Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. III/Libro III/X

Cap. X

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CAPITOLO DECIMO.

Narra l’Autore ciò che gli avvenne sino alla

Costa di Cocincinna.


R
ipigliando ora il filo del nostro interrotto discorso, dee sapere il curioso lettore, che la tempesta de’ 17. non permise, che approdammo all’Isola di Pullaor, come pretendeva il Piloto: però rendutosi meno forte il vento il Lunedì 18. ne [p. 353 modifica]diede agio di farnele vicini solamente, essendo poi affatto cessato a veduta della medesima. Questa sempre verdeggiante, e fiorita Isoletta (non avendo più che 5. miglia di circuito) è sopra tutte le sue pari abbondante in palme di cocchi, (nascendo gli alberi per mezzo le pietre) arecca, fichi, gamboyas, ananas, ed altre frutta) che danno poi gli abitanti in iscambio di vasi di creta. Le stuoje, che quivi si fanno, sono sì dilicate, e fine, che si comprano 15. e 20. pezze d’otto l’una, per farne presente a’ Cinesi, che molto le stimano. Ella è soggetta al Re di Giohor, la di cui terra ferma non è distante più. che 60. miglia. Sono due scogli presso Pullaor, che producono buone frutta; e sei miglia distante un’Isola disabitata, detta Pultimon.

Il Martedì 19. rivenne il vento, con una buona sammatra, o pioggia, che durò (come suole) un’ora. Posta adunque la prora verso l’Isola di Pulcandor (discosta 360. miglia) continuammo a navigare, per lo miglior Mare di tutto il viaggio; perocchè egli era netto di scogli, e secche, e noi eravamo senza bilanzi; di modo tale, che per molto che camminasse veloce il vascello, non si [p. 354 modifica]sentiva veruna incomodità.

Con esser sì vicini alla Linea, in tempi canicolari, non si sentiva gran caldo, ma più tosto mi sembrava d’essere in una primavera: e quantunque non avessi il vitto, e l’altre cose, secondo il bisogno; grazie al Signore, godea io d’una perfetta salute; quando eziandio alcuni marinaj s’erano infermati, e’l P. Provana Turinese, e un’altro fratello Tunchinese: e pure è vero, che la Compagnia di Gesù, non permette, che patiscano i suoi Religiosi.

Continuò l’istesso buon vento il Mercordì 20. col quale attraversammo il Golfo di Siam; dove sbocca quel gran fiume, che conduce a quella Reggia, dopo 120. miglia, sempre fra continuate abitazioni: perocchè dall’una, e l’altra riva sono case di legno, sopra fondamenta altresì di grosse legna, o canne; acciò nelle innondazioni del mese d’Agosto, Settembre, e Ottobre, in cui l’acqua cresce due braccia, portano gli abitanti, per le finestre porsi nelle loro barche; e andare anche raccogliendo il riso, che viene a galla sull’acque.

Il Giovedi 21. il vento si mutò in Levante la mattina; però a mezzodì [p. 355 modifica]ritornò lo stesso di prima. Il Venerdì 22. di buon’ora fummo a veduta di Pulcandor, Isola appartenente al Re di Cocincinna, ma disabitata; andandovi solamente in certi tempi dell’anno alcuni Cocincinesi a tagliar legna, e raccoglier quello, che produce l’Isola, come grano d’India, fichi, e melaranci. Ella è lunga otto m. e larga a proporzione. Fu abbandonata per le continue sammatre; non passando dì, che non ve ne sia una ben forte; siccome noi sperimentammo. Tutti i vascelli, che vanno in Manila, sogliono accostarsi a questa Isola.

Il Sabato 23. all’uscir del Sole, fummo all’incontro i cinque piccioli monti, detti da’ Portughesi Çinco Chagas; che sono avanti la bocca del canale, o fiume del Re di Camboya; donde camminandosi entro terra lo spazio di 240. miglia, si viene alla Metropoli di quel Regno, detta Pontay pret. Vi giungono anche i vascelli, perche il fiume nella bocca ha tre braccia di profondità, e presso la Città sette. E’ detta da’ Portughesi questa bocca di Caranchescio; e l’altre due vicine, una di Malaca, e l’altra di Pùtlemas: per la quale entrano le barche di Siam. Il Re di Camboya è tributario del Re di Siam; ed ha [p. 356 modifica]per costume di mutar la Reggia, allor che prende possesso del Regno, per una vana superstizione, di non risedere, dov’è morto il suo predecessore: ciò che gli è facile di fare, per esser la Metropoli, peggio che l’altre, composta tutta di mal concie capanne, coperte di stuoje, o al più di tavole. Di presente il Reame è diviso tra due Fratelli, uno de’ quali se ne stà fra’ monti, l’altro nella Città suddetta. Si fanno crudelmente insieme la guerra, l’uno colla protezione del Re di Siam, e l’altro di quello di Cocincinna.

Gli abitanti ne’ paesi di Camboya, Siam, e Pegù, si radono tutta la testa, lasciandosi sopra la corona il capello alto mezzo palmo, simile alquanto a quello de’ Frati Mendicanti. Si strappano i peli della barba con mollette, acciò non nascano sì presto. Sono di colore olivastro; e difficili a lasciare la lor credenza: avendomi narrato il Pad. Candoni, che in quattro anni, che egli dimorò in Camboya, non battezzò altri, che un molinajo, ammogliato con una Cristiana di Cocincinna.

Al nascondersi che fece il Sole nell’Orizonte, eravamo sulla costa di Ciampà; [p. 357 modifica]il di cui Re, fummi detto, ch’essendo tributario di quello di Cocincinna, scosso il giogo, attualmente gli faceva guerra.

Il medesimo giorno passammo il Farillon du Tigre, così detto da’ Portughesi, perche vi naufragarono più vascelli di lor Nazione, e fra gli altri quello di Matteo di Britto; il quale salvandosi a nuoto, lasciò documento a gli altri Piloti, che passino fra’l sudetto scoglio, e la terra ferma, ma che non arrivino dove sono dieci braccia di fondo: e facendosi vicini al Fariglion in largo Mare, non giungano a 14. braccia; ma passino per sedici sino a diecinove; poiche naufraga egli dalle dieci, sino alle quattordici braccia, dove sta la Laggia, o scoglio sotto acqua, che non si vede.

La Domenica 24. andammo con buon vento, per la stessa Costa del Regno di Ciampà; e passammo a mezzodì a veduta del Seno, e porto di tal nome; dove vanno molte Nazioni, a far compra di denti d’Elefanti, di legno d’Aquila, e d’altro. Avanti la bocca è posto uno scoglio, fra’l quale, e un’alto monte, bisogna, che passino le navi. In lingua Malaya, dicono cotal Monte Panderon, [p. 358 modifica]cioè Re, e lo scogiio Pulsisin, (Ravo di Alacran in Portughese) dove principia il pericoloso Canale, che si dee passare per gire, e venir da Cina. Da queito Ravo, sino a 60. miglia di là da Pulcatan si truova un continuato ordine di secche, trecento miglia lungo, dove non v’è anno, che non si perdano molte navi; onde i Piloti denno star guardinghi, per non inciamparvi, e mantenersi sempre in 19. braccia di fondo. Il peggio è, che se accade qualche disavventura, dalle Galere di Cocincinna si confisca, non solo la roba, ma anche i vascelli, e barche, che solamente han perduto, o rotto l’albero; e perciò tutto l’anno vanno scorrendo molte di esse la costa, e per raccoglier le robe naufragate: nè vi è speranza. uscir dalle loro mani, quando è calma, per esser bene armate; e i Cocincinnesi uomini di valore con armi da fuoco.

Tutto questo paese di Malaca, Camboya, Siam, Ciampà, Cocincinna, e Tunchin, è copioso d’Elefanti; de’ quali i Siamesi spezialmente fanno gran negozio, conducendogii per terra alla Controcosta, e porto di Tenazarin, (appartenente al Re di Siam) presso il Golfo di Bengala; dove gli comprano i [p. 359 modifica]mercanti, per trasportargli per Mare ne’ Regni de’ Principi Maomettani.

Al cader del Sole si fece così forte il vento, che potea dirsi tempesta; e continuando tutta la notte, fece correr molto il vascello. Il Lunedì 25. con buon vento, navigammo lungo la Costa di Cocincinna; però sopravvenne circa le 20. ore l’ordinaria sammatra, con vento tale, che se non aveamo la corrente contraria, avriamo fatto gran cammino. Con tutto ciò, al tramontar del Sole, passammo felicemente la Varela vera (a differenza della falsa, ch’è posta più dentro, in un’alto monte, sul quale si eleva un’altra pietra di più braccia, detta la Pagode) perche essendo cessato in brieve un gran vento, che si era mosso, il Mare non era molto cruccioso.

Il Martedì 26. continuò l’istesso tempo; e noi seguitammo il nostro Cammino, sempre vicino la Costa suddetta, con un fresco di primavera. Con tutto ciò la maggior parte de’ Cafri, o Neri, giacevano infermi; e la causa l’attribuivano al clima, differente dal loro, e molto simile all’Europeo.

Il Mercordì 27. cessò affatto il vento.