Il sigillo d'amore/Il sigillo d'amore

Il sigillo d'amore

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Mattino di giugno
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IL SIGILLO D’AMORE.


Da venti anni Adelasia di Torres viveva nel suo castello del Goceano. Già la leggenda ve la diceva rinchiusa dal suo secondo marito, Enzio, il biondo chiomato bastardo di Federico II; ma in realtà ella vi si era ritirata dopo la partenza di lui per le guerre d’Italia.

Bello, elegante, guerriero e poeta, Enzio aveva venti anni, e venti meno di lei; e sebbene sposandola si fosse incoronato Re di Sardegna, non poteva certo starsene quieto nella piccola reggia di Ardara, dove fino a pochi anni prima i patriarcali Giudici di Torres dettavano leggi e sbrigavano gli affari di Stato seduti sotto una quercia.

Egli era dunque partito, dopo soli due anni di matrimonio, lasciando suo Vicario donno Michele Zanche, e presso Adelasia, forse per sorvegliarla e spiarla, una giovine camerista tedesca che egli aveva portato, con altro [p. 298 modifica]personale di servizio, dalla corte paterna. Adelasia non amava questa donna, dall’aspetto maschio e dai piedi enormi; tuttavia la prese con sè nell’esilio volontario nel castello del Goceano, e le affidò la bambina, Elena, nata dalle nozze con Enzio.

Nella nuova dimora ella scelse, per abitarvi, le camere più alte, e fin dal primo giorno s’affacciò alla finestra dalla quale meglio si dominava la strada che dal castello scendeva alle terre del Goceano e si perdeva attraverso le valli del Logudoro.

Aspettava il ritorno di Enzio. E fin dal primo giorno vide alla finestra attigua la testa rossa quadrata di Gulna. Con la piccola bionda Elena fra le braccia, anche Gulna, la serva straniera, aspettava il ritorno del suo signore.


*


La strada, che ai piedi del colle roccioso di Burgos si restringeva quasi in un sentiero, arrampicandosi fra le pietre e i cespugli fino allo spiazzo del castello, era quasi sempre deserta: gli occhi tristi della Regina non cessavano tuttavia di fissarne le lontananze, e se qualche cavaliere vi appariva, il cuore di lei palpitava come quello di una fanciulla al suo primo [p. 299 modifica]convegno di amore. Ma il cavaliere era spesso un paesano che viaggiava sul suo ronzino, o un armigero in perlustrazione. Anche di notte, nelle chiare notti solitarie, ella si affacciava alla finestra; poi, sola nel suo grande letto vedovile, vedeva ancora la strada che ormai le pareva appartenesse alla sua stessa persona, come le vene delle sue braccia, come la treccia che le scendeva fino al cuore; la vedeva anche nel sonno, come si partisse dai suoi occhi e scendesse al mare, e attraversasse il mare, strada di desiderio e di vana speranza, fino a raggiungere il giovine sposo. E quando al mattino i lentischi e i macigni del sentiero brillavano di rugiada, a lei pareva di averli bagnati con le sue lagrime.


*


Un giorno finalmente un gruppo di cavalieri autentici animò la solitudine del luogo. Uno dopo l’altro salivano il sentiero: le loro vesti di velluto mettevano note di colore nel grigio e nel verde triste del paesaggio, le loro voci ne scuotevano il silenzio. Uno di essi domandò udienza alla Regina. Gulna, insolitamente pallida, si piegò fino a terra davanti a lui, poi lo condusse senz’altro dalla sua Signora. [p. 300 modifica]Era il Vicario, donno Michele Zanche. Giovane ancora, nero ed aquilino, egli zoppicava d’un piede, ma non nascondeva, anzi pareva esagerasse questo difetto, tanto sapeva di piacere egualmente alle donne. La fama, infatti, già lo diceva amante della madre di Enzio, Bianca Lancia, concubina dell’imperatore, e la stessa Adelasia dimostrava grande simpatia per lui.

Infatti, nel riceverlo, s’era animata e fatta bellissima. I suoi occhi splendevano come i due diamanti del fermaglio che Enzio, il giorno delle nozze, le aveva allacciato sulla veste, fra seno e seno, per chiuderle il petto ad ogni altro amore che non fosse quello per lui.

E questi occhi vedevano, nel Vicario nero che aveva il viso rapace e lo sguardo nemico, quasi un messaggiero alato, biondo e bello come lo stesso Enzio: poichè notizie di Enzio egli le portava.


*


— Il nostro Re sta bene. Combatte da prode e nelle soste si diverte e combina canzoni d’amore. Una è giunta fino a noi, e noi l’abbiamo imparata a memoria per ripeterla alla nostra Regina. La ripeteremo dopo aver parlato degli affari del Regno.

Parlarono degli affari del Regno, che [p. 301 modifica]andavano molto bene, sotto il vigoroso dominio di lui, soprattutto riguardo a lui, che vendeva favori e accumulava denari per conto suo: Adelasia approvava tutto, si compiaceva di tutto, ma il suo viso impallidiva come al cadere della sera. Poichè ella pensava che i versi d’amore del suo Enzio non erano certamente per lei, e ch’egli forse non sarebbe tornato mai più.


*


Eppure continuava ad aspettare, e le visite del Vicario le riuscivano crudelmente gradite. Rompevano in qualche modo il suo monotono dolore, e le notizie dell’infedele Enzio, anche dopo ch’egli s’era unito ad un’altra donna, le ravvivavano il sangue.

Donno Michele si divertiva a tormentarla, a vederla soffrire: un giorno però la trovò fredda e insensibile come già morta.

Anche lui, sebbene dentro si sentisse una letizia d’avvoltoio che piomba sulla preda, finse tristezza.

— Il nostro Re....

Adelasia sapeva già la notizia, portata da Gulna. Enzio era stato fatto prigioniero in battaglia e chiuso per sempre in un palazzo di Bologna. [p. 302 modifica]


*


Da venti anni la Regina viveva nel castello del Goceano, e neppure le visite di Michele Zanche la interessavano più. La figlia Elena s’era sposata e viveva lontano. Spento ogni raggio di giovinezza intorno a lei e dentro di lei, Adelasia viveva come in un lungo crepuscolo: tuttavia si sentiva sempre meno infelice, raccogliendosi e ripiegandosi in sè come il fiore che nell’appassire si chiude intorno al suo seme.

Non usciva più dalla sua camera, inginocchiata a pregare sotto il grande azzurro della finestra, e non voleva essere servita che da Gulna.

Gulna la serviva, premurosa, sebbene in apparenza sempre dura e fredda. Non parlavano mai. Solo, una sera, Adelasia sentì il bisogno di confidarsi e raccomandarsi a lei. Era d’autunno e già da qualche giorno la Regina provava un senso di languore e di stanchezza: non soffriva, però, anzi, sdraiata sul suo grande letto coperto di un drappo a fiori, le pareva di navigare, incorporea, in una atmosfera nuova. I primi venti di autunno avevano purificato l’aria, e dalla finestra il cielo appariva altissimo, con solo qualche nuvola d’oro e di [p. 303 modifica]scarlatto che ricordava alla Regina il colore dei tulipani e dei garofani di Persia che Enzio, nei giorni delle nozze, aveva fatto venire, con altre raffinatezze delle corti di oltre mare, alla semplice reggia d’Ardara.

Ricordi. Ricordi andavano, ricordi venivano, ma tutti oramai addolciti dal distacco, galleggianti anch’essi in quell’atmosfera irreale che circondava la Regina.

Gli stessi mobili, nella vasta camera già vellutata d’ombra, mutavano aspetto; specialmente le grandi arche nere scolpite che racchiudevano il corredo di lei. Su una di queste la luce della finestra stendeva una patina d’argento; e i colombi, le palme, i fiori del melagrano, il calice sacro e la croce che vi erano scolpiti, prendevano, agli occhi di Adelasia, quasi colore e movimento.

Un sorriso rischiarò anche le sembianze di lei, che avevano già la marmorea serenità della morte.

Chiamò Gulna. Gulna, che vegliava dietro l’uscio, entrò, alta e nera, ma coi capelli rossi ancora fiammanti e gli occhi pieni di azzurro. Si piegò inchinandosi davanti al letto della Regina e attese gli ordini.

— Gulna, apri la cassa lunga, e fammi vedere il vestito di Enzio.

La donna obbedì; nel sollevare il coperchio pesante dell’arca le grandi mani le tremavano [p. 304 modifica]alquanto, per la prima volta; poichè per la prima volta la Regina aveva, in presenza di lei, chiamato il Re col suo dolce nome.

Un velo copriva le robe dentro la cassa: ella lo sollevò e parve che il velo stesso del tempo si aprisse per lasciar risorgere il passato.

— Gulna, avvicinati alla finestra e fammi vedere bene.

Gulna obbedì, lentamente traendo e spiegando contro luce i brani del fantasma luminoso. Erano le vesti di sposo di Enzio; e i loro colori rinnovavano nella grande camera triste quelli della festa nuziale.

Dapprima fu il giustacuore di velluto in colore del giaggiolo, poi un farsetto vermiglio che pareva di donna; i calzoni di maglia di seta verdone, e il berretto dello stesso colore; i calzari a punta ricurva, lo stiletto e la cintura: infine due ali scure si aprirono sul pallore della finestra: era il lucco del giovine Re.

Adelasia chiuse gli occhi prima che la visione sparisse; sentì Gulna che rimetteva le cose a posto, le ricopriva col velo, chiudeva l’arca. Il passato tornava nella sua tomba, e adesso si spalancavano le porte del grande avvenire.

— Gulna — disse, quando la donna si fu ripiegata davanti al letto; — anche tu lo hai amato, anche tu lo hai atteso e pianto. Sei rimasta presso di me per respirare nel mio [p. 305 modifica]amore ancora qualche cosa di lui, ma soprattutto per obbedire a lui. Obbedisci ancora: sorveglia perchè non mi si tolga dal petto il sigillo che egli vi ha fermato.

Si coprì con una mano il fermaglio; l’altra porse alla donna che la baciò piangendo.

Seicento anni dopo i due diamanti furono trovati nella tomba di Adelasia: il corpo di lei s’era disciolto, ma il suo amore viveva ancora.


FINE.