Il Parlamento del Regno d'Italia/Francesco Crispi

Francesco Crispi

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Ruggero Settimo Francesco De Luca
Questo testo fa parte della serie Il Parlamento del Regno d'Italia


Francesco Crispi.

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È il capo riconosciuto, rispettato e temuto dell’estrema sinistra; è un uomo di profondo ingegno, di molta abilità, di molto studio; ha già esercitata una parte delle più importanti negli affari della sua isola natale, la Sicilia, in quelli dell’Italia intera, e non crediamo andare errati asserendo che una anche più importante parte gli è riserbata nei futuri destini della nostra nazione.

Come l’abbiam già detto, Francesco Crispi è siciliano. Egli è nato il 4 ottobre del 1819. — Ha fatto gli studî legali, si è avvocatato, quindi si è portato a esercitare la professione in Napoli, forse perchè desiderava un più vasto campo, che per avventura non se gli offrisse a Palermo. Colà lo ritroviamo, quando in quest’ultima città scoppiò la famosa rivoluzione del 13 [p. 540 modifica]gennajo 1848. Il Crispi, fervido patriota, uomo di sentimenti e d’idee profondamente liberali, non poteva esitare, e difatto non esitò un istante a lasciar tutto per accorrere in patria ad offrire il proprio braccio, e la propria mente all’opera rivoluzionaria. Nè i suoi concittadini tardarono a giovarsi di lui. Durante le famose 24 giornate di Palermo (tanto durò la lotta sostenuta da quella generosa città contro la tirannia borbonica), il Crispi fu scelto a segretario di quel Comitato di difesa, che fece prodigî per fomentare, nutrire, ingigantire il fuoco dell’insurrezione; e che vi riusci al di là di quello ch’ei stesso potesse lusingarsi di pervenirvi.

Una volta cessata la lotta e la Sicilia liberata dal giogo di un aborrito governo, e riattuata la costituzione del 1812, il Crispi venne eletto deputato alla Camera dei comuni, ove prese parte alle più vitali discussioni che si agitarono in quell’Assemblea, sedendovi sui banchi della sinistra, sostenendovi le opinioni e i partiti i più liberali, come a cagion d’esempio, quello che invitava il Parlamento siciliano a formulare un decreto che dichiarasse la stirpe dei Borboni di Napoli definitivamente decaduta dal trono della Sicilia; nè è inutile il ricordare che il Crispi fu appunto uno di coloro che firmarono pei primi quella mozione adottata poi dalle due Camere.

Più tardi, quando già le sorti dell’isola declinavano, il Crispi dette novella prova dell’invincibile sua energia col rifiutarsi ricisamente a votare la proposta tendente a fare accettare i buoni ufficî dell’ammiraglio francese Baudin per venire a trattative con Ferdinando II.

Caduta affatto la rivoluzione siciliana, il Crispi esulò ed ebbe a percorrere nella triste odissea del proscritto, che quasi ogni terra, italiana o straniera, respingeva da sè, quasichè tutta l’Europa.

Le sventure, le repulse e i disinganni d’ogni maniera sofferti e sopportati dal Crispi con uno stoicismo che si basava sulla forza e la dignità del suo carattere, maturarono il di lui senno, raddoppiarono la vigoria del suo animo, e gli dettero quella calma e quella energia concentrata e invincibile ch’è una delle sue [p. 541 modifica]più grandi qualità e che senza dubbio l’ha spinto e lo spinge a operare le grandi cose.

In Inghilterra noi sappiamo che il Crispi ha avvicinato e si è legato assai intimamente col Mazzini; ma non crediamo, come molti credono o fanno vista di credere, ch’egli sia mai stato, nel vero senso della parola, un adepto del celebre agitatore. Il Crispi ha una individualità troppo pronunciata ed autonoma, per essersi mai potuto lasciare in certa qual guisa assorbire da un’altra individualità, per elevata e sublime che potesse sembrargli. Di più v’ha un’altra ragione, agli occhi nostri convincentissima, per farci credere che il proselitismo del Crispi a riguardo del Mazzini sia una chimera, e questa si appoggia sulla divergenza quasi assoluta ch’esiste fra la dottrina mistica, vaga e inapplicabile dell’apostolo e il positivismo logico ed inflessibile dei principî onde s’informa la scienza politica del nostro protagonista. Non vogliamo dire con ciò che tra il Crispi e il Mazzini non sianvi stati rapporti intimi e continui; ma sostenghiamo che il Crispi non è tal uomo da lasciarsi influenzare da chi dista da lui per quanto il sogno si scosta dalla veglia, e siam piuttosto disposti ad ammettere che nelle rare occorrenze in cui quei due hanno agito d’accordo, il Crispi siasi servito del Mazzini, invece che questo di quello.

Ad ogni modo, la parte presa dal Crispi nei moti del 6 febbrajo del 1853 non deve essere troppo severamente interpretata, nè le si deve dare una troppo grande importanza o farne un addebito troppo severo. Durante tutti i suoi viaggi e le sue dimore in Francia ed in Inghilterra, il Crispi non lasciò mai un’occasione d’istruirsi e di prepararsi attivamente a sostenere la parte che sentiva spettargli in seno alla patria, una volta che fosse risorta. E questa speranza ch’ei possedeva del risorgimento d’Italia, speranza che nell’animo di quell’uomo energico arrivava sino al grado di fermo convincimento, non era già inoperosa e fatalistica. Egli non mancava mai un’occasione di agire per ottenere uno di quelli anche piccoli effetti che pur potevano in qualche modo contribuire ad affrettare l’ora del gran riscatto. Naturalmente, egli come altri, [p. 542 modifica]molti, restò alquanto sorpreso dal precipitarsi degli eventi nel 1859. — Ben pochi potevano attendersi a quel fiat lux che scaturì dalle labbra di Napoleone III in occasione del ricevimento del primo dell’anno 1859. Ma il Crispi ha uno di quei caratteri pronti, securi e incrollabili, che non si maravigliano a lungo di nulla e che son sempre disposti a trarre partito di tutto per venirne più spicciamente ai loro fini. Tali uomini, intenti ad un’opera, ove domani avvenga un cataclisma che distrugga una porzione dell’universo, ov’eglino rimangano incolumi, sono capaci, trascorso appena il primo momento dell’inevitabile emozione, a chiedersi e a meditare come e quanto quella catastrofe possa giovar loro a raggiungere la meta cui tendono a raggiungere, e non passa un istante che già hanno formato un nuovo piano, e si ripongono all’opera più fervorosi di prima. Così fece il Crispi. Comprese che bisognava trarre il miglior partito possibile dai miracolosi eventi che affrettavano così inopinatamente la rigenerazione italiana, e che staccandosi da questo nuovo punto di partenza, bisognava spinger l’impresa più lungi e più affrettatamente di quello che ne’ suoi calcoli i più lusinghieri avesse sperato di farlo.

Se Crispi ha avuto sempre un punto di contatto con Mazzini, questo punto non è altro che quello dell’unificazione italiana. E a Crispi bisogna saperne molto grado per due ragioni: 1.° Perchè Crispi, come l’abbiam già detto a più riprese, non è un sognatore, ma vuole ciò che può fare, e fa ciò che sa potersi prima o poi effettuare, non temendo e non curando gli ostacoli che suppone dovergli attraversare il cammino; 2.° Perchè Crispi è siciliano, e chi dice siciliano, dice uomo che deve fare i conti con lo spirito d’autonomia, che ha quasi sempre dominato nell’antica Trinacria.

Crispi, che possedeva in grado eminente tutte le doti e qualità del cospiratore, non pose tempo in mezzo e adottando ogni sorta di travestimenti e di trasfigurazioni si recò nell’isola, la percorse da un capo all’altro per ben due volte, vide e si abboccò con tutte le persone con cui desiderava e che credeva poter esser più utili all’uopo, preparò il terreno, gli animi e i mezzi, [p. 543 modifica]e se ne tornò come e donde era venuto senza eccitare un sospetto, o cagionare il minimo arresto. E sì che i segugi del Maniscalco erano ben istruiti e avevano l’odorato sottile!

A questo proposito non possiamo trattenerci dal riportare qui una particolarità relativa a quella duplice e meravigliosa escursione, particolarità che abbiamo udito dallo stesso labbro del Crispi. Un altro celebre cospiratore, deputato al Parlamento nazionale egli pure, e di cui detteremo tra poco la biografia, interrogava scherzando il nostro protagonista sul modo veramente mirabile mediante il quale egli aveva saputo deludere la polizia borbonica, in quella circostanza, meravigliandosene tanto più, in quanto che egli, in una non lontana occasione, non appena aveva messo piede a terra, venendo dall’estero con un incarico del genere di quello così felicemente disimpegnato dal Crispi, si era veduto accogliere sul molo da due gendarmi, che, informati del suo arrivo e dei motivi del suo viaggio, si erano presa la pena di aspettarlo per accompagnarlo in tutt’altro luogo che quello ove sarebbe stata intenzione sua di recarsi.

— Ah egli è, rispose il Crispi, che quella sorta d’imprese bisogna saperle condurre con molta prudenza, e sopratutto non comunicarne il segreto a chicchessia. Io per mia parte lo nascosi allora sino a mia moglie, che lasciai a Londra ignara affatto della meta e del motivo del mio viaggio. Del resto io era trasfigurato, è vero, ma non in modo assurdo o caricato. Portava gli occhiali verdi; ma nell’entrare nell’ufficio del commissario di polizia in Palermo, mi detti premura di cavarmeli.

Se il commissario mi avesse conosciuto, cosa probabilissima, rischiava fino ad un certo punto, gli è vero di esser da lui ravvisato; ma conservando gli occhiali verdi richiamava sopra di me l’attenzione e diveniva addirittura sospetto; mentre nel primo caso aveva per me la probabilità, che il commissario non mi conoscesse, o anche, conoscendomi, non badasse troppo a me, il che difatti avvenne.

L’audacia e il patriotismo del Crispi furono ben [p. 544 modifica]ricompensati. Garibaldi, a cui egli fece parte del resultato delle proprie osservazioni e dei mezzi di cui poteva disporre l’insurrezione ov’egli volesse accettare di capitanarla, aderì, come ognun sa, eroicamente a tentare la sublime impresa e mosse da Quarto, con a fianco il promotore di quella, cui seguiva la propria moglie, sola donna che facesse parte della spedizione.

Quando a Talamone il supremo duce dei Mille organizzò questa legione di eroi e ne nominò gli ufficiali, Crispi ebbe egli pure titolo e grado di ufficiale di Stato maggiore.

Avvenuto lo sbarco di Marsala, egli procede con le colonne ingrossate da numerosi volontarî e assiste alla battaglia di Calatafimi. Dopo la pugna, che fu, come ognun sa, sanguinosa, rimane insieme alla propria consorte sul campo di battaglia e durante ventiquattro ore, ajutato efficacemente da alcuni contadini dei due sessi, si occupa a raccogliere, a medicare i feriti delle due armate.

Ma ben presto Garibaldi gli affida la gestione e il governo di tutti e di tutto nell’isola, assumendolo alle rilevantissime funzioni di segretario di Stato presso la dittatura.

Da quel momento Crispi ebbe in mano le redini del piccolo Stato, e il vero dittatore fu lui.

Entrato in Palermo coll’eroe di Calatafimi dopo un micidiale combattimento il dì 27 maggio, il 2 giugno ebbe di già organizzato il governo, ritenendo per sè, oltre la segreteria di Stato della dittatura, il dicastero dell’interno e della sicurezza pubblica.

Non possiamo fermarci ad esaminare partitamente gli atti amministrativi del nostro protagonista, ma non dobbiamo tacere che, viste le circostanze nelle quali versava l’isola in quel momento, in cui un ordine di cose affatto nuovo doveva al più presto possibile sottentrare ad un regime abborrito, in cui gli uomini vecchi, che dovevano pure in gran parte esser surrogati, non si prestavano troppo ad ajutar l’opera del riformatore, e i nuovi, per mancanza d’esperienza o di capacità, o per mal volere, non secondavano bene il capo supremo dello Stato, viste, diciam noi, tali [p. 545 modifica]circostanze ne sembra che l’opera del Crispi nè fosse vana, nè immeritoria. D’uopo è anzi che i suoi stessi avversarî riconoscano che tutto quanto l’organamento civile e politico della Sicilia è a lui dovuto, organamento che in gran parte esiste tuttora qual egli lasciollo.

Chè se ne fosse permesso sollevare i veli che ricoprono quelli avvenimenti, troppo recenti perchè si possa dipingerli e ritrarli con aperta evidenza, ci sarebbe dato per avventura di provare che se tutte le misure adottate dal Crispi non furono informate a quella prudenza che era desiderata da molti e i cui dettami era forse possibile in alcune circostanze di seguire meglio di quello che il nostro protagonista non l’abbia fatto, la colpa non devesene interamente riversare sopra di lui.

E non è da tenersi poco conto al Crispi di essersi a tutt’uomo opposto nel giugno del 1860 alla convocazione di un’assemblea siciliana, che avrebbe senza alcun dubbio mirato allo scopo della costituzione di un regno autonomo, e avrebbe meno facilmente dati i mezzi al liberatore dell’isola di operare la sua discesa sul continente onde cacciare i Borboni da Napoli.

Avendo seguito il dittatore in questa città, Crispi fu da esso nominato segretario per gli affari esteri.

Egli è vero che poscia Crispi si oppose anche alla troppo pronta annessione delle provincie meridionali alle settentrionali e centrali; ma non bisogna dimenticarsi che la ragione che lo induceva a ciò era delle più nobili, giacchè suo intendimento era quello che il moto rivoluzionario mediante il quale erasi compiuto il riscatto delle Due Sicilie non avesse posa, fintantochè una sola provincia d’Italia rimanesse schiava.

Tuttavia il Crispi fu uno dei primi a proclamare e sostenere la formula del plebiscito, sebbene avesse creduto dover rinunciare alla carica confidatagli.

Il collegio di Castelvetrone lo elesse a proprio rappresentante in seno al Parlamento nazionale, e da quel momento ei si recò a Torino e prese parte attivissima alle discussioni di quell’assemblea. [p. 546 modifica]

Ognun conosce il posto che il Crispi vi occupa; ma il lettore non ci saprà malgrado, se noi analizziamo brevemente il talento del Crispi come oratore e definiamo in certo qual modo quale e quanta sia l’influenza ch’egli esercita sulla Camera.

Il Crispi, noi l’abbiamo già detto, è uomo abile, maturo di senno, che sa dove va e ha fatto diligentemente la scelta dei mezzi di cui crede opportuno giovarsi per raggiungere i proprî fini. Ora, chi ascolta la parola del Crispi, senza conoscer l’uomo, può a bella prima crederlo tutt’altro da quello che è. I suoi attacchi sono arditissimi, e spesso sembra sia la foga dello sdegno che li detti, talchè sollevano, o almeno sollevavano a bel principio (adesso il Parlamento comincia a conoscere la maniera del Crispi e non se ne formalizza più tanto) una vera tempesta di recriminazioni e di animose disapprovazioni sui banchi della destra e del centro. Il Crispi non se ne è mai sgomentato, nè se ne sgomenta, non se ne è mai turbato, nè se ne turba. Lascia che i clamori cessino, o li domina talvolta colla robusta sua voce, e continua il suo discorso dal punto preciso in cui l’interruzione glielo aveva fatto sospendere, non tenendo il benchè menomo conto dell’uragano da lui sollevato. Bisogna però avvertire che se il Crispi dice sempre in fondo tutto quello che intende di dire, e ciò con la maggior chiarezza possibile, ei si guarda bene dal dar seriamente ragione agli interruttori, e i suoi discorsi i più aggressivi in sostanza, conservano nella forma tanta prudenza e decoro di espressioni da non legittimare un richiamo all’ordine per parte de’ suoi colleghi o del presidente. E si converrà che così facendo il Crispi dà anche saggio di un’abilità non comune, mentre il saper misurare le parole in mezzo alle tempeste della Camera, e mentre da un gran numero di banchi, compresovi spesso quello del ministero, partono le più vive apostrofi al suo indirizzo, non è il fatto di tutti. In alcuni di quei momenti si osserva che l’oratore si arresta e sembra cercare la frase; egli è ch’ei vuol trovarla adatta, tale che esprima bene tutto il suo pensiero, ma che non dia presa agli avversari. Si ritenga [p. 547 modifica]adunque per certo che nelle discussioni le più violenti il sangue freddo del Crispi non lo abbandona un istante. Questa qualità è del resto propria degli uomini veramente forti e superiori. Se noi ci facciamo ora ad esaminare i principali discorsi detti dal Crispi, dobbiamo convincerci ch’egli è un oratore succoso, logico e stringente. La sua maniera di porgere è tutt’altro che avvocatesca. Egli parla a voce alta e vibrata, ma senza enfasi e non mira affatto alla magniloquenza.

Il Crispi è un uomo che legge e studia continuamente; non vi ha opera d’economia politica o d’amministrazione che veda la luce in Europa, ch’ei non si procuri e non analizzi e commenti. Uomo d’ordine e di precisione la più scrupolosa in tutte le sue faccende private, il Crispi è giustamente rispettato e stimato anche dai suoi più acerbi avversari politici. Noi non crediamo sorprender nessuno affermando che un tal uomo, dotato di sì eminenti qualità e che già ha resi incontestabili servigi alla patria, è destinato ad occupare i posti più elevati e più utili, nei quali saprà nuovamente rendersi benemerito del paese.