Il buon cuore - Anno IX, n. 11 - 12 marzo 1910/Religione

Religione

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Beneficenza Società Amici del bene

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Vangelo della quinta domenica di Quaresima


Testo del Vangelo.

In quel tempo, era ammalato un tal Lazzaro del borgo di Betania, patria di Maria e di Marta sorelle (Maria era quella che unse con unguento il Signore, e asciugogli i piedi coi suoi capelli, ed il di cui fratello Lazzaro era malato). Mandarono dunque a dirgli le sorelle: Signore, ecco, che colui che tu ami, è malato. Udito questo, disse Gesù: Ouesta malattia non è per la morte, ma è per la gloria di Dio, affinché quindi sia glorificato il figliuol di Dio. Voleva bene Gesù a Marta e a Maria sua sorella e a Lazzaro. Sentito adunque che ebbe come questi era malato, si fermò allora due dì nello stesso luogo. Dopo di che disse ai discepoli: Andiam di nuovo nella Giudea. Gli dissero i discepoli: Maestro, or ora cercavano i Giudei di lapidarti, e di nuovo torni colà? Rispose Gesù: Non sono elleno dodici le ore del giorno? Quand’uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo: quando poi uno cammina di notte, inciampa, perché non ha lume. Così parlò, e dopo di questo disse loro: Il nostro amico Lazzaro dorme: ma vo’ a svegliarlo dal sonno. Dissero perciò i suoi discepoli: Signore, se dorme, sarà in salvo. Ma Gesù aveva parlato della di lui morte: ed essi avevano creduto del dormire di uno che ha sonno. Allora però disse loro chiaramente Gesù: Lazzaro è morto. E ho piacere per ragione di voi di non essere stato là, affinché crediate: ma andiamo a lui. Disse adunque Tomaso, soprannominato Didimo, ai condiscepoli: andiamo anche noi e moriamo con esso lui. Arrivato Gesù, trovallo già da quattro giorni sepolto. E molti Giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle per riguardo al loro fratello. Marta però, subito che ebbe sentito, che veniva Gesù, andogli incontro: e Maria stava sedendo in casa. Disse dunque Marta a Gesù: Signore, se eri qui, non moriva mio fratello. Ma anche adesso so, che qualunque cosa chiederai a Dio, Dio te la concederà. Dissele Gesù: tuo fratello risorgerà. Risposegli Marta: So che risorgerà nella risurrezione in quell’ultimo giorno. Dissele Gesù: Io sono la risurrezione e la vita: chi in me crede, sebben sia morto vivrà. E chiunque vive, e crede in me, non morirà in eterno. Credi tu questo? Risposegli: Sì, o Signore, io ho creduto, che tu sei il Cristo, il. figliuol di Dio vivo, che sei venuto in questo mondo. E detto questo, andò, e chiamò di nascosto Maria sua sorella, dicendole: È qui il Maestro, e ti chiama. Ella appena udito questo, alzossi in fretta, e andossi da lui: imperocchè non era per arco Gesù entrato nel borgo: ma era tuttavia in quel luogo, dove era andata Marta ad incontrarlo. I Giudei per ciò, che erano in casa con essa e la consolavano, veduto avendo Maria alzarsi in fretta e uscir fuori la seguitarono dicendo: Ella va al sepolcro per ivi piangere. Maria però, arrivata che fu dove era Gesù, e vedutolo, [p. 85 modifica]gittossi a’ suoi piedi, e dissegli: Signore, se eri qui, non moriva mio fratello. Gesù allora, vedendo lei piangente e piangenti i Giudei che eran venuti con essa, fremè interiormente e turbò se stesso e disse: Dove l’avete messo? Gli risposero: Signore, vieni e vedi. E a Gesù venner le lagrime. Dissero perciò i Giudei: Vedete, come ei lo amava. Ma taluni di essi dissero: E non poteva costui, che aprì gli occhi al cieco nato fare ancora che questi non morisse? Ma Gesù di nuovo fremendo interiormente, arriva al sepolcro, che era una caverna, alla quale era stata sovrapposta una lapide. Disse Gesù: Togliete via la lapide. Dissegli Marta sorella del defunto: Signore, ei puzza di già, perché è di quattro giorni. Risposele Gesù: Non ti ho detto, che se crederai, vedrai la gloria di Dio? Levaron dunque la pietra, e Gesù alzò in alto gli occhi e disse: Padre, rendo a te grazie perché mi hai esaudito. Io però sapeva, che sempre mi esaudisci; ma l’ho detto per causa del popolo che sta qui intorno: affinché credano che tu mi hai mandato. E detto questo, con voce sonora gridò: Lazzaro, vieni fuora. E uscì subito fuora il morto, legati con fasce i piedi e le mani, e coperto il volto con un sudario. E Gesù disse loro: Scioglietelo, e lasciatelo andare. Molti perciò di quei Giudei, che erano accorsi da Maria e da Marta e avevano veduto quello che fatto Gesù aveva, credettero in Lui.

S. GIOVANNI, Cap. 11.


Pensieri.

Gesù lascia che l’amico suo muoia, mentre avrebbe potuto evitare, un grande dolore alle sorelle di Lazzaro. Egli rimane lontano dalla casa dell’infermo.

Perchè Iddio non interviene sempre ad impedire il male? Perchè non ama? Gesù amava Lazzaro!

Riconosciamolo, una delle prove più difficili da superare, che riesce, a volte, una vera tentazione, è appunto vedere il male, il dolore, imperversare nel mondo, far strage degli uomini, martirizzare anche i buoni? Sentirsi innocenti e calunniati; vedere persone virtuose, virtuose fino all’eroismo, sconosciute e perseguitate è davvero terribile....

Chi di noi sa questa pena può dire come, quanto sia atroce! E allora sorge minaccioso, quasi domanda di sfida, il grido angoscioso: Ma ci ama Dio?! In questi stati d’animo ogni parola umana deve tacere, perchè solo Dio può, alla sofferenza ch’Egli solo misura, rispondere con parola che non irriti e non nuoccia.... solo Dio che parla parole divine può osare rivolgere un motto d’aiuto alle anime provate così!....

Son momenti tenebrosi.... ma che nelle anime religiose non hanno il sopravvento mai! Pur nello strazio del martirio esse sentono dentro la sicurezza dell’amore di Dio.... e questa sicurezza ineffabile li rende forti, sereni, grandi!

Oh, se si volesse esser più raccolti, più interiori, e osservar davvicino le grandi manifestazioni della vita spirituale!

Con che rispetto ci avvicineremmo a ogni anima santa! Nessuna visione quaggiù, le può stare alla pari!....

Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto.

Quanta fiducia amorosa esprime questo lamento e come dovette tornare accetto a Gesù!

Beati coloro che sanno lagnarsi con Dio senza lagnarsi di Dio!

Questo è il segreto di una religiosità profonda, di una intimità amorosa che trasforma anche il dolore!...

Ricordo tante voci di rassegnazione forte, di accettazione docile d’ogni affanno più crudo, ripetute da anime addolorate, con davanti agli occhi e nel cuore l’immagine di Gesù.... Di Gesù, come essi, piagato, oppresso, sconosciuto, abbandonato! E nell’intima unione con Lui, vivo ne’ secoli, le anime pie, traggono forza, traggono coraggio per sè, alimento alla loro vita interiore e, con il loro esempio, gettano la luce più fulgida che possa risplendere per i fratelli....

Gesù ha patito più di me. Egli è stato trattato peggio di me! Ah, quando simili frasi risuonano sulle labbra di persone crocifisse, sia nel corpo, sia, ed è ancor peggio, nell’anima, a noi non rimane che inchinarci; che inchinarci davanti alla rivelazione dello spirito di Gesù che vive ne’ suoi eletti!

Oh, sapere gli strazi ineffabili e le ineffabili, divine dolcezze! Piangere lagrime di sangue, ma spiritualmente abbandonati nel cuore di Cristo!... Sapere che l’ora del supremo dolore è anche quella della più intima unione con la divinità!...

Chieder pietà e sentirsi insieme l’oggetto d’un indicibile amore! Mio Dio, mio Dio.... Com’è misterioso, grande l’azione divina in noi.... Adoriamo, taciamo, godiamo....

Gesù ridona la vita a Lazzaro. Col prodigio egli si fa conoscere il Messia — ottiene la sua gloria, o, meglio, quella del Padre, ma insieme procura una gioia alle sorelle di Lazzaro, gioia che non avrebbero esperimentata se Gesù avesse guarito il loro fratello infermo.

Senza l’esperienza dei mali non possiamo apprezzare il bene. Chi non fu mai ammalato non valuta il bene della salute come chi l’ha riacquistata.

Dopo lunga assenza è più gradito il focolare domestico: dopo lontananza triste è più caro il ritorno fra i propri cari. Chi errò nella colpa, apprezza poi a mille doppi la pace e la gioia della rinnovata coscienza.

Il ritorno all’ovile d’un prodigo figliolo è gioia suprema al cuore d’un padre.... V’è maggior gioia in cielo per un peccatore che si pente che non per novantanove giusti che non abbisognano di penitenza.

Io sono la risurrezione e la vita.

Questo ha significato Gesù con la risurrezione di Lazzaro. Noi ripugnamo alla morte, e la morte è inevitabile!

Unico conforto verace per noi morituri è nella religione, nel sentimento di una vita eterna, che costituisce la nostra fede — fede che è sostanza delle cose sperate — che, pur nell’esiglio, ci fa pregustare le gioie della patria!


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La Religione Cattolica

e la questione Sociale

Un’importante considerazione che ci fa vedere negli effetti della civiltà cristiana la verità, la grandezza e l’utilità del Cattolicismo, è ai miei occhi ciò che la Chiesa fa ora in pro della questione sociale bene intesa e bene amata. Non mancano è vero nei nostri tempi non pochi, i quali accecati da passioni giudicano, sia pure in buona fede, che la Chiesa cattolica avversi quell’accrescimento di beni materiali nel popolo, e quell’avvicinamento e affratellamento dei diversi ordini sociali, che ha preso il nome di socialismo. Ma la verità è proprio il contrario. V’ha un socialismo buono, che, mentre accresce i beni materiali, li vuole scala ai beni dello spirito e della vita avvenire; e questo è il socialismo, lasciatemi dire la parola, cattolico. E’ un socialismo che cominciato con la Chiesa è andato crescendo di grado in grado, e, ai nostri giorni, ha per ordine di Divina Provvidenza, uno sviluppo e un’efficacia che non ebbe mai. Questo sviluppo, in gran parte derivato dalle industrie e dai commerci smisuratamente cresciuti tra i popoli civili, è voluto, promosso e accelerato dalla Chiesa Cattolica. Due memorabili Encicliche di Papa Leone XIII indicarono la via che esso deve percorrere, il papa presente Pio X, così particolarmente amante degli umili, lo ama di gran cuore e ne promuove il progresso. E ciò non toglie che egli d’altra parte si opponga severamente a coloro i quali, avvedendosi o no del male che fanno, si sforzano di rendere il socialismo una peste dell’umana società. Con la lusinga di rendere tutti gli uomini ricchi dei beni materiali tentano di spogliarli di beni infinitamente maggiori, che sono gli spirituali. Questo è il socialismo cattivo, che noi figliuoli della Chiesa combatteremo sempre. Allorchè si dimezza l’uomo e si pensa solo all’uomo carnale, non solo si fa guerra a Cristo e alla Chiesa, ma anche alla dignità umana, alla vera grandezza delle nazioni e ai molti beni della civiltà cristiana. Con tutti i mirabilissimi progressi materiali della nostra civiltà, noi, mi accora il dirlo, se eccitiamo i rei desideri, le passioni, le voluttà e tutto ciò che nell’uomo v’ha di basso e di corrotto; se estinguiamo in noi la luce degli alti ideali dataci da Dio per rassomigliarci a lui, andremo incontro a una nuova barbarie di un genere diverso da quella dei selvaggi, ma pur barbarie. E poi non vi accorgete voi che le più sterminate ricchezze non bastano a rendere l’uomo felice? Io vorrei chiedere a ciascuno di voi qui presenti se forse non preferisca ad un miliardo il non soffrire una malattia, poniamo grave e dolorosissima, oppure la perdita di una persona assai cara. La esperienza propria avrebbe dovuto pur convincervi che Iddio ci ha dati molti beni nel mondo e ce ne ha promessi pure molti altri assai più nobili e più desiderabili di quelli che i socialisti promettono a tutti.

Egregi uditori, le cose che io vi ho detto fin qui, come vi accennai sin dal principio, non sono nè uno studio profondo, nè una piena apologia di quel Cattolicismo, che ci consolò nei primi anni, e spero ci conforterà nell’ultima ora della vita. Ciò che ho cercato di farvi conoscere è appena un raggio di quella luce di fede, di carità e di speranza, che ho desiderato ispiratrici di tutta la mia vita, e che ora vorrei, per quanto è possibile, infondere nei vostri animi. Dura e spesso angosciosa è la vita dell’uomo, difficili e tenebrosi i tempi che viviamo, malsana e talvolta assolutamente infetta, per quanto riguarda religione morale, è l’aria che respiriamo intorno: oscurata o smarrita la fede, all’uomo non restano che lo scetticismo nella mente, e l’orgoglio con le passioni brutali nel cuore. I vari dolori della vita, nonchè scemare si accrescono, manca la speranza, grande consolatrice della vita; l’avvenire o non si vede o si vede tenebroso, l’anima si sente oppressa da un buio fitto di confusioni, di discordie e di contraddizioni, che contrastano col gran desiderio che noi abbiamo del vero, del bello, e del bene eterno.

E i miei fratelli, che son tutti gli uomini, spero che non mi vorranno male se io bramo vivamente di elevarli in alto e di alimentare in essi la speranza di beni infinitamente maggiori che non son quelli della vita presente.

UNA FESTA NUZIALE

Una modesta funzione compievasi la mattina del 3 corrente nella Chiesetta dell’Istituto dei Ciechi. L’avvocato Lino Barbetta, consigliere dell’Istituto, univasi in matrimonio, colla signora Paletti Clelia, ved. Sacchi. L’anno scorso moriva alla vedova Sacchi il maggiore di tre figli, e l’assistenza assidua e affettuosa fatta al figlio infermo, fece nascere sul labbro dei fratelli superstiti, il desiderio di vedere al posto del padre defunto, chi per l’affetto tanto lo richiamava, l’avv. Barbetta. Il loro voto fu esaudito. Queste premesse erano necessarie per comprendere il senso del discorso che in occasione delle nozze tenne agli Sposi il Rettore dell’Istituto.

La musica dei Ciechi accompagnò la funzione. Il presidente dell’Istituto cav. ing. Antonio Spasciani fungeva da padrino allo sposo.

Ecco il breve discorso.

«Vi sono dei momenti solenni nella vita. Tale è per voi questo momento, o Sposi. Voi siete qui per pronunciare l’irrevocabile sì, che unirà per sempre in una sol vita la vostra vita. L’avete pronunciato poc’anzi dinnanzi ai rappresentanti dell’autorità civile: venite a ripeterlo sotto l’egida di un’altra autorità, che vi parve più santa perchè rappresentata da chi riveste per voi il carattere dell’amicizia. E un po’ di spirito di famiglia che si insinua e presiede al formarsi della vostra famiglia.

«Una nuova condizione oggi si forma per voi. La vostra vita, libera e isolata nei rapporti fra di voi, ora si riunisce per formare una vita sola. Nuovi diritti, nuovi doveri. Io mi elevo e abbraccio questi diritti e questi doveri in una parola sola, che nasce dalla natura stessa del vincolo che venite a contrarre. La famiglia [p. 87 modifica]è il principio della società. Quale è l’ideale al quale si informa la società attuale? E’ la solidarietà, l’affrattellarsi di tutti nel ben comune; diciamo la parola, è l’amore; parola che io pronuncio tanto più volentieri perchè questa stessa parola, non in opposizione, ma in conferma, in elevazione, del sentimento naturale, è proclamata anche dal principio religioso: amatevi vi grida la terra, amatevi vi grida il cielo.

«E cosa mirabile, l’amore che costituisce la base della famiglia, diventa la garanzia dell’amore, che accompagna e salva la famiglia. L’unità del connubio è il carattere delle famiglie nelle società progredite; e nessun riflesso, nessun sentimento può immaginarsi più potente a conservare l’unità dell’animo degli sposi quanto l’amore. Un altro carattere è l’indissolubilità, che se non è di tutti i membri delle società progredite, è però dei membri più perfetti e moralmente sani di queste società: il contrario è una imperfezione, una malattia. Ditelo voi, o sposi: in questo momento in cui il sì reciproco del vostro assenso suona sincero ed infuocato sul vostro labbro, potete voi immaginare che questo sì, come condizione della vostra felicità, possa mai oscillare, possa mai rivocarsi? Non è possibile neanche il pensarlo.

«E la legge religiosa in questo punto è apertamente con voi. Nessuno più di voi, o sposi, può comprendere la bellezza, la elevazione, la forza, l’affettuosità di queste parole di Cristo: quod Deus conjunit homo non separet.

«Queste parole sono la garanzia, la difesa contro tutte le sorprese, le deficienze dell’umana debolezza: nelle lotte possibili della vita quale è la forza protettrice, che insieme alla sanzione divina salverà l’amore? L’amore.

«E questo amore, che nell’unità della famiglia è l’aura protettrice della felicità degli sposi, lo sarà non meno della felicità dei figli. I figli sono il fiore della famiglia. I figli voi già li avete. Anzi, essi stessi i figli hanno consacrato il vostro amore. Un giorno doloroso venne ad ombrare la loro fronte innocente: si sono sentiti orfani nei primi passi dell’esistenza. E a questo primo dolore ne dovettero aggiungere un’altro, la perdita del fratello maggiore. Ma nella morte essi sentirono come rinascere la vita. Nell’amorosa assistenza che tu, o sposo, facesti al loro fratello, essi hanno come veduto una trasformazione, hanno come veduto ricomparire in te una figura che era scomparsa: la persona non era la stessa, ma parve la stessa nell’amore. E rivolti alla madre hanno detto: a te e a noi puoi temperare il dolore di vederci orfani: tu puoi darci ancora un padre; colui che si condusse come un padre al letto del fratello: è scomparso il padre della natura; è ricomparso il padre dell’affetto.

«O sposa, eccolo al tuo fianco: esso è tuo due volte: è tuo come sposo, e tuo come padre eletto da tuoi figli.

«E potranno venire altri figli e si aggiungeranno ai primi: di due mazzi si farà un mazzo solo di fiori, che ricreeranno colla vivacità dei loro colori e colla soavità dei loro profumi, il secreto ambiente della famiglia.

«L’educazione dei figli formerà il tuo più diretto e più gradito compito, o sposa, trasfondendo in essi la tua vita morale, da parte del tuo sposo oggetto di compiacenza di rispetto e di amore.

«E tu, o sposo, qual vasto campo vedi sempre schiuso dinnanzi alla tua fervente operosità! L’amor di patria vive nelle severe tradizioni di tua famiglia: la professione ti porta a consacrar l’ingegno, lo studio, l’opera nella difesa del diritto, nelle aule sacre della giustizia: ma ciò non bastava alle esuberanze del tuo spirito generoso e gentile: le opere di beneficenza, in diverse forme, ti hanno cultore ed apostolo.

«Anzi tu hai voluto che il sentimento della beneficenza venisse come un filo d’oro a intrecciarsi col tuo sposalizio. I Ciechi, da molti anni formano l’oggetto e l’orgoglio della tua assistenza e del tuo amore. Tu hai voluto confondere l’amore coll’amore. Tu hai voluto che l’amor dei Ciechi venisse a consacrare l’amore tuo colla tua sposa. I ciechi sono oltremodo sensibili e infinitamente grati alla gentilezza del tuo sentimento, e ti ringraziano e ti compensano coll’invocare sopra di te, sopra della tua sposa, sopra de’ tuoi, le più elette benedizioni.

«Felice quel connubio, o sposi, ed è il vostro, che alle congratulazioni della terra, alla benedizione di Dio, associa la riconoscenza, l’affetto, la preghiera, dei colpiti dalla sventura».