’indole, di sentire, di abiti e di capacità intellettuali, di aspirazione e di forza spirituale, fra le due personalità, Annie Besant ed Ipazia? Io non lo so; ma nol credo. Non mi consta che la notizia della rivista indiana suddetta, sia stata smentita dalla Besant; ed il silenzio non può venire interpretato se non quale assentimento, nel nostro caso.

Ipazia, importante pensatrice del secolo IV, dell’Egitto greco, per avere appartenuto a tempi tanto fortunosi e così decisivi per la formazione delle fondamentali idee che governarono tutto il Medioevo europeo; e degna pure dell’attenzione ed ammirazione di noi teosofi, perchè fece [p. 6 modifica]parte della gloriosa schiera dei neoplatonici, cui dobbiamo il nome della scienza nostra, ha assunto per noi, ora, un carattere, un interesse straordinario.

Abbiamo, dunque, il dovere ed il bisogno, di investigare chi fu Costei, che pochi nostri compagni stimano sia ora vivente: ritornata quaggiù dopo il martirio e la beatitudine celeste.

Non mi attento però di portare un giudizio su materia così delicata e difficile. Ho raccolto i materiali primi perchè altri possa, con questi elementi ch’io offro, ricostruire a perfezione la figura, la personalità della Grande assassinata.

Stimo che giudizio degno potranno soltanto i posteri addurre: poichè quando Annie Besant avrà compiuto il corso di questa vita terrena, allora soltanto potrà lo storico riunire tutti gli elementi per un sano ed obbiettivo giudizio.

Questo lavoro è un primo tributo per la ricerca della verità.

II. — Allora, quando Ipazia visse, Alessandria aveva toccato l’apogeo dello splendore nelle scienze, nell’arti e nella letteratura3.

Il mondo greco, (le sètte filosofiche, religiose del paganesimo, ed [p. 7 modifica]occultiste), vi combattè l’ultima ed infelice battaglia contro il dilagante prepotere del Cristianesimo. Dall’un lato v’erano, tolto l’occultismo, idee mortali difese da uomini grandi: dall’altro stava un ideale immortale propugnato da indegni sacerdoti e da infime plebi.

Come reazione all’assalto dei satrapi, il mondo greco avea avuto un movimento d’espansione nell’Oriente mediterraneo, giù fino all’India.

La conquista di Alessandro, l’apertura del delta del Nilo al commercio mondiale, la costruzione d’Alessandria e del suo celebre faro e dei suoi colossali istituti di coltura, mutano radicalmente l’Egitto antico e lo asserviscono di fatto alla Grecia4.

In Alessandria viene sistemato, approfondito, raccolto e sublimato, quanto da pensatori solitari, da scuole avversarie, in tempi e luoghi disgiunti, era stato pensato nella terra greca e nel mondo barbarico.

Una folla multicolore approda al suo porto; dottrine pure strane e di cento civiltà, l’oratoria di dotti greci e barbarici fa penetrare nell’aule del suo Museo tolemaico.

Ogni dottrina scientifica o religiosa vi annovera qualche rappresentante famoso.

La ristretta concezione mosaica, vi s’allarga e si perfeziona; il paganesimo fuso con la filosofia idealistica greca, sistematizza; il Neoplatonismo [p. 8 modifica]occultista sorge; il Cristianesimo, si afforza e si nobilita; l’unificazione di tutte le fedi, e di tutte le religioni con la scienza, diventa il programma filosofico, teosofico, della parte più colta dei pensatori.

Il mondo asiatico e greco romano politeista si affronta con quello giudaico e cristiano.

Energie potentissime il Cristianesimo acquisisce in questa lotta, poichè ben per tempo, come ricorda Carlo Pascal5, venne fondata ad Alessandria una cattedra di filosofia cristiana, che si trova menzionata col nome di Scuola delle sacre parole, ed alla quale pure appartenevano Clemente ed Origene.

Ammonio Sacca, Plotino, Porfirio, Giamblico, Olimpiodoro, Proclo, Marcione, Filone, Sinesio, Eunapo, Teofilo, Eudesio, Crisanto, Giuliano imperatore e filosofo, Massimo di Tiro, creano in Alessandria scienze e problemi della mente e della vita, tuttora presenti e pressanti nella moderna società. Ipparco aveva scoperto le precessioni degli equinozi; Eratostene misurata la terra; Tolomeo infine e Strabone avevano raggiunto la massima fama scientifica fissando, quegli, un sistema astronomico, che doveva durare mille e duecento anni, accettato dalla Chiesa Romana e da Dante, descrivendo questi, secondo lo stato della Scienza del tempo, la Terra intiera.

E d’Alessandria furono Euclide, fondatore della geometria, Ctesibo ed Erone, fisici, Apollonio, pari ad Archimede, come giudicarono gli storici delle Scienze.

Insieme al Museo v’erano giardini zoologici e botanici, e sale di anatomia, per uso della scuola di medicina, e forse anche di vivisezione umana!

La Biblioteca, descritta in tante opere antiche e moderne, e specialmente dal Rouveyre6, secondo la leggenda sarebbe stata distrutta poi da Omar, califfo; mentre sembra che autori di tanto disastro per la civiltà, siano stati Cesare, prima, in maniera affatto casuale, e poi, coscientemente, Teofilo, il distruttore, anche, del tempio di Serapide e di tanti altri monumenti della civiltà greco-orientale.

Ipazia fu, per molt’anni, il capo della scuola dei neo-platonici nel IV secolo. Ho già detto che questi filosofi volevano la fusione di tutte le [p. 9 modifica]chiese, e l’armonizzazione teoretica di quanto si sa con quel che si crede.

Fu questo uno sforzo nobilissimo: il tentativo di prevenire, di allontanare dal mondo, quattordici secoli e più di medioevo!

Oh se la voce d’Ipazia e dei suoi fosse ascoltata!

Ma i pretoriani di Cesare, prima; ma i barbari che urgono poi sulle frontiere; ma i cristiani fanatizzati della Tebaide e il malgoverno bizantino, dovevano tutto distruggere e radere al suolo.

III. — Ipazia non è la sola donna greca che rappresenti il pensiero occultista: v’era stata pure la bella e sdegnosa Teano, moglie di Pitagora; e, con altre, Asclepigenia, figlia di Plutarco d’Atene, che diresse ivi la scuola occulta di spiritualismo greco-orientale, chiosando il famoso volume degli Oracoli Caldei, e Diotima, misteriosa sacerdotessa, ispiratrice di Platone.

Ma scarsi, e di difficile indagine, sono i documenti, le notizie che abbiamo d’Ipazia, e molto poco ell’è conosciuta ed ammirata nei nostri tempi.

L’importante Dictionnaire biographique dell’Hoefer appena la menziona; come pure quasi insignificanti sono gli accenni che troviamo nelle enciclopedie, sulla vita e sulle opere sue.

Qualche storico della matematica la ricorda per i suoi libri di geometria e di astronomia; qualche altro scrittore la glorifica, invece, come martire della libertà del pensiero: ma ciò è tutto.

Come visse, che cosa pensò, cosa scrisse, chi amò, in qual maniera e perchè morì, e sovratutto che cosa insegnò a tanti ed illustri discepoli, non viene ricordato nei libri più letti e consultati oggi dagli studiosi.

Il Cantù nella Storia Universale, scrisse soltanto:

Teone, professore in Alessandria, commentò Euclide e Tolomeo; e fu più famoso per la bella Ipazia sua figlia. Da lui imparato le matematiche, e perfezionatasi ad Atene, ella fu invitata in patria ad insegnare filosofia, e seguiva gli ecclettici, fondandosi però sopra le scienze esatte, e introducendone le dimostrazioni nelle speculative; col che le portò a metodo più rigoroso7.

Qualche monografia storica è stata scritta in Germania, in Francia ed in Inghilterra, su Ipazia; ma anche questi sono studi non completi e tutti di data non recente.

In italiano abbiamo un Poema d’Ipazia ossia delle filosofie del quale [p. 10 modifica]uno scrittore del Giornale Arcadico, dell’anno 1827, ci dice essere stato mandato alla luce dalla marchesa Diodata Saluzzo Roero; ma, a giudicarne dai pochi luoghi riferiti, si tratta di una poesia di ben poco valore artistico e di niuno storico.

Basti dire che l’autrice, per la quale il recensionista ha una cornucopia di lodi entusiastiche, riteneva che Ipazia fosse stata una martire cristiana8, mentre, come si vedrà, fu appunto vittima pagana dei fanatici monaci della Tebaide, che distrussero il suo bel corpo come avevano abbattuto i monumenti di pietra delle antiche religioni: il tempio meraviglioso detto Serapeo, e le ruine imponenti di Tebe e di Memfi!

Cito qualche verso:

     Languida rosa sul reciso stelo
Nel sangue immersa la vergin giacea
Avvolta a mezzo nel suo bianco velo.

     Soavissimamente sorridea
Condonatrice dell’altrui delitto:
Mentre il gran segno redentor stringea9.

In italiano ancora, abbiamo uno studio del Bigoni10, un dotto articolo del Faggi11, ed un saggio molto elegante, di Carlo Pascal12.

Il miglior lavoro italiano, per l’estensione e per la conoscenza delle fonti, è quello del Bigoni.

Questi scritti, insieme ad un articolo francese pubblicato nella Revue contemporaine13, e ad una piccola biografia tedesca della rivista Preussische Jahrbücher14, formano tutto quanto nel secolo XIX e nei primi [p. 11 modifica]anni del XX, sia stato scritto, nelle principali riviste del mondo, sull’argomento.

Ed anche gli studi del Bigoni e della Revue Contemporaine, hanno un errore d’origine, perchè sono scritti da persone devote ed ammiratrici del Cristianesimo in maniera esclusiva, e che non fanno menzione perciò del lato più importante della figura e dell’insegnamento d’Ipazia: non conoscono o rifiutano di apprezzare l’opera sua d’occultista15.

Seguace di un sistema eclettico di filosofia, restò o parve rimanere pagana; forse anche perchè conosceva molte parti allora ignote ai cristiani, se non coltissimi, del politeismo classico decrepito, e non capiva la necessità di abbracciare il Cristianesimo; predicazione che doveva rappresentare pei conoscitori dell’antica Gnosi, soltanto un adattamento nuovo, una volgarizzazione poco profonda e molto popolare dei Veri conosciuti da essi, per eccellenza. I cristiani facevan confronti fra le credenze proprie e quelle del paganesimo ormai consunto, i Gentili dotti paragonavano il Cristianesimo alla religione dei loro padri, nei suoi secoli d’oro, e lo stimavano pari od inferiore alla filosofia orfica ed eleusina. Seguiamo perciò l’opinione dell’Aubé, il quale, parlando delle convinzioni religiose d’Ipazia, esprime il parere ch’ella, probabilmente, avesse accettato il punto di vista di Temistio e dei pagani contemporanei più illuminati; i quali dicevano «che i culti, essendo soltanto forme esterne ed espressioni particolari del sentimento del divino, non sono differenti l’uno dall’altro; che vi sono molte vie per giungere a Dio, e che ognuno è libero di scegliere quella che più gli aggrada.»16. [p. 12 modifica]

Non posso nè voglio colmare il vuoto lasciato dai biografi d’Ipazia, dovendomi tener pago di esporre alla buona qualche notizia su questa dottissima; ma credo che se in avvenire taluno la studierà dal punto di vista delle dottrine teosofiche, farà opera nuova, e, quel che più importa, di grande pregio storico. In tal modo porterà egli un grande aiuto alla Causa dello Spiritualismo, e potrà spiegare ai dotti un perchè rimasto molto oscuro sulla vita d’Ipazia, la ragione, io dico, del meraviglioso fascino esercitato da lei su tanti uomini, e per così lungo tempo, nella città del mondo allora più sapiente e cosmopolita.

Teone d’Alessandria17, matematico famoso, ultimo della lista dei membri del Museo, ebbe per figlia Ipazia. Alcuni suoi lavori ci giunsero; d’altri ci serbò l’elenco Suida.

Teone fu scienziato, filosofo, occultista, geometra, astronomo, profondo esegeta dei classici. Il «Commentario all’Almagesto di Tolomeo», è stimato ottimo fra tutti i lavori d’astronomia, della scuola alessandrina.

Teone si occupò specialmente di meccanica e d’astronomia, tanto che si ricorda avere egli osservato un eclisse solare ed uno di luna. Fiorì, secondo Suida, insieme con Pappo, sotto Teodosio Magno (sec. IV.), e sembra che fosse già uomo maturo quando Teodosio salì al trono.

Ipazia nacque poco prima dell’anno 370: nel 400, a trent’anni appena, sotto l’impero di Arcadio, aveva già acquistato fama mondiale.

È storicamente accertato che la sua città natale fu Alessandria. Il padre che le impose la gloria di tanto nome — Ipazia — , fu quasi «di spirito profetico dotato».

Sappiamo ch’ella ebbe un fratello, chiamato Epifanio, pel quale Teone scrisse il libro intitolato «Introduzione agli “Elementi di Euclide„».

Studiò col padre filosofia e scienze esatte. Come voleva Pitagora, la geometria le servì di primo avviamento all’esame dei problemi dell’anima.

Però l’imperatore Arcadio, come il padre, perseguitava i pagani, e con essi i liberi pensatori.

Infatti Bizanzio, e non Roma, diede il carattere funesto di religione di Stato al Cristianesimo; eresse a sistema, nella Chiesa, la persecuzione sistematica.

«D’altra parte, dice il Bigoni, mirava Ipazia gli Edesi, gli Olimpi, gli Antonini con la lunga schiera de’ loro minori, che brancolavano nella tenebra della magia fuggendo e la luce della scienza e il fuoco purificatore della nuova fede». [p. 13 modifica]

Queste frasi ben dimostrano quanto lontano siano stati i biografi di Ipazia dal comprendere l’importanza, anzi, anche solo dal sospettare la esistenza di quell’insegnamento occulto di cui questa scrittrice, forse fu maestra (come risulta da qualche documento e da molti indizi), e che doveva, secondo i nobili propositi dei suoi più colti diffonditori, unire il sapere degli antichissimi popoli della Terra a quello ch’era il frutto della civiltà greca, giunta allora al culmine; e creare uomini degni di comprendere ed insegnare tutto il divino del politeismo morente e del Cristianesimo che sorgeva, di comprendere ed insegnare quanto Ammonio Sacca aveva propugnato: la necessità dell’unione fraterna di tutte le fedi.

Lo studio dei fenomeni e dei problemi metafisici, concernenti l’ultra sensibile, era molto importante per Ipazia, che seguiva i dettami del padre, autore di scritti di matematica insieme e di magia, come pure accenna il Faggi. Compì gli studi nel Museo; ma pel fatto che il padre fu membro di questa istituzione, non si può dedurre che anch’ella vi sia stata aggregata.

Certo deve avere ascoltato con grande larghezza di vedute, dottrine di ogni scuola, perchè tanto Damascio quanto Socrate Scolastico la dicono dotta nel Neoplatonismo e nella sapienza di Aristotile e di altri grandi.

Molti scrittori asseriscono che si recò a fare gli studi ad Atene, e si fondano su di un passo di Damascio in Suida. E questa dimora ad Atene avrebbe avuto una grande importanza per lei, giacchè in quel tempo Plutarco aveva aperto in Atene una scuola di filosofia e di occultismo.

La Blavatsky (v. «Isis Unveiled» vol. II) ci dà come vera l’ipotesi ch’ella sia stata discepola di Plutarco:

Hypatia, dice ella, hat studied under Plutarch, the head of the Athenian school, and had learned all the secrets of theurgy. While she lived to instruct the multitude, no divine miracles could be produces before one who could divulge the natural causes by which they took place».

Sembra che Plutarco apprendesse occultismo neoplatonico dal padre Nestorio, il quale, secondo il Bigoni, sarebbe stato discepolo di Giamblico18; e Nestorio fu certamente molto dotto e stimato, essendo pontefice del corpo sacerdotale sotto l’impero di Valentiniano. [p. 14 modifica]

«Tutti sono d’accordo nel riferire che Plutarco insegnasse con un certo successo» dice la scrittrice della Revue contemporaine «allorchè Ipazia venne in Atene.»

Il suo insegnamento aveva come punto di partenza Aristotile, di cui egli esponeva la dottrina parallelamente a quella di Platone; ma non si limitava più alle quistioni aride della filosofia greca; allargando il proprio studio fino agli Oracoli Caldei.

Sua figlia, l’ardente Asclepigenia, continua il suddetto autore, comunicava questo sapere divino a qualche adepto favorito. Il suo insegnamento era quasi segreto, e, sebbene in tale epoca fosse già condiviso da un piccolo numero, più tardi doveva venir ristretto ancora di più e diventare una semplice tradizione di famiglia. In questo ambiente Ipazia forse ha vissuto.

Sugli «Oracoli Caldei» ha scritto di recente il teosofo G. R. S. Mead una opera di piccola mole che costituisce i vol. VIII e IX della sua interessantissima collezione di testi e di commenti sull’occultismo classico ed orientale19, intitolata «Echoes from the Gnosis».

I Greci, raccogliendo in Alessandria il sapere dei più grandi popoli della Terra, furono in particolar maniera impressionati dalla grandezza e potenza delle tradizioni sacre dell’Egitto e di Babilonia. Adattando alla loro psiche, ai loro abiti mentali, tali tradizioni, spiegandole e rafforzandole, per beneficare i posteri, con ragionamenti filosofici, produssero quelle grandi opere del pensiero che sono i libri ermetici ed i canti caldaici. Nei primi stavano riassunte le dottrine egiziane, e nei secondi, per aiuto dei soli iniziati nell’occultismo orientale, quelle babilonesi ed assire20. Si parlava in essi, con frasi molto laconiche, del Principio Supremo, dell’Unione Mistica, della Monade e della Dualità, della Gran Madre, degli Eoni, dell’emanazione delle idee, dell’Amor divino, dei sette firmamenti, della natura del Cosmo, delle leggi del mondo sensibile, degli spiriti. Altre sentenze davano insegnamenti sull’anima umana, sui veicoli ed istrumenti della forza spirituale dell’uomo, della schiavitù e liberazione delle [p. 15 modifica]anime, sul potere purificatore delle potenze Angeliche, sulle virtù morali, sull’arte della Teurgia e la Pietà.

A proposito della fede nella rincarnazione, adombrata negli Oracoli Caldei, il Mead scrive:

As we might expect, the Oracles taught the doctrine of the repeated descendts and returnings of the soul, by whatever name we may call it, whether transmigration, re-incarnation, palingenesis, metempsychosis, metensomatosis, or transcorporation. And so Proclus tells us that: «They make the soul descend many times into the world for many causes, either through the shedding of its feathers (or wings), or by the Will of the Father» (Kroll, De Oraculis etc. p. 62). The soul of a man, however, as also in the Trismegistic doctrine (H., II, 153, 166), could not be reborn into the body of a brute; as to this Proclus is quite clear when he writes: «And that the passing into irrational natures is contrary to nature for human souls, not only do the Oracles teach us, when they declare that» this is the law from the Blessed Ones that naught can break: the human soul: «Completes its life again in men and not in beasts. (Kroll, 62).

E v’è ragione di credere al viaggio in Atene, anche pel fatto che Ipazia porta in Alessandria, appena incomincia ad insegnare, il fascino d’idee non comuni ed ignote ivi nella forma, almeno, com’essa le esponeva. La scrittrice della Revue allude adunque alla ipotesi di una influenza dell’insegnamento occultista di Plutarco e di Asclepigenia, su Ipazia, e nota:

Nell’attività intellettuale d’Alessandria v’era una specie d’infiacchimento, quando d’un tratto Ipazia rialza le sorti della filosofia. Nè si sa con quali mezzi ella abbia potuto operare tale trasformazione; tutto fa credere ch’ella avesse portato dal suo viaggio in Grecia qualche cosa di veramente originale.

Progredì grandemente nel sapere e non ebbe certo, di fronte alla causa che sosteneva, quella responsabilità che attribuisce agli oratori brutti e spiacenti, la leggiadra scrittrice giapponese Sei Sônagon.

Un predicatore, diceva ella, dev’essere un uomo di bell’aspetto. Perchè allora è più facile di tenergli gli occhi addosso, senza di che sarebbe impossibile profittare di ciò che dice. Se gli occhi si distraggono, infatti, e si voltano qua e là, si dimentica di stare a sentire. I predicatori brutti hanno dunque una grave responsabilità21. [p. 16 modifica]

E questo perchè lo stesso popolo greco, sempre esteta finamente, anzi la stessa società alessandrina, raffinatamente istruita e mondana, trovò leggiadra e grata la compagnia dell’illustre filosofa.

In Alessandria, dicono le fonti, era divenuto di moda il filosofare frequentando la società di una donna attraente per tante virtù e bellezze. Sebbene superiore agli amici e discepoli suoi, essa li trattava con modi gentili e famigliari, franca e dignitosa in un tempo. «Non si vergognava» dice Socrate Scolastico «di comparire ad un’assemblea di uomini, perchè tutti la rispettavano ed onoravano.»

La sua virtù, per unanime attestazione, era superiore a qualunque sospetto. Si racconta che una volta un suo giovane discepolo, bello e gentile: «Ipazia» le dicesse «Ipazia, io muoio d’amore per te». Ella non si commosse nè lo cacciò; ma, chiamata una domestica, comandò di portare panni e filaccie ch’ella aveva tenuto su di una piaga, e li facesse vedere dipoi al giovane, dicendogli press’a poco così: «Vedi, la mia bellezza è solo apparente; disingannati poichè anche io sono di carne, di materia vile cioè e di putredine!». Pensate: era una donna che parlava così!

Ed altra volta, ricorda il Chateaubriand22, un altro languiva d’amore per lei: la giovane platonica impiegò la musica per guarire il malato, e fece rientrare la pace per mezzo dell’armonia, nell’anima che aveva turbato: «Traditur Hypatiam ope musicae illum a morbo isto liberasse»23. E non sarebbe uno strano caso! In risposta al Brunetière, uno scrittore francese osserva che per i mali psicologici del sentimento la musica è salutare.

La natura è l’impero della musica, ma lo è sopratutto la natura umana. San Tommaso d’Aquino parla della musica, della musica vera, pura, religiosa, con simpatia e tenerezza. Afferma, ed è vero, che la musica ci libera dal mondo esteriore, ci riconduce all’interno, al centro immobile e libero dell’anima.24.

Infine Ipazia si maritò; non scelse uno sposo, ma un fratello. Questi fu Isidoro, il filosofo. Amore platonico di neoplatonici!25.

Ipazia ebbe un grande numero di scolari, e molti furono illustri.

Sinesio ricorda Esichio, Ercoliano ed Olimpio che trova a [p. 17 modifica]Costantinopoli. Assiduo alle sue lezioni ed innamorato sì da offrirsele per sposo, fu Oreste, prefetto d’Egitto. Filostorgio la stima superiore al padre, specialmente nell’astronomia; e Damascio la contrappone, per la geometria, al dotto filosofo Isidoro.

Pallada, poeta, le dedicò un famoso epigramma, che fu trascritto nell’Antologia26.

Sinesio, vescovo di Cirene, amato e venerato poeta e pastore, è il discepolo più affezionato d’ipazia.

Da Cirene egli imprendeva spesso il viaggio per Alessandria, per riabbracciare lei e gli amici. Infatti presso uno di questi, di nome Ercoliano, si fa merito di avergli fatto conoscere in quella città:

.... un miracolo ch’egli conosceva solo di fama, così scrive Sinesio, rendendolo spettatore ed auditore di quella donna straordinaria, che altrui apriva i misteri della vera filosofia27.

Ed altra volta (Epist. 10, Confr. «Patrol. gr.», vol. 66, col. 1347:) ): ):

Sono rimasto solo, senza i figli miei e senza tutti gli amici più cari, e quel ch’è più dimenticato dalla divina anima tua, che io speravo a me rimanesse più forte e degli assalti della fortuna e dei flutti del destino.

Sinesio, fra l’altro, fu autore di un Trattato dei Sogni, che compose in una notte e che mandò ad Ipazia perchè lo leggesse e lo giudicasse.

Il fatto è da notare per l’importanza data in ogni tempo dagli occultisti ai fenomeni misteriosi del sonno.

In un’altra epistola di Sinesio ad Ipazia, quando già i tempi erano foschi e calamitosi, leggiamo:

Infermo, dal letto ti scrivo questa lettera; possa riceverla stando bene, tu, mia madre, sorella, maestra, benefattrice e degna di quanti titoli sono maggiormente onorevoli e pur sempre inferiori al tuo merito....

Se de’ morti ci colga l’oblio nella casa di Ade (le scriveva altra volta da Tolemaide, assediata dai barbari), nemmeno ivi mi potrò dimenticare la cara Hypatia. Poichè anche qui io penso a lei, circondato da tutti i mali della mia patria, vedendo ogni giorno le armi dei nemici, e sgozzati gli uomini al pari d’armenti, mentre respiro l’aria infetta dai corpi insepolti; aspetto anche sul mio capo [p. 18 modifica]un simile destino. (Poichè chi v’è ancora che possa sperare, se l’aria stessa ci è nemica ed oscurata dagli uccelli rapaci, che agognano alle carogne?) Pure a questa mia terra sono inchiodato. E come nol sarei se son Libio e di qui sono i miei maggiori onde veggo le inclite tombe? Per te sola, credo, oblierei anche la patria, e appena potessi la lascierei. (Ep. 124).


IV.

L’insegnamento filosofico d’Ipazia è andato perduto.

«In quel tempo, dice il Bigoni28, i filosofi che avevano grandi successi oratori scrivevano poco. Edesio non volle che si raccogliessero le sue lezioni, Plutarco pure, e permise soltanto a Proclo di scrivere qualche frammento negli ultimi anni.»

Eppure ci rimangono i titoli di tre scritti d’Ipazia, ossia: il «Commentario a Diofanto», il «Commentario al Canone astronomico», ed il «Commentario alle sezioni coniche di Apollonio Pergeo.» Per formarci un chiaro concetto del sistema filosofico d’Ipazia, non essendoci rimasto nessun scritto suo, dobbiamo ricorrere allo studio dei ruderi delle opere di Sinesio, suo prediletto allievo29, appunto come si studiano gli Evangelisti per intendere Cristo, e si leggono Platone e Senofonte, per comprendere Socrate.

Si giova talvolta lo storico del metodo usato spesso dal pittore greco di terrecotte. Con brevi e fitti tratti di color nero questi copriva la superficie del vaso tutt’attorno escludente l’esiguo spazio che l’immagine, se dipinta, avrebbe occupato; si che il rosso naturale della creta, rimasto senza segno nè macchia, finiva per segnarla con vivacità inattesa. Lo scultore sempre suole impiegare questa tecnica che afferma negando. Perizia somma è in lui: vedere intiera di contorno e d’espressione la più bella e vivente fra tutte le statue che il marmo, perfettamente l’una nel[p. 19 modifica]l’altra compenetrata ed inclusa, serbasi senza tradirle; e d’isolarla a colpi di scalpello, togliendole d’attorno le membra delle altre che, quasi per invidia, la stringono e la celano, di lei meno belle o deformi.

Dionisio Petavio fu il traduttore italiano delle lettere del vescovo cristiano e filosofo neo-platonico Sinesio.

Egli era deista, naturalmente; la sua fede confessò con squisita espressione, in un memorabile discorso detto in presenza dell’Imperatore Arcadio, per ottenere aiuti a Cirene.

Egli dice che gli uomini «non hanno ancora potuto trovare un nome che esprima d’Iddio tutta l’Essenza; ma tentarono significarlo per mezzo delle opere sue: Padre, creatore, principio, causa, tutte maniere indirette e manchevoli di cercarlo nelle cose che provengono da lui.»

Quanto alla esistenza d’insegnamenti segreti, è facile averne testimonianza dallo stesso Sinesio:

«Nelle ordinarie conversazioni, non parlo mai, egli afferma, se non di cose comuni, ed anche quando scrivo ai filosofi, nulla di chiaro dico nelle lettere, per timore che cadano in altre mani.» Nell’Epistola 142a è scritto: «Crisanto non aveva svelati ad Eunapio i segreti filosofici se non vent’anni dopo che aveva cominciato ad istruirlo nelle lettere.»

Sembra però che avendo Sinesio parlato di ciò con l’amico suo Ercoliano, questi non abbia saputo mantenere i segreti a lui confidati. Sinesio, reso edotto della cosa, scrisse ad Ercoliano lamentandosene, ed insistendo vivamente sulla necessità di saper tacere.

Da ciò risulta che Ipazia manteneva la massima fissata da Plotino. Tempi d’intransigenza, il segreto era divenuto strettamente necessario.

Già si faceva sentire lo spirito settario dei Bizantini, che avevano mostrato di volere parteggiare per il Cristo dimenticandolo; sostenendolo cioè con la sofistica e col tumultuare; come solevano i causidici la mala causa, e gli azzurri e i rossi, al Circo, per un destriero di Mauritania.

La filosofia neo-platonica era tutta occultismo, come ci attestano il Baudi di Vesme, il nostro compagno inglese Mead, nei libri su «Plotino» e sui Frammenti di una fede dimenticata, la Blavatsky ed il Matter.

«Yet no sect or school counted so many decepti deceptores, scriveva il Max Müller30, as that of the Neo-Platonists. Magic, thaumaturgy, levitation, faith-cures, thought-reading, spiritism, and every kind of pious fraud were [p. 20 modifica]practised by impostors, who travelled about from place to place, some with large followings. Their influence was widely spread and most mischievous. Still we must not forget that the same Neo-Platonism counted among its teachers and believers such names also as the Emperor Julian (331-363), who thought Neo-Platonism strong enough to oust Christianity and to revive the ancient religion of Rome; also, for a time at least, St. Augustine (354-430), Hypatia, the beautiful martyr of philosophy (d. 415), and Proclus (411-485), the connecting link between Greek philosophy and the scholastic philosophy of the middle ages, and with Dionysius one of the chief authorities of the mediaeval Mystics...» (p. 429-430).

E l’Haret scrive:31

«Già riassumendo le dottrine di Platone, vi troviamo intera la filosofia cristiana, già in parte la legge cristiana. In morale l’esaltazione dell’anima e il disprezzo dei sensi; il distacco dalla terra e dalla stessa esistenza.... la condanna del suicidio, la purezza, l’umiltà, la proibizione di rendere il male per il male.»

Ma i neo-platonici non vollero credere soltanto, sia pure fondando la fede su ragioni filosofiche; invece, sviluppando enormemente le dottrine platoniche, illustrandole con elementi nuovi, del sapere occultistico israelita, greco, asiatico, egizio, diedero basi, se non scientifiche, nel senso moderno, certo ragionevolmente logiche e profondamente filosofiche, agli assunti sublimi, speculativi del Maestro.

Per riuscire unirono alla filosofia la teurgia.

Le scuola neo-platonica ebbe molti rappresentanti dottissimi, che fiorirono dal secolo III d.C. al secolo V. Ricordiamo: Ammonio Sacca, fondatore di questa scuola (n. 175 † 250 d. C.), Longino, sommo critico (n. 213 † 273 d.C.) Plotino, il più famoso di tutti (n. 205 † 270 d.C); e quindi Porfirio, discepolo di quest’ultimo (233 d.C), Giamblico († 330 d. C.), Ipazia (n. 370 † 415) ed infine Proclo (410 † 485 d.C).

Il più grande dottore e scrittore è Plotino, nato a Nicopoli (in Egitto), il quale trae molto profitto dalle dottrine neo-pitagoriche e giuridiche filoniane. Porfirio, suo biografo, ne pubblica, sotto il titolo di Enneadi, le cinquantaquattro dissertazioni e le divide in gruppi di nove: dei quali il primo tratta dell’Uomo, il secondo della fisica, il terzo del Cosmo, il quarto della Psiche, il quinto della Mente, ed il sesto dell’Uno.32 [p. 21 modifica]

Egli ammetteva una Divinità dalla quale procedevano gli spiriti della Terra e del Cielo, detti demoni (allora la parola non aveva assunto il significato di enti del male — o diavoli, come avvenne poi, nel M. E.)33 e le anime degli uomini.

Questi demoni, o spiriti, erano divisi in molte categorie.

E come tutti gli antichi popoli ci parlano di specie diverse di entità spirituali ed astrali, e come gl’Israeliti ed i Cristiani insegnano esistere nei Cieli la gerarchia degli Angeli, così Giamblico distingue i demoni in Arcangeli (ἀρχάγγελοι), Angeli (ἄγγελοι), Demoni propriamente detti (δαίμονες), Eroi (ἤρωες), Arconti (ἄρχοντες). Le «Enneadi» di Plotino, e «Le livre des Mystères» di Giamblico, trattano di demonologia,34 ossia di spiritismo.

Il culto di molti Alessandrini consistette allora in omaggi resi ai buoni demoni; in esorcismi, in purificazioni contro i cattivi: era il moderno spiritismo applicato alla vita!

Queste pratiche formarono la Teurgia, ovvero Magia bianca; e la Goezia, o Magia nera.

I Neo-platonici credevano possibili le comunicazioni cogli Spiriti degli Estinti.

Proclo vede, ci riferisce il Baudi di Vesme, nelle anime dei morti, Demoni, divinità protettrici dell’uomo (v. I. Alcib. ap. Oper., ediz. Cousin, t. II, pag. 87), e se le propizia con riti funebri ed espiatorii, (v. «Vita di Proclo» di Mario, ediz. Boissonade, c. 36); similmente fa Crisanto (v. Eunap., Vit. Philosoph. Chrysanth., p. 113). Giamblico dice: «Quanto ai fantasmi delle anime, somigliano a quelle degli Eroi (ἤρωες), pure essendo più deboli»,35 e fornisce parecchie spiegazioni particolari sulle supposte loro manifestazioni.

«Giamblico, dice adunque il nostro storico valorosissimo Baudi di Vesme, cadendo, in estasi, veniva talora sollevato in aria di dieci cubiti, come spesso succedeva ai Santi cristiani; allora si trasfigurava, il suo capo s’attorniava di un’aureola lucente. Eunapio dice però che Giamblico, interrogato intorno a’ suoi miracoli, o per modestia o per altro, sorrise, benchè non fosse uso di dipartirsi da un atteggiamento grave.» [p. 22 modifica]

«Un giorno Proclo è ferito al piede da un insetto velenoso che gli produce un’ulcera profonda; ne è risanato per cura dello stesso Esculapio, il quale viene a medicarlo. Altra volta il filosofo si rompe un braccio, cui i medici applicano un apparecchio per farlo risanare. Un uccello scende dall’alto e toglie l’apparecchio; quindi si presenta Apollo, o uno Spirito sotto le sembianze del Dio, e guarisce radicalmente Proclo, per mezzo di passi e toccamenti benefici.»

«Ad Edeso, discepolo di Giamblico, i Numi svelano l’avvenire in sogno. Un mattino che gli erano usciti di memoria gli oracoli ottenuti nella visione, il suo servo gli fa osservare che gli stavano scritti sulla mano (fenomeno di scrittura diretta). Anche Plotino vedeva gli Dei e conversava con essi. Uno spirito lo avvertì che Porfirio stava per suicidarsi; Plotino accorse presso il suo discepolo e lo distolse del triste proposito36

Molto belle ed acconce sono le considerazioni che il Matter pone come chiusa della sua opera storica sugli Gnostici, che cioè la scienza moderna non è più saggia, nè più previdente della loro filosofia; la scienza moderna che non si cura dei demoni ed ignora degli angeli, che tutto studia secondo sintomi ossia apparenze, ma non ricerca le cause profonde. E le ragioni di tutto l’operare della Natura, sono dovute a forze dotate di vita ed intelligenti.

Così, per sua grande dottrina, diceva il Matter nei primi lustri del secolo XIX; che cosa possiamo dire di meglio noi, dopo un secolo?

Il neoplatonismo è un sistema di filosofia panteistica, emanatista, comprendente l’idea dell’esistenza dell’anima e della sua immortalità, e la fede nel progressivo sviluppo delle facoltà dell’Uomo e del potere della Virtù, la quale purifica gli spiriti dagli influssi della materia e li redime, adducendoli fino a Dio. «L’emanazione è un discendere da Dio, conclude il Fiorentino37 il suo dotto giudizio di questo antico sistema filosofico; l’Etica è un ritornarvi; le due parti del sistema adunque si tengono e si rispondono: quanti gradi di discesa, tante virtù per risalire.»

Importantissime, per poter divinare quali dovettero essere le idee filosofiche d’Ipazia, sono la dottrina di Giamblico e quella di Proclo; il primo la precedette, il secondo la seguì di pochi anni.

Giamblico e Proclo, poi, sono i due scrittori meno filosofi e più occultisti, fra i Neo-Platonici. [p. 23 modifica]

Giamblico, fondatore di quella specie di Neoplatonismo detto «Scuola di Siria», crede alla mantica, al culto delle immagini, alla preghiera, alla teurgia; e Proclo di Costantinopoli, campione del Neoplatonismo ateniese (fondato da Plutarco figlio di Nestorio, da Jerocle e da Siriano), non solo insegna magia, ma attesta di essere stato in una vita anteriore il pitagorico Nicomaco, e di avere una missione celeste, quale anello della Catena Ermetica di spiriti, apportatori in terra del mistico sapere.

Infine lo studio delle opinioni dissidenti dalla fede cristiana di Sinesio, ci rivelano il fondo dell’istruzione filosofica ricevuta da Ipazia; riguardando principalmente la dottrina della preesistenza dell’anima al corpo, ritenuta eterodossa allora dai Cristiani. Unità di tutto, monade delle monadi, sovrintelligibile: questo il concetto d’Iddio per Sinesio. Un Dio che sta nelle parti inaccessibili della Natura e che presiede agli dei (angeli) ed a tutte le intelligenze.

Questo Dio, pur animando con la sua potenza ed azione tutto il Creato, trae il Figlio dagli abissi del suo essere: il Figlio che è il raggio più puro della Maestà celeste, e seco eternamente risplende. La creazione è rappresentata come una emanazione continua. L’Intelligenza spirituale e divina che parte dal Padre, discende fino ai baratri tenebrosi e micidiali della materia. L’anima creata, o meglio emanata dall’intelligenza, sorge dalla terra fino a confondersi con Dio; ed a diventare essa pure divina.

Non riscontriamo qui analogie, anzi concetti simili a quelli della Cabbalà ebraica?

La filosofia cabbalistica, riassunta da Adolfo Franck, dal Papus, e da tanti altri scrittori e storici dell’Occultismo, insiste in questo sopra ogni altro principio, tanto che le parole di Giamblico «non possiamo giudicare questa unione divina quasichè dipendesse dal nostro capriccio di ammetterla o di respingerla: noi siamo contenuti in lei, noi ne togliamo tutta la pienezza dell’essere nostro, noi dobbiamo tutto quanto siamo soltanto alla conoscenza degli Dei»38, sembrano di un cabbalista medievale o moderno.

Parimenti l’Universo viene considerato come unità da Sinesio; avendo ogni parte del Cosmo simpatia per le altre; e vivendo tutte compenetrate dall’energia dell’anima universale, la quale vivifica l’intiero Creato. [p. 24 modifica]

Nel XXXIII canto del Paradiso, Dante, nostro padre, ci dice:

Ma già volgeva il mio disiro e il velle,

     Si come ruota ch’egualmente mossa,

     L’amor che muove il sole e l’altre stelle.

Di questo grande Alito animatore della Natura, confessarono l’esistenza in ispecial modo, fra le religioni, il Buddismo, fra i sistemi filosofici lo Spinozismo; ed a lui, sotto il nome di — Ignoto Nume — innalzarono templi non gli Ateniesi soltanto, come è noto, ma perfino gli abitatori dell’America precolombiana.39.

Molto notevole è il fatto che ora a questa idea si ritorni, perchè filosofi e scienziati la trovano atta a spiegare i misteri sempre più profondi della moderna psicologia sperimentale.

Trattando dei fenomeni spiritici, e di quelli stranissimi della divisione, alterazione e moltiplicazione della stessa personalità umana, constatali per mezzo dei fenomeni ipnotici Gaetano Negri, scriveva:

«La coscienza in ognuno di noi è limitata a se stessa, per una legge di ottica psichica, se posso così esprimermi, alla quale non può sottrarsi perchè è condizione della sua esistenza. Noi possiamo vedere questa duplicità di coscienza e di personalità negli altri, non possiamo vederla in noi; ma il vederla negli altri ci assicura che esiste latente anche in noi. Di qui può derivare una conseguenza d’immensa portata, ed è che se cade l’idea di una coscienza permanente ed una, sorge l’idea di una coscienza permanente la quale accompagna tutte le manifestazioni della vita, o diremo meglio, tutte le manifestazioni dell’universo. Le barriere, i limiti che noi poniamo alla nostra coscienza, sono illusioni, sono le condizioni dell’apparizione della nostra individualità relativa, ma nella realtà quei limiti non esistono punto. Nella realtà forse non esiste se non un’infinita coscienza universale, donde siam venuti e a cui ritorneremo.»40.

Nè Sinesio volle rinunciare a questa filosofia, accettando dai Cristiani della Cirenaica il seggio di vescovo. Poeta gentile, seppe riaffermare i suoi principii con questi versi chiaramente teosofici:

«Vieni a me, lira armoniosa, dopo i canti del vecchio Teone, dopo gli accenti della Lesbiana, ripeti su di un tono più grave versi che non celebrano [p. 25 modifica]già la leggiadria di fanciulle dai sorrisi vezzosi, nè la beltà di giovani innamorati.

«Felice chi, fuggendo ai richiami della materia ed involandosi da questo mondo basso, sale verso Dio volando, rapidamente! Felice l’uomo libero dall’opre e dalle ambasce di questa terra e che si lancia, su per le vie spirituali, verso gli abissi della Divinità! Un raggio precursore di tutta la luce t’aprirà gli orizzonti dell’intelletto là ove brilla la divina bellezza: Coraggio, o mio spirito, dissetati alle eterne scaturigini, elevati con la preghiera, verso il supremo, il Creatore; niuno indugio a lasciare la Terra! Ecco, fra poco, unito al Padre celeste, sarai Dio nel seno stesso d’Iddio!».


V.


Ma le nuvole si addensano di contro al sole. La città era in preda ai partiti più fieri di religione.

Ad Alessandria viveva una grossa colonia di più che centomila israeliti, e v’erano pagani, ed idolatri d’ogni culto, e cristiani ortodossi di tutte le eresie. Nel 414 gl’israeliti si vendicano contro i cristiani dei loro cattivi trattamenti, e S. Cirillo li caccia brutalmente fuori della città e ne saccheggia le chiese. Oreste scrive allora all’imperatore contro la condotta di questo facinoroso, ed egli, a sua volta, accusa Oreste. Oli animi si accendono maggiormente. Il prefetto d’Egitto fa arrestare un tal Jerace, partigiano di S. Cirillo e lo fa battere; ma il popolino cristiano, per rappresaglia, circonda la lettiga del prefetto, e lo ferisce. Un monaco, colpevole di questo delitto, viene giustiziato: allora Cirillo, non già angelo d’amore e di carità, come gl’impone il ministero di Pastore cristiano, giunge a tanta audacia da dirne pubblico elogio.

Una turba di fanatici, che sospetta una nemica in Ipazia, nella gran donna che parla di misteri incomprensibili e che s’oppone alla loro rozza brutalità idolatra, la circuisce a poco a poco di calunnie e di oscure minaccie. Cirillo tenta di concigliarsi l’animo di Oreste e gli si reca innanzi con gli Evangeli, per il giuramento della pace; ma questo tentativo fallisce.

Parve allora ai cristiani che unico ostacolo fosse la venerata cattedra pagana d’Ipazia, della quale Oreste era discepolo. Gli odii si accrebbero. La sorte della filosofa venne decisa.

Vivevano nei dintorni di Alessandria molti monaci, d’infima plebe, schiavi del volere del vescovo; pronti quà ad ardere templi, e là a trar [p. 26 modifica]fuori dalle tuniche grigie, i veleni od il pugnale: erano i parabolani, e gli eremiti della Tebaide. A capo d’essi si era posto un energumeno detto Pietro il Lettore.

Un giorno Ipazia ritornava a casa in lettiga. Usciti d’ogni parte, i parabolani la circondano41 e ne strappano la donna, che trascinano fino alla Chiesa detta di Cesare, nel sobborgo Bruckio, vicino al mare. I monaci vengono presi allora da un impeto furibondo, belluino, di sadismo.

Le vesti d’Ipazia sono strappate da essi e le sue membra ignude profanano, nude, e contuse dal mazza ferrata di Pietro, l’austera santità del tempio.

Ma i parabolani sono accecati; con pugnali fatti di conchiglie, con tali armi barbaresche e crudeli, si fanno tutti addosso al bel corpo della vergine gentile e lo sbranano.

Il sangue arrossa le pareti, il pavimento del luogo, le vesti degli assassini. Poi Ipazia, no, i suoi lacerti sanguinosi, vengono portati al Kinaron e gettati sul fuoco.

«Ils brûlerent, disse il Chateaubriand42, ensuite sur la place Cinaron les membres de la créature céleste qui vivait dans la société des astres qu’elle égalait en beauté, et dont elle avait ressenti les influences les plus sublimes.»

Avvenne questo, secondo Socrate, nel IV anno dell’episcopato di Cirillo, X consolato di Onorio, IV° di Teodosio, nel mese di Marzo, al tempo dei Fasti.43. [p. 27 modifica]

Ipazia morì come Eco; come Orfeo che fu dilaniato dalle Menadi, offerto in olocausto al dio delle orgie! Cantavano le ebbre baccanti, secondo il Poliziano:

Per tutto il bosco l’abbiamo stracciato,
Talchè ogni sterpo del suo sangue è sazio;
Abbiamlo a membro a membro lacerato
Per la foresta con crudele strazio,
Sicchè ’l terren del suo sangue è bagnato.44

E nessuno v’era a difenderla, non Oreste, nemmeno Sinesio, l’appassionato vescovo e poeta che le aveva scritto: «Se l’oblio avvolge i mortali di là dall’Erebo, là pure io mi ricorderò ancora d’Ipazia»!...

E se non fosse storia, confermataci da tante fonti, noi, assomigliando la morte d’Ipazia a quella d’Orfeo, a quella, anche, di Cristo, («et diviserunt vestimenta mea»), a quella della mitologica, soave vergine Eco, od, infine, di Osiride, Dio Redentore degli Egiziani, diremmo che la morte d’Ipazia è leggendaria, è simbolica; perchè, diremmo, piacque sempre così, figurar la fine della vita terrena degli Eletti che si sacrificarono per l’Umanità.

Longo Sofista45 scrive che le membra del bel corpo vibrante di canti della ninfa Eco, furono raccolte dalle compagne, pietosi spiriti delle [p. 28 modifica]acque; e che la sua arte e potenza musicale, ripete ancora altrui le voci ed i suoni, per volontà delle Muse.

— Ebbene, diciamo noi; anche quando ad un grande ideale sobbalza il nostro cuore, il prodigio si rinnova: vibra un atomo di cenere del bel corpo soave d’Ipazia; si desta e si avviva la forza spirituale di quella «stella purissima dell’arte della sapienza», in vita certo, ed in morte, eco avventurata di ogni sublime armonia dell’Anima.

Augusto Agabiti.



fine.


Note

  1. The dispersion of the Eclectic school had become the fondest hope of the Christians. It had been looked for and contemplated with intense anxiety. It was finally achieved. The members were scattered by the hand of the monsters Theophilus, Bishop of Alexandria, and his nephew Cyril — the murderer of the young, the learned, and the innocent Hypatia! (A proposito di quest’accusa v. cap. 4, nota 1, di questo studio).
    With the death of the martyred daughter of Theon, the mathematician, there remained no possibility for the Neoplatonists to continue their school at Alexandria. During the life-time of the youthful Hypatia her friendship and influence with Orestes, the governor of the city, had assured the philosophers security and protection against their murderous enemies. With her death they had lost their strongest friend. How much she was revered by all who knew her for her erudition, noble virtues, and character, we can infer from the letters addressed to her bi Synesius, Bishop of Ptolemais, fragments of which have reached us.
    .... What would have been the feelings of this most noble and worthy of Christian bishops, who had surrendered family and children and happiness for the faith into which he had been attracted, had a prophetic vision disclosed to him that the only friend that had been left to him, «his mother, sister, benefactor», would soon become an unrecognizable mass of flesh, and blood, pounded to jelly under the blows of the club of Peter the Reader — that her youthful, innocent body would be cut to pieces, «the flesh scraped from the bones», with oyster-shells and the rest of her cast into the fire, by order of the same Bishop Cyril, he knew so well — Cyrill, the Canonized Saint!!.
    «The cruel, crafty politician, the plotting monk, glorified by ecclesiastical history with the aureole of a martyred saint. The despoiled philosophers, the Neo-platonists, and the Gnostics, daily anathematized by the Church all over the world for long and dreary centuries. The curse of the unconcerned Deity hourly invoked on the magian rites and theurgic practice, and the Christian clergy themselves using sorcery for ages, Hypatia, the glorious-maiden philosopher, torn to pieces by the Christian mob.»
    «To guess whatt, if the coup d’état had then failed, might have been the prevailing religion in our own century would indeed be a hard task. But, in all probability, the state of things which made of the middle ages a period of intellectual darkness, which degraded the nations of the Occident, and lowered the European of those days almost to the level of Papuan savage — could not have occurred.» (V. vol. II, pag. 252).
  2. Nel vol. I, n. 10 (Bombay, October 1907). — V. l’articolo intitolato «Editorial Notes» nel quale v’è il capitolo «Past Incarnation of Annie Besant» che intieramente trascrivo:
    Of late is perceived the regrettable tendency even amongst some of our oldest members to speak disparagingly of Mrs. Besant. Perhaps they do so under the impression that their prior entry into the theosophic fold gives them a right to this claim. They seem to forget that it is not a longer contact with the T. S. but with Theosophy that wins and conquers and we are indebted to Mr. C. W. Leadheater, who himself joined the Society in its early days, to rexplaining why though a late-comer, Mrs. Besant has come to the very fore-front and among all the pupils of H. P. B., of revered memory, she alone was deemed fit to be her successor by the Real Founders of the Society. Not those who were witnesses to many a phenomenon, not those who had mereley written books and spoken mouthfuls of hearsay, not those who at one time or other, posed themselves as fullblown gurus but she whox, to use H. P. B.’s own words, is «the soul of honour and uncompromisingly truthful» whose heart she described as «one single unbroken diamond x.... transparent so that any one can see how filled to the brim it is with, pure, unadulterated theosophy,» who in the past died as Hypatia and Bruno for the sake of conscience and truth, that deserves our homage and obeisance. «Unselfishness and altruism is Annie Besant’s name... It is only a few monts, she studies occultism with me in the innermost grop of the E. S., and yet she has passed far beyond all other», wrote H. P. B. and no wonder that it was so.» (p. 364-365).
    Nello stesso numero della rivista suddetta v’è pure un articolo, firmato Hephzibah, intitolato «Hypatia» e basato, esclusivamente sul romanzo del Kingsley.
  3. Il Lumbroso nel libro «L’Egitto dei Greci e dei Romani» al cap. XIV «Cultura e splendore di studi» scrive:
    Che vi sia stata in Alessandria una sede delle Muse o Museion, molto celebre nel mondo antico, è cosa notissima. Ma è un vecchio, ostinato equivoco ed errore, il credere che la costituzione od il governo di quel Museion, abbia avuto un carattere, uno scopo, un influsso religioso, oppure che di esso possano darci un’immagine i sacerdotali seminari egiziani di Eliopoli e di Memfi, o le Sapienze annesse a certe grandi moschee dei musulmani. Fu invece una cosa prettamente ellenica, un collegio o sodalizio costituito come tutti gli altri collegi o sodalizi ellenici. In altri termini, e per parafrasare Strabone (17, 794), che è l’unica fonte in quanto all’ordinamento del Museion alessandrino. In un ἑταιρεία, un θίασος, un ἔρανος, o come altrimenti dicevano i Greci d’allora, ed in ispecie quei d’Alessandra, una σύνοδος. Quindi, come ogni σύνοδος, esso aveva i suoi fondi comuni (χρήματα κοινά) come ogni σύνοδος, esso aveva il suo ἱερεύς o presidente, (onde l’inveterato equivoco che ne avesse la presidenza una specie di Pontefice massimo dell’Egitto greco-romano), il quale ἱερεύς o presidente portava, del resto il titolo particolare di ὁ ἐπὶ τῷ Μουσείῳ od ἐπιστάτης τοῦ Μουσείου.
    Non Eliopoli, dunque, nè Memfi, ma la Grecia, ma l’Attica furono modello ad Alessandria co’ loro Museia, colle loro scuole e sette filosofiche aggruppate a modo sodaliciario, ed aventi l’οἶκον μέγαν per la cena, e tra gli Aristotelici, il περίπατον, com’ebbe per l’appunto il Museion alessandrino.
    Ma in due cose l’alessandrino fu un Museion sui generis: l’una, che esso faceva parte del βασίλεια dei Tolomei, di quella città palatina che tenne tanto posto nell’antica Alessandria, regi erano senza dubbio i suoi fondi, regio il suo pane (σίτησις), onde un satirico lo chiamò la gabbia delle Muse; l’altra che il suo ἱερεύς il suo ἐπιστάτης era direttamente nominato dal re, e così, più tardi dall’imperatore. E sebbene Strabone non lo dica, erano, a quanto pare, nominati direttamente dal re, dall’imperatore, anche i semplici membri. In tutto e per tutto, dunque, questo μουσεῖον, questo ἀνδρῶν ἐργαστήριον, questa sede riservata al βίος, alle ζητήσεις dei sapienti (se mi è lecito far qui entrare ciò che dice Eliodoro di Delfo che era paragonabile ad un μουσεῖον, questa τράπεζα ξυγκαλοῦσα τοῖς ἐν πάσῃ τῇ γῇ ἐλλογίμους, era una dipendenza della Reggia alessandrina». (Pag. 129-131).
  4. «In altri paesi gli Elleni abbattutisi in popoli giovani e rozzi, poterono in primo tratto stabilirsi come padroni; non così nella vecchia incivilita valle del Nilo. Trattati al primo loro comparire sulle coste d’Egitto, come Normanni e Pirati, solo dopo parecchi secoli, regnando i Psammetichi e gli Amasi, sono divenuti ospiti, coloni, mercenari; hanno ottenuto di fondare l’emporio di Naucrati; sono sparsi nella contrada chi per ragione di mercatura, chi per militarvi, chi per insegnare il greco, chi per vedere il paese; già stanno per assumere, alcuna volta il protettorato dell’Egitto di fronte alla Persia. Infine, dopo parecchi altri secoli, l’occupazione macedonica li fa padroni veri ed assoluti della terra dei Faraoni. È questo il momento solenne in cui l’uomo egiziano diventa in patria sua secondario per sempre.»

         «Si apra il libro di Arriano su i fatti di Alessandro e si noti quel che l’Eroe curò principalmente in Egitto, e quel che trascurò o curò meno. Nel suo itinerario, l’alto Egitto, l’Egitto di Tutmosi e di Ramse, non figura punto. Ciò che figura è il Delta, il basso Egitto, l’Egitto ionico (Pelusio, Eliopoli, Memfi, Canopo, il Faro) la ragione cioè già famigliare agli Joni e Carî di Psammetico e di Amasi, ed ai Milesi fondatori di Naucrati. La visita spirituale di Ammone non procede direttamente per la via interna; ma è, nell’andata come nel ritorno, subordinata alla discesa di Alessandro al mare. Il Delta e la costa, questo è l’Egitto del presente e dell’avvenire. Ed è qui che Alessandro si fa vedere ed opera. Coloro che avevano tenuto il paese prima di lui, non avevano mai voluto aprire il mare, non avevano mai voluto aprire il porto così naturale che offriva la spiaggia, non avevano mai permesso se non il ristretto, limitato commercio della bocca canopica. Tutto ciò muta con Alessandro. Ed è tale mutazione che il commercio del mondo classico coll’Egitto si direbbe iniziato da lui.»

         (Lumbroso, «L’Egitto dei Greci e dei Romani», p. 63-64).
  5. V. il saggio Ipazia (a pag. 148) in Figure e caratteri. — Remo Sandron, 1908.
  6. Edouard Rouveyre, Connaissances nècèssaires à un Bibliophile, accompagnèes de notes critiques et de Documents bibliographiques. — 5me èd. Paris, E. Rouveyre èd. 1900.
  7. Storia Universale, Dec. Ediz., vol. III, pag. 1041-1042
  8. v. p. 28. — Il Kingsley parla di una conversione tutta spirituale d’Ipazia al nestorianismo: ma evidentemente si tratta di una elegante finzione letteraria. Si parlò invero di una lettera latina scritta da lei, al vescovo Cirillo in favore di Nestorio, e nella quale ella si dichiara pronta a convertirsi formalmente al Cristianesimo dicendo «intra memetipsma agitans quod bonum mihi sit fieri Christianam». Si può leggere questo documento nella «Nouvelle Collection des Conciles d’Etienne» del Baluze (tomo I, p. 926). Ma il Faggi, secondo pure l’opinione di altri biografi, nota che nessuno ha però creduto, eccetto il suo primo editore, Cristiano Lupo, all’autenticità di questa lettera, che dovrebbe essere stata scritta in latino da una greca ad un vescovo greco, e che accenna per di più alla condanna di Nestorio la quale ebbe luogo, nel concilio di Efeso del 431: mentre Ipazia morì nel 415! — Così pure afferma l’Aubé (v. Op. cit.).
  9. Dal poema - «Ipazia ossia delle filosofie» della marchesa Diodata Saluzzo. In venti canti.
  10. In Atti dell’Istituto Veneto, serie 6.a vol. V, 1886-1887.
  11. Ippazia d’Alessandria. In Rivista d’Italia, 1907.
  12. V. Figure e caratteri, Sandron, 1908.
  13. V. vol. 104, anno 1869.
  14. Berlin, 1907.
  15. — Degno di speciale menzione è il romanzo storico di Carlo Kingsley «Hypatia or New Foes with an old face» (London, Macmillan, 1890), giudicato dai critici letterari inglesi quale lavoro di squisita fattura. Eccone un sunto brevissimo. V’è, come nella Thäis di Anatole France, un frate, il giovane Filammone, ed una donna bellissima, Ipazia, pagana. Il monaco del Kingsley, come quello del France, è acceso da un immenso zelo di proselitismo e cerca di convertire la donna alla propria fede. Invece, soccombente, (domato dalla eloquenza e dalla dottrina sua) lascia il cristianesimo per la filosofia pagana neo-platonica. Intanto Oreste, discepolo ed ammiratore d’Ipazia, e prefetto bizantino dell’Egitto, ordisce, con quella, una trama per farsi signore del paese e sposare la sua compagna di studi e consigliera di frode. Ma il colpo di stato è mandato a vuoto da una rivolta dell’intiera Alessandria. In quel momento malaugurato Ipazia, prima di ritirarsi per sempre dalla vita pubblica e dall’insegnamento, e di abbandonare col padre la sua città, vuol tenere l’ultima lezione. Uscita di casa, nonostante la volontà e le preghiere degli amici, è circondata ed uccisa da monaci selvatici e nemici. Come la marchesa Diodata Saluzzo, pure il Kingsley, finge che la bella filosofa siasi convertita al cristianesimo nestoriano, persuasa dall’amico e discepolo, Raffaele Ben Ezra, di nascita ebreo. Il romanzo finisce col ritorno di Filammone al convento, ove aveva tanto pregato, giovanetto, per quella pace, per quel regno d’Iddio, che, seguendo poi Cirillo, si era illuso di potere conquistare per la Umanità, in mezzo alle lotte, agli odi ed ai macelli di Alessandria.
  16. v. Themistius, Orat. consul. ad Jovian. Orat. ad Valentem. Il pensiero di Temistio è stato illustrato da Luigi Luzzatti nell’opera recentissima su «La libertà di coscienza e di scienza» (Treves Edit., 1909). Per il Luzzatti, la dimostrazione della libertà religiosa di Temistio, è una delle più vicine a perfezione, considerata dal punto di vista della scienza costituzionale.
  17. Ho tolto alcune notizie biografiche, dallo studio citato, molto completo, del Bigoni.
  18. Quanto alle idee occultistiche di questo celebre teurgo non è il caso di insistere: basterà ricordare la sua opera famosa sui Misteri egiziani, tradotta in francese dal Quillard. (v. Le livre de Jamblique sur les Mystères. Charcornac, éd. Paris).
  19. Sono stati pubblicati finora i volumi seguenti: I. The Gnosis of the Mind; II. The hymns of Hermes; III. The Vision of Aridaeus; IV. The hymn of Jesus; V. The Mysteries of Mithra; VI. A Mithraic ritual; VII. The Gnostic crucifixion. L’VIII ed il IX, dei quali ora parliamo, s’intitolano The Chaldean Oracles. (1908).
  20. Poche sono le altre fonti. Il Mead cita, oltre le sue note opere, Frammenti di una Fede dimenticata. (Testo inglese, London, seconda ed. 1906, Theos. Publ. Society; Trad. Ital. Ars Regia, Milano, 1908); e Thrice Greatest Hermes (London, 1906, non tradotta); quella del Kroll De Oraculis Chaldaicis. In Breslauer philologische Abhandlungen, Bd. VII, Hft. I. (Breslau, 1894), e quella del Cory, Ancient Fragments (London, seconda ed., 1832).
  21. Dal Makura no Sóci (Abbozzi del guanciale). Versione di P. E. Pavolini.
  22. «Études historiques», p. 332.
  23. Secondo Suida si tratta dello stesso caso citato prima.
  24. Bellaigue. In Revue des Deux Mondes, 1907.
  25. Cfr. Baudi Di Vesme (Op. cit. vol. II, pag. 19). Questa notizia è molto discussa. V. Fabric, Bibl. gr., libr. V, cap. XXII: «Isidori philosophi coniux, sed ita ut conjugii usu abstineret.» Il Faggi ed altri escludono recisamente che Ipazia si sia maritata.
  26. L’Aure (v. artic. cit.) parla di un epigramma composto in onore d’Ipazia da Paolo Floro, detto il Silenziario, e che si trova nell’Antologia. Aggiunge che venne tradotto in latino dal Grozio. Che si tratti dello stesso attributo da altri a Pallada? Io non me ne sono potuto assicurare.
  27. V. Ep. 136.
  28. v. Op. cit. — L’Aubè, confermando la notizia della perdita delle opere d’Ipazia, aggiunge: «Si ce n’est peut-être un Canon ou Table Astronomique, insérée dans le Tables manuelles attribuées à Theon.»
  29. Il Matter, nella Histoire critique du Gnosticisme, dice, a proposito del legame fra Ipazia e Sinesio: «.... malgrés les fréquentes rencontres qui dûrent avoir lieu, surtout dans Alexandrie, entre les gnostiques et les derniers platoniciens (Ammonis, Maxime d’Éphèse, Eunape de Sardes, Hiéroclès d’Alexandrie, Simplicius de Cilicie et plusieurs d’autres), on ne trouve qu’un seul exemple de rapports d’amitié entre eux: c’est la laison de la célèbre Hypatie, fille du géometre Theon, avec le poète Synesius, évèque de la Cyrenaïque; encore Hypatie demeura-t-elle fidèle au platonisme, tandis que Synesius seul mêla cette doctrine avec la gnose et les croyances orthodoxes.» Ma quest’ultima affermazione non ci sembra verosimile.
  30. Theosophy or Psychologiecal religion — pag. 429.
  31. Le Christianisme et ses orignes — v. Revue Moderne, 1867.
  32. Vennero tradotte in latino dal nostro Marsilio Ficino da Padova (1492) e studiate in Italia dal Fiorentino (v. Manuale di storia della filosofia) e da altri.
  33. Sull’idea del Demonio e sulle importanti leggende cristiane che le si riferiscono v. Il Diavolo di Arturo Graf.
  34. Il Del Rio, il Torquemada, il Lipsius, il Bodin, il Grillando, il Godelmann, il Biermann, sono i rappresentanti più autorevoli delle dottrine demonologiche, nel senso di sataniche; che fecero sorgere e sostennero l’istituto sinistro dell’Inquisizione.
  35. v. Op. cit. p. 8.
  36. v. Baudi di Vesme, vol. II, Op. citata. Questo aneddoto diede origine al famoso «Dialogo di Plotino e Porfirio», di Giacomo Leopardi. (In Opere di G. Leopardi da lui approvate, per cura di Giovanni Mestica. — Firenze, Successori Le Monnier, 1906).
  37. v. Op. cit., p. 161.
  38. v. Le livre de Jamblique suz les Mystères. Traduit du grec par Pierre Quillard (pag. 5). Paris, Librairie da l’Art Indépendant, 1895, L. 6,00.
  39. Molina dice che l’Inca Yupanqui «era dotato d’intelligenza tanto lucida» da arrivare a concludere che il Sole non poteva essere il creatore, ma «che ci doveva essere» qualcuno che lo dirigeva; ed a questo supposto creatore fece innalzare alcuni templi. E così pure nel Messico: «Nezahuatl, signore di Tezcuco», deluso nelle preci che aveva rivolto agli idoli riconosciuti, arrivò a concludere che «ci doveva essere un Dio invisibile ed ignoto, creatore universale», e fece innalzare un tempio a sette piani al «Dio Ignoto, alla Causa delle Cause». (v. Herbert Spencer Istituzioni ecclesiastiche, Trad. ital. Città di Castello, Ed. Lapi).
  40. Gaetano Negri, Segni dei tempi, Cap. «Il problema dello spiritismo» p. 367-368.
  41. «Eamque e sella detractam ad ecclesiam quae Caesareum cognominatur, rapiunt: et vestibus exutum testis interemerunt. Cumque membratim eam discerpissent, membra in locum quem Cinaromem nuncupant comportata incendio consuinpserunt» (Socr., Hist. eccl., lib. VII, cap. XV, pag. 352.)
  42. Chateaubriand (F. A. De) Ètudes Historiques, In Oeuvres complètes, vol. VII, Paris, Furne et C. Édit., 1860, p. 333.
  43. La Blavarsky giudica molto severamente S. Cirillo, attribuendogli senz’altro la responsabilità della morte d’Ipazia. Nel Theosophical Glossary, p. 146-147 (London — The Theos. Publish. Society, 1892) leggiamo: «Hypatia (Gr.) — The girl-philosopher, who lived at Alexandria during the fifth century, and taught many a famous mans, among others Bishop Synesius. She was the daughter of the mathematician Theon, and became famous for her learning. Falling a martyr to the fiendish conspiracy of Theophilos, Bishop of Alexandria, and his nephew Cyril, she was foully mourdered by their order. With her death fell the Neo-Platonic School.» (Hypatia: La fanciulla-filosofa che visse ad Alessandria durante il V secolo e ammaestrò più di un uomo famoso — fra gli altri il Vescovo Sinesio. Era figliuola di un matematico, Teone, e divenne famosa pel suo sapere. Vittima della congiura demoniaca di Teofilo, Vescovo di Alessandria, e di Cirillo, nipote di lui, fu vergognosamente assassinata dietro loro ordine. Con la sua morte cadde la scuola Neo-platonica.) Questo giudizio assoluto e crudele non è giustificato da alcuna prova; ma non reca meraviglia perchè gli studiosi d’Occultismo d’ogni scuola ben sanno come gli scritti della Blavarsky, pure essendo pregevolissimi per molti rispetti, non siano attendibili nei dati scientifici e storici. La questione della responsabilità nella morte d’Ipazia, è ben riassunta e discussa dal Bigoni e dal Faggi. Il vero si è che mancano documenti per attribuire qualsiasi colpa a S. Cirillo e tanto meno poi a Teofilo, il quale era morto tre anni prima d’Ipazia. Infatti Teofilo, che era succeduto a Timoteo come vescovo d’Alessandria nel 385, venne a morte nell’anno 412. Tre giorni dopo Cirillo, otteneva il seggio di Patriarca per mezzo dell’aiuto di Abbundanzio, comandante de le truppe, ed amico suo. S. Cirillo, colpevole di molte violenze contro pagani ed israeliti, ha forse una responsabilità solo indiretta. Così commenta il cristiano Socrate Scolastico; aggiungendo: Questo fatto trasse su Cirillo e sulla Chiesa alessandrina non lieve rimprovero. Poichè a coloro che seguono le vie di Cristo sono straniere e lotte e stragi e simili violenze.».
  44. Poliziano - «Orfeo», Atto V.
  45. v. Gli amori di Dafne e Cloe (Ultima versione italiana di P. Borrelli. Napoli, Soc. Editr. Partenopea, 1900). A pag. 97-98 sta scritto: «Vi sono, mia carissima, molte sorta di Ninfe, quelle dei boschi, le palustri e le cantatrici; tutte musiche; e ad una di esse fu figlia Eco, mortale, perchè suo padre fu un uomo, e bellissima perchè sua madre era bella. Fu allevata tra le Ninfe, le muse le insegnarono a suonar la fistola con tal perfezione che sembrava ora lira, ora cetra, or flauto, or qualsiasi altro strumento. Essa era in sul fiore della giovinezza, e danzava con le Ninfe e cantava con le Muse; ma amava tanto la sua verginità, che schivava tutti i maschi, uomini o dei: e Pane, geloso delle sue rare doti musicali e crucciato di non averne potuto ottenere i favori, mise tal furore ne petti dei villici e dei pastori che, come lupi e cani rabbiosi, si gettarono sull’infelice giovanetta e la tagliuzzarono e la sbranarono tutta, spargendo pei campi i brani del suo bel corpo ancora canoro. La terra, per favor delle Ninfe, raccolse tutti i canti di lei e ne conservò la musica; e per voler delle Muse, ripete le voci ed i suoni, come faceva giovanetta in vita, di dei, uomini, fiere, strumenti; e Pane stesso quando suona la zampogna, sentendo imitate le sue note musicali, balza e si precipita pei monti, non da altro spinto, che dalla gelosia di rintracciare l’alunna ascosa, che ripete la sua musica, e che egli non vede nè conosce.»