Il buon cuore - Anno IX, n. 14 - 2 aprile 1910/Religione

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Educazione ed Istruzione Società Amici del bene

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Vangelo della prima domenica dopo Pasqua



Testo del Vangelo.

Giunta la sera di quel giorno, il primo della settimana, ed essendo chiuse le porte, dove erano congregati i discepoli per paura dei Giudei, venne Gesù e si stette in mezzo, e disse loro: Pace a voi, e detto questo, mostrò loro le sue mani e il costato. Si rallegrarono pertanto i discepoli al vedere il Signore. Disse loro di nuovo Gesù: Pace a voi: come mandò me il Padre, anch’io mando voi. E detto questo, soffiò sopra di essi, e disse: Ricevete lo Spirito Santo: saranno rimessi i peccati a chi li rimetterete: e saranno ritenuti a chi li riterrete. Ma Tommaso, uno dei dodici soprannominato Didimo, non si trovò con essi al venire di Gesù. Gli dissero però gli altri discepoli: Abbiamo veduto il Signore. Ma egli disse loro: Se non veggo nelle mani di lui la fessura dei chiodi, e non metto il mio dito nel luogo dei chiodi, e non metto la mia mano nel suo costato, non credo. Otto giorni dopo di nuovo erano i discepoli in casa, Tommaso con essi, ed entrò Gesù, essendo chiuse le porte, e si pose in mezzo e disse loro: Pace a voi. Quindi disse a Tommaso: Metti qua il tuo dito e osserva le mani mie, accosta la tua mano e mettila nel mio costato: e non essere incredulo, ma fedele. Rispose Tommaso e dissegli: Signore mio, e Dio mio. Gli disse Gesù: Perché tu hai veduto, o Tommaso, hai creduto: beati coloro che non hanno veduto, e hanno creduto. Gesù fece poi molti altri miracoli in presenza dei suoi discepoli, che non sono registrati in questo libro. Questi poi sono stati registrati, affinché crediate che Gesù è il Cristo Figliuolo di Dio, e affinché credendo ottenghiate la vita nel nome di Lui.

S. GIOVANNI, Cap. 20.


Pensieri.

Dopo il terrore e l’orrore del Golgota i discepoli sono riuniti, rinchiusi per paura dei Giudei, sgomenti per la fine atroce del loro Maestro che, pareva, avesse a segnar la fine d’ogni loro speranza. In quello squallore dell’anima rivedon Gesù. E gioirono i discepoli al vedere il Signore. E’ detto tutto in questa frase di letizia! In quel gioirono si sente la dolcezza della fede risorta, dell’animo rassicurato, rasserenato, avvalorato per nuove battaglie.

Quante volte anche noi, come gli apostoli, pieghiamo sotto il peso della sventura, veniam meno sotto i colpi della ingiustizia e della prepotenza... e abbiamo come paura....

Momenti di spasimo in cui l’anima geme e il cuore sanguina; momenti che provò anche Gesù, nella sua carriera mortale, e nel Getsemani e sulla croce; momenti di mistero, momenti di grazia, che rendono atti a cose grandi e degne!

Ogni verità, ogni virtù, ogni progresso si matura nel e per il dolore!

Alla gioia della vittoria precede l’affanno della lotta, come alla letizia della maternità precede il dolore della nascita.

Pare legge, quaggiù, che tutto s’acquisti, specialmente le cose migliori, a prezzo di pena!

Ma la legge, che purifica ed eleva, è legge di bene e il dolore diventa il balsamo della vita! Che cosa sa l’uomo che non ha sofferto mai?

In questa valle d’affanno, ove si piange e si muore e tanto s’ha bisogno di conforto, conforto vero e parola buona non si può aspettare che da chi, soffrendo, ha affinato lo spirito e acquistato tenerezza e cuore materni!

Così, per la pena, le grandi anime s’avviano alla miglior delle glorie, a quella di diffondere luce e amore forza intorno a sè.

Quanta gioia dona il Cristo risorto, ma Egli passò alla risurrezione per le angosce della morte; quanto bene dalla predicazione apostolica del Cristo vivo, felice col Padre, ma gli apostoli osarono dopo aver temuto, ebber lume dopo esser stati nelle tenebre; quante volte il durare un tormento misterioso come morire prepara a vita più intensa e più piena!

Quando ancora noi stiamo gemendo e alba di luce per noi non appare, pensiamo ai segreti disegni di Dio, che son disegni d’amore, e, pur nel più crudo martirio, prepariamoci alla gioia di vedere il Signore, di vederlo nel conforto che non ci mancherà, nel lavoro che troveremo da fare, nelle sante vittorie serbate per noi!

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L’uomo religioso, che ha vissuto e vive intensamente la sua fede, che è passato per le vie dolorose sulle quali fiorisce e si fortifica la virtù, che traverso quelle è giunto a ineffabile unione con Dio, l’uomo religioso è apostolo e di apostolo ha la missione. Ai discepoli, provati e riconfortati, Gesù dice: Come il padre mandò me, io mando voi.

Non basta udir la parola di Cristo, bisogna viverne, per predicarla efficacemente, per conquistare le anime e diffondere il regno! E questo compito di predicazione della verità e del bene è compito d’ogni cristiano. Non stanchiamoci di ripetere questa verità e cerchiamo di pienamente comprenderla.

Che mutamenti bisognerebbe fare nella nostra vita per rispondere alla nostra vocazione! Che fede bisogna avere, per poterla diffondere! Che virtù luminosa per attrarre! Che ricchezza interiore per avvincere al bene le anime, strappandole alle lusinghe del mondo!

Riflettiamo bene se noi, così come siamo, possiamo crederci pronti ad eseguire il divino comando, pronti per andare ai fratelli nel nome di Dio?

Che tristezza esce da una schietta investigazione della nostra coscienza!

I primi cristiani eran chiamati santi: potremmo noi non arrossire, non reagire se si volesse chiamarci così!

«Quale spaventosa mutazione nella faccia del cristianesimo!»

La frase, che trascrivo da un vecchio libro di meditazione, è sempre dolorosamente vera!

Ricordiamola e questo ci sia di stimolo a rendere alla chiesa la sua più fulgida gloria, quella della santità de’ suoi figli!

Lo spirito di Gesù vive ancora ne’ suoi Santi, in quelle anime di elezione, che Dio non lascia mancar mai agli uomini e che sono come scaglionati lungo i secoli per rispondere ai più alti e sacri bisogni dell’umanità. Essi stanno come tra la terra e il Cielo per accogliere ogni miseria e distribuire soccorsi divini, non tocchi dalle bufere terrene, noncuranti di sè, vibranti di carità.... Chiediamo a Dio che ci indirizzi a chi sappia scuoterci, che ci invii i suoi messaggeri di luce: a questa preghiera sincera non manca l’esaudimento, e poi, poi siamo docili e risorgiamo anche noi!

Gli apostoli, dopo la gioia della risurrezione sono uomini nuovi: han ricevuto lo Spirito Santo, che li ha mutati, trasformati. Essi non conoscon più Cristo secondo la carne, ma secondo lo spirito e grandi per questo ingrandimento interiore escono a predicare nel mondo il risorto.

Che mutazione meravigliosa!

E che monito a non impicciolire, a non materializzare la nostra fede!

Noi siamo così piccini che rendiam tutto meschino e non notiamo nemmeno più come contraffaciamo e guastiamo le cose più grandi. Noi non vediamo il male che facciamo con la grettezza dei nostri giudizi, con la povera limitazione della nostra pietà, ma chi, non essendo ancora forse con noi e pur desiderando d’accomunarsi con noi, ci osserva con occhio vigile, rimane contrariato e s’allontana.

Dio è così grande! Non circondiamolo delle nostre deficenze! Noi, che dovremmo essere gli strumenti suoi per conquistare le anime, cerchiamo di non diventare invece di ostacolo alla conversione del mondo...

Cristo è risorto. Egli non va più pellegrino per le contrade della Palestina, non avvicinando che poche popolazioni, non chiamando a seguirlo che poche persone; Egli chiama gli uomini di tutte le nazioni, di tutti gli stati.... La voce che risonava in Terra Santa ora parla al cuore degli uomini su tutta la terra.... Che diffusione magnifica! Che pensiero solenne!

Che la nostra fede s’allarghi, si elevi, si ingigantisca, arrivi a tutti.... Che i Cristiani non siano indegni più del loro Signore risorto!

Il centenne Abate ANTONIO CAMPANELLA

PRIORE DI N. S. DEL CARMINE A GENOVA

Una spiccata personalità, una popolare figura di parroco è scomparsa, rapita all’amore dei numerosissimi parrocchiani e dei sinceri ammiratori, che nell’arguta fisionomia dell’abate Campanella ritrovavano l’antico stampo del genovese sacerdote, di cui ancora e forse solo, rappresentava il tipo.

Nato il 2 marzo 1811, ed avviato al sacerdozio, spese i suoi lunghi anni in pro’ della Chiesa e delle anime. Maestro in prima nelle civiche scuole, educò alla religione e all’onor di Genova ed al culto della patria i fanciulli a lui affidati: sinchè l’em.mo cardinale Tadini, arcivescovo, lo volle professore di umanità in seminario.

Succeduto al cardinale, nel governo della diocesi mons. Andrea Charvaz, ben presto ne apprezzò il carattere franco e schietto e l’alta elevatura mentale.

E qui non possiamo tralasciare di rilevare che l’abate Campanella, mentre insegnava eloquenza in Seminario, coadiuvò la stampa cattolica, e forse pochi ricordano ch’egli nell’arringo giornalistico vi ebbe compagni il sac. D. Filippo Storace e l’Alimonda in momenti nei quali era assai pericoloso l’esporsi allo sbaraglio della stampa.

Monsignor Salvatore Magnasco, il cui nome non è mai dimenticato dal clero e dal popolo, nutrì per lui stima ed amicizia veramente fraterne. A lui si rivolgeva per consigli e gli affidava a risolvere quistioni rilevanti. Lo voleva quindi a professore di sacra eloquenza nel Seminario, conoscendone la precisione letteraria, cosa che ad alcuno parve spinta sino allo scrupolo, ed il gusto classico nella sacra oratoria. La sua classicità specialmente nella letteratura greca, latina ed italiana fu apprezzata molto da uomini competenti, che furono e sono gloria di Genova e dell’Italia.

Chiamato dall’arcivescovo monsignor Magnasco a succedere nella cura parrocchiale al fratello D. Gerolamo, aquila tra gli oratori genovesi del tempo, suo [p. 111 modifica] e scrupolo fu il bene dei parrocchiani, ai quali di già erano note le rare qualità di lui.

Parroco, fu modello di attività e di studio; mai lasciò senza grave causa la spiegazione dell’Evangelo e la esposizione catechistica, sempre fatta con una condegna preparazione.

Si aggiunga, che sino oltre l’ottantesimo anno di età volle personalmente compiere la gravosa fatica della benedizione delle case, portando a tutti i suoi parrocchiani il suo saluto, il saggio consiglio e dove occorreva il prudente soccorso.

Cosa degna di nota: quel tempo che impiegava al trapasso da un abitazione ad un’altra, lo utilizzava nel compiere le traduzioni classiche delle sequenze e degli inni della Chiesa.

Le cure parrocchiali non lo distolsero dai suoi classici studi; chè anzi, continuò a coltivarli con vera passione. In città ed in diocesi non si celebrò solennità religiosa o civile senza che il Campanella fosse invitato a portarvi il contributo della sua classica penna. Lui si volle oratore nelle grandi occasioni, lui a dettare epigrafi ed iscrizioni per le fauste e lacrimevoli circostanze della patria e della città.

Il Municipio genovese alla sua penna domandò quelle così stimate iscrizioni che, cesellate su medaglie d’argento e di bronzo, ne immortalano le glorie.

Per questo egli ebbe sempre ed avrà la stima d’ogni classe di persone, del clero, dell’arcivescovo, che ne apprezzò la cultura e più l’integrità e la severità della vita: del popolo, che vide in lui un esemplare di vita sacerdotale laboriosa, studiosa: quindi è che clero e popolo, uniti in un vincolo di bella armonia, gli augurano e gli pregano da Dio l’eterna corona meritatasi con una vita esemplare.

Per l’Asilo Convitto Infantile dei Ciechi


SOCI AZIONISTI.

Quinta rata.

Somma retro L. 104657 20

Donna Coletta Rosnati Castiglioni |||
   » 5 ―

Secondo anno, secondo quinquennio.

Signora Margherita Verga Nicoli |||
   » 5 ―


Totale L. 104667 20

PENSIONE FAMIGLIA PER IMPIEGATE

Somma retro L.5465―

Signor Riccardo Campi |||
   » 5 ―
Signora Pia Gavazzi Gnecchi |||
   » 20―


(Continua) Totale L. 5490 —

Le offerte si ricevono ai seguenti ricapiti: Marchesa Anna Visconti Casati (via Borgonuovo, 5) — A. M. Cornelio (via Gesù, 8).



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