Il cavalier Giocondo/Nota storica

Nota storica

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Atto V
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NOTA STORICA

Sulla data della presente commedia, che fu recitata nel carnovale del 1755 sul teatro di S. Luca, e seguì al Tasso, non esiste dubbio. L’edizione Pitteri concorda con la lettera del Goldoni al conte Arconati-Visconti, del 5 aprile ’55: solo resta da correggere le Memorie (P. II, ch. 26), le quali di pochi mesi ritardano la rappresentazione. È noto che il titolo di Cavalier Giocondo fu assunto nella stampa, l’anno 1758, chiamandosi prima la commedia, sulla scena, i Viaggiatori (v. pref.): ciò che potè far credere, per equivoco, a due componimenti diversi (Spinelli, Fogli sparsi ecc., Milano, 1885, p. 192, n. 2).

Nel Prologo precedente alla recita (edito dallo Spinelli, I. e, 192-4) l’autore si mostra soddisfatto di tornare al genere di costume che diremo familiare, dopo di aver scritto in quella stagione successivamente un Terenzio, una Peruviana, un Tasso; e fa dire alla Commedia stessa, stanca di gonfiar le gote:

          «E se talor m’innalzo, e se talor m’adomo,
          Son più contenta allora che semplice ritorno».

Dichiara quindi il suo modesto intento, non senza rivolgere una punta al Chiari, il quale sul teatro di Sant’Angelo, al seguito del Medebach, con la testa sempre più riscaldata dopo la Sposa persiana, correva ormai a precipizio da Colombo a Ciro.

               «Vedrete in questa sera parecchi Viaggiatori,
               Non Ciri, non Telemachi, guerrieri o scopritori,
          Ma varj ho qui raccolti ridicoli Soggetti,
          Perchè dei Viaggiatori si veggano i difetti,
               E apprendasi da gente, ch’è del viaggiar amica.
               Che senza un po’ di senno gettata è la fatica;
          Onde per non far ridere il Mondo a proprie spese,
          Megl’è per gl’ignoranti restare al lor Paese».
          

Allude ancora con sorriso ironico alle critiche e alle satire in verso e in prosa dei perditempo, che da un anno imperversavano; e conclude con un lampo d’orgoglio:

               «Questo della Commedia è il principale oggetto.
               Non criticar soltanto, correggere il difetto.
          Ma in tempi illuminati siamo al fine. Uditori;
          Abbiamo in tal materia dottissimi Scrittori.
               A me non è più lecito d’oprare a mio talento;
               Se manco nei precetti, rimproverar mi sento.
          Ciascun che un dì soleva essermi dolce e umano,
          Ora censor divenne, e tien le leggi in mano.
               A voi si raccomanda, non per questo atterrito,
               Chi sessantadue volte da voi fu compatito».

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Nè l’autore apparve malcontento del successo ottenuto. «El Cavalier Giocondo n’ha messo in bon prospetto» diceva il Complimento fatto al popolo l’ultima sera di quel carnovale (ed. Pitteri, IV, 348). E la lettera all’Arconati-Visconti, del 5 aprile: «I Viaggiatori mi fecero dell’onore». Si ricordino anche le parole della dedica a pag. 14, scritte nel ’58. Due anni dopo, nel capitolo per la professione di Chiara Vendramin, figlia del N. U. Francesco, accennò di nuovo agli insegnamenti morali della presente commedia:

          «Quanti imitando el Cavalier Giocondo
          Le intrae consuma, e po se fa burlar,
          Senza acquistarse un merito a sto mondo!
               Chi è nato cavalier, s’ha da trattar
          Da par soo, che vol dir con nobiltà,
          Ma senza vanità, senza strafar.
               L’onesta economia con proprietà
          Fa che in te le occasion de farse onor.
          No se deve intaccar le facoltà, ecc.».

Solo più tardi, in Francia, rileggendo il suo teatro, fu preso da disprezzo per questa commedia e si abbandonò nelle Memorie a uno sfogo contro gli editori di Torino che la stamparono. È questa una delle innumerevoli distrazioni goldoniane. Convien badare invero che il Cavalier Giocondo fu pubblicato la prima volta da Goldoni stesso, a Venezia, tre anni dopo la recita, nel t. IV del Nuovo Teatro Comico edito dal Pitteri; e che di qui lo riprodussero gli editori torinesi e bolognesi. Cadono quindi le accuse; e riesce incomprensibile per noi il lamento dell’autore, benchè si sappia che le Memorie furono scritte in tardissima età, in suolo, in lingua straniera, per gli stranieri.

Il Goldoni adunque ci si fa innanzi come il primo severo giudice della propria commedia, e questo c’importa: «La morale n’en seroit pas inutile si elle ètoit mieux conduite, si les diffèrens personnages de la pièce ètoient mieux liès et plus interessans». (l. c.) Certo era stato prevenuto dal pubblico e dagli attori, che ben presto lasciarono nell’oblio il Cavalier Giocondo. Mancano in fatti notizie di recite, se si tolga che servì a inaugurare il carnovale del 1759 sul teatro Capranica a Roma (v. G. Martucci, C. G. e il suo soggiorno a Roma, in Rassegna nazion., Firenze, 1886, p. 549; e Fr. Piovano, Bald. Galuppi, estr. dalla Riv. music., Torino, 1908, p. 74, n. 1).

Dall’oscurità volle trarlo nel 1815 a Napoli la compagnia comica Perotti, in cui faceva le prove giovanili di attore e scrittore Franc. Augusto Bon, il più fervente goldoniano dell’Ottocento, ma l’esito forse non fu buono, se la commedia non ricomparve poi nel repertorio delle compagnie veneziane (R. Bratti, Sette lettere di F. A. Bon, estr. dalla Rivista Teatr. It., Firenze, 1907, pp. 12 e 15). Tuttavia nel 1828 il dottor A. Montucci le diede posto nel t. IV della Scelta di tutte le migliori commedie di C. G., ridotte e stampate a Lipsia per uso della studiosa gioventù oltramontana. Ricordasi anche una «felicissima imitazione goldoniana», il Viaggiatore, del nobiluomo pisano Pio del Borgo (così Alfr. Segrè, Appunti di storia teatrale, in Riv. Teatr. Ital., IX, vol. 14, Firenze, 1910 p. 285). I vecchi biografi e critici non se ne curarono. Dei moderni il Guerzoni la collocò, credo a caso, insieme col Festino [p. 107 modifica]e il Gustavo Vasa, tra i drammi a contraggenio, sotto il titolo di Viaggiatori ridicoli (Il Teatro It. nel s. 18°, Milano, 1876, p. 205), se pur non alludeva al melodramma giocoso. Con dolore il Nocchi (pref. alle Comm.e scelte di C. G., Fir., Le Monnier, 1857, p. XX) vede Goldoni «abbassarsi a dettare il Poeta fanatico e il Cav. Giocondo» e ricorrere «più del dovere» a facezie «anche assai grossolane». (Così pure V. Ratti, C. G. ecc.. Asti, 1874, 21). Ferd. Galanti non vi trovò «molto pregio» (C. G. ecc., Padova, 1882, p. 233). Il Rabany scrive: «Il était difficile de rendre une piece intéressante en occupant cinq actes a montrer un ridicule aussi insignifiant que celui du principal personnage. Ce que Joconde a rapporté de ses voyages ce sont surtout des recettes de cuisine . . . Tous les hótes que Joconde accueille liberalement se plaignent de mourir de faim; des scènes entières sont remplies par leurs lamentations» (C. G., Paris, 1896, p. 359). Non l’arte, sì piuttosto la satira di chi, nato ignobile, ambisce la compagnia dei nobili, vi studiò L. Falchi: qui e nel Raggiratore; ma giudicò «più ameno» il Cav. Giocondo (Intendimenti sociali di C. G., Roma, 1907, pp. 102-3). Da ultimo il De Gubernatis, dopo riferita la «esilarante» scena con cui s’apre l’azione, osserva che «per via la commedia s’arruffa ed imbroglia un poco in scene prolisse» (C. G., Firenze, 1911, pp. 309 - 313).

Questa volta almeno il giudizio riusci, può dirsi, concorde. Ci troviamo davanti a un’opera debole: artificioso l’intreccio, il dialogo povero, la farsa invece della commedia, qualche profilo o ritratto invece di caratteri scolpiti, qualche spunto felice. Ma non vi ha componimento goldoniano che non offra, oltre l’arte, materia degna di nota. Il titolo stesso dei Viaggiatori ci richiama la passione e talora la mania nel secolo decimottavo per i viaggi, che si moltiplicarono non soltanto per tutti gli oceani, ma in Europa, fra paese e paese, non ostante la spesa, l’incomodo e i pericoli. E si dettarono libri intorno all’utilità e ai danni del viaggiare, e i viaggi nel continente diventarono presto oggetto di satira. (Vedasi per l’Italia il recente volume di A. Graf, L’anglomania ecc. in It. nel s. 18.o, Torino, 1911).

Nel Raguet (1747) di Scipione Maffei, nel Viaggiatore affettato (ed. 1754) di J. A. Nelli, si rinviene qualche poco della malattia stessa dell’eroe goldoniano; e a ragione G. Caprin (C. G., Milano, 1907, p. 279) rammentò a questo proposito il cavaliere Ernold nella Pamela, ch’era presente alla memoria del nostro commediografo, poichè nel dramma per musica intitolato Il Viaggiatore ridicolo, e scritto sulla fine del ’56 per la Corte di Parma, il Goldoni modellò su quello il cavalier Gandolfo, mentre don Fabrizio ritiene in parte i lineamenti del cavalier Giocondo, e la marchesa Foriera quelli di madama Bignè.

Quest’ultima, madama di Bignè (perchè mai «piemontese»?), è, a mio vedere, il carattere più vivo della commedia; un po’ volgaruccia, ha pur nell’indole un certo che di qualche dama del Settecento veneziano, volubile, irrequieta, imperiosa, sul tipo forse di quella Caterina Sagredo Barbarigo (v. Molmenti, Storia di Ven. nella vita priv., ecc., Bergamo, III, 1908, pp. 454 e 463: madre della bellissima Contarina) che girava tutta Italia contro la volontà del marito. Vedete come si trascina dietro quel povero cognato, e don Alessandro; vedetela quando detta le leggi del serventismo al cicisbeo infedele (se. II [p. 108 modifica]dell’atto III, a tutti nota: cfr. G. B. Pellizzaro, Sopra la comm. di C. G. «Le Femmine punt.», in Rivista Teatr. II., vol. 12, f. 8, p. 246, Firenze, 1908) e pianta in asso il cavalier Giocondo dopo di averne fatto strumento alle femminili vendette. Era madama Bignè sul palcoscenico la Bresciani, la sdegnosa «famosissima Ircana». Goldoni ripeteva sul teatro di S. Luca il suo solito giuoco: attribuiva alla prima donna la parte insulsa di madama Possidaria e per la sua prediletta scriveva la parte principale. Di che s’indispettiva il marito della vecchia Gandini: vero è che nell’estate ventura i due coniugi abbandonavano il teatro Vendramin e l’Italia.

Quanto al cavalier Giocondo di Scaricalasino e alla sua ottima consorte, hanno per la satira sociale cert’aria di famiglia con Giorgio Dandin e ancora più con M. Jourdain, i villani arricchiti di Molière, e coi moltissimi nipoti e pronipoti sulle scene francesi e italiane (v. per queste P. Toldo, L’oeuvre de Molière et sa fortune en It., Torino, 1910: aggiungo, benchè spuri, Geronte e Mandricardo nella infelicissima Sanese del Lazzarini, rec. 1727, ed. 1734). È superfluo ricordare le Femmine puntigliose (v. Nota stor., vol. IV della presente ed., p. 199) e le altre commedie goldoniane (Famiglia dell’antiq., Locandiera ecc.) dove tra la borghesia e la nobiltà scoppia la lotta: qui accontentasi l’autore di spargere il ridicolo sulla vanità dei suoi personaggi, come nel Seicento il Molière.

L’episodio amoroso della vedova Marianna e del marchese di Sana, che ha la sua conclusione alla Montagnola di Bologna in qualche scenetta settecentistica, e l’episodio casanoviano di Gianfranco e Lisaura, non riescono a fondersi nella commedia. Quel Gianfranco, quella Lisaura, personaggi per noi odiosi e romanzeschi, li abbiamo più volte incontrati leggendo le Memorie del famoso avventuriere veneziano, che proprio nel luglio del ’55 veniva condotto ai Piombi: anzi li ritrovammo nello stesso teatro giovanile del Goldoni, negli intermezzi giocosi, scritti dopo il ’34 per la compagnia Imer. La «birba», il gabbamondo, l’«avventuriere» è figura sociale di tutti i tempi, ma nel secolo decimottavo diventa più sfacciato e siede insolentemente alla Corte, nei Ministeri, e comanda. Non credo che Gianfranco facesse fortuna: forse finì alle galere, come lo zoppo Scacciati delle Memorie goldoniane; e Lisaura si sposò forse decentemente, come Margherita, la bella Veneziana. Ricordate l’idillio del dottorino Carlo, interrotto a Milano dall’arrivo dei soldati piemontesi, a Crema dalla collera del residente Bartolini e a Brescia dagli onesti scrupoli dell’animo puro? (Voi. I della presente ed., pp. 82-92 e Mémoires, P. I, ce. 30-33).

Degli altri personaggi non mette conto di parlare. La madre debole (Marianna) conoscemmo già nella Beatrice del Padre di famiglia, insieme col figlio viziato e col pedagogo (cfr. anche la Madre amorosa). Don Pedro, che nella società del Settecento veste di solito da abate, lascia da parte lo stile fidenziano che ci annoia un’ultima volta nelle commedie del Fagiuoli, e mal si adatta al suo ufficio venale; sebbene nulla si risvegli ancora in lui della generosa coscienza del poeta lombardo. Il cicisbeo Alessandro, nato a eternanamente servire, arricchisce la lunga schiera di queste ignobili figure sociali nel teatro Goldoniano e nella letteratura del Settecento.

E segno in fretta altri luoghi caratteristici, per esempio, nella prima scena, [p. 109 modifica]l’accenno ai biglietti da visita, recente moda francese (Bertarelli e Prior, Il biglietto da visita it., Bergamo, 1911, p. 24; e recensione di U. Ojetti nel Corriere della sera, 5 apr. 1911) e nell’ottava la mania della moda forestiera (cfr. le Femmine puntigliose, a. II, sc. 8, vol. IV della pres. ed.); e nella prima dell’atto quarto le lodi al collegio dei Nobili di Parma e all’«eccelso Sovrano» borbonico (pare che a bella posta si eviti di nominare il collegio di Modena), nella quarta la cucina alla moda (cfr. il Cavaliere di buon gusto, a. I, sc. 5. vol. V), nella undecima una reclame al te veneziano; e qua e là i pregiudizi della nascita e del sangue (I, 1 e 1O; III, 6): per rivolgere invece l’attenzione dei lettori alla prefazione della commedia, dove il Goldoni sembra additare il segreto del suo genio inesauribile («I caratteri non sono infiniti in genere, ma ponno essere infiniti in specie» ), quel segreto per cui potè qualche anno dopo far muovere nelle scene immortali i quattro rusteghi.

Ci resterebbe da parlare della lettera di dedica a C. I. Frugoni (1692-1768): ma il nome del poeta ligure, che dalla capitale dei Farnesi e dei Borboni signoreggiò per quasi cinquant’anni l’Arcadia nel suo secondo e ultimo periodo, e fu veramente il più gran lirico d’Italia nel Settecento, innanzi che sorgesse il Parini, lirico fecondo, musicale, sensuale, in parte originale, per quanto slombato, spropositato e sbrindellato, lirico cortigiano ed estemporaneo per eccellenza, è troppo noto, e di fama non buona. Nè questo è il luogo per dirne qualche po’ di bene (v. A. Salza, La lirica ecc. Milano, Vallardi, pp. 210-240: in corso di stampa). Goldoni, poeta di S. A. Don Filippo, gli fece omaggio; e a unire le destre di Comante e di Polissena fu gentile messaggera d’Arcadia la pastorella Aurisbe, Cornelia Barbaro Gritti. Dell’amicizia, delle gelosie, delle riconciliazioni fra i tre compastori svelarono le vicende Achille Neri, (Aneddoti goldon., Ancona, 1883, pp. 40-48) ed Emilio Bertana (Giorn. stor. lett. it., XII, 1904, f. 72, pp. 354-8; cfr. G. Ortolani. Della vita e dell’arte di C. G., Ven., 1907, cap. XV). Delle frequenti visite e del lungo soggiorno dell’ab. Frugoni a Venezia rimangono tracce nelle sue rime (v. Nuovo Dizion. Istor., Bassano, VI, 1796, p. 323; e moltissime altre biografie).

G. O.



Il Cavalier Giocondo fu stampato la prima volta a Venezia nel 1758, nel t. IV dell’ ed. Pitteri, e ristampato l’anno stesso a Bologna (Corciolani, IV), e poi ancora a Venezia, (Savioli III, 72; Zatta, cl. 3, III, ’92), a Torino (Guibert-Orgeas IX, ’76), a Livorno (Masi XXIV, ’92), a Lucca (Bonsignori XXIX, ’92) e forse altrove nel Settecento. - La nostra ristampa si attenne principalmente al testo dell’ed. Pitteri, riveduto dall’autore stesso. Valgono le solite avvertenze. Le note a piè di pagina, segnate con cifra, appartengono al compilatore della presente edizione.