Il buon cuore - Anno X, n. 46 - 11 novembre 1911/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno X, n. 46 - 11 novembre 1911 Religione

[p. 361 modifica]Educazione ed Istruzione


SOCIETÀ

degli “AMICI DELL’ARTE CRISTIANA„

Ragione e scopo.

Fra tanto risveglio di cultura artistica, fra tante società degli Amici dei Monumenti, era ben tempo che sorgesse anche una Società per gli interessi dell’Arte Cristiana.

Essa viene in buon punto dopo il magnifico impulso che ha dato il S. P. Pio X agli studi e all’amore per l’arte con la circolare 10 maggio 1907, che ha reso obbligatorio nei Seminari l’insegnamento dell’archeologia e dell’arte sacra, e con la nota 12 dicembre 1907, che ordinava si istituissero in tutte le Diocesi i Commissariati per la conservazione dei monumenti e dei documenti.

La nuova Società integra ed amplifica in una cerchia più vasta l’opera delle cattedre d’arte e dei Commissariati Diocesani.

Ecco le disposizioni principali dello Statuto:

La Società ha per iscopo di formare un centro per tutti gli artisti e amici dell’arte che vogliono curare l’Arte Cristiana e in una cerchia più vasta favorire gli interessi della stessa, adoperandosi:

a) a diffondere la cultura, l’amore, il progresso dell’Arte Cristiana, sia con pubblicazioni proprie, sia coll’aiutare la diffusione di altre pubblicazioni illustrate;

b) a conservare e tutelare il patrimonio d’arte sacra antica;

c) a restituire dignità di concetto e di forma all’Arte Cristiana moderna;

d) a intensificare il movimento di reazione contro il volgare industrialismo che ha invaso le chiese (statue di gesso, fiori di carta, oleografie, stoffe indecorose, ecc.);

e) a promuovere un amoroso e illuminato mecenatismo volgendo le offerte dei fedeli verso quelle forme d’arte che rispondono alla nobiltà e santità del culto;

f) Infine al raggiungimento dei suoi scopi fonderà una rivista mensile illustrata dal titolo Arte Cristiana e istituirà una Casa dell’Arte Cristiana; e potrà promuovere conferenze, congressi, gite, mostre temporanee permanenti, concorsi, ecc., ed usare tutti quei mezzi di propaganda che possono giovare allo scopo.

La Società potrà inoltre prendere interesse e partecipazione ad altre imprese, il cui oggetto possa facilitare od avvantaggiare l’esplicazione e il raggiungimento del suo scopo.

La Società avrà dunque due rami distinti: l’uno che riguarda la propaganda e la cultura, e ha come proprio organo la rivista Arte Cristiana; l’altro di indole pratica che porterà l’arte sacra a diretto contatto del pubblico e farà capo alla Casa dell’Arte Cristiana.


La Rivista.

Essa sarà mensile, ricca di illustrazioni, e avrà una veste elegante e severa a un tempo.

Conterrà varie rubriche, delle quali due specialmente importanti: una per far conoscere l’arte cristiana moderna (presentazione di qualche egregio artista che si occupi d’arte sacra, relazione di qualche mostra, descrizione di qualche importante restauro, ecc.); l’altra rubrica servirà per far conoscere i monumenti antichi e diverrà mano mano un archivio storico illustrato delle diocesi italiane. Altre rubriche conterranno notizie diverse sul movimento artistico sacro e profano, su scoperte archeologiche, ecc.

Come per la musica sacra si sono istituiti propri organi, cioè appositi periodici, così la rivista Arte Cristiana sarà l’organo delle cattedre d’arte nei Seminari e dei Commissariati diocesani.

Anche gli artisti desiderano questa rivista. Fra essi non mancano ingegni distinti, che contribuirebbero volentieri con la loro opera alla restaurazione dell’arte cristiana, ma hanno bisogno di una voce di guida e di incoraggiamento, hanno bisogno — mentre subiscono [p. 362 modifica]la volgare concorrenza dei negozi d’arte religiosa industriale — di una testimonianza che dimostri come da parte del Clero vengano apprezzati i loro intendimenti lavori.

E la nuova rivista porterà questa voce d’intesa, ristabilirà una corrente di simpatia tra il clero e gli artisti, creerà un vasto movimento degli spiriti verso elette forme d’arte religiosa e verso l’amore e il rispetto del glorioso patrimonio artistico lasciatoci dai padri.


La Casa dell’Arte Cristiana.

Questa Casa sarà un’esposizione permanente d’arte pura e d’arte applicata e avrà il suo ufficio per le vendite.

Una giuria, mista di sacerdoti e di laici, regolerà l’accettazione delle opere.

La Casa, per l’arte minore, diventerà un emporio di quelle stampe liturgiche, di quegli oggetti di oreficeria argenteria, di quei tessuti, ecc. nei quali brilli veramente un raggio d’arte e ci sia un puro carattere di dignità formale.

Ogni volgarità industriale sarà rigorosamente proscritta.

La cosidetta arte minore o arte applicata — che era tanto decaduta — ora è ricondotta all’antica nobiltà. Solo nelle chiese perdura il malaugurato divorzio tra l’arte pura e l’arte minore, essendo quest’ultima abbandonata alla merce del più grossolano industrialismo.

La Casa dell’Arte Cristiana, rimedierà coi mezzi più pratici ed efficaci a questo male, facilitando al Clero e alle Fabricerie l’acquisto degli oggetti di culto e favorendo gli interessi di nobili artisti ora troppo trascurati.


Organismo Amministrativo.

Per dare consistenza e vita duratura a questo vasto programma occorre stabilire una solida base finanziaria creare un forte organismo amministrativo. Perciò la Società avrà personalità giuridica a sensi del codice di commercio e verrà legalmente costituita in anonima quando si avrà pronto il capitale sociale fissato in un minimum di 100 mila lire. Il capitale sarà formato con azioni di L. 10 ciascuna (1).

Ora il Comitato promotore si rivolge al clero ed al laicato, cui sta a cuore la dignità dell’arte e il decoro del culto, si rivolge agli artisti che non sono insensibili alla musa che ispirò la Cappella Sistina, si rivolge alle persone facoltose, che comprendono il mecenatismo come una nobilissima funzione della ricchezza, perchè gli vengano in aiuto e gli porgano la mano a realizzare questo bel sogno d’arte e di fede.


Il Comitato promotore.

Storici e archeologi: march. Crispolti, prof. Marucchi, senatore Molinenti, P. H. Grisar, della Civiltà Cattolica, Ab. L. Janssens della Commissione biblica, professore G. Ghirardini dell’Università di Bologna, P. S. Scaglia cistercense, Mons. G. Vizzini, Mons. A. Marchesan, Teol. dott. A. Cravosio, prof. D. G. Malchiodi.

Pittori: prof. E. Reffo, prof. L. Nono, Fra Paolo Mussini, cappuccino, P. Raimondo Minocchi, domenicano, prof. P. Loverini, prof. C. Donati, prof. A. Beni, prof. Biagio Biagetti, prof. E. Cisterna.

Scultori: prof. C. Aurelj, D. A. Gresnigt di Montecassino, prof. F. Jerace, prof. E. Barberi, prof. Vincenzo Cadorin, prof. L. De Paoli, prof. M. Tripisciano.

Architetti: prof. Castellucci arch. di S. M. del Fiore di Firenze, prof. E. Collamarini, prof. C. Arpesani, professore A. Annoni, prof. L. Venturini, prof. D. Rupolo, prof. P. Via.

Prelati e pubblicisti: Don Cerutti direttore delle Scuole Salesiani, Mons. F. Paganuzzi, Mons. G. Daelli del Pro Familia, Can. O. Pantalini dell’Unione, F. Saccardo della Difesa, Zanzi del Momento, prof. Lugano direttore della Rivista Storica benedettina, Mons. Maiocchi, Mons. F. Della Santa, Mons. G. G. Coccolo, professore D. C. Barbieri, P. Maltese, dott. Alb. Chiappelli, Eugenio Pasetti rappresentante della Società Arte Cristiana di Monaco, prof. F. Rizzi, dott. C. Pesenti, professore P. Zani dell’Artista moderno, avv. F. Rondolino, Cassiere: dott. Agostino Pinetti. Segretario: sacerdote dott. Celso Costantini.

Il Buon Cuore, plaudendo alla magnifica iniziativa, pubblica qui con viva soddisfazione anche le più importanti adesioni.


Capua, 27 Settembre 1911.

Egregio e Rev. Signore,

Mi è assai grato sentire che ora si stia fondando in Italia una «Società degli Amici dell’Arte Cristiana» e sarei ben lieto se potessi in qualche modo contribuire a farla nascere rigogliosa e prospera. Mi piange il cuore al vedere lo stato miserabile nel quale spesso è ridotta quella che si dice arte religiosa. Perciò desidero da gran tempo che tra gl’italiani sorga un’arte modernamente cristiana; perchè son sicuro che la calda luce dell’arte sacra giovi molto a illuminare le menti e a infiammare i cuori nella fede e nella carità. L’opera a cui voi e parecchi illustri uomini con voi vi accingete mi sembra piena di difficoltà; ma il cattolico non solo non s’ha da lasciare intimorire da esse, ma deve provare un nobile sentimento di soddisfazione e di allegrezza nell’adoperarsi a superarle. Oh, se fosse possibile che l’arte cristiana rifiorisse come un tempo nelle comunità religiose e tra i credenti più veramente buoni del nostro tempo, ecclesiastici o laici che siano, quanto bene si otterrebbe!

E se tutti ci sforzassimo di persuadere il popolo cattolico che la luce d’una bellezza celestiale trasparente nelle opere dell’arte nostra può conferire a nobilitare e santificare il nostro sentimento religioso, quanto bene ne verrebbe alle anime nostre! Quanto ci sarebbe più facile avvicinarci con la mente e col cuore all’eterna Bellezza!

Pregate per me e vi benedico.

Aff.mo in Cristo

Arcivescovo



M. R. e chiarissimo Signore,

Ella mi propone la realizzazione di un sogno, nel quale ho tante volte deliziato l’anima. Ben venga ed abbia un apostolato efficace un’Associazione per l’Arte Cristiana, che continui a [p. 363 modifica]serbare ed a crescere alle nostre chiese il diritto di essere considerate come veri musei delle più belle creazioni dei nostri scultori, dei nostri architetti, dei nostri pittori! Ben venga; e, secondata, ben presto spiegherà un’azione, per la quale andrà altamente benedetta.

Alto e unanime favore l’Associazione avrà nel Clero, al quale parlano gli esempi e le prescrizioni del Sommo Pontefice, gli insegnamenti che i Vescovi vano introducendo nei Seminari, le molteplici e savie istruzioni che sono date e che nessuno dei Sinodi moderni trascura: del resto, non è il caso di ripetere che, se tutti tacessero, parlerebbero le pietre? Ogni sacerdote celebra ad un altare, in una Chiesa, dove raro è che non sieda qualche capolavoro: quei marmi ogni di diranno una parola, che stimolerà verso un gruppo di volonterosi, il quale si propone di moltiplicare con sapiente fede e pietà e conservare in tributo al Signore l’omaggio del genio svolto nell’arte.

Congratulandomi della bella iniziativa ed augurando degna corrispondenza, mi professo

16 Ottobre 1911

Suo Dev.mo

Arcivescovo di Pisa



. . . Fo pienamente plauso alla nobilissima impresa iniziata per dare un poderoso risveglio alla cultura dell’arte cristiana....

Nulla di più gradito a chi, amante delle classiche antichità, ha cercato con tutti i mezzi rivendicarne il rispetto e la dignità....

Mi auguro quindi che la lodevole iniziativa voglia vigorosamente richiamare lo studio e l’apprezzamento di quello che ha formato sempre la gloria dei padri nostri e della nostra patria....

Vescovo di Sessa Aurunca



Non ho che parole di elogio e d’incoraggiamento per la nobile iniziativa di costituire una «Società degli Amici dell’Arte Cristiana» in mezzo a tanto risveglio di cultura artistica, che si diffonde dappertutto.

Non potrebbe mettersi in dubbio l’utilità di specializzare gli intenti delle varie associazioni, per intensificare l’opera propria, e incontrarsi poi nell’unico scopo finale di conoscere ed apprezzare il nostro ricchissimo patrimonio artistico. Quindi fra tante società degli amici dei monumenti, saluto con molto piacere e simpatia questa, che più davvicino s’interessa delle glorie del cristianesimo, il quale davvero rappresenta il più alto ideale della ispirazione e del genio. Godo pertanto di concorrere anch’io a questa nuova attività intellettuale nostra, ecc.

A. Can. Cassulo

Vicario Generale della Diocesi di Firenze



. . . Le manderò ufficialmente l’adesione dell’Associazione Italiana Santa Cecilia.

Sono cosi affini gli scopi delle due società che l’una è complem conto dell’altra, e mentre i soci d’arte sacra non possono non accogliere con favore la riforma da noi promossa, noi pure non possiamo non godere che anche le altre arti in chiesa raggiungano quella perfezione sacra e liturgica, che noi intendiamo imprimere alla nostra.

A. De Santi S. J.


Direzione generale

delle belle arti

IN ITALIA


. . . . Sottoscrivo pienamente all’idea della Casa dell’Arte Cristiana. Nelle chiese dilaga ora una somma troppo grande di roba di pessimo gusto, perché non sorrida l’idea di una selezione rigorosa sino alla crudeltà.

In ogni mio viaggio, la sofferenza maggiore è quella che mi recano indegni arredi, coi quali certi antiquari adescano la semplicità di poveri preti . . . . . . . . . . . . . .

D.mo



Roma, 15 Ottobre 1911

. . . Seguirò con vivo interesse l’opera benefica che si andrà svolgendo dalla società, e, dove io possa per l’avvenire rendermi utile in qualche cosa, lo farò sempre ben volentieri.

Pagliaghi


. . . Il programma del Sac. Costantini è vasto; non so se tutto potrà attuarsi: io, certo, lo sostengo nella parte artistica....


Caro Don Celso,

La tua idea mi piace immensamente. Sebbene i miei studi siano assai diversi dai tuoi, pure da buon fiorentino plaudo con entusiasmo al tuo ideale, e ti auguro un successo quale il mio cuore di sacerdote e di amico può desiderare migliore.

Con molto affetto


La guerra contro i Turchi


LETTERA DI UN UFFICIALE


Ben volontieri riportiamo il seguente brano d’una lettera inviata ad un amico da un ufficiale che ha combattuto nella più aspra battaglia alle trincee della Tripolitania:

«Sono salvo e ringrazio Dio, mentre mi sento pronto a nuovi cimenti, incoraggiato, entusiasmato continuamente dallo spirito che anima tutti i soldati. Dal mare alle coste della Tripolitania e della Cirenaica, è venuto colla nostra flotta e col nostro esercito, un soffio potente che sospinge alla battaglia col presentimento della vittoria. Anche nei semplici soldati, scelti con assennatezza, si viene a constatare quel trasporto che deriva dall’istruzione, e un sentimento superiore, che deriva dalla convinzione di combattere per una buona causa, per un obbiettivo elevato: si sente di combattere contro i turchi, gli usurpatori delle cose più sacre. Rispettosi delle credenze e dei costumi, si sente però in cuore la legge fatale che spinge le nazioni civili alla guerra contro la barbarie, e nei momenti del pericolo lo spirito è sostenuto anche dal pensiero religioso, dal pensiero della madre e dei cari lontani che pregano per i combattenti esposti ai tradimenti dei turchi. Questo sentimento è diffuso più che non si creda nell’esercito italiano e nella nostra flotta, e si manifesta non di rado tra amici, senz’ombra di ostentazione.

«Io sento, noi sentiamo che l’Italia è qui per suo diritto e suo sacrosanto dovere. Noi non porteremo la croce al posto della mezzaluna; ma apriremo coi cannoni e coi fucili larghe strade alla civiltà, e cessata la guerra, anche in questa colonia altre legioni verranno, non più per combattere sanguinose battaglie, ma per raggiungere ogni più nobile e sacro ideale».

L’ottimo Trentino dà al contegno turcofilo della stampa viennese questa opportunissima chiosa: «L’odio al turco cova ancora nel cuore del popolo viennese e traspira dai più noti proverbi del gergo. Tuttavia i negrieri della borsa, i buluk della stampa hanno tentato di tramutare l’odio in amore. Poveri turchi, condotti al macello come [p. 364 modifica]agnelle, sotto le mura di Tripoli! Povere donne del deserto alle quali gli invasori hanno trucidato i fedeli mariti a tradimento! Poveri beduini, gentiluomini, ai quali i nemici hanno confiscati i poderi, onestamente ereditati dagli avi! Invettive, sarcasmo ed ingiurie contro i loro nemici, che rinnegano le leggi della civiltà!

«Un momento, viennesi; sapete chi sono i nemici, contro i quali voi dovreste scaricare le vostre catapulte di sdegno e di morale condanna? Non temete, non vi parliamo della triplice nè dei patti di oggi. Dopo certi avvenimenti: si sa chè i patti moderni, stretti fra cristiani, non hanno molta consistenza. Vi ricordiamo la vostra storia, le grandi gesta del passato, le alleanze trionfali dei vostri nonni. Quando Solimano II invase l’Ungheria, chi mosse in aiuto contro i turchi? Gli italiani.

«A Belgrado, nel 1456, i turchi stavano per soverchiare i principi coalizzati. D’un tratto comparve agli avamposti un’alta figura di frate, col crocefisso in mano. I cristiani dietro a lui, corsero all’assalto e la Mezzaluna che già si vedeva sorgere sull’impero danubiano, tramontò. Il nome di quel frate? S. Giovanni da Capistrano.

«E non ricordate ancora nelle vostre cronache le infocate parole di Marco d’Aviano? Quando sopra Vienna si agitava oramai minacciosa la scimitarra del profeta, furono vostri alleati i veneti, i quali, sotto il comando vittorioso di Francesco Morosini, attaccarono i turchi alle spalle. Più tardi quando la monarchia d’Asburgo pareva dovesse soccombere un’altra volta, chi fiaccò definitivamente l’oltracotanza mussulmana? Il genio ed il valore italiano: Eugenio di Savoia».




Una nobile lettera del colonnello Fara

alla nipote di Alessandro Lamarmora

La Gazzetta di Biella pubblica questa nobilissima lettera che il valoroso colonnello Gustavo Fara, comandante l’11° bersaglieri — cognato afiezionatissimo dell’amico nostro rag. Carlo Mazzoni, tesoriere della Pensione Benefica per Giovani Lavoratrici — prima di partire dall’Italia per la Tripolitania, ove tanta gloria egli ed i suoi bersaglieri si conquistarono, mandò alla nipote di Alessandro Lamarmora:

Napoli, 7 ottobre 1911.

«Gentilissima Contessa,

«Nell’ora che il reggimento da me comandato si accinge a salpare alla riconquista della terra, che già seppe la grandezza della nostra gente e ancora ne conserva le vestigia, giunge a noi, dalla città dove posano le ceneri del Grande Fondatore, la Sua parola gentile di saluto e di augurio.

«A nome mio e di tutto il mio reggimento La ringrazio, fiducioso che essa ci sarà di fortuna, quando, a vantaggio della nostra patria, incontreremo i duri cimenti della guerra.

«Orgogliosi di essere chiamati a compiere il più ambito dovere di ogni Militare, avremo sempre innanzi alla nostra mente le gesta di coloro che prima ebbero la ventura di recare in battaglia il glorioso pennacchio.

«Con questa visione ognora presente, incontreremo il nemico, senza rimpianto se a prò del nostro scopo dovremo dare la vita, oltremodo felici se il destino ci riserberà di tornare nuovamente a rendere omaggio alla tomba del nostro Fondatore, avendo pienamenta corrisposto al fine che Egli si propose colla creazione del nostro Corpo.

«Nella speranza che i nostri sogni di vittoria e di gloria si compiano felicemente, Le porgo il riverente saluto mio e di tutto il mio reggimento».

LA MESSA AL CAMPO

in memoria dei Caduti dell’84° reggimento

Venerdì 3 corr., sono arrivati tre marinai a bordo di una torpediniera venuta a far carbone. Ho appreso da loro, tra l’altro, che le truppe di terra e di mare sono tranquille e si mantengono entusiaste delle operazioni. Il giorno 5 in tutti gli accampamenti e alle trincee furono celebrate messe su altari portabili, dinanzi a folle di soldati preganti, in armi col fucile tra le braccia.

Alle trincee di Bumeliana fu inaugurata, alla presenza d’una rappresentanza dell’84 Reggimento, una lapide ai caduti del 26; essa portava questa iscrizione:

LA SETTIMA COMPAGNIA

AI FRATELLI CADUTI EROICAMENTE

NELLA MATTINA DEL 26 OTTOBRE 1911

Il colonnello Spinelli pronunciò il seguente discorso rivolgendosi ai poveri giovani caduti:

«Al cospetto di Dio, in nome di S. M. il Re e per delegazione della Patria lontana, con lo sguardo e la fronte rivolta al nemico, su queste trincee bagnate dal vostro sangue generoso, io, vostro colonnello, incido il vostro nome glorioso. Alla storia immortale del vostro reggimento qui oggi vi consacro, o prodi, o valorosi».

Prima delle parole del colonnello Spinelli, il cappellano, dopo aver data l’assoluzione alla fossa dove dormono i nostro prodi fratelli, pronunciò un breve discorso:

«Soldati, fratelli in Cristo!

«Sacerdote della Chiesa e cittadino italiano ho avuto la consolazione di assistere ai prodigi di valore, all’eroico coraggio dimostrato combattendo dai figli giovani della Patria nostra. Disciplinati e pietosi essi sono caduti combattendo per il dovere e per l’onore della bandiera. Gloria ai loro nomi, suffragi alle loro anime. Non vi tremi il cuore, o soldati. Queste trincee sulle quali io spargo l’acqua benedetta propiziatrice di pace e dí civiltà sono un camposanto al quale trarremo inchinati ai voleri dell’altissimo Iddio. Preghiamo per le loro anime: preghiamo, o commilitoni, per i nostri cari lontani, per tutti, per gli amici e per i nemici. E state pronti, o soldati, sulle trincee e pel mare. Requiem aeterna dona eis Domine!».

Offerte per l’Opera Pia Catena

(CURA DI SALSOMAGGIORE).

I Figli e le Figlie del defunto Giovanni Zapelli per onorare la memoria del loro venerato Genitore e interpretando le sue intenzioni |||
 L. 1000


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Sotto i castagni di Fiuggi


Chi viene a Fiuggi per la prima volta pensa soltanto all’acqua prodigiosa che qui troverà dispensatrice di ristoro e di salute; ma chi, dopo esser già stato quassù, vi ritorna, una seconda volta, si sente richiamato verso questi luoghi anche da un’altra attrattiva; egli sa di muovere non solo verso un paese ove si curano gli acidi urici, e i calcoli renali; ma altresì verso un luogo d’ombra e di frescura, e oltre all’acqua salutare pensa ai magnifici boschi di castagni sotto i quali mormora sommessa la fonte celeberrima. Io amo Fiuggi, più che per l’acqua, per questa corona di boschi che sembra dalla fonte irradiarsi attorno in una verde gigantesca cornice, s’inerpica lungo le spalle del monte Porciano fin sotto le ruine del vecchio castello, e si protende da una parte a specchiarsi nelle acque chiare del lago di Canterno, mentre dall’altra sale verso Acuto, nudo e roccioso sotto il solleone dardeggiante.

Una volta il bosco come la fonte erano accessibili a chiunque, e sotto l’ombra dei castagni annosi si disperdevano gli scarsi villeggianti, dopo aver trangugiato la quantità d’acqua prescritta. Ma allora Fiuggi era quasi sconosciuta: oggi invece è luogo di cura assai frequentato, la sua fama va diventando sempre più grande, e vi affluiscono i malati, malati reali e malati fantastici d’ogni parte d’Italia. E naturalmente la speculazione si è impadronita di Fiuggi ed ha cominciato col chiudere la fonte; sicchè questa si trova come separata dal bosco che pur la circonda da ogni parte. Penetrare nel bosco dello Stabilimento è un piccolo problema. L’amministrazione della sorgente, che pure, a quanto mi hanno assicurato, ha tutelato il bosco dal pericolo di possibili manomissioni, sembra abbia ostacolato ostacoli su ostacoli per impedirne l’accesso. Lo stabilimento è circondato da recinti e da cancelli, non vi è che una sola uscita ad una delle estremità, che è troppo lontana dalle fonti, alle quali bisogna pure tornare sovente per le esigenze della cura. L’incoveniente non è piccolo e tutti lo deplorano. Eppure si potrebbe facimente porvi rimedio, cosa che importerebbe una spesa assai modesta.

Ma sembra che la Società concessionaria della sorgente non si sia ancora accorta che a Fiuggi, oltre l’acqua, ci è questo bosco magnifico che dovrebbe fare di Anticoli non solo un luogo di rapida cura, ma un soggiorno preferito di prolungata villeggiatura. Il bosco è certo la migliore se non l’unica passeggiata dei dintorni di Anticoli; ed è infatti la gita preferita dai villeggianti; i quali guadagnano arrampicandosi per i larghi sentieri serpeggianti fra i castagni la cima di Monte Porciano, che protendendosi innanzi allo stabilimento delle acque, affaccia le casette del suo minuscolo villaggio sulla grande vallata del Sacco e sui Lepini dirupati. La gita, tutt’altro che faticosa, è delle più piacevoli per i magnifici e svariati quadri che si presentano al gigante, dal lago di Canterno — circondato da colline aride e basse, dietro le quali si drizzano i monti tra cui si nasconde Trisulti — al versante opposto del monte, versante arido e nudo, donde l’occhio spazia fino alle paludi e verso il mare. Così per una successione di quadri meravigliosi e di scenari svariati, si arriva al villaggio di Porciano — poche case rozze costruite di sasso sul sasso — e si tocca dopo pochi minuti la cima, ove sorgeva il castello di cui non restano che poche mura rivestite di verde, e mezzo nascoste tra gli sterpi e le piante. Noia meno piacevole della salita e la discesa, nella quale una fantasia modestamente attiva può darvi la compagnia delle più svariate leggende, accumulatesi sui luoghi nei secoli: leggende romantiche, cui si intrecciano i ricordi dei malandrini che infestarono il paese in epoca assai vicina, e specialmente quella di Gasperone, la quale, offuscando ogni altra memoria, ha finito col dare il suo nome alle poche rovine che hanno ancora il pomposo nome di castello. Sic transit!....

Un’altra meta di gita è il convento dei cappuccini, graziosamente appoggiato sulla costa del monte che fronteggia il paese e, più in là del convento, verso la sommità del monte stesso, un laghetto artificiale, simile ai tanti che servono in questi luoghi ad abbeverare il bestiame, ma bello per la sua posizione. Specialmente verso la sera, quando le ombre ricoprono l’altipiano ed i monti lontani ed il cielo sono colorati dai riflessi del tramonto e le mandre di buoi, si accostano col loro passo lento al lago, rispecchiando nelle acque limpide la loro massa imponente ed il mite aspetto che il Carducci amava il paesaggio dà una dolce, profonda suggestione.

Monte Porciano e i Cappuccini sono con la strada che mena ad Acuto, gli unici dintorni di Anticoli verso i quali si possa andare a piedi; e le strade o i sentieri che vi conducono sono le sole passeggiate che offra Anticoli sotto il sole d’agosto ai suoi numerosi ospiti: il resto non sono altro che strade assolate e polverose, ciò che fa disperare chi non ha errabonda, oltre le gambe anche l’anima poetica, ed ama trascorrere la giornata senza allontanarsi dal paese più in là di un tiro di fucile. Per costoro, quando non hanno i mezzi per battere i dintorni in automobile, passare il pomeriggio ad Anticoli è un problema di non facile risoluzione.

Nel paese non un giardino, non una passeggiata possibile; salvo un breve tratto di strada, che adesso cominciano anche a guastare col costruirvi edifici inutili o inopportuni e che bisogna percorrere almeno dieci volte prima di poter dire d’aver passeggiato un poco. Fuori del paese, tranne le numerose mulattiere ed i sentieri di montagna, poco accessibili ai villeggianti, che hanno quasi tutti passato la prima giovinezza, è la via della sorgente, torrida e polverosa, ed un’altra via che scende nella valle e va dal cimitero vecchio al cimitero nuovo. Quest’ultima per necessità di cose finisce col divenire il convegno — forzato più che favorito — dei villeggianti, che vi trovano caldo e melanconia, e corrono anche il rischio di assistere qualche volta a spettacoli tutt’altro che lieti.

Perchè non imitate il mio esempio? perchè non vi date, come me, alla macchia? — dicevo ad una signora che si lamentava delle scarse passeggiate che offre il paese.

— Perchè — mi rispose la cortese interrogata — non ho del tempo da perdere come voi, ho dei figli cui badare, ed ho da fare sul serio la cura delle acque. Perchè ad Anticoli ci si viene a passar le acque....

— Finora: ma tra qualche anno ci si verrà anche per dire che si passan le acque. Non vedete come il paese si ingrandisce, come la stazione si va sviluppando: ogni anno sono nuove pensioni che si aprono, nuovi alberghi che sorgono. Vedete: c’è perfino un Cercle des etrangers....

— Purtroppo! e mio marito lo conosce bene! Ma con tutto questo comfort voi perderete ancora la pazienza almeno dieci volte al giorno.

— Così imparerete ad esercitarla: è una terapia dello spirito che non si fa solo ad Anticoli, ma un po’ dappertutto in villeggiatura.

La signora non aveva torto: occasioni di esercitare la pazienza qui non mancano: a mettervi sul punto di perderla ci pensano i ragazzi, che vi lacerano le orecchie colle loro grida più o meno musicali o vi si mettono dinanzi ad impedirvi il passo, chiedendovi dei soldi; ci pensa tutta quella numerosa schiera di [p. 366 modifica]persone, che cerca spillar denari al villeggiante e non si arresta neanche dinanzi alla più vigorosa delle ripulse; ci pensano al caffè, dove vi fanno attendere ore intiere quello che avete chiesto e quando ve lo portano,... desiderereste che se ne fossero dimenticate del tutto. Ma l’occasione migliore per esercitare la pazienza, e in grado eroico, è offerta dalla quotidiana gita che deve farsi alla sorgente. Come è noto, per andare dal paese alla sorgente, c’è da superare una notevole distanza ed un forte dislivello, per una via ripida, polverosa, piena di sole, che non si può quindi, specialmente salendo, percorrere a piedi. E così, salvo i pochi che usufruiscono delle scarse automobili, i visitatori della sorgente sono nella grandissima maggioranza costretti a servirsi delle carrozze.

Finchè si tratta di scendere, il male è minore: più d’uno, profittando dell’ora mattutina, fa la via a piedi, gli altri, a seconda che sono più o meno mattinieri scendono ad ore diverse: tutti così finiscono a trovarsi senza troppo aspettare a Fiuggi. I guai grossi avvengono invece all’ora del ritorno e la colpa, bisogna pur riconoscerlo, va equamente divisa tra tutti. L’amministrazione comunale non sa regolare il servizio, i vetturini cercano, per quanto possono, sottrarsi alla tariffa, i villeggianti s’ostinano a voler risalire alla stessa ora. Le vetture passano e sono prese d’assalto, i vetturini dicono d’essere già impegnati, i villeggianti una volta credono o fingono di credere e si rassegnano ad attendere, un’altra volta non credono o fingono di non credere e occupano ugualmente le vetture, a costo di farsi male. L’automedonte protesta, la lite s’inizia, si prolunga e termina, ora colla sconfitta del villeggiante, perchè la vettura era realmente impegnata, ora colla prudente ritirata del vetturino, che aveva teso un inganno, sperando di farsi offrire un prezzo maggiore. E la scena si ripete uguale ogni mattina; ogni mattina si scambiano tra i presenti le stesse impressioni, si ripetono gli stessi lamenti, si ascoltano le stesse risposte. Le guardie, come sempre, scarseggiano o mancano affatto o l’agente più attivo e zelante è proprio — me lo perdonino i zoofili — il meno necessario: quello per la protezione degli animali. A sentir quelli che attendono, ci sarebbero mille rimedi, uno più efficace dell’altro; in realtà per colpa degli uomini e delle cose si finisce col non applicarne alcuno. Solo questo inconveniente, aggiunto agli altri, accentuerà il movimento già iniziato, per la costituzione di un nucleo di pensioni e di alberghi attorno alla sorgente. E quando ciò sarà, si potrà ben dire che tutto il male non è venuto per nuocere.

Del resto l’attesa un po’ mossa del ritorno, serve a terminare la mattinata. Alla sorgente, al contrario di quel che potrebbe sembrare, la mattinata si passa abbastanza gradevolmente e quella mezz’ora di attesa non dà che una irritazione superficiale, figlia più che altro del timore di restar senza vettura e di dover fare a piedi la via del ritorno. Il resto del tempo si passa attendendo alla cura, passeggiando, facendo colazione e conversando.

Non dico che non vi sieno degli inconvenienti; non tutto è perfetto al mondo e tanto meno a Fiuggi, ma è doveroso riconoscere, specialmente se si pensa alle condizioni in cui era la sorgente qualche hanno fa, che l’amministrazione ha molto operato a pro dei villeggianti e c’è da sperare che anche meglio opererà nell’avvenire. Il luogo quale l’ha fatto la natura è bello, ma non oso dire che gli uomini vi abbiano aggiunto molto: quel portico somiglia troppo all’ingresso di un cimitero e quei capitelli ionici sembrano minacciare ad ogni istante di cader sulla testa di chi passeggia. Una costruzione più semplice e meno pretenziosa sarebbe stata certamente preferibile. Ma il luogo come ho detto e ridetto è magnifico, e si perdoni tutto il resto.

Del qual resto vi consolate ripetendo il verso del poeta: Tout au monde est méle d’amertume et de charmes.

E di charmes ne offre, oltre il luogo incantevole, anche la società che si rinnova ogni quindici giorni sotto i castagni di Fiuggi, ove fiorisce, come in tutte le riunioni composte di nomini e di donne la causerie brillante, sinonimo eufemistico del più volgare, ma meno ipocrita, vocabolo di maldicenza. La maldicenza si fa naturalmente in gruppi più o meno numerosi, di due — che rappresenta il minimo indispensabile — di tre, di.... trentatrè....

In compenso sotto i castagni di Fiuggi fiorisce anche la carità. C’era ad Anticoli una bambina lacera, scalza ed abbandonata, che viveva la sua misera vita accattando. Due signori di Lecce venuti per la cura, l’hanno veduta, ne hanno inteso pietà ed hanno deliberato di condurla seco, per tenerla quale figlia. Sono andati al Municipio, hanno fatto le cose in regola, adottando la bambina che hanno portata subito rivestita da capo a piedi e accuratamente e prudentemente rasa alla sorgente ove tutti hanno accerchiato l’orfanella la quale, negli abiti nuovi di rozza stoffa paesana, che dovevano impacciarla, guardava come trasognata noi che le eravamo attorno a festeggiarla. E mentre era lì, io pensavo che è confortante assistere ancora ad un atto di carità che viene da un moto spontaneo del cuore, da un sentimento profondo di amore e di pietà, e che è anche una lezione severa per tutti noi, cui la miseria dà noia e disgusto. Qualche volta, è vero, il cuore non giudica bene e anche nella carità, non è giudice imparziale. Questa volta però non c’è da temere: l’impulso spontaneo del cuore ha tolto una vera miseria, ha compiuto un’opera santa.

La povera bimba non aveva nessuno al mondo... è vero che appena ha trovato chi se la prendeva come figlia, sono spuntati fuori i parenti.... Esistono dunque degli zii e delle zie anche per le bambine abbandonate.... quando non lo sono più!

  1. Lo statuto, che regolerà il funzionamento della società con precisi e rigidi criteri legali, è già formulato; e chi ne vorrà una copia si rivolga al dott. A. Pinetti (Via Mantegna 6 — Milano) al sac. dott. Celso Costantini, Concordia Sagittaria (Venezia). La società ha uno scopo eminentemente ideale, ma si imposta sopra una solida base finanziaria, e le azioni rappresentano un capitale fruttifero per i soci. Lo statuto riserva poi una quota sugli utili netti a vantaggio delle chiese povere (Art. 37).