Il giuoco delle parti/Atto III

Atto III

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Atto II

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ATTO TERZO

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La stessa scena dell’atto precedente. È l’alba del giorno dopo.

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SCENA PRIMA

Filippo, il dottor Spiga.

Al levarsi della tela, la scena è vuota e quasi buja. Si sente sonare il campanello.

Filippo (venendo fuori dall’uscio a sinistra e traversando la scena). Chi diavolo sarà a quest’ora? Si comincia bene!

Esce per l’uscio a destra e rientra poco dopo in iscena col dottor Spiga in stiffelius e cappello a stajo, sovraccarico di due grosse, pesanti borse da viaggio, piene d’un intero armamentario chirurgico.

Spiga. Ah, dorme ancora?

Filippo. Dorme. Parlate piano.

Spiga. Piano piano, sí. Perdio, dorme! E io non ho chiuso occhio tutta la notte!

Filippo. Per lui?

Indica l’uscio in fondo.

Spiga. Per lui... cioè, per pensare a tutto...

Filippo. E che avete costí?

Indica le due borse.

Spiga. Tutto, tutto ti dico.

S’avvicina alla tavola su cui è stesa la tovaglia.

Su, su, porta via questa tovaglia...

Filippo. Che dite?

Spiga. Ci ho qua la mia...

La cava fuori da una delle borse. È una tovaglia chirurgica, di tela cerata bianca.

Filippo. E che vorreste farne?

Spiga. Preparo tutto qua...

Filippo. Questa tavola voi non la toccate! L’apparecchio io per la colazione! [p. 594 modifica]

Spiga. Ma che colazione! Lèvati! Altro che colazione!

Filippo. Vi dico di non toccarla!

Spiga (volgendosi verso la scrivania). Sgombrami quest’altra, allora!

Filippo. Voi scherzate! Non capite che queste due tavole qua parlano?

Spiga. Ma sí, lo so! Non ripetermi quel che dice lui! Due simboli: scrivania e tavola da pranzo; libri e stoviglie; il vuoto e il pieno. Non capisci tu, piuttosto, che tutte codeste diavolerie, da un momento all’altro, possono andare a gambe all’aria?

Filippo. Oh, insomma, gli avete anche ordinato la cassa da morto? Mi parete una direttore di pompe funebri!

Spiga. Bestia! Dio, che bestia... M’hanno detto che si va vestiti cosí... Ma guarda un po’! Dio solo sa che notte ho passato...

Filippo. Parlate piano!

Spiga (piano). E debbo anche combattere con lui. Sbrígati! Sparecchiami almeno qua quest’altro tavolino. Non ho tempo da perdere...

Filippo. Ah, per questo non ho difficoltà. Ci vuol pocol

Ne toglie via un portasigari e un vaso di fiori.

Eccolo sgombrato.

Spiga (vi stende la tovaglia che ha ancora sospesa in mano). Oh, finalmente!

E ora, mentre il dottor Spiga trarrà dalle due borse e disporrà qua sul tavolino, su cui avrà steso la tovaglia, i suoi lucidi, orribili strumenti chirurgici, Filippo, uscendo e rientrando per l’uscio della cucina, apparecchierà la tavola da pranzo.

Bisturi per la disarticolazione... coltelli interossi, pinze... sega ad arco... tenaglie... compressori...

Filippo. Ma che volete farne, di codesta macelleria?

Spiga. Come che voglio farne? Alla pistola! Non capisci che se, Dio liberi, prende una palla in corpo, possiamo anche trovarci a un caso d’amputazione? Una gamba... un braccio...

Filippo. Ah, bravo... E perché non avete portato con voi anche la gamba di legno? [p. 595 modifica]

Spiga. Caro mio, armi, non si sa mai! Ho portato questi altri strumentini qua... per l’estrazione... Esploratore... specillo di Nélaton... tirapalle a forbice. Oh, guarda, modello inglese, bellissimo! Oh, e gli aghi?

Cerca nella borsa:

Ah, eccoli qua... Mi pare che ci sia tutto.

Guarda l’orologio.

Sono le sei e venticinque, sai? A momenti i padrini saranno qua.

Filippo. E che me n’importa?

Spiga. Ma non dico per te. Lo so che a te non te ne importa. Dico per lui. Se non s’è ancora svegliato.

Filippo. Questa non è l’ora sua.

Spiga. E che vorresti tenerlo in orario anche oggi? Se è puntato per le sette!

Filippo. Vuol dire che ci penserà lui a svegliarsi, ad alzarsi, a vestirsi... Forse si sarà già alzato.

Spiga. Potresti andare a vedere!

Filippo. Non vado a vedere un corno! Io sono il suo orologio delle giornate solite, e non mi metto né in anticipazione né in ritardo d’un minuto. Sveglia: alle sette e mezzo!

Spiga. Ma non sai che alle sette e mezzo, oggi, Dio liberi, potrebbe esser morto?

Filippo. E alle otto gli porto la colazione!

Si sente sonare alla porta.

Spiga. Ecco, vedi? Saranno i padrini.

Filippo va ad aprire e rientra poco dopo con Guido Venanzi e Barelli.

SCENA SECONDA

Spiga, Filippo, Guido, Barelli.

Guido (entrando). Oh, caro dottore...

Barelli (c. s.). Buon giorno, dottore.

Spiga. Buon giorno, buon giorno.

Guido. Ci siamo?

Spiga. Io per me, prontissimo. [p. 596 modifica]

Barelli (ridendo alla vista di tutto quell’armamentario chirurgico disposto dal dottore sul tavolino). Oh oh oh oh, guarda guarda, Venanzi, l’ha apparecchiato davvero!

Guido (irritato). Perdio, no! Non c’è niente da riderel

A Spiga:

L’ha visto?

Spiga. Chi? Scusi... Quod abundat non vitiat...

Guido. Le domando se Leone ha visto questo bello spettacolo qua.

A Barelli:

Tu capisci che ha bisogno della massima calma, e...

Spiga. Ah, nossignore! Non ha visto ancora niente.

Guido. E dov’è?

Spiga. Mah... pare che non si sia ancora alzato.

Barelli. Come?

Guido. Non è ancora alzato?

Spiga. Pare, dico, non so... Qua non s’è fatto vedere.

Guido. Ma perdio, subito! Sarà alzato, di sicuro. Ci manca appena un quarto d’ora!

A Filippo:

Vai subito a dirgli che noi siamo qua!

Barelli. È magnifico!

Guido (a Filippo, rimasto immobile, aggrondato). Non ti muovi?

Filippo. Alle sette e mezzo.

Guido. Va’ al diavolo!

Si precipita verso l’uscio in fondo.

Spiga. Ma sarà alzato...

Barelli. È magnifico, parola d’onore!

Guido (picchia forte all’uscio in fondo e tende l’orecchio). Ma che fa? dorme?

Ripicchia piú forte, e chiama:

Leone! Leone!

Ascolta:

Dorme ancora! Signori miei, dorme ancora!

Ripicchia, fa per aprire la porta.

Leone? Leone? [p. 597 modifica]

Barelli. Magnifico! Magnifico!

Guido. Ma che si chiude di dentro?

Filippo. Col paletto.

Barelli. E ha il sonno cosí duro?

Filippo. Durissimo. Due minuti, ogni mattina.

Guido. Ma perdio, io butto la porta a terra! Leone! Leone! Ah, ecco... s’è svegliato... Signori miei, si sveglia adesso!

Parlando attraverso l’uscio:

Vèstiti! subito! Non perdere un minuto! Noi siamo qua! Subito, perdio! Sono già quasi le sette!

Barelli. Ah, sentite, è veramente superiore a ogni immaginazione!

Spiga. E che sonno!

Filippo. Si tira su, ogni volta, come da un pozzo.

Guido. Oh, c’è pericolo che ci si rituffi?

Rivà verso l’uscio, in fondo.

Barelli (sentendo un rumore alla porta). No, ecco: apre.

Spiga (ponendosi davanti al tavolino con gli strumenti). Io paro qua.

SCENA TERZA

Detti, Leone, poi Silia.

Leone si presenta, placidissimo, ancora un po’ insonnolito, in pijama e pantofole.

Leone. Buon giorno.

Guido. Come! Ancora cosí? Ma vai subito a vestirti, perdio! Non c’è un minuto da perdere, ti dico!

Leone. Scusa, perché?

Guido. Come perché?

Barelli. Non ricordi piú che hai da fare il duello?

Leone. Io?

Spiga. Dorme ancora!

Guido. Il duello! Il duello! alle sette!

Barelli. Ci mancano appena dieci minuti!

Leone. Ho capito. Ho inteso. E vi prego di credere che sono sveglissimo. [p. 598 modifica]

Guido (al colmo dello stupore, quasi atterrito). Come!

Barelli (c. s.). Che vuoi dire?

Leone (placidissimo). Ma io lo domando a voi.

Spiga (quasi tra sé). Che sia impazzito?

Leone. No, caro dottore, compos mei, perfettamente.

Guido. Tu devi batterti!

Leone. Anche?

Barelli. Come, anche?

Leone. Ma no, amici miei! Voi siete in errore!

Guido. Vorresti tirarti indietro?

Barelli. Non vuoi piú batterti?

Leone. Io? tirarmi indietro? Ma tu sai bene ch’io sto sempre fermissimo al mio posto.

Guido. Ti trovo cosí...

Barelli. E se dici...

Leone. Come mi trovi? Che dico? Dico che tu e mia moglie mi avete scombussolato jeri tutta la giornata, per farmi fare ciò che realmente ho riconosciuto che toccava a me di fare.

Guido. E dunque —

Barelli. — ti batti!

Leone. Questo non tocca a me.

Barelli. E a chi tocca?

Leone. A lui.

Indica Guido.

Barelli. Come, a lui?

Leone. A lui, a lui.

S’appressa a Guido, rimasto allibito, con le mani sul volto, e gliene stacca una per guardarlo negli occhi.

E tu lo sai!

A Barelli:

Egli lo sa! Io, marito, ho sfidato, perché non poteva lui per mia moglie. Ma quanto a battermi, no. Quanto a battermi, scusa,

a Guido, piano, scrollandogli un’ala del bavero e pigiando su ogni parola:

tu lo sai bene, è vero? che io non c’entro, perché via, non mi batto io, ti batti tu!

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Guido (trema, suda freddo, si passa le mani convulse sulle tempie).

Barelli. Questo è enorme!

Leone. No, normalissimo, caro; perfettamente secondo il giuoco delle parti. Io, la mia: lui, la sua. Dal mio pernio io non mi muovo. E come me ragiona anche il suo avversario: lo hai detto tu stesso, Barelli, che ce l’ha con lui difatti, il suo avversario, non ce l’ha mica con me. Perché tutti lo sanno, e tu meglio di tutti, che cosa si voleva fare di me. Ah, volevate davvero portarmi al macello?

Guido (protestando conforza). Io, no! io, no!

Leone. Ma va’ là, che tra te e mia moglie qua, jeri, pareva che faceste all’altalena, e su, e giú, e io nel mezzo ad aggiustarmi e ad aggiustarvi a punto. Ah! avete creduto di giocarvi me, la mia vita? Avete fallito il colpo, cari miei! Io ho giocato voi.

Guido. No! Tu mi sei testimonio che io, jeri... e fin da principio...

Leone. Ah, sí, tu hai cercato di essere prudente. Molto prudente.

Guido. Come lo dici? Che intendi dire?

Leone. Eh, caro; ma prudente fino all’ultimo, no, non sei stato, devi riconoscerlo! A un certo punto, per ragioni che io intendo benissimo, bada (e ti compiango!), la prudenza è venuta a mancarti, e ora, mi dispiace, ne piangerai le conseguenze.

Guido. Perché tu non ti batti?

Leone. Non tocca a me.

Guido. Sta bene! Tocca a me?

Barelli (insorgendo). Ma come, sta bene?

Guido (a Barelli). Sta bene! Aspetta!

A Leone

E tu?

Leone. Io farò colazione.

Guido. No, dico... non capisci che se io ora vado a prendere il tuo posto...

Leone. Ma no, caro: non il mio: il tuo!

Guido. Il mio, sta bene. Ma tu sarai squalificato!

Barelli. Squalificato! Dovremo per forza squalificarti!

Leone (ride forte). Ah! ah! ah! ah! [p. 600 modifica]

Barelli. Ridi? Squalificato! Squalificato!

Leone. Ma ho inteso, cari miei! Rido. E non vedete come vivo? dove vivo? E che volete che m’importi di tutte le vostre... qualità?

Guido. Non perdiamo piú tempo, via! Andiamo! andiamo!

Barelli. Ma vai a batterti tu, davvero?

Guido. Io, sí! Non hai inteso?

Barelli. Ma no!

Leone. Sí, credi, tocca a lui, Barelli.

Barelli. Questo è cinismo!

Leone. No, caro: è la ragione, quando uno s’è votato d’ogni passione, e...

Guido (interrompendo e afferrando Barelli per un braccio). Vieni, Barelli! Inutile discutere, ormai! Lei, dottore, venga giú con me!

Spiga. Eccomi, eccomi!

Entra a questo punto dall’uscio a destra Silia Gala. Si fa un breve silenzio, nel quale ella resta come sospesa e smarrita.

Guido (facendosi avanti pallidissimo e stringendole la mano).Addio, signora!

Poi, volgendosi a Leone:

Addio!

Esce precipitosamente seguito da Barelli e da Spiga.

SCENA QUARTA

Leone, Silia, poi il Dottor Spiga, Filippo.

Silia. Che significa?

Leone. Ti avevo detto, cara, ch’era proprio inutile che tu venissi qua. Sei voluta venire...

Silia. Ma tu... come sei qua tu?

Leone. Sono a casa mia.

Silia. E lui? Ma come?... Non si farà il duello?

Leone. Ah, si farà, suppongo. Forse si sta facendo.

Silia. Ma come? Se tu sei qua?...

Leone. Ah, io sí, sono qua. Ma lui, hai visto? è andato.

Silia. Oh Dio! Ma allora? È andato lui? È andato lui a battersi per te? [p. 601 modifica]

Leone. Non per me, cara, per te!

Silia. Per me? Oh Dio! Per me, dici? Ah! Tu hai fatto questo? Tu hai fatto questo?

Leone (venendole sopra con l’aria e l’impero e lo sdegno di fierissimo giudice). Io, ho fatto questo? Tu hai l’impudenza di dirmi che l’ho fatto io?

Silia. Ma tu te ne sei approfittato!

Leone (a gran voce). Io vi ho puniti!

Silia (quasi mordendolo). Svergognandoti però!

Leone (che l’ha presa per un braccio, respingendola lontano). Ma se la mia vergogna sei tu!

Silia (farneticando, andando diqua e di là per la stanza). Oh Dio! intanto... Ah Dio, che cosa... È orribile... Si batte qua sotto? A quelle condizioni... E le ha volute lui!... Ah, è perfetto!... E lui,

indica il marito

gli dava ragione... Sfido! Non ci si doveva battere lui... Tu sei il demonio! Tu sei il demonio! Dov’è andato a battersi? dov’è andato a battersi? Qua sotto?

Cerca una finestra.

Leone. Sai, è inutile: non ci sono finestre che dànno sugli orti. O scendi giú, o te ne sali sui tetti... da questa parte...

Indica di su l’uscio comune.

A questo punto sopravviene pallido come un morto e tutto stravolto il dottor Spiga, entra a precipizio con grottesca scompostezza; si avventa su i suoi strumenti chirurgici preparati sul tavolino; li arrotola in gran furia dentro la tovaglia stesa, e scappa via a gambe levate, senza dir nulla.

Silia. Ah, dottore... lei?... Dica... dica... che è stato?

Con un gran grido:

Ah!

Non credendo a se stessa:

Morto?

Gli corre appresso:

Morto?... Morto?... [p. 602 modifica]

Leone (resta assorto in una cupa gravità, e non si muove. Lunga pausa).

Filippo (entra dall’uscio a sinistra col vassojo della colazione e va a deporlo su la tavola apparecchiata. Poi, nel silenzio tragico, lo chiama con voce cupa). Oh!

Come Leone si volta appena, gl’indica con un gesto incerto la colazione:

È ora.

Leone, come se non udisse, non si muove.


TELA