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Peregrino e Fiorentino e una Figura di Donatello

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Peregrino e Fiorentino e una Figura di Donatello
Parte terza - Academici Fiorentini e Peregrini Parte terza - Dichiarazione delle nuove invenzioni
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Peregrino e Fiorentino e una Figura di Donatello.

Peregrino. Voi m’avete a mostrare tutte le cose rare e degne di questa cittá e principalmente le statue di marmo della sagrestia di San Lorenzo, del palazzo de’ Medici, d’Orto San Michele, della Piazza’ e particularmente se in casa nessuna ce ne sono.

Fiorentino. Io non so l’animo degli altri, ma universalmente a me piaccion tutte le figure di Michel Agnolo e di Donatello alcune.

Peregrino. Fu grand’uomo nell’arte Donatello; però mostratemi qualche cosa di suo per la prima, per essere il piú antico de’ vostri scultori.

Fiorentino. Eccoci qua appunto da Orsanmichele: guardate questo san Giorgio.

Peregrino. Oh bello! oh che bella figura! oh l’è mirabile! ell’è delle belle cose che io vedessi mai!

Fiorentino. La favellò una volta questa statua.

Peregrino. Come? parlò? che era forse qualche idolo inanzi?

Fiorentino. Messer no: il caso fu d’una certa sorte, che egli ve lo dirá di nuovo e lo potrete dire ancor voi cosí veramente e affermare come me; ma bisogna che voi gli domandiate la cagione per che egli favellò.

Peregrino. Dimandategnene pur voi per me, ch’io non voglio che voi vi ridiate del fatto mio. [p. 10 modifica]

Fiorentino. Di grazia, figura mirabilissima, a onore di chi diede sí bella scienza a colui che ti ridusse a perfezione, fa sapere la cagione a questo gentiluomo per che la prima volta tu parlasti.

La statua di marmo di mano di Donatello parla.

Egli è non so quanti anni che morí uno scarpellino da Fiesole, il quale non sarebbe stato mai dí che non mi fusse venuto a vedere la sera e la mattina per tutto l’oro del mondo, e faceva con meco i piú bei ragionamenti che si potessino udire: egli mi lodava di prontezza, di attitudine, di vivacitá, di lavoro ben condotto, e mille altre lodi mi dava; e poi rispondeva per me e diceva: — Perché non vuoi tu che io sia bella? Egli era impossibile che Donatello mi facesse altrimenti: non sai tu quanto egli era valente? Va, vedi il Zuccone del campanile, se gli manca altro che ’l fiato. — Ed egli replicava: — Tu di’ il vero; e per segnale, quando egli l’ebbe fatto, dandogli uno scapezzone disse: «Parla, parla!» — Ora egli accadde che fu fatto un Ercole che amazza Cacco, un bellissimo colosso, il quale voi vedrete inanzi alla porta del palagio de’ Signori. Quando questo povero scarpellino vedde quelle figure..., quando egli le vedde, fu per cascargli gli occhi di testa per il dolore. Oh che passione ebbe egli! oh che affanno! Súbito e’ corse qua da me, come s’io l’intendessi o come l’avessi propriamente udito, e mi disse: — O caro il mio figurone bello e mirabile, io ho pur oggi avuto per te il mal dí! Egli s’è scoperto due figure grande in piazza e ogni uno dice: «Oh belle, oh belle!». Io, che sono avezzo a veder te del continuo e ho asuefatta la vista a te, son di contraria opinione; anzi il Davitte di Michel Agnolo mi par piú bello assai, perché tiene della tua maniera; talmente che io rispondo a tutti: «Voi non ve ne intendete»; e gli appongo, al mio giudizio, mille difetti. E il mio dolore non è questo, ma il veder te in questo luogo da parte e quello nel principale e universale bellissimo sito. — E cosí durò parecchi dí a venire a dirmi queste parole e andava a veder quello [p. 11 modifica] e tornava a veder me. Una volta fui forzato a rispondergli, perché, venuto di piazza e rimirandomi con gran dolore e cordoglio, gridò forte: — Tu mi pari ogni di piú bello, ma fatti pur bello a tuo posta, che tu non avrai sí bel luogo. — Io, per consolarlo, gli risposi súbito: — A me basta di meritarlo quel luogo meglio di lui, se ben la fortuna e la sorte v’ha condotto quello e per buona ventura m’abbia occupato il mio sito: datti pazienza, perché io non reputo manco meritare un seggio, non vi essendo, che esservi posto e non esser degno; anzi piú.— Il buon uomo a questa risposta si rallegrò tanto che fu per impazzare; e mi fu piú affezionato che mai.

Peregrino. Quest’è un caso non piú udito, che voi altri fiorentini facciate parlare i marmi; volete voi altro? che poche persone lo vorranno credere.

Fiorentino. Ciascuno creda a modo suo. Ma, oltre al favellare, che è cosa stupenda, egli s’impara ancóra qualcosa utile per noi: vedete che un pezzo di marmo ci ha fatto conoscere come talvolta noi non ci dobbiamo disperare se noi vediamo salire un uomo in qualche grado piú degno di lui. A questo proposito mi ricordo che Giovan Bandini, vedendo un soldato valente portarsi in molte scaramuccie mirabilmente, gli disse: — Perché non lasci tu i pericoli manifesti tentare a chi tocca de’ tuoi maggiori, senza far piú che il tuo debito? pensi tu forse che ti mettino per un segno celeste gli astrologi o fra le stelle ch’io mi voglia dire? E’ v’hanno messo un altro armato, sí che il tuo luogo è preso. — Per questo — rispose il soldato — non resterò io di acquistarmi il merito di quel luogo delle stelle con la mia virtú, se bene gli astrologi v’hanno posto un armato dipinto. —

Peregrino. Non voglio dire in questo punto quel che mi soviene alla memoria, anzi lo voglio tacere, né mi piace affermar quello che molti dicono, che tale è oggi posto inanzi da’ signori che non è degno e tale è inalzato che non lo merita; no certo, perché credo che ciascuno che viene all’altezza di qualche dignitá vi sia posto meritevolmente. Ma dirò bene, e [p. 12 modifica] l’affermerò, che la ricca fortuna ha messo l’oro in mano a tali, e gli fa chiamar signori, che meriterebbono d’esser posti in estrema miseria e che s’avessero a mendicare il pane con il sudor proprio; perciò che simil uomini ricchi, ignorantissimi, non conoscano la virtú, non degnano i virtuosi, non accettano in casa grado di virtú, ma tutto il loro avere è distribuito da’ lor ministri, equali d’animo e di pensieri, in giochi, in femine, in gola, in cani, in buffoni, in ruffiani e pollacchine; la vita loro è sonno, lussuria e ignoranza.

Fiorentino. Che volete voi fare? E’ non credono che sia altra virtú che il ventre né altra dignitá che l’esser ricco avaro; basta che sia detto al virtuoso: — Tu saresti degno della ricchezza del tale; tu meriteresti un regno, uno stato, eccetera; — e poi dar di penna alla partita. Voi ne vedete assai salire a tal grado? Nessuno; e se pur è dato loro qualche intratella, o ella è a tempo o la vien tardi, o la gli è tolta o ei si muore. Pierino di Baccio degli Organi nostro, ora che egli s’era fatto un poco d’entrata buona e cominciava a mietere il frutto della sua virtú (oh che mirabil giovane ha perduto il mondo!), la morte gli ha troncato la strada. Di questi esempi ne direi mille, cosí antichi come moderni: se fosse stato qualche ignorante, e’ ci viveva tanto che tutti si stomacavano del fatto suo.

Peregrino. Oh che bella razza di ricchi poltroni ho io nel capo e su la punta della lingua! Perché non è egli lecito a far un bando della lor gaglioffa vita? E’ sarebbe ben fatto, acciò che, spauriti gli altri, si volgessino a virtuosi fatti e i virtuosi si rincorassino vedendo bastonare il vizio, la poltroneria e l’insolenza, che è cagione che vanno mendicando il pane. Or non piú di questo; andiamo in piazza a veder quei colossi, affermando esser vero quel che ha detto il vostro marmo, parlando di chi è posto in luogo che non merita e sbassato tale che meriterebbe d’essere esaltato, e che egli è meglio, ultimamente, esser degno di stare in capo di tavola e tenére il luogo da piedi che indegno di quella testa e possederla; perché i nostri savi antichi dissero che l’uomo onora il luogo e non il luogo l’uomo. [p. 13 modifica]

La favola della bugia.

Fiorentino. Fia meglio per ora ritrarsi a cena: noi andremo a udir qualche ragionamento de’ Marmi, e domattina, con piú comoditá, andremo a vedere i Giganti1 e la Sagrestia.

Peregrino. Sia fatto come vi piace, andiamo; e ditemi in tanto una novelletta.

Fiorentino. Al tempo del duca Borso, dice che fu un suo scalco, il quale aveva gran diletto di dire e far credere, a ciascuno che gli favellava, bugie, di quelle marchiane e stupende. Tal ora diceva che aveva veduto caminare un uomo in piedi sopra una corda, ora diceva che sapeva portare un trave di cento libbre su’ denti e spesso affermava di saltare tutti i fiumi da un canto all’altro in un salto. Parte di queste cose facevano maravigliare una certa sorte di brigate, parte se ne ridevano e alcuni pochi lo credevano; e, per maggior fede della cosa, egli faceva che ’l servitor suo con un «sí» raffermava. Avenne che, partendosi uno de’ suoi testimoni di san Gennaio, egli ne tolse per sorte uno greco, molto astuto e sagace, il quale gli raffermava sempre le sue bugie con un’altra bugia maggiore: come dire, egli dice che, correndo un cavallo a tutta briglia, gli pigliò la coda nel corso e lo ritenne; súbito il famiglio diceva: — Cosí fu; e lo tiraste piú di sei braccia inanzi che si potessi tenére in piedi, sí gagliardamente facesti quell’atto. — Una mattina lo scalco disse un bugione, di saper fare dell’acqua vino perfettissimo, e che aveva veduto un uomo in una campagna sopra un bel cavallo, il quale lo faceva a ogni suo piacere saltare cento braccia in aere e che metteva l’alie lá su alto e, quando ritornava in terra, le sparivano; e il famiglio disse prestamente: — Queste saranno bugie — onde egli non ebbe credito. La sera, a casa, il padrone chiamò il servitore e gli fece un’agra riprensione e gl’impose che mai piú gli contradicesse. — Messere — rispose il servitore — io son contento, ma fate che ancor io ci possa stare: bisogna, quando voi volete dir di quelle grande [p. 14 modifica] grande, che voi mi doniate la sera inanzi qualche cosa, altrimenti non ne fie nulla. — Son contento — disse lo scalco. E seguitò di dire le sue bugiette e il famiglio a testimoniare il fatto di sí. Accadde che una mattina il padrone si determinò di dirne una che passasse tutte, e chiamò il servitore quando se ne andava al letto: gli fece sapere come la sequente mattina egli voleva squadernare un gran bugione; e acciò che egli gne ne avesse da raffermare, gli faceva un presente; e quivi, cavatosi un paio di sudice e sporche brache, ricamate di zafferano di Culabria, tessute per mano di Tamagnino e cucite da Metamastica sua sorella, mirabili, ma non finite, perciò che ve ne mancava molti pezzi per segnal d’esser nuove, il servitore le prese con un dire: — a buon rendere! — Eccoti il giorno seguente che ’l buon bugiardone si messe a dire come egli aveva fatto prove grande in lanciare un palo di tre mila libre, che il suo servitore da una testa non lo poteva alzare, non che levare per trarlo. In quello che egli aspettava d’essergli raffermata la cosa, e che dicesse: — Egli è vero, né ancor dieci uomini lo alzerebbon di terra — ei rispose con dire: — Che palo è cotesto che voi dite? Ricordatevi bene che ieri voi non traeste palo altrimenti. — Egli accennava di sí e il famiglio di no; onde la bugia cominciò a pigliare il volo; talmente che ’l padrone, stizzatosi, disse: — Di’ che l’è vera, poltrone! — Alla fé, messere — rispose il famiglio — che l’è troppo sconcia bugia a raffermare, questa; per sí cattivo paio di brache far vergogna al mio paese! — e gne ne gettò lá in presenza di tutti in terra, dicendo: — Trovate un altro, che per sí poco pregio facci simil ufficio, ché io per me non ci son buono. —

Peregrino. Oh l’è bella ed è fatta a mio proposito. Se voi volete che io affermi che favellino le figure di marmo, fate conto di darmi qualche cosa; altrimenti a posta di non nulla non giurerò sí fatta bugia.

Fiorentino. Avete ragione: qualche cosa sará; intrate in casa.


Note

  1. Il David di Michelangelo e l’Ercole e Caco di Baccio Bandinelli [Ed.].