Il Valdarno da Firenze al mare/Cap. III

Cap. III Da Empoli a Pontedera

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Cap. II Cap. IV
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III.

DA EMPOLI A PONTEDERA.


Empoli giace in mezzo ad uno dei tratti più ampi ed aperti del Valdarno Inferiore. Appoggiata da un lato all’argine dell’Arno, ha tutt’all’intorno un estesissimo raggio di pianura. Le colline che corrono parallele al corso del maggior fiume toscano par che in questo punto si siano tratte indietro per costituire come un contr’argine o, meglio ancora, un immenso anfiteatro. All’estremità di questo anfiteatro s’inalzano come tante vedette, Immagine dal testo cartaceoEMPOLI — CHIESA DI S. MARIA A RIPA — DELLA ROBBIA: S. LUCIA.

(Fot. Alinari).
Montalbano e il Monte Pisano da un lato, Monte Castello e il poggio di San Miniato dall’altro.

Sulla linea delle basse colline, ogni prominenza è occupata da un grosso paese, da un castello, da un villaggio. Sulla destra del fiume, Vinci, Vitolini, Lamporecchio, Larciano, Cerretoguidi, Petrojo, Fucecchio, S. Maria a Monte, Montecalvoli, Montecchio; sulla sinistra, Samontana, il Cotone, Monterappoli, la Bastia, San Miniato, Cigoli, Montopoli, Marti. A tramontana par che la linea di colline si sia abbassata per permetter la vista de’ poggi leggiadri della Valdinievole, sui quali si adagiano Monte Vettolini, Monsummano alto, Montecatini, Massa, Cozzile, Colle, Stignano, Buggiano, Uzzano. E dietro a questa doppia barriera di colli, inalzano le maestose e frastagliate vette gli Apennini Pistojesi, i monti di Lucca e lontano lontano i picchi delle Alpi Apuane biancheggianti, ora per i marmi che spuntano da’ fianchi squarciati dalle mine, or per le nevi che vi si addensano sfidando la potenza del sole estivo.

Nei piani feraci per i [p. 80 modifica]rigogliosi vigneti e per gli orti fecondi, sono di tanto in tanto densi aggruppamenti di case dai quali spiccano le vette aguzze dei campanili delle chiese di antica origine, deturpate tutte, più o meno, dalla meschina mania di modernità, ma quasi tutte Immagine dal testo cartaceoEMPOLI — CHIESA DI S. MARIA A RIPA — LA VERGINE IN GLORIA, DI GIOV. ANT. SOGLIANI.

(Fot. Alinari).
rallegrate dal fascino di qualche prodotto del genio artistico, prodigiosamente sfuggito all’avidità ed all’incuria.

S. Maria a Ripa, un antico convento francescano sorto per la munificenza degli Adimari di Firenze presso al luogo dove fu il borgo di Empoli Vecchio, ebbe un [p. 81 modifica]giorno ricchezza straordinaria di opere di plastica soprattutto; e alla soppressione delle corporazioni religiose, molte di esse andarono ad accrescere la nascente pinacoteca della Collegiata d’Empoli. Però altre ne rimasero che valgono a conservare Immagine dal testo cartaceoEMPOLI — CHIESA DI S. MARIA A RIPA — LA CONCEZIONE, DEL CHIMENTI.

(Fot. Alinari).
tuttora alla graziosa chiesa una importanza artistica non comune. Basta ricordare la statua di S. Lucia, una delle figure più realistiche, più animate che siano state immaginate da Giovanni Della Robbia, un bassorilievo robbiano attribuito al Cieco da Gambassi, una tavola della maniera di Fra Bartolommeo rappresentante [p. 82 modifica]l’Assunzione ed i Santi Marco e Bartolommeo e diverse vetrate dipinte del XV secolo. Nell’annessa compagnia, è una bella Concezione copiata da un quadro del Vasari con lo stesso soggetto, del Chimenti detto l’Empoli.

Altre opere d’arte si osservano in diverse chiese vicine: ad Avane una Immagine dal testo cartaceoEMPOLI — CHIESA DI S. MARIA A RIPA — DELLA ROBBIA: DOSSALE D’ALTARE.

(Fot. Alinari).
Madonna col bambino della maniera di Andrea del Sarto, a Riottoli un ciborio dei Della Robbia, a Pagnana una tavoletta di Agnolo Gaddi, a Marcignana una croce giottesca ed una grandiosa ghirlanda robbiana.

Seguendo per un piccolo tratto il corso del fiume Elsa, che dai monti senesi reca all’Arno l’abbondante tributo delle sue acque limpidissime, troviamo la chiesa di Pianezzole o del Terrafino, la quale possiede un pergamo che riproduce esattamente [p. 83 modifica]nelle sue forme architettoniche e decorative quello che Benedetto da Majano fece in S. Croce di Firenze per i Mellini, salvo che vi mancano i bassorilievi negli specchi. Ascendiamo il declivio di un poggetto che sporge fra le valli dell’Elsa e dell’Arno, e ci troveremo a Monterappoli, modesto ma pittoreseo villaggio che fu un giorno capoluogo di un comune assorbito più tardi dal maggior comune di Empoli. A Monterappoli sono due chiese; S. Lorenzo e la Pieve di S. Giovanni Evangelista. Immagine dal testo cartaceoS. MINIATO — DALLA CHIESA DI S. PIETRO ALLE FONTI.

(Fot. Alinari).
La prima non ha d’importante che un affresco botticellesco rappresentante S. Sebastiano; la seconda invece conserva all’esterno le forme eleganti e le originali e caratteristiche decorazioni di una chiesa di carattere lombardo. Facciata, fianchi, abside sono a cortina di mattone con leggiadre ornamentazioni e nell’architrave della porta sussiste un‘iscrizione che ricorda il nome dell’artefice che ideò e costruì il pregevole edifizio, un Bonserio lombardo, il quale dev’essere stato uno dei tanti maestri comacini chiamati ad esercitare l’arte loro in Toscana,

Presso Monterappoli, sul cocuzzolo di una bassa collina, un vecchio e caratteristico castello prospetta la sua fronte merlata verso la valle dell’Arno. È il castello [p. 84 modifica]del Cotone posseduto in antico dalla potente famiglia fiorentina degli Spini, poi dagli Scarlatti, celebrato dal Redi nel suo Ditirambo per la squisitezza dei vini prodotti da que’ prosperosi grappoli dai quali il vicino Monterappoli trasse il nome e lo stemma.


SAN MINIATO.

All’estremità occidentale del piano empolese, sopra il vertice ondulato di un poggio che a guisa di sprone si protende verso la valle dell’Arno, distende la lunga Immagine dal testo cartaceoS. MINIATO — CATTEDRALE.

(Fot. Alinari).
linea dei suoi edifizi la città di San Miniato, alternativamente chiamata al Tedesco e al Fiorentino, capoluogo di un vasto circondario della provincia di Firenze. La lunga e irregolare distesa delle sue case biancheggianti, interrotta di tanto in tanto dalla massa grandiosa di chiese e di palagi, coronata di torri e di campanili, segue le sinuosità del monte ed a chi la guarda da lontano dà l’idea che San Miniato sia una ampia e popolosa città. Invece, San Miniato, se possiede una storia e tradizioni gloriose da fare invidia a centri molto più importanti, non può considerarsi che come un lunghissimo borgo che di tanto in tanto si allarga per costituire delle piazze e che si dirama in piccole e brevi strade minori.

San Miniato non ha che 3500 abitanti o giù di lì, ma, in compenso, offre l’aspetto e l’importanza di una piccola capitale, di un centro di movimento e di affari [p. 85 modifica]tutt’altro che insignificante, essendo sede di numerosi uffici pubblici. Ma queste sue qualità, diremo così, officiali, sono di gran lunga superate dalle attrattive che San Miniato offre per la sua meravigliosa situazione, per la vaghezza dei giardini che l’allietano, per la ricchezza infinita di edifizi e di opere d’arte che la rendono una delle più simpatiche e delle più leggiadre fra le città secondarie della Toscana.

L’origine sua si perde nel mistero de’ tempi lontani, e le vicende della sua storia molteplici e fortunose mal si riassumerebbero in questa modesta illustrazione. Forse fu qui un villaggio o vico romano al quale si sostituì nel basso medioevo un castello posseduto da nobili Longobardi. Certo è che fin dal secolo IX, dopo una non breve permanenza fattavi da Ottone I Imperatore, San Miniato, che dal titolare d’un’antica chiesetta ebbe nome, divenne la residenza d’un rappresentante o Vicario Immagine dal testo cartaceoS. MINIATO — CATTEDRALE — FRAMMENTO DELL’ANTICO PULPITO.

(Fot. Alinari).
degl’Imperatori di Germania che in Toscana ne tutelava l’autorità e gl’interessi. Gli abitanti però male si assoggettarono al dominio della signoria straniera e per due volte, nel XII e nel XIII secolo, devastarono e abbandonarono la loro terra, andando a popolare due sottostanti borghi della pianura: Vico Wallauri che si chiamò poi San Genesio e Santa Gonda. Ma irrequieti, desiderosi di libertà e d’indipendenza, si rivolsero anche contro chi li aveva ospitati, e, distrutto San Genesio, annientato il borgo di Santa Gonda, tornarono al loro dolce colle, contendendo i diritti degl’Imperatori e de’ loro Vicari.

Riuscirono così ad acquistarsi una certa autonomia, perchè gl’Imperatori, pur di non perdere quella specie di vedetta che nel cuore della Toscana rappresentava tuttora quell’autorità feudale che sfuggiva loro dalle mani, cercarono di cattivarsi l’animo dei Sanminiatesi e permisero loro di costituirsi in libero comune, il quale, proprio sotto gli occhi del Vicario Imperiale, giunse fino a far parte della lega guelfa.

Federigo Barbarossa e poi Federico II dimorarono lungamente nella loro rocca, esercitarono di lassù l’autorità loro, tentarono di raccogliere e di animare le forze del partito ghibellino; ma la marea guelfa incalzava senza tregua e nello stesso [p. 86 modifica]castello di San Miniato s’accendevano di continuo le contese più violente fra i partigiani delle due opposte fazioni. Il potere imperiale scomparve travolto dall’irruenza di parte guelfa ed i Fiorentini, profittando delle discordie intestine che agitavano senza tregua l’ultimo propugnacolo, dell’autorità degl’Imperatori, strinsero d’assedio Immagine dal testo cartaceoS. MINIATO — CHIESA DI S. DOMENICO — TAVOLE DI ROSSELLO DI JACOPO FRANCHI E AFFRESCO DEL XV SECOLO.

(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).
il castello, lo espugnarono e nel 1369 lo aggregarono senz’altro al territorio della loro potente Repubblica.

Il castello di S. Miniato ebbe in origine modesta estensione e le sue solide mura racchiudevano appena il cocuzzolo del poggio sul quale sorgeva la rocca imperiale. Di questa rocca, che fu gettata al suolo ed abbandonata, altro non resta oggi che l’alta e smantellata torre, che, simbolo di una potenza e di una grandezza [p. 87 modifica]tramontate, domina una gran parte del Valdarno e Je vicine valli dell’Elsa e dell’Evola. Su quel prato deserto e silenzioso dove crescono e prosperano i fiori, a formare uno strano contrasto collo squallore di quel cupo rudere, fu la residenza degli orgogliosi Imperatori tedeschi, fu la dimora, dei loro Vicari, e fra quelle mura, oggi Immagine dal testo cartaceoS. MINIATO — CHIESA DI S. DOMENICO — AFFRESCO E TAVOLA DEL XV SECOLO.

(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).
rase al suolo, si svolsero truci e misteriosi drammi. Di uno, specialmente, è giunto fino a noi il ricordo, tramandato dagli storici: la fine infelicissima di Pier della Vigna, il celebre ministro di Federigo II, che caduto in disgrazia del suo signore, fu qui tratto in catene nel marzo del 1249 e barbaramente acciecato, sicchè in un impeto di disperazione si uccise fracassandosi il cranio contro le pareti del carcere.

Accanto alla torre eccelsa, dall’alto della quale lo sguardo può errar [p. 88 modifica]Immagine dal testo cartaceoS. MINIATO — CHIESA DI S. DOMENICO. MONUMENTO A GIOVANNI CHELLINI.

(Fot. Alinari).
liberamente attraverso a mezza Toscana, sono stati incisi a ricordo del caso pietoso i versi di Dante:

«Io son colui che tenni ambo le chiavi
   del cuor di Federigo e che le volsi,
   serrando e disserrando, sì soavi
che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi».

Poco al disotto della rovina della Rocca, è la Cattedrale dedicata a S. Maria e a S. Genesio per rievocare il ricordo della chiesa di Vico Wallauri e quasi ad espiazione dell’ingratitudine che i Sanminiatesi addimostrarono per quel borgo ospitale. La facciata della chiesa, a cortina di mattoni, serba le tracce delle trasformazioni e degli ampliamenti succedutisi dal XII al XVII secolo. Degli ornamenti di terracotta stampata, delle scodelle di majolica infisse nella cortina sono i resti della primitiva facciata. Nell’interno la chiesa è stata modernamente rifatta. Delle opere d’arte il corredo è piuttosto scarso. Più interessanti d’ogni altra cosa sono tre parti degli specchi del vecchio pergamo, scolpiti di bassorilievo colla rappresentazione dell’Annunciazione ed uno stemma; interessanti per antichità loro e perchè sono illustrati da iscrizioni che ne riassumono la storia. Le sculture sono di Giroldo di Jacopo da Como, scultore lombardo che lavorò al Duomo di Milano, alla Certosa di Pavia, al Duomo di Lucca, a Massa Marittima, alla Badia di Montepiano ed in altre località della Toscana; furono eseguite nel 1274 a tempo del Podestà Ugo de’ Cancellieri da Pistoja. Una tavola dipinta nei 1463 da Neri di Bicci, il fonte battesimale di marmo che potrebbe attribuirsi a Pagno Portigiani discepolo di Donatello, che si sa aver lavorato a San Miniato, ed una piletta del XV secolo, completano il patrimonio artistico del Duomo. Il campanile di mattoni era una delle salde e gagliarde torri del vecchio castello, del quale facevano parte i palazzi vicini, oggi del Vescovado e della Sottoprefettura.

Più importante della Cattedrale è la chiesa di S. Francesco che maestosa s’inalza dalle balze del monte, sostenuta da sproni e da arcate di proporzioni gigantesche. [p. 89 modifica]Cominciata a costruire nel 1343 sul luogo di un antico oratorio, la chiesa di S. Francesco restò compiuta nel 1480 e della costruzione sua originaria serba tuttora in gran parte i caratteri. Non così sono giunti fino a noi i molti oggetti d’arte e le decorazioni che, a similitudine di tutte le altre chiese francescane, dovevano adornarla. Unico resto delle sue dovizie artistiche sono de’ frammenti di un bellissimo affresco gaddiano (che decorava un giorno la sala del Capitolo), oggi quasi nascosti in uno stambugio al disotto del campanile.

Ma quello fra gli edifizi religiosi di San Miniato che presenta grande importanza artistica, non tanto per i pregi architettonici, quanto per la ricchezza infinita delle opere d’arte che vi sono raccolte, è la chiesa dei Domenicani intitolata ai Ss. Jacopo e Lucia. Pur essa, alla pari di quella di S. Francesco, sorge dalla balza del Immagine dal testo cartaceoS. MINIATO — CHIESA DI S. DOMENICO — TAVOLA DEL XV SECOLO.

(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).
[p. 90 modifica]monte, sostenuta da immensi piloni. In origine era a tre navate, oggi è ad una sola ed ampia nave con cinque cappelle di carattere ogivale. Essa fu cominciata a costruire nel 1330 dai frati Domenicani di Firenze e le più illustri e potenti famiglie di San Miniato la corredarono di cappelle, ricche di pregevolissimi affreschi che nei tempi della decadenza artistica scomparvero sotto il bianco. Immagine dal testo cartaceoS. MINIATO — CHIESA DI S. DOMENICO — GIOV. DELLA ROBBIA: ANNUNCIAZIONE.

(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).

Recentemente però, importanti restauri sono stati eseguiti a questa chiesa, restituendo all’aspetto originario le tre cappelle di prospetto e rimettendo in luce non pochi affreschi interessantissimi. Quelli della cappella degli Armaleoni, che rappresentano storie della Madonna, sono della scuola dei Gaddi ed appartengono forse a Niccolò di Piero Gerini. In fondo alla chiesa poi, dov’erano in origine due cappelle, sono venuti in luce altri interessanti affreschi che possono attribuirsi a qualche scolaro dell’Angelico che li eseguì sotto la guida o l’ispirazione del maestro. Per [p. 91 modifica]Immagine dal testo cartaceoS. MINIATO — SALA DEL CONSIGLIO NEL PALAZZO COMUNALE.

(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).
[p. 93 modifica]dovizia di opere d’arte la chiesa dei Domenicani può considerarsi come il museo cittadino. Tolti dalla sagrestia e dalle altre parti del convento e disposti convenientemente nella chiesa, esse sono ora oggetto della giustificata ammirazione del visitatore. Vi sono tavole e frammenti di ancone di scuola giottesca, altre de’ primi del XV secolo attribuite a Rossello di Jacopo Franchi, diverse della maniera di Fra Immagine dal testo cartaceoS. MINIATO — CAPPELLA DEL LORETINO — ALTARE.

(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).
Giovanni Angelico. Ma l’opera più interessante è la tavola che è stata posta a decorazione della cappella degli Armaleoni, nella quale le figure della Vergine in trono col bambino Gesù e dei santi Sebastiano, Rocco, Giovanni Battista e Martino vescovo mostrano tutta la leggiadria dell’arte fiorentina del 400.

Interessante è pure la tavola del XV secolo che adorna la vicina cappella, un giorno dei Samminiati.

In questa stessa cappella è il monumento funebre di Giovanni Chellini, celebre medico fiorentino morto nel 1468. È un’opera incompleta, perchè il frontespizio è [p. 94 modifica]un’aggiunta posteriore, il medaglione colla Vergine e il bambino è un calco di stucco ed il fondo del vano è deturpato da goffe e volgari decorazioni moderne che dovrebbero esser tolte. Tradizionalmente, il cenotafio si attribuisce a Donatello e al discepolo suo Pagno Portigiani che lavorarono insieme a San Miniato; ma l’attribuzione regge difficilmente alla critica, perchè, alla morte del Chellini, Donatello era decrepito ed il Portigiani pure era già molto vecchio.

Altra opera di pregio singolare è un tondo di terracotta invetriata Immagine dal testo cartaceoS. MINIATO — PALAZZO GRIFONI.

(Fot. Alinari).
rappresentante l’Annunciazione, leggiadrissimo lavoro di Andrea o, meglio, di Giovanni Della Robbia, proveniente dalla soppressa chiesa monastica di S. Martino. Al disotto del piano della chiesa è l’ampia cappella di S. Urbano, tutta decorata di buoni affreschi del XVI secolo.

Grandiosi palazzi di buona architettura sorgono sulle piazze e lungo le strade pittoresche di questa quieta e caratteristica città.

Il Palazzo Comunale, fondato nel XIV secolo per uso di residenza de’ magistrati cittadini, non ha esternamente interesse di sorta; ma nell’interno conserva intatto il salone o l’Udienza del Consiglio, salone che pochi anni addietro venne convenientemente ristaurato. In una delle sue pareti è un affresco della maniera dei Gaddi dipinto nel 1393 a tempo di un vicario di casa Guicciardini e rappresenta la [p. 95 modifica]Vergine in trono, circondata dalle Virtù Teologali. Tutte le altre pareti e le vôlte sono adorne di stemmi e d’imprese dei Vicari della Repubblica Fiorentina.

Al pianterreno, sotto la sala del Consiglio, è l’Oratorio della Madonna di Loreto detto del Loretino, che serviva alle cerimonie religiose pubbliche e private della Immagine dal testo cartaceoS. MINIATO — CAPPELLA DI FORTINO — TAVOLA DELLA SCUOLA DEL GHIRLANDAJO.

(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).
magistratura cittadina. La cappella è di forma graziosa e ricca di adornamenti che un recente incendio espose ai più gravi rischi. Le pareti sono adorne di affreschi assai deteriorati della prima metà del XV secolo e l’altare di legname è di squisitissimo e delicato lavoro del XVI secolo. Framezzo alle leggiadre decorazioni intagliate e dorate è un gradino con piccole storie che sanno della maniera di Ridolfo [p. 96 modifica]del Ghirlandajo o del Sogliani. Il bel cancello di ferro battuto che chiude la cappella porta il nomo dell’artefice, Lello di Siena.

Dei palazzi privati, il più vasto e il più artisticamente pregevole è quello Grifoni, oggi Catanti, di severa architettura toscana del XVI secolo. Giuliano di Baccio d’Agnolo ne fece il disegno per Messer Ugolino Grifoni monsignore d’Altopascio e il Vasari dice che «fu cosa magnifica». Pur troppo il lungo abbandono ha ridotto Immagine dal testo cartaceoCASTELLO DI MONTEBICCHIERI PRESSO S. MINIATO.

(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).
oggi la facciata in condizioni deplorevoli. Artisticamente importanti sono anche il palazzo Formichini, già Morali, del XVI secolo, quello Salvadori, già Franchini, Del Campana, già Roffia, e quelli che furono un giorno dei Borromei e dei Buonaparte, celebri famiglie sanminiatesi, posti sulla piazza del Tribunale.

Subito fuori della città, dal lato di ponente, è il R. Conservatorio di S. Chiara, dove fu un monastero eretto nel secolo XIV dalla famiglia Portigiani. Sull’altar maggiore della chiesa è una bella tavola dell’Empoli rappresentante la Concezione. Di eleganti forme ogivali è l’attigua sagrestia, un giorno chiesa dedicata a S. Maria Maddalena, fondata nel 1352 dai Bonincontri; sull’altare è una delle migliori tavole di [p. 97 modifica] Lodovico Cardi da Cigoli raffigurante Gesù Cristo che appare alla Maddalena sotto le spoglie di un ortolano.

Proseguendo la via, si trova la piccola chiesa di S. Maria del Fortino, leggiadra costruzione del XIV secolo che era già annessa ad uno spedaletto, oggi distrutto. Immagine dal testo cartaceoCIGOLI — TABERNACOLO NELLA CHIESA DI S. GIOV. BATTISTA.

(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).
Sull’altare esiste l’antica tavola danneggiata assai dall’umidità e dall’incuria. Nel centro della tavola, in una specie di tabernacolo sostenuto da angeli volanti, è la Vergine col bambino Gesù; in basso stanno S. Sebastiano, S. Bartolommeo. S. Cosimo. S. Damiano e S. Caterina d’Alessandria; è opera assai importante di scuola del Ghirlandajo. [p. 98 modifica]

Nei dintorni di San Miniato, fra le valli dell’Arno, dell’Elsa, dell’Evola e dell’Era, sorgono villaggi, castelli e casali che fecero parte del territorio della piccola repubblica costituitasi dopo la decadenza del dominio imperiale e molti di essi offrono tuttora un interesse speciale per i resti di antiche rocche, per edifizi di carattere medioevale, per le chiese di bella costruzione e non sprovviste di qualche pregevole opera d’arte. Immagine dal testo cartaceoMONTOPOLI — LA ROCCA.

(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).

Fra i castelli, quello che conserva maggiormente l’originario carattere, colla vecchia cinta di mura e le torri di difesa, è Monte Bicchieri, che per lungo corso di secoli appartenne ai Compagni, la cospicua famiglia fiorentina dalla quale nacque Dino, il celebre storico. Fra le chiese va ricordata la Pieve di S. Giovanni Battista a Corazzano, severa costruzione di laterizio del XI secolo, nella quale sono da ammirarsi un singolare affresco colla Vergine, opera del XV secolo, ed un’interessante tavola della maniera di Alessio Baldovinetti.

De’ castelli sanminiatesi uno dei più importanti è Cigoli, in antico Ceuli, noto più specialmente sotto il nome di Fabbrica di Cigoli. Nel luogo della rocca è oggi la splendida villa Sonnino, che porta appunto il nome di Castelvecchio. L’ampia Pieve [p. 99 modifica]di s. Giovanni Battista, che nonostante le infinite trasformazioni, serba ancora tracce della sua ricostruzione del XIII secolo, perchè l’origine sua data dall’VIII secolo, ebbe annesso un convento di frati Umiliati che fu soppresso prima del XV secolo. Opera fatta eseguire dagli Umiliati è lo stupendo tabernacolo di pietra che racchiude un’antichissima immagine della Madonna. Squisiti lavori ornamentali che evocano la maniera del fiorentino Neri di Fioravanti ne adornano le singole parti, Immagine dal testo cartaceoVINCI.

(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).
indegnamente ricoperte da una moderna quanto vandalica verniciatura. Nell’imbotte di questo tabernacolo, che venne eretto nel 1381 da sette frati Umiliati, sono i resti d’interessanti affreschi della maniera di Agnolo Gaddi.

Seguitando la linea dei colli, che con leggiadra ondulazione seguono paralleli il corso dell’Arno, si trova Montopoli, graziosa e ridente terra che si distende ai piedi di una piccola collinetta sulla quale s’inalza la torre dell’orologio, avanzo della potente rocca che fin dal tempo remoto, in cui dominavano questi luoghi i Vescovi di Lucca, stette a guardia e difesa de’ popoli vicini. La Repubblica Fiorentina accrebbe straordinariamente le fortificazioni di Montopoli che rappresentava come un punto avanzato all’estremità del suo territorio e per mezzo di un arco arditissimo [p. 100 modifica]che passa al disopra del Borgo Vecchio, collegò la rocca alle nuove mura castellane. Un incendio desolò il paese, arse la rocca, fece cader parte delle mura ed oggi del grandioso fortilizio non rimangono che la torre isolata e l’arco pittoresco. La Pieve di S. Stefano a Montopoli nei fianchi e nell’abside presenta le forme ed i caratteri delle chiese in laterizio del XIII secolo. Nella chiesa del R. Conservatorio di S. Marta è la tavola della Resurrezione, una delle opere più felici di Lodovico Cardi da Cigoli. Immagine dal testo cartaceoVINCI — PANORAMA.

(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).

Da Montopoli è a breve distanza il lungo e popoloso borgo di S. Romano che si specchia nell’Arno e che possiede una chiesa francescana di origine antica, ma modernamente sopraccaricata di decorazioni. Proseguendo la via Pisana, traversato il torrente Chiecinella che segna il confine fra le provincie di Pisa e di Firenze, si trovano prima Castel del Bosco, dove nessuna traccia rimane del gagliardo fortilizio pisano presso il quale avvennero sanguinosi conflitti, e poi il paese della Rotta, centro di una fiorente fabbricazione di laterizi, che col proprio nome perpetua il ricordo di una terribile alluvione nella quale l’Arno, abbattuti gli argini, invase la pianura fino a Pontedera. [p. 101 modifica]

Ma, giunti a questo punto, occorre retrocedere fino a Empoli e, varcato il comodo ponte moderno che attraversa l’Arno, compiere una rapidissima visita ad alcuni de’ più importanti luoghi che sorgono fra le pendici del Monte Albano e dei poggi delle Cerbaje e la riva destra del fiume. Immagine dal testo cartaceoVINCI — ORATORIO DELLA SS. ANNUNZIATA — FRA PAOLINO DA PISTOJA (?): L’ANNUNCIAZIONE.

(Fot. Alinari).

Vinci merita uno speciale ricordo, perchè all’incanto della sua giacitura, alle memorie storiche de’ tempi lontani, può unire anzitutto il vanto di aver dato i natali ed il nome ad un genio meraviglioso, a quel sommo Leonardo che, nell’arte come nelle scienze, raggiunse l’apogeo della gloria. La famiglia di Ser Piero da Vinci, notajo fiorentino che fu padre di Leonardo, ebbe nel castello e nei dintorni diversi [p. 102 modifica]possessi dei quali è notizia negli antichi catasti; ma se non può stabilirsi in modo assoluto il luogo dove quel genio venne alla luce, è pure da accogliersi come più probabile la supposizione che nella sua infanzia egli abitasse nella località chiamata Anchiano, dov’erano una casa e due poderi appartenenti fin da tempo remoto alla sua famiglia. La chiesa di S. Croce a Vinci non ha importanza di sorta; in compenso merita di essere visitato il leggiadro oratorio della SS. Annunziata dov’è una tavola che è stata soggetto di molti e contradditorî giudizi intorno alla sua attribuzione: l’Annunciazione che oggi si è concordi ad assegnare a Fra Paolino da Pistoja.

La vecchia e cadente rocca di Vinci, forte maniero, un giorno dei signori d’Anchiano consorti degli Adimari, divenne dipoi fortilizio della Repubblica Fiorentina che ne accrebbe l’importanza. Oggi non è che una maestosa mole in isfacelo, che serve di malsicuro e meschino asilo a povere famiglie di braccianti.

Lamporecchio, ampio e popoloso villaggio che sorge in una valle alle pendici del Montalbano, vicino ai resti di alcune torri di vedetta inalzate dai Pistojesi, non ha grande importanza artistica; viceversa è famoso nelle tradizioni gastronomiche popolari per la bontà di certi piccoli cialdoni, chiamati brigidini, che i suoi abitanti vanno a cuocere a tutte le fiere della nostra regione, formando la delizia de’ ragazzi. La Pieve di S. Stefano, che ora si ricostruisce di nuovo in forma molto più vasta Immagine dal testo cartaceoLAMPORECCHIO — VILLA ROSPIGLIOSI.

(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).
[p. 103 modifica]Immagine dal testo cartaceoCERRETO-GUIDI — PANORAMA DALL’ORATORIO DI S. LIBERATA.

(Fot. Alinari).
e ricca, possiede un grandioso e complicatissimo altare in terracotta invetriata de’ tempi di Andrea e Giovanni Della Robbia. Rappresenta la Visitazione di S. Elisabetta, i Santi Rocco e Sebastiano ed è straordinariamente ricco di decorazioni ornamentali.

Però ciò che contribuisce a dare un carattere di splendore a Lamporecchio è la Villa Rospigliosi che sorge a cavaliere del paese, circondata da un vasto e delizioso parco e da numerosissimi e comodi annessi. Papa Clemente IX della famiglia pistojese de’ Rospigliosi la fece edificare col disegno del celebre Bernini; ma il gigantesco e dispendioso progetto dell’insigne artista non ebbe compimento che in parte, donde venne alla villa il nomignolo che porta tuttora di Spicchio. Ad ogni modo, è uno spicchio imponentissimo, nel quale la famiglia dei Principi Rospigliosi serba tuttora tutti i doviziosi arredamenti che erano degni d’una residenza pontificia.

Prima di abbandonare le pendici del Montalbano e riprendere la strada lungo il corso dell’Arno, osserviamo un altro pittoresco e storico castello. Larciano, che sulla vetta di un alto poggetto presenta fra i vecchi caseggiati le masse brune della sua antica Pieve e della fortissima rocca che per il corso di vari secoli fu residenza dei Capitani pistoiesi, preposti alla guardia ed al governo di un amplissimo territorio. [p. 104 modifica]

Soffermiamoci ora un istante a

Cerreto-Guidi, dove ci attraggono storiche ricordanze e diverse opere d’arte che non debbono sfuggire all’intelligente visitatore di questi luoghi. Feudo in tempi remoti della celebre e potente famiglia dei Conti Guidi, Cerreto ebbe in antico un Immagine dal testo cartaceoCERRETO-GUIDI — CHIESA DI S. LEONARDO — GIOV. DELLA ROBBIA: FONTE BATTESIMALE.

(Fot. Alinari).
forte castello sulle cui rovine sorse una suntuosa villa medicea, la villa nella quale si svolse la notte del 16 luglio 1576 una delle più terribili tragedie registrata nella storia dei primi Granduchi di Toscana: l’uccisione, per opera di Paolo Giordano Orsini conte di Bracciano, dell’infedele ed infelicissima Isabella, figlia secondogenita di Cosimo I de’ Medici. Presso la villa, che chiude, dentro le sue solide mura, il ricordo dell’esecrando delitto, sorge la Pieve di S. Leonardo, nella quale [p. 105 modifica]la vista di superbe opere d’arte ritempra e risolleva lo spirito rattristato dall’evicazione di quell’orrendo delitto. Di questi oggetti quello che specialmente attrae l’ammirazione del visitatore è il fonte battesimale di forma esagona, nel quale Giovanni Immagine dal testo cartaceoCERRETO-GUIDI — CHIESA DI S. LEONARDO — NASCITA DI S. GIOV. BATTISTA. PARTICOLARE DEL FONTE BATTESIMALE.Della Robbia maestrevolmente ritrasse di bassorilievo episodi della vita di S. Giovanni Battista, circondandoli di ornamenti di una finezza e di una grazia squisita.

Una tavola che rappresenta la Vergine col putto, fra S. Leonardo e S. Paolo Apostolo e che ricorda la maniera di Filippino Lippi, e un’altra colle figure di S. Girolamo e di S. Michele, ispirate al fare del Franciabigio, un’altra tavola col Crocifisso [p. 106 modifica]fra i Santi Sebastiano e Rocco della maniera del Poccetti, il quadro della Madonna del Rosario che puo attribuirsi al Cigoli, un Crocifisso che si dice opera di Giambologna, costituiscono il corredo artistico di quest’antica Pieve.

Abbandonato Cerreto-Guidi, il cui abitato cinge come un anello il poggetto sul quale sorgono la villa medicea e la Pieve, torniamo sulla riva dell’Arno ed in una rapida corsa passiamo attraverso ai popolosi paesi che, a breve distanza l’uno Immagine dal testo cartaceoFUCECCHIO — PANORAMA.

(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).
dall’altro, trovansi fra la linea delle basse colline che la valle dell’Arno dividono dal padule di Fucecchio e l’argine del fiume. ‘

Fucecchio è il primo e il più importante di questi luoghi: importante per dovizia di antichi ricordi storici, per pregio di fabbriche e di opere d’arte ed anche per essere divenuto modernamente un frequente e cospicuo emporio di commercio e di attività. In origine fu un piccolo borgo, che si disse appunto Borgonuovo, fabbricato, insieme ad una cospicua abbazia, dai Cadolingi, i quali adottarono più comunemente il titolo di Conti di Borgonuovo, perchè tennero come loro preferito soggiorno il castello da essi edificato da un lato della collinetta sulla quale la terra [p. 107 modifica]di Fucecchio si distende. Di quella rocca, che la Repubblica Fiorentina conquistò ed afforzò, sussistono ancora le gagliarde mura e diverse torri che attorniano un’ampia casa di fattoria oggi dei Principi Corsini.

L’Abbazia di Borgonuovo, intitolata a S. Salvatore, sorgeva sul poggetto chiamato di Sala Marzana e sussiste tuttora, sebbene trasformata, la sua vetusta chiesa che della vecchia struttura conserva oggi solo poche parti. Passata dai Benedettini ai Vallombrosani, poi alle monache, subì alterazioni infinite e la dispersione del suo Immagine dal testo cartaceoFUCECCHIO — PORTA DI S. ANDREA.

(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).
artistico tesoro. Oggi non vi si osservano che dei dipinti del Vasari, di Francesco Mati, di Alessandro Allori e del Pignoni.

L’Arcipretura di S. Giovanni Battista venne riedificata nel XVIII secolo nella località stessa dell’antica Pieve divenuta troppo angusta. Al modesto interesse del fabbricato offrono un compenso diversi oggetti d’arte che tuttora vi si conservano: dei dipinti cioè ritenuti di Cosimo Rosselli, di Lorenzo di Credi, di Filippino Lippi, del Sogliani, di Fra Paolino da Pistoja, del Pontormo, di Alessandro del Barbiere, del Biliverti.

Fucecchio, che fu costantemente fedele a parte guelfa, che accolse nelle sue mura ospitali e li protesse, i fuorusciti fiorentini banditi dopo Montaperti, fu teatro più di [p. 108 modifica]una volta di guerreschi episodi, nei quali difese così gagliardamente la propria libertà che i nomici, attaccandolo, uscirono scornati e sconfortati. Anche Castruccio Castracane, che nel 1323 tentò la presa di Fucecchio, si trovò di fronte a tale resistenza che dovette abbandonare l’iniziata impresa. Dell’assedio posto a Fucecchio da Castruccio rimane ricordo nella porta di S. Andrea, che il popolo chiama appunto di Castruccio, perchè contro di quella più specialmente si rivolse la inutile furia delle milizie guidate da quell’ardito capitano.

Palazzi antichi e di belle forme architettoniche, piazze e strade eleganti, il vantaggio di una felice giacitura, i benefizi del movimento commerciale, fanno ora di Fucecchio uno dei centri più notevoli del Valdarno Inferiore.

Da Fucecchio trasse nome fin da tempo antico un vasto lago, divenuto poi palude, che si distende nei bassi piani chiusi fra i colli del Valdarno e le pendici dei poggi della Valdinievole. Cotesto lago fu fin da tempo remoto occasione di cure speciali per parte degli ufficiali della Repubblica Fiorentina, i quali dovevano provvedere a che le acque cresciute per le alluvioni non allagassero i luoghi circostanti e impedire che per cagione della bassura del lago esso fosse invaso dalle piene dell’Arno; quindi più e più volte si ricorse ai più valenti artisti perchè dirigessero la costruzione di gagliarde opere idrauliche atte a contenere il lago ed a favorire il defluvio delle acque.

Di queste opere di architettura idraulica la più importante è il Ponte a Cappiano, detto anche delle Calle per cagione delle cateratte e delle altre opere di difesa che in questo luogo furono eseguite. Storicamente, il Ponte a Cappiano è interessante perchè fin dal medioevo ebbe a propria difesa un castello fortissimo presso al quale più volte vennero a sanguinose contese le milizie delle Repubbliche di Firenze, Pisa e Lucca. Nella costruzione del ponte e delle altre difese dello sbocco del lago, ebbero parte grandissima Antonio e Francesco da Sangallo, entrambi architetti del magistrato della parte guelfa. Il primo fu mandato nel 1508 a provvedere ad opere che valessero a contenere il lago ed a far sì che da esso non sfuggisse in troppa quantità il pesce che procurava una cospicua rendita allo stato. Francesco nel 1530 ricostruì il ponte, il quale, sebbene abbia subito moderne e deplorevoli deturpazioni, è sempre importante anche dal lato architettonico. È tutta una solida costruzione a cortina di mattoni con un portico che protegge la strada e che si sporge dal corpo centrale del fabbricato, chiuso alle due estremità dalle massicce torri di difesa sovrastanti alle porte che dànno accesso al ponte.

Ritornando a Fucecchio e continuando la via che parallelamente all’Arno si dirige verso Pisa, si trova Santa Croce, terra ampia, popolosa, ricca per commerci ed industrie, fra le quali primeggia quella della concia dei pellami. Come Fucecchio, il borgo di S. Croce fu sotto la dipendenza dei Conti Cadolingi; poi l’ebbero i Pisani che nel 1287 lo cinsero di mura. La chiesa di S. Lorenzo è ampia e ricca d’adornamenti; ma architettonicamente non ha importanza speciale; d’opere d’arte non serba che una statuetta di S. Giovannino dei Della Robbia e dei libri corali adorni di miniature del XV secolo. A breve distanza da S. Croce sorge sulla riva dell’Arno Castelfranco di Sotto, oggi terra elegante, ben fabbricata, ricca di decorosi edifizi, un giorno castello forte e ben munito, al quale dava importanza speciale la sua situazione, presso la confluenza del canale dell’Usciana coll’Arno che [p. 109 modifica]formava un gagliardo punto di difesa. Possesso antico dei Cadolingi, fu costituito in castello, franco dalle imposizioni, nel XIII secolo, chiamandovi ad abitarlo le popolazioni di alcune vicine parrocchie. Preso nel 1260 ai Lucchesi dai Ghibellini guidati Immagine dal testo cartaceoCASTELFRANCO DI SOTTO — TORRE DELLE CAMPANE.

(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).
dal Conte Guido Novello, parzialmente distratto nel 1333 dalla terribile inondazione dell’Arno, cadde nel 1339 sotto il dominio dei Fiorentini, i quali lo rassettarono e lo ricostruirono alla foggia delle loro terre del Valdarno Superiore; di forma rettangolare, cioè, con quattro porte turrite, alle quali facevano capo due strade che [p. 110 modifica]s’incrociavano nel centro, dov’era una piazza fiancheggiata dalla Pieve e dal Palazzo Pretorio divenuto poi sede del Comune. Le mura e le porte, per quanto rovinate, sussistono tuttora in gran parte. La chiesa di S. Pietro di remota origine nulla conserva della sua struttura originaria. Anche il suo corredo di opere d’arte è ben Immagine dal testo cartaceoCASTELFRANCO DI SOTTO — STATUA DI S. PIETRO.

(Fot. I. I. d’Arti Grafiche).
modesto: una tavola di Alessandro Allori, una del Passignano, un messale con miniature del XV secolo e, più importante di tutte le altre opere, una statua di marmo di S. Pietro, caratteristica scultura pisana del XIV secolo, oggi esiliata nel modesto cortile della canonica.

Poc’oltre Castelfranco si trova sull’Arno il canale dell’Usciana, che raccoglie le acque della Valdinievole e del Padule di Fucecchio e che scorre ai piedi delle colline sulle quali sorgono le ville di Montefalcone e di Poggio Adorno, in tempi remoti castelli dei Cadolingi, poi palazzi di campagna della famiglia fiorentina degli Albizzi.

S. Maria a Monte, un grosso paese che occupa il vertice d’una fertile collinetta che s’inalza sulla destra del canale dell’Usciana, fu uno dei più importanti castelli del Valdarno Inferiore. Sorvoliamo sulle sue vicende storiche, le quali non sono che la ripetizione di quelle di tutti gli altri luoghi che per essere situati al confine di territorî di diverse repubbliche rivali, furono oggetto continuo di aspre contese, di avide voglie e teatro di lotte fiere e sanguinose. Feudo de’ Vescovi di Lucca, cadde diverse volte sotto il dominio ora de’ Lucchesi, ora de’ Fiorentini, ora de’ Pisani, fino a che per forza preponderante la Repubblica di Firenze non lo incorporò nel suo territorio. Della sua rocca, che occupava la sommità della collina attorno alla quale gira come una ghirlanda il caseggiato, non restano che poche tracce, come pochi resti avanzano delle mura e delle torri, una delle quali serve oggi di campanile alla chiesa collegiata di S. [p. 111 modifica]Giovanni Evangelista. Questa, di remotissima origine, conserva all’esterno resti della sua originaria struttura; ma in essa più che altro importa osservare due oggetti che ne adornano l’interno, reso insignificante dalle moderne trasformazioni: il pergramo ed il fonte battesimale. Il pergamo di marmo, sostenuto da esili colonnette Immagine dal testo cartaceoS. MARIA A MONTE — PERGAMO NELLA CHIESA DI S. GIOVANNI EVANGELISTA.che posano sul dorso di due leoni accovacciati, è adorno di figure e di ornati lavorati d’intarsio e può ritenersi come opera compiuta nel XIII secolo da quei maestri comacini che lavorarono in molte chiese del territorio lucchese. Il fonte battesimale di forma ottagona ha scolpito negli specchi altrettanti bassorilievi che rappresentano il battesimo di Cristo e le Virtù cardinali e teologali. Fu fatto nel 1463 ed il nome del suo autore, Domenico Rosselli da Rovezzano, ricordato in una lunga [p. 112 modifica]ed ampollosa iscrizione nella quale le virtù dell’artista sono agguagliate a quelle di Fidia. Sostanzialmente però non si tratta che di un’opera poco più che discreta.

Al di là di S. Maria a Monte, sulla vetta di un’altra collina è Montecalvoli, ridente borgata che fu un giorno castello de’ Lucchesi. Fra questo castello e la bella villa di Montecchio, un giorno Grancia dei Certosini, è un ponte moderno che attraversa l’Arno e che guida direttamente a Pontedera. Immagine dal testo cartaceoS. MARIA A MONTE — FONTE BATTESIMALE DI DOMENICO ROSSELLI DA ROVEZZANO.