I briganti del Riff/11. La strega dei vènti

11. La strega dei vènti

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11.

LA STREGA DEI VÈNTI


Come Carminillo, futuro ingegnere delle miniere, aveva già previsto, il secondo tratto del cañon continuava a salire verso l'orlo dell'altipiano, descrivendo dei bruschi zig-zag, che però non erano assolutamente inattaccabili.

Pedro, dopo d'aver suonato rabbiosamente e cantato per una buona mezz'ora, aveva dovuto smettere poiché la salita richiedeva degli sforzi di gambe e non di gola. Perciò aveva rimessa nella fodera la sua preziosa chitarra per fare appello ai muscoli ed ai polmoni per la salita.

L'uragano ormai era completamente scomparso. Solo di quando in quando si abbatteva contro la grande parete qualche raffica caldissima, carica di polvere, che pareva fosse stata strappata a qualcuno dei tanti piccoli deserti che precedono il gigantesco Sahara, e che trascinava con sé pure un gran numero di uccelli marini.

Il sole splendeva ed il Mediterraneo, non ancora tranquillo, continuava ad assalire la banchina con muggiti che giungevano distintamente fino agli orecchi dei fuggiaschi.

La scalata continuava sempre attraverso la seconda parte del cañon, la quale non solo era ingombra di massi e di rottami, ma nascondeva fra le ghiaie, dove vi erano dei gruppi d'erba, di quei cobra che le acque avevano trascinati. Già avevano dovuto evitare più d'una volta quei brutti rettili dalla pelle marmorizzata, con chiazze nere, il corpo lungo due piedi e mezzo ed anche tre, e con una specie di cappuccio sulla testa che non si alza se non quando il suo proprietario è diventato furibondo e si prepara ad assalire.

A mezzogiorno i fuggiaschi, dopo una marcia faticosissima, giungevano a breve distanza dal margine dell'altipiano, il quale era difeso da rocce gigantesche che parevano destinate a proteggerlo contro una invasione di briganti della marina. Il cañon finiva, stringendosi rapidamente, privo ormai di qualsiasi goccia d'acqua, poiché il sole marocchino, in pochi minuti, fa evaporizzare dei vasti bacini, siano situati sulla spiaggia del Mediterraneo o nelle gole delle montagne.

Dei serpentelli fuggivano fra le ghiaie, però non erano di specie velenosa, almeno così assicurava Janko. In alto, verso l'altipiano, volteggiavano maestosamente delle gigantesche aquile, volatili che si trovano in gran numero nel Riff, dove fanno delle vere stragi di montoni fra i duar dei berberi.

Calavano con rapidità fulminea come se volessero precipitarsi sui fuggiaschi ed assalirli ferocemente, ma vedendo il lampo delle canne d'acciaio dei fucili, si affrettavano ad innalzarsi, mandando grida di rabbia.

— Su, un ultimo sforzo ed avremo conquistato l'altipiano — disse Carminillo, vedendo i suoi compagni fermarsi grondanti di sudore.

— Non ho le gambe d'un mulo andaluso — rispose Pedro. — Tu vuoi proprio rovinarmi.

— Da' dentro alla chitarra.

— Con questo caldo!... Spezzerei le corde inutilmente. Quanto credi che dovremo ancora arrampicarci?

Il giovane ingegnere diede alla gran parete un ultimo sguardo, poi disse: — Fra un'ora noi saremo lassù e ci riposeremo in mezzo a delle ombrose piante.

— Avranno almeno delle frutta? Le nostre provviste sono finite, ed io dimagrisco di minuto in minuto. Non ho mangiato che datteri e fichi. Come può un uomo sopportare, con così scarso nutrimento, tante fatiche?

— Ho ancora nel mio sacco quattro gallette di miglio — disse la gitana. — Le vuoi, señor?

— Le mangeremo lassù — rispose Carminillo. — Non fermiamoci troppo in questo luogo. Un masso si fa presto a rotolarlo dall'alto, e ci porterebbe via tutti. Empite bene i polmoni, ed avanti per l'ultimo attacco.

Minacciarono coi fucili quattro enormi aquile che si ostinavano a volteggiare sulle loro teste, poi ripresero la faticosissima marcia, sempre seguendo il cañon diventato ormai un semplice torrente senz'acqua.

Non fu però che verso le due che i tre valorosi giovani e la gitana riuscirono a mettere i piedi sul tanto sospirato altipiano.

Una magnifica vista s'offrì tosto ai loro sguardi: tutto il Riff superiore, che è ricco di vegetazione, si stendeva dinanzi a loro colle sue vallate, le sue colline verdeggianti di acacie, di querce e di fichi immensi, e colle sue montagne, fra le quali giganteggiava il Gurugù, l'asilo inviolabile dei briganti della montagna.

Numerosi duar, formati di gruppi di tende di pelo di cammello, si annidavano sui fianchi di quelle alture, e non mancavano nemmeno le vere case di stile, senza dubbio, moresco, asilo dei caia e dei signori.

Al nord invece si stendeva, sull'azzurra superficie del Mediterraneo, visibilissima a quell'altezza, la penisola di Guelaya, terminante col capo delle Tre Forche e con Melilla, la piccola ma salda fortezza spagnola, che invano i riffani da due secoli tentavano di distruggere.

— Non credevo che il Riff fosse così splendido — disse Pedro, il quale pareva che avesse dimenticata, per un momento, la sua fame. — E quell'alta montagna è il Gurugù, nei cui fianchi si nasconde il totem?... Avremo da fare una bella passeggiata, è vero, Carminillo?

— Prima di otto giorni vi potremmo giungere — rispose il giovane ingegnere.

— Non so però se riusciremo sempre ad evitare i briganti, i quali non tollerano nessun spagnolo sul loro territorio, chiunque sia.

— Comincio a sentirmi un certo dolore agli orecchi.

— Non ti sono ancora stati tagliati. Aspetta più tardi a lagnarti.

— Quando il sangue mi pioverà dentro il collo, è vero?

— Precisamente, Pedro.

— Ma... e dove andremo a mangiare noi, se non dobbiamo farci vedere dai briganti?

Carminillo non rispose. Guardava Janko il quale, colla navaja spaccava rapidamente il suolo levando grosse zolle, a pochi metri da una folta macchia di querce, aiutato da Zamora.

— Ci prepari la sepoltura? — chiese il futuro avvocato, il quale si era pure accorto di quello strano lavoro.

— No, señor — rispose Janko, il quale continuava a scavare con maggior lena. — Vi offro una deliziosa colazione.

— Rajo de sol!... Che formiconi fuggono da quegli squarci?

— Lasciateli andare, non valgono niente, señor.

— Insomma, che cosa vuoi offrirci?

— Del miele che non avrà nulla da invidiare a quello che producono le api.

— E si trova sottoterra?

— Sì, señor: sono le formiche che lo producono.

— È vero — disse Carminillo. — Anche in America, specialmente nel Messico, si allevano in gran numero di queste formiche alle quali hanno dato il nome di mirmecocistos.

— Non lo crederò mai!... — esclamò Pedro. — Il miele lo hanno sempre prodotto le api!...

— Aspetta un po' e mi saprai dire qualche cosa. È che le produttrici del miele si trovano sepolte ad una profondità che supera il mezzo metro, nascoste dentro una galleria.

Delle grosse formiche di color bruno salivano a drappelli alla superficie del suolo, agitando furiosamente le loro antenne e non tardavano a mettersi in salvo nella vicina macchia, lasciando il nido indifeso.

Tutti si erano messi ad aiutare il gitano, strappando larghe zolle di terra tutte bucherellate, come se fossero state crivellate da parecchie scariche di mitraglia.

Dentro quei buchi vi annidavano delle formiche non ancora interamente sviluppate, che aspettavano il momento di prendere parte attiva al formicaio.

Finalmente Janko, che forava e che spaccava la dura terra fidandosi della solidità della sua impareggiabile lama, fece crollare una specie di tetto formato di pallottoline di fango, e mise allo scoperto la galleria che cercava.

Entro uno stretto passaggio, largo appena due piedi, si trovavano coricate, su dei filamenti strappati probabilmente ai palmizi, due o trecento gigantesche formiche che ben nulla avevano a che fare con quelle fuggite poco prima. Erano lunghe due e perfino tre centimetri, ed avevano dei ventri così gonfi che parevano fossero lì lì per scoppiare. I disgraziati insetti erano assolutamente incapaci di muoversi, con quegli addomi che erano venti volte più grossi delle altre parti del corpo.

Janko prese una formica e la porse a Pedro dicendogli: — Staccate la testa e succhiate e fra le vostre labbra scorrerà un miele più profumato di quello delle api.

— Ah, baie!...

— Zamora, dà al señor una delle quattro gallette di miglio che tu ancora tieni, e vedremo se farà una buona colazione.

— In quei ventri enormi c'è proprio del miele — disse Carminillo. — Lo mangiano gli americani e lo mangiano anche i briganti del Riff.

— Possibile?

— Prova!... Sei cocciuto come un mulo dei Pirenei, che sono più testardi di quelli dell'Andalusia.

Il furibondo chitarrista prese il grosso insetto che il gitano gli porgeva, gli strappò la testa, e dopo una breve esitazione l'accostò alle labbra, mettendosi a succhiare avidamente.

Carrai!... — esclamò, gettando via il piccolo sacco completamente vuoto.

— Mi pareva di succhiare del rosolio!... Zamora, dammi una galletta... Possibile anche le formiche producono una così deliziosa materia zuccherina? Che ne dici, Carminillo?

— Nulla — rispose il giovane ingegnere, il quale pescava nella galleria, afferrando le disgraziate produttrici che non potevano fuggire. — Succhia, Pedro, e spalma la galletta.

— E perché queste bestioline non pensano a mettersi in salvo?

— Come vuoi che facciano? Con quel ventre pieno di miele che al minimo urto può correre il pericolo di scoppiare?

— Non lasciano mai il nido, adunque?

— Mai, Pedro. I maschi e le operaie vanno e vengono per raccogliere di che nutrire queste poltrone che si lasciano vuotare senza ribellarsi.

— Ed il miele che producono?

— Serve, durante le cattive stagioni, agli abitanti del nido — disse questa volta Janko.

— Tu dunque conosci queste rivali delle api — soggiunse Pedro, che continuava a pescare nella galleria.

— Le ho conosciute — rispose asciuttamente il gitano.

— Quando?

Señor, il miele è eccellente; spalmate quindi la vostra galletta e non occupatevi del mio passato.

— Tu però sei stato nel Riff? — chiese Carminillo.

— Sarebbe inutile negarlo — rispose Janko.

— A che fare? — domandò a sua volta Pedro.

— Sono affari che riguardano i gitani e non voi — disse Janko, con voce quasi minacciosa. — È forse perché non ho più un fucile nelle mie mani? La mia navaja vale una palla, ricordatevelo!... Dentro la caverna ho aperto la gola, a venticinque passi di distanza, al primo riffano che ha osato assalirci, e Zamora era presente.

— È così? — chiese la gitana, con voce tranquilla.

— Dico questo per far capire ai tuoi amici che non sono un corvo.

Carminillo e Pedro erano scoppiati in una fragorosa risata.

— Il colpo degli assassini — disse poi il secondo.

— Dei valienti, señor!...

— Sappiamo che cosa sono i vostri valienti. Valgono i trabucheros dei Pirenei.

— Quelli sono briganti, señor, mentre i valienti si battono a viso scoperto.

— Calma, calma — soggiunse Carminillo. — Vuoi farti del cattivo sangue, mentre hai le labbra ancora bagnate di miele? Pesca ancora, stritola la tua galletta e lascia in pace tutti i valienti della nostra terra. Se sei stato tu qui, ci sono stato pur io, e conosco il Marocco più di quanto credi.

— E che cosa siete venuto a fare voi qui? — chiese Janko, guardandolo di traverso.

— A passeggiare — rispose tranquillamente il giovane ingegnere. — Vi sono in questa regione molte miniere, che potrebbero dare delle fortune enormi, ed ho voluto visitare queste montagne per un mio futuro progetto.

— A chi volete darla da bere, señor?

— Che il diavolo ti porti nell'inferno dei gitani, se ne hanno uno!... Lasciami gustare in pace questo dolcissimo miele che scorre attraverso il mio corpo meglio dell'aguardiente.

Volse le spalle all'irascibile gitano e riprese la pesca delle formiche.

Pedro e Zamora non perdevano già il loro tempo e facevano strage di produttrici.

Quando la colazione fu finita, i due studenti si cacciarono sotto la fresca ombra delle querce, e per festeggiare la conquista dell'altipiano, sfoderarono le chitarre e si misero a suonare allegramente, canticchiando fra i denti.

Zamora gli aveva subito raggiunti, ma non Janko. Il giovanotto si era allontanato osservando attentamente il margine superiore della grande parete e le colline.

Ad un tratto fece un gesto di stupore.

— La cuba di Siza Babà!... — esclamò. — Non m'inganno io, no!... Ecco là a fianco il vecchio minareto mozzato!... Sarà viva o morta la Strega dei Vènti? Quale fortuna!... Non me l'aspettavo davvero!...

Si volse verso la macchia di querce sotto la quale i due studenti continuavano a suonare rabbiosamente, ed un triste sorriso gli contorse le labbra.

— Ah!... — disse. — Volete il totem!... E quel Carminillo vuole Zamora, che amo alla follia!... Miei cari, se la vecchia è ancora viva, non dubitate che vi metterà nelle mani dei berberi, mentre porterò via la fanciulla sotto i vostri occhi.

Si era rimesso a guardare. A mezzo chilometro, proprio sull'orlo dell'abisso, si alzava una di quelle tante costruzioni che i marocchini dedicano ai loro santoni.

Sono piccole casette, costruite con fango, ad un solo piano, sormontate da una cupola semisferica che da loro un aspetto assai pittoresco, con tre o quattro feritoie appena sufficienti a lasciar passare l'aria. Una palma od un fico, piantato a poca distanza, serve ad ombreggiarle, ed una fontana pullulante dal suolo fornisce acqua all'abitante incaricato di vegliare sulla sepoltura del santone, abitante che è quasi sempre pazzo, e perciò santo anche lui secondo le credenze dei marocchini.

La cuba della Strega dei Vènti non si poteva confondere con altre, poiché a poca distanza si alzava, per diversi metri, un minareto che il tempo e la folgore avevano quasi diroccato.

— Questo si chiama aver fortuna — mormorò Janko. — Mai più mi sarei immaginato di trovarmi così presto presso la mia vecchia protettrice.

Volse le spalle e tornò a lenti passi verso la macchia, dove i due studenti continuavano a suonare con grande divertimento di Zamora.

— Rinfoderate i vostri strumenti — disse a Carminillo ed a Pedro, con tono quasi di comando.

Il primo alzò la testa e lo guardò bene in viso, mentre il secondo attaccava un bolero indiavolato. — Ordini? — gli chiese.

— No, señor. Vengo a darvi una buona notizia.

— Che stiamo per trovare il totem?

— Quello è un affare che riguarda voi e non me — rispose Janko con tono aspro. — Venivo a dirvi che ho ritrovata la cuba di Siza Babà.

— E così? — chiese, sempre tranquillo, Carminillo, facendo cenno a Pedro d'interrompere la suonata.

— Siza Babà è la Strega dei Vènti dei briganti della montagna, da tutti rispettata e da tutti temuta.

— Chi è?

— Una vecchia gitana, emigrata qui chissà quanti anni or sono, e che conosce la storia del totem.

— Quando l'hai veduta?

— L'anno scorso. Mi ha raccolto in fondo ad una gola dove da due giorni soffrivo per una ferita d'arma da fuoco che mi aveva spezzato il braccio sinistro.

— E ti ha curato? — chiese Zamora.

— Come se fossi suo figlio.

— Sicché quella strega potrebbe aiutarci — disse Carminillo.

— Ed anche proteggervi, perché tutti i berberi hanno paura di lei.

— Ed anche tradirci — aggiunse Pedro.

— È zingara — disse Zamora. — Aiuterà noi, e con noi anche voi.

— Hum!... — fece il futuro avvocato.

— Volete che vada a vedere se è ancora viva? — chiese Janko. — Lasciate che vada solo per ora.

— Se è vero quanto hai detto, — disse Zamora, — va' a trovarla e chiedi per noi la sua protezione.

— E voi, signori?

Carminillo e Pedro si scambiarono uno sguardo, poi risposero: — Va' a vedere.

Si erano rimessi a suonare, senza più curarsi della vecchia, mentre Janko si allontanava a rapidi passi.

Una vera pioggia di fuoco cadeva sull'altipiano, assorbendo in pochi momenti gli ultimi corsi d'acqua, alimentati momentaneamente dall'uragano. Il vento era cessato, però in lontananza il mare si manteneva sempre agitatissimo. Per l'aria, diventata purissima, trasparente, grossi stormi di falchi volteggiavano, dando una caccia feroce ai corvi, che nel Riff sono numerosissimi.

Janko degnò appena d'uno sguardo lo spettacolo che offriva il gigantesco abisso calante sulla banchina, e raddoppiando il passo, dopo un quarto d'ora giungeva davanti alla cuba.

Janko notò subito che presso la fontana, vi erano due vasi di terracotta, dal collo lunghissimo ed il corpo smilzo.

— Sarebbe ancora viva la vecchia? — si chiese. — Prometteva, veramente, di raggiungere il secolo.

Si avvicinò alla porta della cuba, alzò la stuoia tenendo in mano la navaja, potendo trovarsi dentro di essa qualche pazzo creduto santone, ed entrò dicendo: — Si può? Entra un valiente della Spagna.

Janko vide subito fra due angareb marocchini, che servivano da letti, ed una quantità di vasi, una vecchia che indossava una cappa oscura, adorna di fiocchi rossi. Era una donna assai attempata, di tinta molto oscura, tutta rughe, con una bocca contorta e due occhi nerissimi che somigliavano a quelli delle cicogne.

Era occupata a riempire dei vasi con certe materie che dovevano forse scatenare, dietro suo volere, la furia dei venti, affinchè portassero vapori sull'altipiano e si sciogliessero in pioggia.

Udendo quelle parole, la strega lasciò cadere a terra un enorme cucchiaio pieno di una materia verdastra e guardò Janko.

Un grido di stupore ed insieme di gioia le sfuggì: — Janko! Ma sei proprio tu, Janko?

— Sì, sono io — rispose il gitano. — Ti avevo promesso di tornare e, come vedi, ho mantenuto la mia parola.

La vecchia si avvicinò al gitano, gli posò sulle spalle le mani incartapecorite e tutte nodi, e lo fissò con occhi ardenti.

— Che cosa sei venuto a fare qui, figlio mio — disse la vecchia. — A cercare ancora il totem dei gitani?

— Sì, ma con altre persone — rispose Janko.

— Venuti dalla Spagna?

— Sì.

— Disgraziati!... — gridò la vecchia, alzando le braccia e stralunando gli occhi. — Non sai tu dunque, figlio mio, che la guerra è scoppiata fra la Spagna ed i berberi del Riff, e che si preparano delle terribili giornate di sangue?

— Già quando noi siamo partiti, fra i marinai si sussurrava che la Spagna voleva portare un colpo decisivo ai briganti della montagna e snidarli dal Gurugù. Non credevo però che gli avvenimenti precipitassero così. E perché questa guerra?

— Gli spagnoli hanno comperato delle miniere dai riffani, facendo degli impianti costosi. Ora è avvenuto che dei banditi hanno massacrato quasi tutti i lavoranti, non risparmiando gli spagnoli.

— Ah!... Benissimo!... — rispose Janko. — Così gli spagnoli saranno odiati.

— Si uccidono!... — gridò la vecchia.

— Malgrado la tua protezione?

La Strega dei Vènti fece un gesto vago, poi disse: — Avresti potuto tornare dopo la guerra a cercare il totem.

— Ormai sono qui, la nave contrabbandiera è naufragata, e non posso tornare a Malaga, né rivedere i miei compatrioti di Siviglia.

— Quanti siete?

— Quattro.

— Tutti gitani?

— No, due sono studenti della celebre Università di Salamanca.

— Che cosa sono venuti a far qui, loro?

— A cercare il totem.

— Oppure i tesori che si afferma si trovino seppelliti insieme al primo re gitano?

— Non lo so, madre.

— Madre!... — esclamò la strega. — Ah, la dolce parola che non ho più udita da quando mio figlio, giovane e robusto come te, è morto sul mare!

Si sedette su di un angareb, si prese fra le mani quasi disseccate la faccia rugosa, e per alcuni istanti Janko la udì singhiozzare sordamente.

— Madre, — disse il giovane — tu hai perduto il figlio adorato; tu dici che somigliava a me, ebbene tu sarai per me un'altra madre, giacché la prima l'ho veduta cadere in una corrida di Saragozza, uccisa da un toro che aveva saltato lo steccato.

— Tu mio figlio!... Figlio della Strega dei Vènti che tutti temono nel Riff.

— E che io non temo affatto perché dei vènti non ho mai avuto paura — rispose Janko, con una punta d'ironia. — Tu però, dovrai sbarazzarmi degli studenti che vanno anch'essi in cerca del totem.

— Non sono tuoi amici?

— No, madre.

— Madre!... Ripetilo!...

— Madre.

— E che vuoi da me? — chiese la vecchia, mentre i suoi occhi si accendevano d'una sinistra fiamma.

— Vorrei che tu mi sbarazzassi dei due studenti.

— Mi hai detto che siete in quattro.

— La quarta è la figlia della regina dei gitani, una fanciulla che io amo alla follia, mentre lei ama uno di quei due pezzenti che durante le vacanze girano il mondo senza una peseta in tasca, cantando sulle loro chitarre.

— Li conosco — disse la vecchia. — La mia giovinezza l'ho passata a Saragozza e gli studenti venivano sempre a danzare e suonare per le vie.

— E perché sei venuta qui?

— L'amore d'un contrabbandiere mi ha gettato, naufraga, su queste coste insieme a mio figlio. I casi della vita sono tanti!

Si passò tre o quattro volte una mano sulla fronte carica di rughe, e che pure un tempo doveva essere stata bellissima, poi disse: — Sicché tu vorresti impedire ai due studenti la via del Gurugù?

— Sì, madre.

— E credevate di giungere lassù senza cadere nelle mani dei berberi? Ora poi non passa più nessuno. Ciò che mi chiedi, Janko, è una cosa ben facile. Vado a trovare il mio amico Ben-Ciania, che è uno dei più potenti capi della montagna, gli dico che due spie spagnole sono già giunte fino qui, e vedremo come se la sapranno cavare il tuo rivale ed il suo compagno.

— E la gitana?

— La proteggo io e basta — rispose la Strega dei Vènti. — Dove si trovano i tuoi amici?

— A mezzo chilometro da qui, riparati dentro una macchia di querce — rispose Janko.

— Conducili qui e bada che non fuggano.

Raccolse la cappa e se la rimise sulle spalle, poi si munì d'un nodoso bastone.

— Vai già? — chiese Janko.

— Sì, figlio. Il duar di Ben-Ciania non è tanto vicino e non vi giungerò che a tarda notte.

Ciò detto la vecchia uscì, allontanandosi con passo abbastanza veloce, tranquilla come se andasse ad una festa, mentre, invece, preparava un infame tradimento.