Il buon cuore - Anno XIII, n. 02 - 10 gennaio 1914/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XIII, n. 02 - 10 gennaio 1914 Religione

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Biagio Pascal


Continuazione e fine del numero i.


Come egli entrò nel settimo lustro, la sua salute, che di quando in quando gli aveva lasciata qualche rara tregua, andò inesorabilmente peggiorando. Furono quattro anni di inenarrabili sofferenze, che lo separarono dal dì della sua morte.

Durante cotesto tempo, si capisce, egli non potè applicarsi al lavoro: ed il più gran rammarico che recò nella tomba fu di dover trascurare e lasciare incompleto quello stupendo libro di morale religiosa che i suoi editori, forse troppo semplicemente, intitolarono Pensées. Unica eccezione che gli venne dato di fare, fu quella mercè la quale egli risolse, in una lunga notte insonne, tanto per trovare, come egli disse, una distrazione ed un sollievo ai suoi dolori fisici, i problemi inerenti alla cosidetta cicloide, che, in linguaggio scientifico, è la curva descritta nello spazio dal perno, di una ruota gigante sopra unì determinata linea. Era la sua imperiosa tenerezza per le matematiche, che risorgeva in lui, accasciato dal male, e che lo soccorreva presso al suo capezzale come una dolce madre.

Non potendo lavorare, egli si struggeva ogni giorno più per raggiungere quella perfezione spirituale onde voleva essere accompagnato nel breve cammino che lo separava dalla soglia di Dio. Una delle pratiche più costanti e più tormentose per lui, ad esempio,

l’assistenza che ad ogni costo voleva fosse recata ai poveri. Egli cercava di sprovvedersi di tutto quanto gli sarebbe stato necessario per, curare la propria salute; e i famigliari dovevano usargli dolce violenza, e talvolta anche l’inganno, perchè non ne soffrisse.

Intanto, la vita lo abbandonava lentamente, ogni LUIGI XIV. giorno, senza soste. Due mesi prima che esalasse l’estremo respiro, fu preso da un disgusto infinito per ogni sorta di cibo e di medicine. Continue acutissime coliche lo travagliavano, e facevano deperire il suo organismo a vista d’occhio. Ma neppure in così fatte miserande condizioni, egli volle dimenticare il suo grande amore per i poveri. Umiliandosi d’essere amorosamen- [p. 10 modifica]10

IL BUON CUORE, te assistito dai suoi cari e di avere a disposizione tutte le medicine e rimedi necessari al suo stato, mentre molti e molti altri languivano soli e senza cure, espresse insistentemente il desiderio che gli venisse portato in camera un malato povero, il quale potesse dividere i suoi agi. Non potè essere accontentato. Allora, con una maggiore insistenza, pregò che lo trasportassero lui in un comune ospedale, ove almeno avrebbe potuto essere curato insieme ad altri poveri e con l’istessc loro trattamento. Né anche ciò gli potè essere concesso. E fu con questo nuovo dolore, ch’egli si spense il 19 Agosto del 1662. Pascal fu un grande pensatore ed un grande letterato. Distinguo coteste due virtù, perché la prima è in lui più estensiva della seconda. Infatti, oltre ad essersi mostrato, egli, un profondo pensatore in ciò di cui per mercé sua si- arricchì il patrimonio letterario francese, la inesausta sete del suo cervello ce lo rappresenta come in un continuo stato di attività che è fonte di opera ben più varia. Abbiamo veduto come, fanciullo, egli abbia portentosamente esordito nelle astrusé discipline della matematica e della geometria. Fattosi adulto, l’insaziato suo bisogno di pensare lo portò su i controversi campi della filosofia e su quelli allora non’ben definiti della fisica. Infine, quando l’arco della sua maturità intellettuale toccò un eccelso vertice da ben pochi raggiunto in tutta la storia dell’umanità, egli, rinnegando quanto gli era stato sino a quel giorno oggetto di ricerca e di studio, o amaramente constatandone la folle inutilità, mise il proprio pensiero a contributo dell’arte letteraria, e questa, a sua volta, volle che servisse l’altissima imperitura causa di Dio. Nel breve riassunto della sua vita, già si è fatto cenno di lui come matematico e come geometra. Diremo ora qualche cosa della sua importanza come filosofo e come fisico, riservando da ultimo la parte che lo riguarda come letterato. Taluni hanno voluto chiamare Pascal un filosofo scettico. Ma io credo che solo erroneamente lo si possa ritener tale, sia nel senso d’uno pseudo pessimismo alla Leopardi, come in quello più elevato e trascendente alla Schopenhauer. Egli, infatti, non nega la ragione e la sua efficacia: afferma semplicemente che cotesta facoltà, pur nobilissima, dell’uomo, è troppo limitata perché non si debba credere se non a quello che ad essa,si sottomette..Una delle massime, per esempio, su cui si fonda tutto il suo incrollabile edifizio di fede, è cotesto giòjello di verità: «La dernière dé marche de la raison, c’est de connaitre qu’il y à une inllnitè de choses qui la surpassent. Elle est bien faible si elle ne va jusque là». E tanto é, secondo lui, limitata, essa ragione, ch’egli fa senz’altro risolvere la filosofia nella teologia, ’disconoscendo ogni attendibilità alla prima e lasciando invece ampiamente imperare la seconda, senza la quale afferma essere impossibile raggiungere i] concetto dell’esistenza di Dio. Infatti, Pascal, non si studia di provare cotesta sublime verità a traverso i meravigliosi effetti che ci son manifesti nella natura. Da Platone

a Sant’Agostino, a Descartes e a Bossuet, si è sempre detto: vi è un edifizio; vi sarà stato, ’dunque, il suo architdto. Egli, invece, dichiara che ’la convinzione dell’esistenza di Dio, a traverso quel •procedimento, anche • se ottenuta, sarebbe sterile ed inutile; perché essa non sussisterebbe se non durante l’istante in cui noi ci troviamo dinnanzi a si fatie prove, mentre un’ora più tardi,.potremmo temere d’esserci ingannati. Su quale proposizione, allora, fonda Pascal il convincimento dell’esistenza di Dio? Su la cosi detta regola des paris ou des partis. A supporre che Dio esiste, egli dice, voi avete tutto da guadagnare e nulla da pérdere:’ a supporre che non esiste, avete tutto da perdere e nulla da guadagnare. Dunque, supponete che Dio esiste. Né qui è il caso, continua egli, di eccepire da, talunO-che non si vuole affatto supporre nè che Dio esiste, nè che non esiste. Ciò sarebbe imposibile. Noi siamo obbligati, per la nostra stessa. natura, a cotesta supposizione, sia pure positiva o negativa. Fin qui, ciò che riguarda la convinzione dell’esistenza di Dio. Quanto alla conoscenza ’di Lui, dice Pascal, non è certo alla ragione che noi dobbiamo chie-,, derne conto. Essa è inadatta a un così arduo compito. Al cuore, noi dobbiamo rivolgerci. Infatti, conoscere Dio, equivale ad amarlo. Iddio ’è sensibile al cuore, non alla ragione. Ecco tutto il foitridamento della fede. Tale è il Pascal filosofo, nel problema che assorbiva tutto il fuoco della sua intelligenza. Darò ora. qualche cenno di lui, come fisico. • Uno dei meriti’ più geniali, a questo riguardo, è quello ch’egli ha a proposito dei voi studi sul vuoto e su la pesantezza dell’aria. Era, cotesto, un argomento che interessava tutto quanto il pensiero della scienza, e non solamente in Francia, durante la prima metà. del secolo decimosettimo. Fino al principio del 1600 si era universalmente accettata una strana massima, la quale aveva quasi finito per assurgere alla dignità ed alla autorità di un dogma: la natura, si diceva, ha orrore del vuoto. Con una si fatta formula si intendeva di significare che la natura, per una delle sue innumeri misteribse leggi, inesorabilmente dilaga e investe là ove non trova ostacolo all’incessante suo cammino. Se non che, proprio in quel tempo, nel florilegio magnifico di tante e tante superbe intelligenze che si studiavano continuamente di scoprire nuovi lumi all’umano sapere, già si era cominciato a dubitare della serietà di cotesta massima. S’era venuti alla certezza che il vuoto assoluto non esiste. Come avrebbe potuto, dunque, la natura aver orrore di ciò che non esiste? Il quesito venne casualmente, proposto a Galileo, ch’era allora matematico del Granduca Cosimo I),. Medici, per un fatto ritenuto inesplicabile ed av!venuto nei giardini del palazzo di costui a Firenze. Si voleva far giungere un getto (l’acqua sino.ad una, piuttosto grande altezza; e s’era c’onstatato.ch’esso, per quanto si facesse, non riusciva ad oltrepassare un determinato limite. Come mai? Se fosse realmente esistito il vuoto e la natura ne avesse avuto, come si diceva, orrore, ciò non avrebbe dovuto accadere. Galileo, nondimeno, rispose che in quel caso la natura aveva si [p. 11 modifica]IL BUON CUORE • orrore del vuoto, ma sino però alla precisa altezza oltre alla quale non giungeva la colonnà l’acqua nei giardini del Granduca. Cotesta spiegazióné, però, che aveva tutta l’aria di una risposta data tanto per non rimanere a bocca aperta, non convinse nessuno; e Galileo stesso meno che meno. Arrovellandosi il cervello intorno al problema, invece, uno dei suoi migliori allievi, il Torricelli,. doveva poi quasi subito trovarne la soluzione. Nel 1643, ’infatti, questo illustre eseguiva le famose esperienze con la colonnina di mercurio; e spiegava che la ragione per la quale il getto d’acqua non si elevava nei giardini del palazzo granducale oltre a una determinata altezza, era il peso dell’aria. Anche Descartes aveva fatto degli studi su l’argomento, ed era pervenuto a deduzioni molto simili a quelli del Torricelli. Pascal, nello straordinario’ acume della sua mente, e nel suo temperamento, che, come abbiam veduto, fin da giovinetto lo aveva portato verso lo studio delle scienze esatte, non poteva naturalmente rimanere estraneo a questo dibattito. Anch’egli, che, come.tutti gli altri, aveva accettata la nota massima secondo la quale la natura avrebbe avuto orrore del vuoto, la I-inneg a; ripete le esperienze del Torricelli; misura le differenti altezze della colonnina di mercurio; dimostra che esse sono proporzionali a quelle della massa d’aria che gravita su quest’ultimo; conferma, implicitamente, la teoria. dell’a pesantezza dell’aria. Fu così ch’egli scrisse i due trattati De l’équilibre des liqueurs e De la pesanteur de la masse de l’all’; nei quali dimostra come tutti gli effetti attribuiti sin’allora a quel-tal-preteso orrore-della natura, derivino semplicemente dal peso e dalla pressione dell’aria. E, venuto a questa conclusione, Pascal pensa che l’altezza della colonnina di mercurio debba essere un indice dello stato dell’atmosfera; e deduce che cdtesta conoscenza possa tornar utile per rappresentarci la condizione attuale del tempo e quella che immediatamente seguirà, o pure la diversa quota del livello del suolo. II barometro, insomma. tale è Pascal, come fisico. E se noi pensiamo alla sublime prosa dei Pensées o delle Lettres provinciales, non possiamo che rimanere storditi d’innanzi alla vastità di questa mente, che teneva in conto di semplici trastulli i problemi più ardui della scienza, e che solo S i appagava e si riempiva tutta quando giungeva a guardare oltre la soglia dell’eterno nostro mistero. ’is

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La protezione degli Italiani all’Estero L’emigrazione generale italiana sale ormai a circa 550.000 persone all’anno, delle quali 120.000 sono donne e 35.000 di esse non raggiungono 15 anni di età. Essa si dirige parte nel continente, distribuenri cni particolarmente nella Svizzera, nella Germania,

nella Francia, e parte (la maggior parte, anzi) oltre l’Oceano, principalmente nell’Argentina, nel Brasile e negli Stati Unici. Le ragazze emigrano non di rado con le famiglie — caso frequente, questo, per l’America — ma spesso, specialmente nell’emigrazione commentale, vanno fuori di patria, sole. Perchè emigrino è presto detto. Spesso è il bisogno di aiutare la famiglia o di mettere da parte qualcosa per la dote: non di rado è il desiderio di vedere paesi nuovi e nuova gente, talvolta, quello meno lodevole di essere liberei lontane dalla vigilanza dei genitori, e di poter fare vita allegra e spensierata. Non tutte sanno quello che attenderà fuori di patria; è anzi caratteristica dell’emigrante italiano il poco pensiero della vita nuova a Cui va incontro e la serenità, qualche volta incosciente, con cui affronta un passo così grave. In generale le nostre ragazze emigranti vanno a lavorare nelle fabbriche; ma qualche volta, come in alcune località della Svizzera e della Francia, fanno le cameriere di caffè o di bar, o, come nell’America, si dànno a favori agricoli o semi-agricoli nelle cascine o nelle canneries, oppure stanno a casa per dedicarsi ad un gravoso lavoro a domicilio, o aiutano la madre a tenere in casa operai pensionanti, facendo quello che con parola speciale si chiama bordo, cioè trasformando la casa in una vera locanda dove si agglomerano, in poche e mal tenute stanze, un numero inverosimile di operai a pensione. Alcune, in scarso numero, fanno le domestiche; ma non è la professione che esse preferiscono, nè sono per quella ricercate. Nella vita che fanno le nostre ragazze in questa emigrazione due cose, principalmente, còlpiscono. Una è che non di rado esse sono sottoposte ad un vero sfruttamento, perchè si chiede loro un lavoro eccessivo e sfibrante, non equamente retribuito, caso più frequente nell’America che nel continente; l’altra è il pericolo morale che esse corrono e che miete spaventevolmente vittime, sia per il modo stesso di lavoro il quale obbliga le ragazze a cattivi contatti, in certe fabbriche, nei caffè, nella vita bassissima del bordo, sia per la loro stessa leggerezza per la quale, libere dal lavoro, si dànno in braccio al divertimento, alle avventure, all’amore, sia anche per l’inganno di tristi, giacché è accertato che si fanno emigrare ragazze a puro scopo di corruzione, per essere di lucro per sozzi trafficanti. Questi due fatti, specialmente il secondo, interessano profondamente l’Opera che si intitola dalla Portezione della giovine. Delle ragazze italiane, come tutti gli emigranti italiani in generale, si può dire che sono volenterose ed attente al lavoro, resistenti anche al lavoro giornaliero prolungato, intelligenti e svelte. a Prendo le’ italiane, mi diceva un grande fabbricante svizzero di cioccolata, perchè il lavoro di una di esse è doppio di quello di una operaia di altra nazione». Quando non si sono ancora guastate sanno risparmiare anche a costo di fare vita modesta e semplice; han [p. 12 modifica]no poche pretese, sono semplici e allegre; in una parola, sono ottime operaie. Ma accanto a queste doti non sempre ne conserva l’operaia italiana altre, che in Italia non le mancano. Si lamenta, e da molti e in varie regioni, che le ragazze le quali non vivono in famiglia o negli speciali ’asili per Operaie (i Madchenheime della Svizzera della Germania) si diano facilmente alla vita libera e divengano facile preda della immoralità, e che insieme alla onestà dei costumi perdono spesso anche la fede, lantochè vi sono località di emigrazione nelle quali le ragazze disertano quasi tutte la Chiesa anche se (fatto abbastanza strano) gli uomini là frequentano ancora abbastanza. Le cause di questo stato di cose sono assai complesse: ed alcune risiedono senza dubbio nelle condizioni dei paesi ove le ragazze emigrano, i quali, presentano essi stessi pericoli gravi di corruzione per la fede e per il costume, mentre altre vanno fatte risalire fino alla non sufficiente educazione, specialmente religiosa, delle nostre ragazze ed alla loro assoluta impreparazione ad un fatto così grave come quello della emigrazione. Da coloro che all’estero osservano le non liete condizioni morali delle nostre ragazze in certe località (giacchè non per tutto è lo stesso) si deve anzi tener presente che triste, dolorosa e pericolosa è la condizione di ragazze che, nel fior della giovinezza con l’animo riboccante di sogni, di ideali e di amore, sono lanciate in un paese del quale a stento riescono a capire la lingua; e vi trovano differenze di usi, di costumi, di caratteri e non arrivano (anche superate le difficoltà della lingua) ad essere ben comprese nei loro sentimenti da persone di altre abitudini, di altre tendenze onde si trovano isolate e Sperdute, e spesso male accolte in mezzo a persone mal prevenute verso di loro. Fate che esse trovino compagne e compagni, specialmente dél proprio paese, e vedrete che esse si uniranno a loro e facilmente’ si legheranno, a loro in modo da non potersene staccare da dividerne la vita e le abitudini, anche se cattive; pensate alla fantasia calda e piena di sogni dorati della ragazza italiana, pensate all’amore del canto, del moto, del ballo che essa porta con sè dalla culla, frutto di quel mare azzurro, di quel cielo caldo, di quella campagna affascinante che la videro nascere, e intenderete come senza speciali- virtù e senza speciale assistenza sarà troppo facile che la ragazza italiana si guasti e cada quando è all’estero, senza che ciò voglia dire che essa è cattiva e porta in sè il germe della corruzione. Questo stato di cose è stato osservato da tempo in Italia. Il governo ha cercato di ripararvi con nuove e veramente notevoli leggi sulla emigrazione e sulla tutela degli emigranti in patria, in viaggio e nel luogo di destinazione. Ma anche il lavoro dei privati si è avuto, forte ed efficace, primo fra tutti quello che si inspira alla carità cristiana e ricordo qui con riverenza le opere degli illustri vescovi di

Piacenza e di Cremona; mons. Scalabrini e mons. Bonomelli, per l’assistenza degli italiani in America ed in Europa, e quella di mons. Coccolo per l’assistenza nei viaggi ultraoceanici, insieme ad ’altre che vanno nascendo ora, come l’Italica gens e il Segretariato, dolente che anche qualche istituzione di spirito anticristiano sia sorta per fare, con meno rette intenzioni, un analogo lavoro. Anche all’estero, per opera degli stranieri, sono sorte istituzioni per l’assistenza degli emigranti italiani, in particolare delle ragazze; e cito- qui con riconoscenza quella fondata nel’Baden da ’mons. Werthman, ed alcune ottime dell’America.,Cer altro, qualche anno fa, l’Opera per la protezione della’ giovane che qua e là si occupava di qualche ragazza ufficialmente ed in modo ordinario alla tutela delle ragazze italiane, oppresse da lavoro inumano o insidiate dalla corruzione; e a Basilea nel 1910, in una apposita adunanza, organizzò questa assistenza in ogni parte della terra, col dare l’incarico al Comitato nazionale italiano di prenderne la direzione. Il Comitato italiano accettò ben volentieri il nuovo còmpito, e subito, con inchieste e con viaggi dei suoi membri, riconobbe quali erano i bisogni delle ragazze italiane all’estero, e che cosa occorreva fare per provvedervi. Si vide che l’assistenza tentata più volte in varie località, di rado è riuscita, e ciò ha’ servito a ribadire, all’estero, il cattivo concetto che ivi delle ragazze italiane si era fatto e la cattiva prevenzione verso di loro; ma si intese anche perctiè, spesso, ciò sia accaduto: gli è che le ragazze italiane abbisognano di una assistenza- che sia essa stessa italiana. L’anima di ’noi italiani è tutta speciale: e, complessa com’è, difficimente può essere intesa da un’anima vissuta sotto altro cielo e diversamente educata. Noi siamo un popolo di poeti, di gente senti mentale, e alla nostra fantasia deve lasciarsi un po’ libero il corso; e quindi una certa indipendenza da leggi troppo severe o da ’usi troppo rigidi è nel nostro sangue. Dimenticare questo è un non intenderci e un non farci intendere, ed è un giudicarci male; e d’altronde queste nostre doti si manifestano poi in altre qualità belle, che sono quelle caratteristiche-della nostra razza, per le quali noi siamo ricercati e la nostra opera, quasi sempre improntata ad una cena genialità, riesce bene accetta. Difficilmente, dunque, potrà fare un’assistenza efficace alle nostre ragazze chi non avrà _capito a- fondo l’animo nostro; e ciò spiega perchè sono riusciti vani tanti tentativi, e perehè, ad esempio, le ragazze disertano i Madchenheime dove non sono suore italiane, mentre vanno abbastanza volentieri a quelli che sono guidati da suore del loro paese. Da questo insegnamento, scaturito chiaro dalle indagini fatte, emerge qual’è il compito dell’Opera di protezione della giovane nella assistenza delle ragazze italiane all’estero: organizzare questa protezione in modo che sia fatta possibilmente da persone [p. 13 modifica]IL BUON CUORE italiane, o che, quanto meno, persone italiane, vi partecipino: se questo non è possibile, ricorrete. a quelle signore che, avendo avuto consuetudine con ragazze italiane, possano conoscerne più a fondo l’anima con tutte le sue debolezze e i suoi difetti, ma anche con le sue aspirazioni,e le sue belle qualità. Già l’assistenza si incominciò a fare in tale mode nelle località ove sono i missionari di mons..Bonomelli, i quali, essendo quasi tutti sacerdoti italiani, possono appunto esplicare efficacemente l’opera loro presso le ragazze italiane, e la esplicano, infatti, in quelle località dove esistono della Francia, della Svizzera, della Germania, dell’Austria. Ma è innegabile che il loro lavoro sarà incompleto se mancherà in questa assistenza l’aiuto della donna. F.’ la donna che si deve mettere accanto alle ragazze, se si vuole avere quel contatto intimo di anime dal quale soltanto si sprigionerà un po’ di bene: la donna sola è capace di sondare senza pericolo certe piaghe, essa sola sa porgere a dovere il consiglio e il conforto che possono occorrere in molti casi. E’ secondo questi concetti che l’Opera di proiezione della giovane ha cominciato ad esplicare il suo programma di assistenza ed ha fatto cósì sorgere, per esempio a Basilea ed a Ginevra, ritrovi di ragazze, appoggiati alla missione italiana, nei quali le signore izafiane di quelle città fanno loro una assistenza veramente efficace; e si occupa altrove, come a Berna ed a Wadensweil, di dar libri alle ragazze per mezzo di persone che, almeno conoscono la lingua italiana. Il Comitato nazionale italiano della Associazione

internazionale per l’opera di protezione della giovane sta studiando il modo di avere una o più persone che, in qualità di missionarie viaggianti, possano esse stesse recarsi vicino alle ragazze dovunque si trovino; in attesa di quel giorno, che non può ancora essere prossimo a causa dei considerevoli mezzi finanziari che richiede, io mi auguro che il numero delle signore straniere che vogliano e sappiano dedicarsi all’assistenza delle nostre connazionali, si moltiplichi in modo da renderla possibile fino nei più piccoli centri. Non mi diffondo ad accennare a tutte le forni(’ di tale assistenza che potranno trovarsi opportune pèr le ragazze italiane nei vari casi: se qualche volta basterà una biblioteca, un’altra occorrerà un vero ufficio di collocamento al lavoro o in pensioni buone e talora sarà necessario l’impianto (come è stato fatto,quest’anno a St. Gall) di una vera opera di stazione italiana. Nè invocando l’assistenza dei comitati esteri alle giovani italiane, intendo dire o pensare che con essa sia risolto il problema della emigrazione, e chè unico compito dell’Italia sia quello di invocare dalle nazioni sorelle che veglino alla virtù e dal benessere delle sue ragazze quando divengono loro ospiti. Penso invece (e con me pensano quanti hanno rivolto il pensiero alla emigrazione) che debba il lavoro per la emigrazione svolgersi intensamente: che sia ne 13

cessario fare attorno alla emigrante tutto un lavoro di preparazione che la educhi e la renda atta a ben vivere nel paese che sarà per qualche tempo sua seconda patria, e restarvi intatta nel costume, ferma nella fede,:antochè sia possibile e facile il lavoro della sua custodia e preservazione all’estero. Le nostre ragazze sono, in fondo, buone: sapute prendere sono anche docili e dolci: sono poi laboriose, attive, gaie... Diamo opera a conservare in loro queste doti belle, ed avremo fatto cosa meritoria dinanzi a Dio, e nel medesimo tempo le avremo più atte, insomma, a dare al nostro paese quel benessere al quale esse possono potentemente contribuire.

Rodol4Bettazzi.