Il tesoro della Montagna Azzurra/XVIII- La scomparsa degli assediati

XVIII— La scomparsa degli assediati

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XVIII— La scomparsa degli assediati


Se un serpe velenoso o una freccia l'avesse colpita al petto, o un fulmine fosse scoppiato dentro la capanna, Mina avrebbe provato minore emozione. Il suo stupore e la indignazione furono tali, che stette parecchio tempo senza aprire le labbra, guardando smarrita il capitano il quale pareva aspettasse ansiosamente una risposta.

— Io, vostra moglie!... — proruppe finalmente la fanciulla con voce sibilante. — Chi credete che siano i Belgrano per raccogliere la mano di un miserabile come siete voi? E avete avuto l'audacia di dirmelo? Avete forse bevuto troppo, furfante!

— Oh, mi aspettavo una simile risposta, — rispose don Ramirez, sforzandosi di sorridere e di apparire calmo.

— E allora perché avete chiesto la mia mano, se sapevate che ve la avrei rifiutato? E poi con quale diritto osate farmi una simile proposta, mentre sono vostra prigioniera?

— Se i Belgrano vantano una vecchia nobiltà anch'io ne vanto una da parte di mia madre; ma lasciamo quest'argomento, señorita. Torno a chiedervi se volete diventare mia moglie.

— Ancora! — gridò Mina.

— E insisterò sempre, per quanti rifiuti mi darete, convinto che vi piegherete come si è piegata mia madre al volere del gran capo dei Tuelkè.

— È una minaccia?

— Chiamatela come volete, a me poco importa, — disse Ramirez brutalmente. — Invece di irritarvi e di interrompermi per ingiuriarmi, fareste meglio ad ascoltarmi, señorita. Che cosa trovate di strano che un uomo, che domani sarà ricco a milioni, chieda la vostra mano?

— Voi parlate di milioni come se fossero vostri o ve li avesse lasciati vostro padre, mentre voi sapete che appartengono a me e a mio fratello.

— E perché non siete andati a prenderveli? Voi avete dato a me del ladro; io credo invece di essermi mostrato abbastanza galantuomo. Se un altro, senza scrupoli, avesse trovato quei documenti, invece di portarli a chi erano destinati, se li sarebbe tenuti per sé e sarebbe andato a prendersi il tesoro. Chi ne avrebbe saputo qualcosa? Voi forse? Vostro fratello? No, poiché ignoravate che vostro padre era naufragato sulle coste di quest'isola e che gli antropofaghi non solo lo avevano risparmiato, ma anche nominato loro capo. Avete rifiutato di cedermi la metà di quel fiume d'oro e io me lo prendo tutto.

— E vi chiamate un galantuomo! — chiese Mina, ironicamente. — Mio fratello vi aveva fatto la proposta di noleggiargli la vostra nave, e di aiutarlo nell'impresa, promettendovi un ricco premio. Don José Ulloa ha ben accettato.

— Quello non sa far bene i suoi affari. Sono però pronto, se vorrete, a dividere ancora quelle favolose ricchezze accumulate da vostro padre, e anche a restituirvi vostro fratello, il comandante dell'Andalusia e il bosmano.

— Senza alcuna condizione?

— Alto là, señorita! A tutto questo metto un prezzo: la vostra mano.

— Mai!

— Mai? Ne siete ben sicura, señorita? Vi credete tanto forte da tenere testa a me? Ho domato centinaia di negri furibondi e li ho costretti ad arrendersi e voi vorreste resistermi?

Mina non si degnò nemmeno di rispondere.

— Voi non mi credete capace di piegarvi? — chiese don Ramirez con voce tonante.

— No, — rispose l'energica fanciulla.

Il bandito si era alzato, con gli occhi sfavillanti di rabbia, avvicinandosi alla fanciulla. Questa si era alzata di scatto facendo due passi indietro, poi alzando la fascia che le cingeva i fianchi aveva tolto la navaja di cui si era munita prima di partire con i Nuku, aprendola con un colpo secco.

— Se fate un passo di più me la pianto nel cuore, — disse.

Don Ramirez si era fermato. Sembrava più spaventato lui che la fanciulla.

— Deponete quel coltello, señorita, — disse. — Non avete da temere nulla da me.

— Quando sarete uscito di qui, — rispose Mina.

— Io non ho ancora finito di parlarvi.

— Risparmiatemi il resto.

— No, voi dovete ascoltarmi fino alla fine, señorita. Vi do però la mia parola che non vi farò più alcuna minaccia e che non mi avvicinerò a voi senza il vostro consenso. Sedetevi pure, senza timore.

Mina ebbe una breve esitazione, poi riprese il suo posto mettendo sulla tavola, a portata di mano il coltello aperto.

— Se avete da dirmi ancora qualcosa, sbrigatevi, — disse la giovane con tono risoluto.

— Da quando, per la prima volta, siete salita sulla mia nave accompagnata da vostro fratello, la vostra bellezza mi ha stranamente colpito, — riprese don Ramirez. — Dico stranamente perché mai nessuna donna aveva sconvolto il mio cuore. Quando attraversai l'Oceano, i vostri occhi, me li sono visti sempre davanti. Io non speravo affatto di rivedervi, né di avere la fortunata occasione di tenervi nelle mie mani.

— Fortunata, la chiamate!... — lo interruppe Mina ironicamente.

— Lasciatemi dire! — gridò il bandito, battendo il pugno sulla tavola. — Se non vi avessi rivista, a quest'ora forse non penserei più a voi; mi siete ricomparsa quando meno me l'aspettavo. Che colpa ne ho io se il diavolo si è cacciato nel mio corpo e ha dato fuoco al mio sangue? Vivaddio! Sono un uomo di mare io! Non ho vissuto che sugli oceani e non nei salotti di Valdivia, né di Concepcion e mio padre era un selvaggio!

— Concludete.

— Io dico che, diventando mia moglie, non fareste un cattivo affare perché dividerei con vostro fratello il tesoro della Montagna Azzurra e lo salverei da questi antropofaghi, i quali aspettano che s'arrenda per divorarlo insieme al comandante dell'Andalusia e al bosmano.

— E anche a Emanuel, è vero?

— Emanuel! — esclamò Ramirez, impallidendo. — Chi è costui? Non lo conosco.

— Credevo che l'aveste visto fra questi antropofaghi.

— No, señorita.

— Sicché voi insistete per avere la mia mano.

— Certo.

— E credete che mio fratello mi darebbe il consenso?

— Lo costringerò, se vorrà salvare la vita.

— Voi siete un miserabile! — gridò Mina, balzando in piedi con la navaja in pugno. — Io non sarò mai vostra moglie, mi capite, don Ramirez! Una Belgrano non sposa un ladro e un negriero!... Potete uccidermi, ma io non sarò mai vostra.

Un vero ruggito era uscito dalle labbra del bandito. I suoi pugni, grossi come mazze da fucina, piombarono con gran fracasso sulla tavola, sgangherandola e facendo saltare a terra i piatti, le posate e le bottiglie. I marinai che erano di guardia, udendo quel baccano e credendo che il loro comandante fosse in pericolo, avevano fatto irruzione nella capanna con i fucili. Don Ramirez con un gesto imperioso li fermò.

— Preparatevi a prendere d'assalto la caverna, — disse loro. — Vivi o morti io voglio quegli uomini. Mi avete capito? E ora uscite e aspettatemi.

— Che cosa volete fare di mio fratello? — chiese Mina, che si sentiva mancare.

— Lo saprete fra poco, — rispose il bandito, con voce rauca. — Mio padre ha piegato mia madre; io piegherò voi o vi spezzerò. Arrivederci presto, señorita!

In un impeto di furore fracassò a pugni quanto ancora rimaneva sulla tavola e uscì, chiudendo con fracasso la porta, mentre la disgraziata fanciulla, vinta dalla commozione e dallo spavento, si lasciava cadere sulla sedia, singhiozzando. Al di fuori lo aspettavano i suoi marinai, dodici uomini robusti, decisi a qualsiasi impresa. A loro si erano uniti un centinaio di selvaggi, essendosi ormai sparsa la voce che il capo bianco si preparava a forzare la caverna. Don Ramirez passò in rassegna le sue forze, distaccò otto selvaggi, incaricandoli di mettersi di guardia davanti alla porta della capanna, per impedire qualsiasi tentativo di fuga da parte della prigioniera, poi diede il comando di mettersi in marcia, deciso ad espugnare l'asilo dei naufraghi.

— Se opporranno resistenza, tanto peggio per loro, — mormorò rabbiosamente. — Se il capitano dell'Andalusia, che ha avuto il torto di cacciarsi fra i miei piedi e il suo bosmano saranno uccisi, poco me ne importa. Non risparmierò per ora che don Pedro, per far versare lagrime di sangue a quell'orgogliosa fanciulla. Se un uomo mi avesse lanciato tanti insulti, a quest'ora sarebbe morto!

Il drappello attraversò il villaggio e si fermò davanti all'entrata principale della caverna, dove vegliavano sempre numerosi guerrieri, ai quali si erano aggiunti Emanuel e Nargo, sfuggiti entrambi all'imboscata notturna.

— Sono ancora dentro? — chiese Ramirez agli uomini di guardia.

— Nessuno è uscito, — rispose Nargo.

— E dall'altra parte?

— Dura sempre l'incendio e la galleria è piena di fumo.

— Rimuovete le pietre e demolite il bastione.

Una trentina di indigeni, i più robusti della banda, si misero febbrilmente all'opera, mentre i marinai caricavano le carabine. Era probabile che il fragore prodotto dal rotolare dei macigni arrivasse fino agli assediati, data la sonorità della caverna. Una difesa disperata non aveva quindi nulla di straordinario. Don Ramirez assisteva con impazienza alla demolizione del formidabile bastione che aveva parecchi metri d'altezza. Visibilmente irritato per la scena che era avvenuta poco prima con Mina, tormentava il grilletto della sua carabina, come se fosse impaziente di far fuoco su qualcuno. Non sapendo con chi prendersela si sfogava contro gli antropofaghi, chiamandoli poltroni e paurosi, quantunque quei poveri diavoli lavorassero con un accanimento feroce per paura delle carabine dei marinai. Dopo una mezz'ora la barricata di massi finalmente crollò con un fragore assordante, mostrando una vasta e nera apertura. I marinai dell'Esmeralda, credendo che gli assediati si trovassero dietro agli ultimi massi, pronti a ricevere gli assalitori con una scarica, avevano puntati i fucili per rispondere. Con loro grande sorpresa nessun colpo d'arma da fuoco si fece udire.

— Che siano morti? — si chiese don Ramirez, con inquietudine. — Eppure i viveri non mancavano e ieri erano tutti vivi e in buona salute a quanto mi sembrò... Emanuel!

— Capitano! — rispose il mozzo.

— Tu che sei il più magro di tutti noi, cacciati nel passaggio e và a vedere se gli assediati ci preparano un agguato.

— E se mi uccidono?

— Rimetterò ai tuoi eredi la parte che ti spetta sul tesoro della Montagna Azzurra, — rispose Ramirez, ironicamente. — Lesto, ragazzo! Io non sono abituato a ripetere due volte un ordine.

Il mozzo avrebbe voluto suggerirgli di mandare in sua vece Nargo, però stette zitto per paura di prendersi qualche colpo di fucile nella schiena dall'irascibile padrone e, superata la barriera, si cacciò nella galleria che conduceva nell'immensa caverna. I marinai avevano presa posizione al di là del bastione, pronti a proteggerlo. L'assenza del mozzo durò appena qualche minuto. Quando ricomparve si leggeva sul suo volto un profondo stupore.

— Che cosa c'è dunque? — chiese il comandante dell'Esmeralda, aggrottando la fronte. — Hai avuto paura ad avanzare?

— La caverna è vuota, capitano, — rispose Emanuel.

— Tu sei uno stupido e non hai gli occhi d'un marinaio.

— La luce entra attraverso i crepacci della volta e, se ci fosse un uomo, si dovrebbe vedere, — rispose il mozzo. — Vi assicuro che là dentro non c'è più nessuno.

— Vuoi che siano passati attraverso i buchi, che non servirebbero nemmeno a un gatto?... A me, marinai! Andiamo a scovare quei poltroni che si permettono di dormire, pur sapendo di essere assediati. In qualche posto li troveremo.

I suoi uomini, abituati ad eseguire qualunque ordine, anche se erano certi di sfidare la morte, s'inoltrarono nella galleria, seguiti dai selvaggi. Nessuno si oppose alla loro entrata. Pareva proprio che gli assediati fossero fuggiti. Don Ramirez, non sentendo alcuno sparo, cominciava a sudare freddo. La fortuna lo tradiva dunque, quando ormai credeva di tenerla in pugno? La galleria fu attraversata e la truppa fece la sua entrata nella spaziosa caverna, mandando urla di morte. Nessuno rispose: non un grido, non un colpo d'arma da fuoco.

— Si sono certamente ubriacati e dormono in qualche angolo della caverna, — disse Emanuel.

— Tu sei uno stupido, — rispose don Ramirez, lanciando sul mozzo uno sguardo torvo. — Che cosa ne dici tu, Nargo, di questa sparizione?

— Che è impossibile che siano fuggiti, — rispose l'antropofago.

— Sei ben certo che non ci sono altre uscite?

— Né io né altri conosciamo nuove uscite.

— Che siano andati a finire all'inferno! — ruggì don Ramirez.

Fece accendere delle torce di scorza di niaulis, essendo la luce scarsississima, e avanzarono con i fucili spianati e gli archi tesi, verso il lagoon dove l'acqua fluttuava con sordi muggiti essendo ricominciato il flusso. Percorsero tutta intorno la riva senza scorgere nessuno. Due ceste di popoi erano state aperte e una parte di quella pasta giallastra e acidula era stata tolta. Degli assediati però nessuna traccia. A poca distanza dal lagoon, il cadavere del povero capo dei Krahoa mandava un puzzo orrendo e un po' più in là giaceva il corpo dello stregone, ancora in ottimo stato.

— Mi sono scappati di mano, — borbottava Ramirez. — Come? Da che parte? Se riesco a scoprirli li scortico tutti e do i loro corpi in pasto a questi immondi antropofaghi.

L'esplorazione fu ripresa con accanimento, da parte dei marinai e dei selvaggi. Furono visitati accuratamente tutti gli angoli della caverna, le nicchie e le gallerie che si aprivano qua e là, poi la piccola galleria attraversata dal corso d'acqua sotterraneo, senza riuscire a scoprire traccia degli assediati. Il capitano dell'Esmeralda, in preda a una collera violentissima, si sfogava contro i selvaggi, accusandoli di non aver esplorato la loro caverna. Da qualche parte gli assediati dovevano essere fuggiti, poiché era inammissibile che, disperando ormai di uscire, avessero preferito annegare nel lagoon. Dove si trovava quel passaggio? Le ricerche durarono varie ore, poi furono interrotte. Era meglio organizzare una grande battuta nei boschi vicini e dare una caccia senza tregua ai fuggiaschi, i quali forse si trovavano ancora sul territorio dei Krahoa. Ramirez, dopo aver dato l'incarico a Nargo di fare una corsa nelle foreste con i suoi guerrieri, i quali sembravano non meno furiosi di lui di aver perso, per la seconda volta, un abbondante arrosto di carne bianca, lasciò la caverna con i suoi marinai. Una sorda collera rodeva il cuore del bandito. Quegli uomini liberi. anche se pochi, potevano creargli dei gravi imbarazzi e disputargli ancora quel tesoro che era, dopo Mina, la meta dei suoi sogni. Ciò che poi lo preoccupava di più era di non aver più nelle mani la forza per piegare Mina. Fuggito il fratello, certo avrebbe opposta maggior resistenza, sapendolo libero. Non osando comparire davanti alla fanciulla, entrò nella prima capanna che trovò, facendo scappare a calci quelli che l'abitavano e chiamò Emanuel.

— Tu sei quasi un ragazzo, — gli disse, — però mi hai dato delle prove di una saggezza straordinaria. Siedi, bevi e parliamo dei nostri affari. Il migliore dei miei marinai, arrossisco a dirlo, non vale una briciola del tuo cervello.

— Eppure anche poco fa mi avete dato dell'imbecille, — rispose il mozzo dell'Andalusia.

— Lascia andare: sono di carattere poco dolce io. Ho sangue indiano nelle vene. Ho bisogno di te.

— Parlate, capitano.

— Credi tu che Mina, dopo quanto è avvenuto, abbia ancora qualche sospetto verso di te?

— Non avrà certo molto fiducia, — rispose Emanuel. — Diffidava già prima.

— Eppure tu devi andare da lei.

— E perché non andate voi?

Un lampo d'ira balenò negli occhi di don Ramirez.

— Canaglia! — urlò, assestando una pedata al mozzo, che lo fece stramazzare al suolo. — Tu osi rispondere così a me! Vuoi dunque che ti spezzi le ossa?

Emanuel, pallido come un morto, ma con gli occhi in fiamme, si era rialzato, tastandosi i fianchi.

— È così che ricompensate i miei servizi — disse, con voce sorda. — Eppure io mi sono dato a voi anima e corpo.

— Io esigo dai miei marinai una obbedienza cieca.

— Io non sono vostro marinaio.

— Vuoi che ti uccida? Questa mano ne ha fatte scoppiare delle teste negre che erano più solide della tua.

Emanuel, spaventato, non osò più ribattere. Quel silenzio sembrò calmare il capitano dell'Esmeralda.

— Tu andrai da Mina, — disse — e le dirai, da parte mia, che suo fratello è in mano mia, insieme a don José Ulloa.

— Mi crederà?

— Tocca a te persuaderla. Tu sei abbastanza canaglia per riuscire.

— E se mi scacciasse?

— Mille fulmini! Allora entrerò io. Le dirai anzi che questa sera partiamo.

— Per dove?

— Ora che mi sono scappati di mano, non sono più tranquillo. Anche loro posseggono una copia di quel pezzo di corteccia e potrebbero arrivare prima di me nel paese dei Krahoa e carpirmi il tesoro. Ho perduto già troppo tempo e se quell'imbecille di Nargo non mi avesse fatto richiamare, sarei già sulle rive del Diao. Io spero però di raggiungere ancora i fuggiaschi, prima che arrivino fra i Krahoa, e di massacrarli in mezzo alle foreste. La loro morte ormai è necessaria. Vedremo, se morti loro, Mina mi resisterà.

Emanuel lo ascoltava in silenzio, guardandolo ironicamente.

— Mi hai capito? — chiese finalmente don Ramirez che girava per la capanna come una belva in gabbia.

— Sì, capitano, — rispose il mozzo.

— Allora vattene e ricordati che a me non si fanno osservazioni. Puoi anzi ringraziarmi, se non ti è accaduto di peggio.

Emanuel, che sembrava fosse lì lì per scattare, strinse i denti, per non lasciarsi sfuggire qualche parola e uscì dalla capanna.

— Ah — mormorò quando fu lontano, stringendo i pugni. — Tu mi hai percosso, dopo che io ho tradito don José. Ecco un calcio che pagherai caro, don Ramirez! Sono stato un miserabile, ma tu sei più canaglia di me. La señorita è buona e perdonerà le mie infamie.

Era arrivato alla capanna reale, che come abbiamo detto sorgeva nel mezzo del più grosso villaggio dei Krahoa. Passò attraverso i selvaggi che facevano la guardia, levò la spranga di legno e spinse la porta. Mina, sentendo quel rumore che annunciava una nuova visita del bandito, era già in piedi, brandendo la navaja. Vedendo entrare Emanuel, depose l'arma dicendo:

— Che cosa vieni a fare qui tu? A ordire qualche nuovo tradimento. Ah! Non credevo che tu, così giovane, fossi tanto malvagio!

— No, — rispose Emanuel — vengo a chiedervi perdono e offrire la mia vita se questa può essere necessaria alla vostra salvezza. È inutile che mi difenda: sono stato finora un miserabile, l'anima dannata di don Ramirez.

— Che cosa vuoi allora da me?

— Ve l'ho detto: il vostro perdono.

— Eri dunque d'accordo con Ramirez?

— Lo confesso, señorita. Egli mi aveva comperato a prezzo d'oro, prima che l'Andalusia abbandonasse le coste del Cile e confesso anche di essere stato una delle cause principali di tutte le vostre disgrazie.

— I sospetti del bosmano erano dunque giustificati. Dovrò ora crederti?

— Ve ne dò subito una prova, se potrò riconquistare la vostra stima. Don Ramirez mi aveva mandato qui per dirvi che vostro fratello e il capitano erano in sua mano, mentre...

— Mentre! — esclamò Mina, accostandosi impetuosamente al giovane con il viso sconvolto.

— Sono invece riusciti a fuggire dalla caverna, dove si trovavano assediati.

— Mio fratello libero! — esclamò Mina, raggiante.

— Tutti salvi.

— E in che modo sono riusciti a sfuggire agli antropofaghi?

— Non ne so nulla.

— Salvi! Salvi! E Ramirez?

— Ha lanciato sulle loro tracce i selvaggi.

— Riusciranno a riprenderli?

— Sono certo che torneranno con le mani vuote, señorita Mina. Anche don Ramirez ha poca speranza di riprenderli; se ne avesse, non si preparerebbe a partire.

— Se ne va quel furfante?

— Gli preme il tesoro.

— Ed io?

— Vi costringerà a seguirlo.

— Oh! mai!

— E fareste male señorita. Nelle grandi foreste si trova più facilmente il momento buono per prendere il largo. E poi appunto nel paese dei Krahoa voi avrete maggiori probabilità di incontrare vostro fratello e il capitano, poiché certamente là si combatterà l'ultima battaglia. Rimanendo qui, senza difesa, correreste il pericolo di essere divorata da questi antropofaghi. E poi non cercate di resistere a quel bruto. Egli è capace di tutto. Io vi prometto tutto il mio appoggio.

— E tu t'incarichi di farmi fuggire?

— Farò il possibile.

— E sei convinto che mio fratello sia partito anche lui per il paese dei Krahoa?

— Sì, fermamente convinto, — rispose Emanuel.

— Quando si parte?

— Questa sera.

— Va' a dire allora a quel miserabile che acconsento a seguirlo.