Il tesoro (Deledda)/Capitolo XIV

Capitolo XIV

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XIV.


Una sera di settembre Cosimo rientrò in casa con una interessante notizia.

— Carta-Selix, sapete, è traslocato a Nuoro!

Guardò Elena seduta accanto alla finestra spalancata ma s’avvide ch’ella restava indifferente, dondolandosi sulla sedia e col viso rivolto verso il giardino.

— Forse lo sa — pensò Cosimo.

Mentre Giovanna faceva a proposito molte [p. 301 modifica] domande, entrò una domestica e disse: — C’è Alessio Piscu che vuole parlarle, signoricca.

— A me? — chiese Elena volgendosi vivamente; ma tosto parve ricordarsi, ed ebbe un gesto di noia.

— Fallo venire qui.

— Cosa diavolo vuole? — domandò Cosimo, ricordando anch’egli le parole d’Alessio.

— Aspetta e lo vedrai — disse Elena.

Entrò Alessio, con un mezzo sorriso su le labbra, e domandando a tutti come stavano scrutò il volto di Elena; ma la vide così fredda e contenuta che smise di sorridere; provò poi un senso di freddo e di timore, e sentendo tutta la falsità del suo passo, prima sembratogli facilissimo, si pentì d’esser venuto.

— Siediti — disse Giovanna, porgendogli una sedia. Egli sedette, stette zitto e vi fu un momento di silenzio imbarazzante. Elena lo guardava, e sentendo tutta la sua confusione, gli venne con disinvoltura in aiuto.

— Ti manda Cicchedda, forse?

— Sì — rispose Alessio arrossendo, poi disse rapidamente: — Sta molto male e forse se ne muore; io son venuto per contentarla. Abbiamo una bambina e desidera che la tenga a battesimo tu, Elena....

Donna Francesca lo guardò fisso, sbalordita e scandolezzata: dopo tutto era cosa strana che un uomo della tempra d’Alessio facesse una [p. 302 modifica] simile proposta. Molte persone dicevano però ch’egli aveva sposato segretamente Cicchedda, e donna Francesca si domandò se ciò era vero.

Elena guardò sua madre, e Alessio, seguendo il suo sguardo, vide gli occhi di donna Francesca fissi in lui; si turbò più che mai e gridò fra sè: — Cosa ho fatto?

Non sentì chiaramente quanto gli rispondevano, ma percepì un rifiuto freddo e dignitoso, e vide sul volto di Cosimo un sorriso ironico che gli diceva:

— Che uomo stravagante tu sei!

Tosto però accadde una rapida reazione entro il suo animo fiero. Perchè si vergognava, in fine? Non era per sua figlia che cercava una madrina?

— La legittimerò! — disse, con fierezza; gli occhi gli ridiventarono limpidi. Quindi aggiunse, riprendendo il vago sorriso con cui era entrato:

— Non ci vedrà nessuno; si farà domani sera verso l’imbrunire. Vuole chiamarla Elena, come te, Elena....

Elena s’intenerì, e ricordò che da molto tempo Cicchedda le aveva detto:

— Chiamerò Elena la mia creatura, se lei me lo permetterà, e lei la farà cristiana.

— Se sarete sposati — aveva risposto.

— Dio lo voglia; e lei preghi per me.

E talvolta ella aveva pregato per la sua umile ammiratrice; ora nel passo di Alessio vedeva un buon avviamento verso il bene, e non lo [p. 303 modifica] giudicava con la rigidezza di donna Francesca o col sarcasmo di Cosimo.

Dapprima, nel suo malessere, se n’era annoiata, ma ora s’inteneriva e guardava supplichevolmente la madre come per dirle:

— Lasciatemi andare, mamma....

Ma la mamma rispose di no; Alessio si alzò rigido, ed Elena vide passargli una grande ombra negli occhi.

— Allora scusate — diss’egli tirandosi la berretta sulla fronte, con un fiero gesto — scusate il mio ardire.

— Scusa tu — disse Elena, accompagnandolo fino al pianerottolo. — Se fosse stato possibile, io ne avrei avuto tanto piacere.

— Sì, è vero, è impossibile! — diss’egli con un sorriso amaro, mettendo un piede sul penultimo gradino della scala, e fermandosi. — Ma era una carità.... era il desiderio d’una moribonda....

Elena provò un leggero tremito e si sentì più male del solito, e l’indomani, spargendosi la voce che Cicchedda era morta, s’inquietò e rattristò, nel dubbio che il rifiuto della sera prima avesse aggravato lo stato della moribonda.

Donna Francesca, per contentarla e rassicurarla, mandò verso l’imbrunire una domestica, per informarsi se la notizia era vera.

La domestica andò in casa d’Alessio, e ritornando con aria misteriosa e solenne disse: [p. 304 modifica]

— Non è morta, ma sta per entrare in agonia, ed Alessio la sposa....

— Alessio la sposa? — chiese Elena vivamente, e la domestica si mise a raccontar la scena con molti particolari. C’era comare Franzisca, in casa d’Alessio, e teneva la bimba fra le braccia, una bambina bellissima, già bianca come un giglio e con un ciuffetto di capelli biondi sulla fronte. Il piccolo Domenico, alzandosi sulla punta dei piedini, voleva ad ogni costo toccarla, e qualche volta riuscendovi le metteva delicatamente la manina sul visino, la manina rosa con le ditine aperte a ventaglio.

— Pipìa.... pipìa!... — gridava.

Comare Franzisca, grande amica della domestica, l’aveva per favore condotta vicino ad una porta socchiusa, donde si vedeva il quadro commovente. Alessio sposava la sua amica morente: era inginocchiato presso il letto, su cui giaceva Cicchedda dal volto che pareva di cera e gli occhi immensamente ingranditi, e piangeva come un bambino. Il sacerdote parlava sommesso e rapidamente, quasi paventando di non fare a tempo; e uno dei testimoni era zio Salvatore Brindis.

— Ma come mai? — aveva detto la domestica meravigliata.

E comare Franzisca, tirandole il lembo del grembiale:

— Piano! È stato anzi lui a decider Alessio [p. 305 modifica] a sposarla. È venuto a visitarla, e vedendo che moriva si è messo a gridare ad Alessio: — Ma, figlio del diavolo, non vedi che quella donna muore? Perchè non la sposi, perchè non ti lavi la coscienza?

Elena ascoltò meravigliata questo racconto e donna Francesca disse:

— Dio sia lodato!

Da quel giorno mandarono sempre a chieder notizie della moglie d’Alessio, che, dopo una settimana, si trovò fuori di pericolo, e fu così che il battesimo della nuova Elena venne stabilito per il primo giorno in cui la madrina si sentisse bene.

— Chi è il padrino? — chiese Elena.

Le dissero che se non le dispiaceva vederla al fianco d’un paesano (giacchè al ritorno dal battesimo la madrina camminava tra il sacerdote ed il padrino) sarebbe stato Salvatore Brindis.

Ma perchè avrebbe dovuto dispiacerle?

E fu stabilita la cerimonia per il primo ottobre, alle cinque pomeridiane.

La mattina di quel giorno venne Alessio, vestito di nuovo, col giubbone di colore, i calzoni bianchissimi stirati e la barba rasa.

— Comare — disse sorridendo — vengo ad avvertirvi d’una cosa. Zio Salvatore non fa più da padrino; quando hanno saputo la cosa, mia zia e mia cugina, indemoniate, han fatto un chiasso d’inferno. Zio Salvatore s’ostinava di più, [p. 306 modifica] appunto per ciò, ma noi, per evitare ogni scandalo, l’abbiamo persuaso del contrario.... E abbiamo cercato un altro.

— Chi?

Alessio sorrise ancora, portò due dita al collo, per accomodarsi la collana trapuntata della camicia, e torcendo un po’ la testa disse: — Carta-Selix.

Elena si rabbuiò in viso e fu per protestare, ma non abituata a dimostrare a nessuno i suoi segreti sentimenti si dominò e: — Sta bene — disse freddamente.

Verso sera rivide il giovine, arrivato da pochi giorni, e col quale tutti credevano si amassero ancora; ma Cosimo, che accompagnava la sorella, fu il primo ad accorgersi come ella non amava più l’antico innamorato. Lo trovarono in chiesa che aspettava: era un giovane alto e magro, d’una certa distinzione, ma pallido, con la barbetta nera a punta, occhi castani, un po’ affossati, un po’ stanchi.

Elena lo rivide con indifferenza, quasi non l’avesse mai conosciuto, e quest’impressione cresceva a misura che, guardandolo, lo trovava completamente cambiato nel volto e nel portamento.

Anch’egli la trovava cambiata; era sottile e pallida, e il vestito di seta color violetto chiaro, e l’ombra del cappello nero le davano un’aria tristissima.

La chiesa era deserta, ma da una delle porte [p. 307 modifica] principali, insolitamente spalancata, un fiume di luce vivissima si versava sul pavimento grigio. Poco prima era piovuto; ora le nuvole andavano squarciandosi all’orizzonte, su quello sfondo luminoso di porta, e fra gli strappi argentini, metallici, il cielo appariva come un cristallo stillante acqua splendente. Il piazzale e i gradini di granito, bagnati dalla pioggia, scintillando al riflesso dell’orizzonte, parevano d’argento fuso e d’acciaio.

Un mistero solenne di luce metallica invadeva la chiesa deserta e sonora, e sullo sfondo liquido di quella porta spalancata la figura di Elena, vagamente profilata di violetto, coi capelli increspati che sfumavano in un’aureola radiosa sotto l’ala del cappello, parea dovesse svanire e dissolversi nella luce.

Durante la cerimonia Carta-Selix la guardava intensamente cercando invano il suo sguardo, e sentiva l’impressione vaga e penosa che per lui Elena era già svanita per sempre.

Solo all’uscir di chiesa, camminando al fianco del giovane, la cui testa seria e distinta dominava al di sopra della sua, Elena, in quella luce vivissima di perla grigia scintillante sulle vie bagnate, trovò come un lontano ricordo, ma si rattristò più che mai. Sentiva che il giovane l’amava sempre, che soffriva nel trovarla così cambiata; ma era giunto troppo tardi. Rivedendolo prima forse anch’ella lo avrebbe riamato; ora [p. 308 modifica] non sentiva, non poteva sentire più nulla per lui; il mistero del più profondo oblìo era caduto sull’antico amore morto.

L’ottobre avanzava lento, tiepido e melanconico; nell’aria, lavata dalle prime pioggie, era una trasparenza profonda e soave, e nelle lontananze, negli sfondi di paesaggio, attraverso le rame degli alberi su cui diradavansi le foglie, stagnavano misteriosi sogni cinerei.

Riveder Paolo e non lasciarlo più, era l’ultimo strato del sogno di Elena, continuo e lento che le stagnava nell’anima, anche fra la sottile vertigine della febbre struggente.

Le domeniche, specialmente dal mezzogiorno in poi le scorrevano tristemente penose più degli altri giorni. Talvolta però l’idea d’una passeggiata in campagna, di una visita, di uno svago che l’avrebbe aiutata a passare la sera, le sorrideva e bastava per sollevarla momentaneamente. Ed infatti, recandosi da persone amiche, passeggiando al sole, chiacchierando, rideva ancora e dimenticava; la sua vita intima prendeva un diverso aspetto, i suoi soliti pensieri, le sue sofferenze, le sottili e penose sensazioni di tutto il suo essere sfumavano dolcemente, senza svanire del tutto, come nuvole di autunno, di quell’autunno oltre ogni dire dolce e prolungato.

Cosimo, che fra le altre delicate attenzioni, ora la conduceva spesso in campagna, una sera [p. 309 modifica] la portò verso la piccola stazione della ferrovia, recentemente inaugurata.

L’aspetto della stazione era oltre ogni dire triste e misero, e la veduta dei primi vicinati di Nuoro, molto poveri e poco puliti, accresceva la spiacevole sensazione. Ma spingendo lo sguardo, nel pomeriggio tiepido e celeste d’autunno, si godeva una visione molto pittoresca.

Nuoro appariva quasi addossata alle falde dell’Orthobene, del quale, nel chiarore del pomeriggio soleggiato, si scorgevano nitidamente le rocce grige, i clivi leggermente verdi e i boschi resi bruni dalla freschezza e dalle piogge d’autunno.

E a destra della cattedrale la collinetta di Sant’Onofrio, coperta di quel tenero verde d’autunno che fa sognare, si abbandonava alle carezze del sole, come una fanciulla freddolosa e malata, come Elena stessa che, ferma sulla spianata incolta e triste della livida stazione, guardava lassù con gli occhi socchiusi, un po’ stanchi per la luce chiara e diffusa del sole.

Richiamata da Cosimo, Elena si volse e lo seguì per un viottolo che, partendo dalla stazione, andava verso nord, stretto, insinuato fra gli ultimi orticelli della città e la campagna avvallata, su cui dominava. La visione cambiava completamente d’aspetto, ed Elena si fermò di nuovo a guardare; e poichè è una grande verità quella di Amiel che chaque paysage est un état d’âme, [p. 310 modifica] sentì una vaga tristezza subentrare alla profonda dolcezza provata davanti al primo orizzonte invaso d’azzurro.

Elena pensava sempre a Paolo.

Guardando su valle Manna e lasciandosi dietro la visione triste e solitaria dei pendii rocciosi, scendenti con la selvaggia poesia dei lentischi e delle pietre fino a Valverde, Elena e Cosimo presero il sentiero che conduceva a Nuoro.

Il sole al declivio batteva dolcemente sui loro volti, sul loro cuore e sui cespugli del sentiero.

Cosimo aveva pensato al padre, morto e sepolto in terra lontana, morto in cerca d’onesta fortuna pei figli suoi — e, stendendo la bianca mano affilata, guardava l’anello che sprizzando acute scintille al sole parea avesse un’occulta voce di ricordo e rimprovero.

E mentre nei suoi profondi occhi balenava il riflesso del diamante incastonato nell’anello paterno, Cosimo mormorò piano piano, quasi fra sè, quei versi di Gautier:

Va, va l’umana carovana e vede
Qualche cosa di verde a l’orizzonte....