Il buon cuore - Anno V, n. 19 - 5 maggio 1906/Religione

Religione

../Beneficenza ../Educazione ed Istruzione IncludiIntestazione 12 maggio 2022 100% Da definire

Beneficenza Educazione ed Istruzione

[p. 147 modifica]Religione


Domenica terza dopo Pasqua


Testo del Vangelo

Disse Gesù a’ suoi discepoli: Un pochettino e non mi vedrete e di nuovo un pochettino e mi vedrete, perchè io vo al Padre. Disser però tra loro alcuni de’ suoi discepoli: Che è quello che egli ci dice: — Non andrà molto e non mi vedrete, e di poi, non andrà molto e mi vedrete, e me ne vo al Padre? Dicevano adunque: Che è questo ch’egli dice: Un pochettino? non intendiamo quel ch’egli dica. Conobbe pertanto Gesù che bramavano di interrogarlo, e disse loro: Voi andate investigando tra di voi il perchè io abbia detto: non andrà molto e non mi vedrete, e di poi: non andrà molto e mi vedrete. In verità, in verità vi dico, che piangerete e gemerete voi, il mondo poi godrà; voi sarete in tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gaudio. La donna, allorchè diventa madre, è in tristezza, perchè è giunto il suo tempo: quando poi ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’affanno a motivo dell’allegrezza, perchè è nato al mondo un uomo. E voi adunque siete pur adesso in tristezza; ma vi vedrò di bel nuovo, gioirà il vostro cuore e nessuno vi torrà il vostro gaudio.

S. GIOVANNI, Cap. 16.


Pensieri.

Qui, come anche molte volte altrove, il parlare di Cristo non è trasparente e di prima evidenza, neppure per menti dotate di maggior penetrazione. Si direbbe che Gesù si compiacesse di avvolgere tra ombre più meno vaporose certe verità, quasi un riserbo di delicato pudore o di soave gentilezza gli suggerissero una simile condotta; certo, un proposito di tormentare l’affettuosità dei discepoli per esplorarne la sensibilità la rettitudine, una mira sapiente di provocare maggior attenzione, interesse, domanda di schiarimenti e sviluppi di troppo laconiche espressioni, a scuola degli Apostoli, non lo si può negare.

Nel campo cristiano che rifugge da scisma, troverete persone che adombrano, si scandalizzano delle oscurità della parola di Dio, specie di quella tradotta in azione che, in lingua povera, si chiama condotta di Dio nel governo degli uomini in genere e dei cristiani in specie. E’ degno di un essere ragionevole desiderare chiarezza di linguaggio; non è male chiederla; è ridicolo pretendere di tutto conoscere; è bene fidarsi di Dio che parla anche quando non se ne afferra subito il senso; l’esperienza ci mostrò sempre giustificata la parola divina.

Dicendo Gesù ai discepoli che fra poco non lo avrebbero più veduto, e dopo un poco lo avrebbero veduto, certamente accennava alla sua ascensione e alla venuta in qualità di Giudice alla fine dei secoli assegnati alla vita degli umani. Ma nessuno ci vieterà di intendere colpite anche e la sottrazione momentanea di Gesù nel triduo della sua morte, e la ricomparsa della risurrezione dal momento che non sono nè apertamente nè implicitamente escluse. E anche allora — certo in modo più sensibile che dopo l’ascensione — il mondo trionfò, abbandonossi a tutte le più incomposte e clamorose dimostrazioni di gioia per aver vinto Gesù Cristo; e gli Apostoli furono in gemiti e pianti e terrori inenarrabili.

Però, come dicevamo, il senso precipuo è che gli Apostoli e tutti i fedeli fra poco non avrebbero più veduto il divin Maestro perchè era per salire al Padre, fra poco l’avrebbero veduto al finale Giudizio. Questo modo di computare e definire il tempo, per noi che siamo nel tempo, non può che suonare strano; più strano, se viviamo nel dolore. Ma per Dio, innanzi al quale «mille anni sono come un giorno già passato.... per nulla contano gli anni degli uomini» (Salm. 89, 4) il trattare il tempo nostro con quella disinvoltura e superiorità quasi scherzevole, è la cosa più naturale e logica. Del resto, anche per noi — benchè in modo molto relativo — il tempo che ci divide dall’istante fortunato in cui vedremo faccia a faccia, e come è, e coi nostri occhi carnei, la divina persona di Cristo, che cosa è paragonato all’eternità, giudicato alla stregua del nostro passato che «fuggì come ombra» (Job. 14), preso coi criterii dei Santi che gemendo sotto il peso delle condizioni presenti, sorvolavano i secoli per slanciarsi al di là della materia e del tempo presente pregustando il Cielo?

Il cristiano nella sua vita pratica, se davvero christianus è alter Christus, deve adottare meno che la forma materiale, il criterio di Cristo nel giudicare il tempo. O il suo è tempo di bonaccia, di favore, di gloria, di ricchezza, di sanità, anche nell’ipotesi che tutto ciò sia dono del cielo e punto opera di intrigo frutto di peccato, e non vi si adagierà come nella suprema felicità riserbata all’uomo; il tempo è fugace, la sorpresa di vedere finito troppo presto il suo bugiardo Paradiso sarebbe atroce, insopportabile alle sue energie morali svigorite nella mollezza. Oppure il suo tempo è di tempesta, e anzichè una pioggia di fiori, cada su lui una pioggia di sventure, di oltraggi, di disinganni, e il suo orizzonte, corrucciato e nei o, accenni a minaccie e sfrenatezze anche più spaventose in avvenire, e pensi che fugge anche il tempo in cui si soffre; che l’ieri, inghiottito dalle ingorde fauci della eternità, che più nulla restituiscono, è irrevocabile e più non torna. Grande fattore di benessere il criterio della fede nel giudicare il tempo!

Preannunciando Gesù, e agli Apostoli e a quanti, lungo i secoli, avrebbero abbracciato la sua dottrina, che dopo la sua partenza dal mondo sarebbero stati in gemiti e in lacrime, faceva loro un non tascurabile onore. Ammetteva che avrebbero fatto ciò che in casi simili fanno solo le anime grandi e si degnava di fare gran caso di cotali dimostrazioni di dolore e di affetto. Veramente questa predizione non era nuova essendo già fatta quando Gesù, togliendo a difendere gli Apostoli accusati di non digiunare al modo dei discepoli di Giovanni e dei Farisei, disse: «Possono forse i compagni dello Sposo essere in lutto sintantochè lo Sposo è con essi? Ma verrà il tempo che sarà loro tolto lo Sposo e allora digiuneranno» (Matth. IX, 15). Forse allora non fu rilevato tutto il senso della [p. 148 modifica]profezia, ma comunque, qui era il caso e l’occasione anche più stringente di ripeterla.

E così è delineata nettamente la diversa attitudine degli uomini in rapporto a Cristo; parte impensierita della sua assenza e di tante conseguenze di essa, piangerà; parte distratta, idolatra dei sensi, disinteressata di Dio, ostile a Lui, per sensualità, per sacrilega rappresaglia, per soffocare il rimorso d’averla rotta col sopranaturale, si butterà al piacere.

La porzione dei buoni sarà dunque il gemere, il piangere. E come no? Volta che cogli occhi carnei o con quelli della fede si abbia veduto Gesù, l’impressione che se ne deve riportare non può che essere incancellabile. Ma spezzati quei rapporti per la dipartita materiale dalla terra, come nel caso degli Apostoli, o per il sottrarre che fa Gesù le gioie spirituali della sua amicizia, non può che seguirne uno strazio inenarrabile, come se la parte più vitale ci fosse stata tolta di schianto e portata via con Lui. In questo caso, i cento che restano non possono di certo compensare la perdita di quell’Uno che era tutto per l’anima vedovata di Lui. Primo motivo di dolore.

Poi, per conseguenza, sapendo grave la vita presente, e prolungata di troppo la dimora quaggiù (Salmo 119) nei mistici esuli come in Davide si acuirà il dolore della lontananza del Diletto, fino a raggiungere i confini dello spasimo. Altro motivo di dolore.

Fan pur gemere e piangere, lo spettacolo delle brutture del mondo, gli insolenti attacchi della tentazione, le trepide paure di cedere e restarne vinti, e l’infinite miserie della nostra caduta natura.

Inoltre si soffrirà e si piangerà dai buoni, per l’intollerabile situazione fatta loro dai cattivi contro i quali non è lecito combattere ad armi uguali, tener testa, perchè a quelli nessuna arma fa scrupolo e nessuna arte è ignota per apparire sempre nella legalità. I figli delle tenebre sono più astuti che i figli della luce (Luc. XVI, 8).

Non si soffrirà meno per il continuo spettacolo dell’offesa di Dio, che come al B. Curato d’Ars (Vita, v. 2, p. 210) così a tutte le anime sante riesce tortura insopportabile. Se il mondo umano per parte di Dio è tutto un poema di grazie, da parte degli uomini peccatori è tutto un canto infernale di colpe, la più orrenda sinfonia di abbominazione, degno preludio dell’ergastolo che inghiottisce le anime per sempre rovinate.

Ultimo motivo di dolore, la cecità ostinata di chi è fuori della vera Chiesa, che cagionò tristezza grande e continuo dolore al cuore di Paolo (ad Rom. IX, 2, 3) sino a fargli desiderare di essere anâtema pei suoi fratelli Israeliti, e non può affliggere meno in ogni tempo quanti bramano veder gli uomini un solo ovile sotto un solo Pastore.

La ragione per la quale gli Apostoli fra poco non avrebbero più veduto il divino Maestro fu apertamente annunciata da Gesù, dicendo «Perchè vado al Padre». Nessuna ragione poteva meglio raccomandarsi di questa che riferivasi alla più insigne pietà filiale. Ma non crediate che sia stata poco o molto apprezzata. Più sopra, in occasione dell’identico annunzio di partenza da mondo, Gesù dovette notare nei discepoli una infinita ambascia e ne mosse loro dolce rimprovero. Gli Apostoli erano evidentemente ingiusti, anteponendo per egoismo il loro privato interesse e piacere alle supreme ragioni dei doveri di Cristo e dei diritti del suo Padre celeste.

Ma questo non è tutto il peccato commesso dagli Apostoli nella circostanza di cui ci occupiamo, e con loro, chissà da quanti altri che in religione spostano facilmente le cose mettendo al luogo dei più austeri precetti un sentimentalismo morboso e, per giunta, tutto fatto d’ingiustizia; c’è dell’altro. Notate che l’espressione «vado al Padre» è priva di qualificazione personale e d’aggettivo possessivo, è generica parecchio. L’intenzione di Cristo era di accennare al Padre, come un fratello maggiore ne parlerebbe ai fratelli minori, giacchè Lui aveva da un pezzo inaugurato il singolare comunismo di far passare il suo divin Padre come Padre dei benamati discepoli. Quante volte nel Vangelo Gesù dice agli Apostoli: il Padre vostro? Parlando dei bisogni da esporre a Dio nella preghiera; del debito di compiere coraggiosamente in pubblico il bene, ecc. Gesù dice sempre «il vostro Padre sa che di questa cosa avete bisogno» dice «gli uomini vedano le vostre opere buone e glorifichino il vostro Padre che è nei cieli» ecc.

Ebbene il peccato di cui intendevamo far parola è questo per l’appunto, che il Nome più tenero e più venerando in terra e in cielo, non trovò nessuna eco nel cuore degli Apostoli, non svegliò nessun senso di pietà filiale, nonchè riuscire a pervaderli come scintilla elettrica, a farli trasalire di gioia, di speranza, di innamorato sospiro di raggiungerlo là dove il gioire è eterno e quelli che si amano non si disgiungono mai più; giacchè quell’espressione è anche sinonimo della celeste Patria.

Ma ahimè! Dio Padre è anche nostro Padre di noi tutti, cresciuti, nati da molti anni in casa sua; e noi pure siamo nella istessa condizione degli Apostoli, insensibili così che il tenero suono del nome paterno di Dio non trova più la via del nostro cuore, non ha più rispondenza in noi, non provoca il più fugace desiderio di riunirci a Lui. Che cosa mai ha snaturato così il nostro cuore?....

Ma avete osservato nella nostra vita moderna un fatto analogo? Scaduto l’affetto nostro al Padre celeste, — non so se causa o conseguenza — è scaduto altrettanto l’affetto nostro al padre terreno; seguendo, per valerci di un paragone, la legge dei liquidi versati in vasi comunicanti tra di loro, che se si abbassano in uno, si abbassano parimenti nell’altro. Francamente, i tempi corrono fatali per i più santi e doverosi affetti; i vincoli di parentela e del sangue sono terribilmente rilasciati; il cuor nostro non palpita più pel domestico focolare, non lo desidera, lo ha disertato crudelmente e purtroppo ci siamo di molto avvicinati ai costumi di quegli animali che dopo l’allattamento si separano per sempre dai loro genitori per perdersi negli infiniti spazii del cielo o nelle sterminate lande della terra più non ricordando da chi ebbero vita e da chi furono più intensamente, sinceramente amati. Parte seconda della parabola di certe decantate ascensioni umane....

a. l. m.