Il fanciullo nascosto/Il fanciullo nascosto

Il fanciullo nascosto

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Il fanciullo nascosto Il tesoro
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Il fanciullo nascosto.

Il complotto si fece, come tutte le riunioni importanti che i parenti Coìna dovevano avere fra di loro, se a queste era necessario che assistesse il nonno, appunto nella cantina del nonno Bainzone. Il nonno Bainzone era stato sempre un uomo giusto, di buona coscienza: ormai vecchio e quasi impotente passava i giorni accanto alla sua porta, come un idolo di legno messo lì a guardia della casa. Non parlava mai: passava il suo tempo a guardare e giudicare fra di sè la gente che attraversava la strada. Viveva con la figlia minore, Telène, vedova d'un ricco massaio, e col nipotino Bainzeddu figlio di lei; ma continuamente gli altri figli e i nipoti e i pronipoti lo visitavano, specialmente per chiedergli parere e consiglio in certi [p. 2 modifica] gravi casi di coscienza, salvo poi a non dargli retta. Ma il solo pensiero che egli sapeva ciò che essi volevano fare, anche se ingiusto, sopratutto se ingiusto, acquetava la loro coscienza: così se qualcuno li rimproverava essi potevano rispondere pronti: il nonno non ha detto niente. E questo bastava, per acquetare tutti. Da qualche tempo, però, il nonno non rispondeva neppure alle loro questioni: li guardava e li giudicava, fra di sè, come la gente della strada, e il suo silenzio li incoraggiava maggiormente. Tutti i giorni qualcuno di loro veniva: se la conferenza era di lieve importanza si svolgeva davanti alla porta; se no il nonno doveva alzarsi, aiutato dal parente, attraversare lo stretto androne su cui davano le porte della cucina e della domo ’e mola, la stanza della macina per il grano, scendere i sette scalini ed aprire la cantina. Nella cantina si poteva parlare con tutta libertà, senza essere ascoltati dai vicini di casa e dai passanti; e poi si beveva.

— Santone, coraggio, andiamo alla festa, — gli diceva quel giorno battendogli lievemente le dita sulle spalle e conducendolo cautamente giù per i sette scalini Antoni Paskale, [p. 3 modifica] il più bello dei nipoti, un giovane alto e forte noto a tutti per la sua prepotenza.

Seguivano gli altri, dal passo pesante. Erano tutti vestiti di nuovo, e alcuni un poco alticci perchè un pomeriggio di festa, il giorno della Pentecoste.

Il vecchio si lasciava portare, appoggiando la mano alla parete; ma il suo viso duro, nero, circondato da una grande barba giallastra che saliva fino alle tempia ove si confondeva coi capelli e con le folte sopracciglia arricciate, e i grossi occhi gonfi, nerissimi, esprimevano una resistenza interna, un diffidare cupo, irriducibile. Giunti alla porta della cantina parve esitare, prima di trarre la chiave che teneva sempre con sè; poi accorgendosi che Antoni Paskale tentava di frugargli in tasca si decise, e aprì tastando con le dita la serratura per trovarne il buco. La porta era grande e solida come un portone, fermata a metà, di dentro, con un lungo gancio di ferro arrugginito; l'altra metà si aprì, ne uscì un odore di sotterraneo, di formaggio e di vino, e apparve l'interno misterioso. Per tutti quegli uomini e quei giovani forti che seguivano il nonno, il luogo era stato sempre ancor [p. 4 modifica] più misterioso e attraente d’un ripostiglio che esisteva nella casa di uno di loro, Paulu, il primogenito del vecchio Bainzone; si diceva che questi teneva là dentro nascosto un tesoro e perciò non dava mai a nessuno la chiave; si diceva poi che chi entrava con un dispiacere ne usciva allegro, e questo era vero perchè c’era del vino forte e una provvista d’acquavite. Tutti i giovani, passando, toccarono il palo del gancio, col quale s’erano esercitati, da ragazzi, fuggevolmente, nei giorni in cui si rimetteva il vino e la porta rimaneva un poco aperta. La luce pioveva da un finestrino alto inferriato spandendo un chiarore argenteo sulle botti nere dalla faccia rossa, allineate come altrettante sorelle. Oltre le botti c’erano grandi orci e brocche, mensole, mucchi di oggetti smessi, scale a piuoli, e in un angolo un tino alto come una torre con sopra un pigiatoio a quattro anse ancora violetto di mosto.

Il primo a parlare, dopo che il vecchio sedette su uno scanno appoggiato al tino, fu Paulu il figlio maggiore, già pure lui anziano, coi capelli grigi. Gli altri si erano disposti qua e là, tutti in piedi però, chi appoggiato [p. 5 modifica] al tino ai lati del nonno, chi agli orci, coi visi illuminati da una luce vaga, lontana, che pareva più interna che esterna; un velo di pallore ove gli occhi sfolgoravano con più forte passione.

Solo Paulu dava le spalle alla luce: parlava quieto, rivolto al padre, ricordando con brevi parole la storia di una inimicizia che tormentava la famiglia. A causa di una eredità mal divisa i Coina erano in lite con certi Bellu, parenti per parte di madre: i soliti orrori funestavano le due famiglie: sgarrettamenti e uccisione di bestiame, incendi, vigne e alberi divelti. Ancora non erano arrivati al sangue cristiano, ma erano sull’orlo dell’abisso. Ambasciate con minaccie di morte andavano e venivano tutti i giorni; e il vecchio Bainzone aveva un bel vigilare la porta della sua casa onesta; le fondamenta erano rose e tutto minacciava di crollare.

— Ecco, se volete sentire l’ultima, — disse Paulu, senza mutare tono di voce, — l’avvocato ha mandato a dire che fra giorni esce la sentenza della Cassazione, che sarà favorevole a noi. Juanne Bellu, il caporione, dice che se questo sarà, troverà bene lui il [p. 6 modifica] modo di correggere la legge. E allora, padre, — aggiunse, chinandosi un poco davanti al vecchio, — questa scorsa notte mi ha segnato la porta con una croce di sangue. Il designato sono io: il primo frutto maturo a cadere sono io, il vostro figlio primogenito.

Il vecchio teneva gli occhi ostinatamente chini a terra: con le mani nere appoggiate forte agli orli dello scanno pareva ascoltasse, sì, ma aspettando un momento opportuno per alzarsi e andarsene senza rispondere. Antoni Paskale lo guardava dall’alto; poi guardò in giro i parenti e a ciascuno fece un cenno un poco beffardo di no: no, non s’illudessero; il nonno non avrebbe mai acconsentito.

— Non c’è che un mezzo per salvarsi, — riprese il primogenito, chinandosi ancora di più sopra il vecchio, — far mettere dentro Juanne Bellu, finchè esce la sentenza: così, se sta all’ombra, non si scalderà tanto.

Gli altri risero; il nonno non sollevò neppure gli occhi.

— Adesso ve lo dico, padre: ma non vi arrabbiate. Facciamo una cosa....

D’improvviso si sollevò senza poter proseguire: parve scoraggiato dall’attitudine del [p. 7 modifica] padre, e anche lui accennò di no. Forse la cosa pareva anche a lui impossibile. Ma Antoni Paskale aggrottò le sopracciglia, come per una minaccia, finta però; e con la mano sull’omero del nonno gli si chinò un po’ all’orecchio, dicendo con voce di scherzo:

— Nascondiamo Bainzeddu....

Il vecchio dovette capire subito di che si trattava perchè arrossì e alzò l’omero per scacciar via con disprezzo il nipote: questi però calcò meglio la mano, e si sollevò scuro in viso. All’occorrenza era uomo da non esitare a essere forte anche contro il nonno testardo....

— Be’, — riprese conciliante Paulu, — intendete di quello che si tratta, babbo! Non sono poi cose del diavolo! Nascondiamo dunque Bainzeddu spargendo la voce che dubitiamo ci sia stato preso e nascosto da Juanne Bellu, per vendetta. Juanne viene messo dentro. Intanto arriva la sentenza, e lui, dentro, come dicevo, ha modo di masticare il pane del re e accorgersi che è molto duro. Avete inteso?

Il vecchio aveva finalmente sollevato gli occhi lucidi e duri come perle e guardava [p. 8 modifica] suo figlio; due volte allungò l’indice verso di lui, due volte le sue labbra violacee tremarono fra la barba bianca; ma non pronunziò parola: riabbassò la testa e tornò a fissare l’ombra ai suoi piedi.

— Il ragazzo, s’intende, lo prendo con me, in casa mia, — concluse Paulu intimidito. — Ho quel luoghicino....

— Eh! Eh!

Qualcuno raschiò, qualche altro tossì; tutti sapevano del famoso nascondiglio nella casa di Paulu; una casa antica che sua moglie aveva ereditato da uno zio ch’era stato lunghi anni bandito e s’era scavato quel nido come una talpa. Dunque non c’era da temer nulla per il ragazzo, che anzi avrebbe preso gusto a stare nascosto in quel «luoghicino». Eppure Antoni Paskale, per spirito di contraddizione cominciò a dire:

— Per me, lo porterei all’ovile, al monte, all’aria aperta: c’è modo di nasconderlo meglio lassù. Una volta, ricordate, babbo grande, stetti nascosto una settimana nelle grotte di Punta Marina; avevo otto anni! C’è acqua d’argento, là dentro, e il vento che brontola come in casa sua. Mentre una volta che [p. 9 modifica] sono entrato nel buco di casa vostra, ziu Pà, ho starnutito come un gatto.

Ridevano tutti. Un cugino, senza sollevarsi dall'orcio a cui stava appoggiato, domandò coscienziosamente se la madre del ragazzo sapeva del progetto e lo approvava.

— Lo sa! Lo sa! — disse con accento di noia un altro. — È una donna, Telène!

— E chi dice che è un uomo?

Pareva che, in fondo, non tutti fossero pienamente d'accordo: sapevano tutti, in fondo, che zio Paulu sotto la sua calma nascondeva una rabbia tremenda per quella croce di sangue trovata sulla sua porta e che cercava un pretesto qualunque per far mettere in carcere Juanne Bellu. Si prestavano al gioco pericoloso di lui, ma la coscienza li morsicchiava un poco, senza che essi vi badassero poi tanto, li morsicchiava lievemente come un gatto che scherza.

— Allora restiamo intesi così; voi, babbo, non fate osservazioni: è una cosa, poi, che farà bene a tutti. Io, stasera, mando mia moglie a prendere il ragazzo, o lo manda sua madre da noi per qualche commissione. Vedrete che la storia farà bene a tutti, così Dio [p. 10 modifica] mi giudichi, — concluse cacciando i pollici nella cintura e sollevando il viso con soddisfazione. Gli pareva già di vedere il nemico legato e vinto. — È una cosa che farà bene a tutti.

— Allora, zio, tocchiamo il polso a quella donna panciuta.

La donna panciuta era la botte ove si conservava il vino migliore. Uno dei giovani andò e lasciò cadere il vino rosso spumante in una mezzina, e da questa cominciò a versarlo in un bicchiere che porse allo zio. Qualcuno lo spingeva di dietro e il vino traboccava sgocciolando fino a terra; gli altri giovani si davano dei pugni per scherzo e due cugini che si volevano molto bene stavano a guardare con le braccia gettate l'uno sul collo dell'altro. Antoni Paskale non aveva mai levato la mano dall'omero del nonno; questi però, quando il figlio gli offrì a sua volta il bicchiere sgocciolante, tornò a sollevare gli occhi; guardò Paulu dalla testa ai piedi e dai piedi alla testa, con le sopracciglia che gli tremavano per lo sdegno; poi si alzò dando un ansito che fece ammutolire tutti. [p. 11 modifica]

*

Cadeva la sera ed egli stava seduto davanti alla porta, silenzioso e accigliato. Dentro si sentiva ancora il rumore monotono della macina del grano e la voce esile di Telène che di tanto in tanto aizzava l'asino intorno alla mola: si lavorava ancora, dentro, sebbene fosse quasi sera e sera di festa.

Fuori, ad una estremità e all'altra della strada dritta, animata in quell'ora da torme di ragazzi, si vedevano due cime di monti, nera quella a destra sullo sfondo rosso del crepuscolo, azzurra quella a sinistra, sul cielo pallido, con una grande luna d'oro sopra. Ma come nelle altre sere Bainzeddu, con le sue brachine sporche e il corpettino di velluto lacerato, non si staccava dal gruppo degli altri ragazzini per avvicinarsi al nonno e cercare di strappargli il bastone con ambe le manine aspre, facendo forza indietro, coi bei dentini stretti e i grandi occhi azzurrognoli scintillanti sotto la frangia dei capelli selvaggi. [p. 12 modifica]

Il nonno però non s’inquietava; pareva sapesse che il ragazzo era già nascosto e aspettasse la fine dell’avventura. In tutto il pomeriggio non aveva aperto più bocca; neppure quando venne la nuora, sul tardi, per prendere il ragazzo, disse una parola.

Il ragazzo non c’era.

La madre, piccola e affaticata come una servetta, si affacciò alla porta per chiamarlo.

— Baì? Bainzè?

L’asinello, dentro, si fermò ascoltando. Il ragazzo non rispose. La madre tornò nella cucina, andò nel cortile, salì nelle camere di sopra.

— Bainzè? Bainzeddu?

Nessuno rispondeva.

Fu di nuovo chiamato nella strada, verso il monte nero a destra, verso il monte azzurro a sinistra: ogni volta l’asinello si fermava ascoltando, e nel silenzio della mola la voce della madre risuonava più forte.

Accorsero i ragazzi della strada, poi quelli dell’altra strada ancora; le donne si affacciarono alle porte e ai ballatoi; scesero e s’accostarono al nonno coi bambini lattanti in braccio. [p. 13 modifica]

Nessuno aveva veduto Bainzeddu; o, sì, tutti l’avevano veduto, chi la mattina, chi nel pomeriggio, chi pochi momenti prima, chi sopra un cavallo di canna, chi con una trottola in mano. Ma, per il momento, nessuno sapeva dove fosse. Le donne, si sa, cominciarono subito a fantasticare; i ragazzi ascoltavano curiosi, col dito dentro il naso; i bambini lattanti, profittando dello smarrimento generale, facevano il fatto loro tentando di strappare i bottoni della camicia o gli orecchini o anche i capelli delle loro mamme: solo il nonno guardava tranquillo, anzi con una lievissima aria di ironia: guardava e giudicava tutti, anche i lattanti.

Anche la piccola madre d’un tratto s’acchetò. Sapeva cosa pensare. Bainzeddu era già stato nascosto da Paulu, e la cognata era lì, alta e lieve, col bel viso giallo, composta e fredda come una santa di cera, con le mani entro le spaccature del davanti della gonna; era lì per cominciare la commedia. Era una donna brava a fingere, la cognata: non tutti però lo sapevano. Eppure la madre non potè resistere dal dire:

— Sarà venuto da voi, il mio Bainzeddu, [p. 14 modifica] — e quando la cognata l’assicurò, davanti a tutti, che da tre giorni non vedeva il ragazzo, pensò: «Come sa fingere bene!»

Lei non sapeva fingere così bene; era sicura che Bainzeddu stava dallo zio, tuttavia cominciava a sentire un misterioso tumulto in fondo al cuore.

— Babbo, babbo, — disse attaccandosi al vecchio, — l’avete mandato voi per qualche commissione da Paulu?

Egli alzò sdegnoso e infastidito l’omero per scacciarla come aveva fatto con Antoni Paskale, e movendo appena le labbra le disse una sola parola, ma una sola parola così atroce che la fece arrossire e drizzare sulla schiena.

Nella sua vergogna davanti a tutti ella comprese solo che aveva fatto un’imprudenza bestiale a chiedergli, davanti a tutti, se il ragazzo era stato mandato dallo zio. Nel suo segreto, però, in fondo all’anima, sentì qualche cosa di oscuro, un pentimento che non era solo per l’imprudenza commessa. Certo, nascosto; ma non bisognava dirlo; bisognava saper fingere, ed ella si sforzò a fingere il ragazzo era stato mandato dallo zio e là [p. 15 modifica] bene come la cognata, ricominciando a chiamare il ragazzo, avanzandosi di qua e di là per la strada, affacciandosi a tutte le porte è ai muricciuoli degli orti. E pure essendo oramai certa che il figlio era ben nascosto e contento nel famoso nascondiglio, provava angoscia a non ritrovarlo. La coscienza le balzava su, anche a lei, a morsicchiarla a tradimento come un gatto che gioca e poi si stanca di giocare e morde sul serio.

La gente tutta usciva sugli usci: domande fra curiose e ansiose correvano da un capo all’altro delle strade. Le donne chiamavano i loro ragazzi, paurose che anche essi fossero scomparsi. E la piccola madre, seguita dalla grande cognata il cui viso d’ambra s’era un poco sbiadito, afferrava i ragazzi al passaggio e domandava loro:

— Hai veduto il mio Bainzeddu?

Tutti lo conoscevano e lo avevano veduto: uno disse candidamente che forse era caduto nel pozzo, un altro che forse era giù in fondo al ciglione dietro la chiesa, dov’era il nido della civetta.

— Andiamo a cercarlo. [p. 16 modifica]

Andarono. E lo chiamarono dall’alto del ciglione; poi i più grandicelli e i più svelti scesero. Vi fu un momento di silenzio, durante il quale si udì distintamente giù nella valle l’usignuolo che cantava con tante variazioni che pareva fossero otto usignuoli.

La luna illuminava l’erba di velluto; e il parapetto dello spiazzo della chiesa, sull’alto del ciglione sembrava una montagna, con tutte le teste nere delle donne affacciate sul cielo d’argento. La madre e la cognata si spingevano a guardare dall’interstizio per lo scolo delle acque, in una posizione pericolosa: e aspettavano serie come se davvero i ragazzi dovessero ricondurre su Bainzeddu tenendolo per le braccia.

D’improvviso un uomo arrivò di corsa: si sentiva il suo ansito e qualche cosa battere entro le sue tasche. Si fermò di botto dietro le donne.

— Ebbene? E cos’è stato? Dov’è il ragazzo?

— È stato che è scomparso e non si trova. Antoni Paskà! — disse la madre con rimprovero, pure guardando l’uomo in attesa ch’egli ammiccasse per rassicurarla. [p. 17 modifica]

Egli non ammiccò ed ella, d’un tratto, si mise a urlare chiamando il figliuolo.

— Me l’hanno portato via, — gridava. — Me l’hanno nascosto i nemici. Che le loro viscere siano arse come stoppie!...

— Se qualcuno ha toccato il ragazzo guai all’ultimo dei suoi capelli, — minacciò Antoni Paskale, levandosi la berretta e sbattendola contro il parapetto. — Donne, ritiratevi, ci penserò io.

— Come sa fingere bene! — pensava la madre, e per fingere bene anche lei, imprecò più forte.

La gente, intanto, accorreva da tutte le parti e un nugolo di ragazzi si versò sul ciglione, giocando e ridendo e chiamando Bainzeddu.

— Ti sei nascosto sotto una pietra?

— Ti ha mangiato la lucertola?

Ma le madri li chiamarono, colte a poco a poco da una vera angoscia, e quelle che riuscivano ad afferrare per mano i loro ragazzi li riconducevano a casa come se un pericolo li minacciasse. Una donna osò finalmente pronunziare un nome.

— Juanne Bellu, squartato sia.... [p. 18 modifica]

Seguì un altro momento di silenzio generale; e di nuovo si sentì il canto dell’usignuolo.

Antoni Paskale spinse le zie per le spalle, verso casa, imponendo loro di tacere. E tutti, donne e ragazzi, seguivano, per la strada erbosa, neri alla luna come un gregge di ritorno dal pascolo.

*

A notte alta la madre e due vecchie parenti stavano nel cortile della casa, col portone socchiuso, aspettando. Il nonno s’era accovacciato sulla stuoia, in cucina, all’ombra del forno grande simile ad un nuraghe; e non si moveva, ma di tanto in tanto mugolava lievemente, come un mastino che prevedesse un assalto di nemici alla casa.

Il ragazzo non era ricomparso; e a poco a poco una strana follia aveva preso la madre. Ella credeva sempre che il cognato Paulu avesse nascosto Bainzeddu, come s’era d’intesa, ma che tutti fingessero, intorno a lei, per costringerla a rappresentare meglio la sua [p. 19 modifica] parte di madre disperata. E nello stesso tempo sentiva d’ingannarsi e il dubbio, anzi a momenti la certezza, che il ragazzo fosse scomparso davvero le toglieva la ragione. Allora un senso di vertigine la investiva; ma nel turbinìo dei pensieri uno gliene rimaneva fermo come un pernio intorno al quale si aggiravano tutti gli altri: che Dio la castigasse con quel terrore della sua malvagità di aver acconsentito all’intrigo infernale dei parenti.

Il peggio è che le donne rimaste con lei non sapevano nulla di questo intrigo ed erano convinte che Juanne Bellu avesse nascosto il ragazzo: e una proponeva alla madre di andare subito dalle autorità a denunziare il colpevole, e l’altra invece di supplicarlo a restituirle subito il figliuolo.

Ella già si rifugiava un poco in quest’ultima idea quando arrivò Antoni Paskale. Non correva, adesso, Antoni Paskale, ma il rumore dei suoi passi aveva qualche cosa di minaccioso. Si sentivano i chiodi dei suoi scarponi battere sul selciato; spinse con violenza il portone, e il suo viso, alla luna chiara come un sole d’argento, apparve bianco di dolore e d’ira repressa. La madre lo guardò e sentì [p. 20 modifica] freddo al cuore: sentì che il ragazzo era scomparso davvero. Da quel momento fu vinta da un delirio d’angoscia. Uscì nella strada e guardò qua e là, poi si mise a correre: Antoni Paskale la rincorse, l’acchiappò come una farfalla, con due dita sole, la riportò nel cortile, chiuse il portone, la spinse in cucina e chiuse la porta. Ma non si poteva parlare bene perchè le parenti erano di fuori e ascoltavano.

— Nonno, — disse il giovane, — datemi la chiave di cantina: devo parlare con questa pazza: e venite anche voi, se volete.

Il vecchio, insolitamente, non fece resistenza; appoggiò la mano aperta alla stuoia e si alzò, nero, pesante, seguendo il nipote che aveva preso di sopra il forno il lumicino d’ottone; e scesi i sette scalini aprì.

Apparve la cantina, nera e fredda come una miniera: si sentiva il rosicchiare dei topi. La madre si appoggiò al gancio della porta, non potendo più andare avanti, ma cominciò a gridare inviperita:

— Se non mi dite subito la verità vado dalla Giustizia e dico tutto, e faccio buttare giù la casa di Paulu, che sia maledetta fino [p. 21 modifica] all’ultima pietra. Ditemi subito che il ragazzo è là: dimmelo subito, Antoni Paskà; ti dico di dirmelo!

I suoi occhi fosforescenti sembravano davvero quelli d’una pazza, tanto che il giovane, spaventato, ebbe per un attimo l’idea di dirle che il ragazzo era nel nascondiglio di zio Paulu; poi scosse vigorosamente la testa e affermò la verità.

— È inutile fare scandali, donna! Il ragazzo non si trova in nessun posto.

Ella cadde lunga distesa, col viso a terra, rigida come una spada; ma non era svenuta: piangeva e domandava perdono a Dio.

— Signore, Signore! Voi mi castigate bene. È giusto, è giusto.... E voi, babbo, uccidetemi.... passatemi sulla schiena col vostro calcagno....

Il vecchio guardava, nell’ombra, grande, con la sua barba lunga, terribile eppure umano come il Dio vendicatore dell’Antico Testamento. E Antoni Paskale non si vergognava di tremare, con un senso di freddo nelle ossa, ancora in sudore per le lunghe corse inutili fatte in ogni angolo del paese, e le ricerche nei pozzi e nei dintorni. Anche lui [p. 22 modifica] imprecava a bassa voce contro zio Paulu; e l'idea che i Bellu, saputo dell'intrigo, avessero fatto a tempo a nascondere davvero il ragazzo, per burlarsi più che per vendicarsi degli avversarî, gli dava un tremito d'umiliazione rabbiosa.

— Alzati, — ordinò alla donna, toccandole i piedi col piede, — non fare pazzie. Il ragazzo, certo, non è poi morto e lo si troverà. Bisogna piuttosto nascondere te, adesso. Alzati, perdio!

Telène si alzò a sedere, ma rimase accoccolata sul pavimento, con le spalle gonfiate da un continuo singultare infantile.

Il nonno intanto aveva cambiato posto al lume, deponendolo sopra il coperchio d'un orcio; e accanto il tino alto con le ombre delle stanghe del pigiatoio sembrava un molino a vento. D' un tratto egli battè tre volte col bastone, sul tino; e dentro i colpi echeggiarono come in una casa vuota. Allora quei due, la donna e il nipote, credettero di sognare. Il visetto diabolico di Bainzeddu si affacciava nel vuoto fra l'orlo del tino e l'arco del pigiatoio: e rideva, nell'ombra, come la luna nella notte. La madre lo guardava di giù, a [p. 23 modifica] bocca aperta, abbagliata: Antoni Paskale si curvò di qua e di là per cercare qualche cosa da buttargli contro: non trovando altro gli scagliò la berretta che rimase attaccata all’anta del pigiatoio.