Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. III/Libro III/VIII

Cap. VIII

../VII ../IX IncludiIntestazione 19 settembre 2020 75% diari di viaggio

Libro III - VII Libro III - IX
[p. 312 modifica]

CAPITOLO OTTAVO.

Si descrive il pericoloso Stretto di Sincapura,

e’ Popoli, che vi abitano.


P
Oteva ben’io da Malaca, col vascello Polacco, ch’era approdato in porto, facilmente passare in Maniglia, o Manila; pero lasciai volentieri sì pronta occasione, per lo desiderio di veder la Cina. Imbarcati adunque tutti di nuovo su i vascelli Portughesi, il Venerdì primo di Luglio; mentre stavamo per far vela, s’impedì la partenza, per alcune parole, avute dal Piloto col Contramestre. Se n’andò quegli sul vascello di Pumburpà; ed essendosi consumato tutto il giorno, e parte della notte in proposte, e risposte; volle il Capitano, che facessi una protesta, per notificarla al Piloto. Non fu possibile in modo alcuno, farlo ritornare al governo del vascello; onde in fine fu d’uopo partire con un’altro Piloto, dopo mezza notte. Verso le quindici ore del Sabato 2. demmo fondo a cagion del vento contrario: e durando [p. 313 modifica]ancora la Domenica 3. poco, o nulla facemmo di cammino.

Andammo alla Bolina il Lunedì 4. e ci trovammo al tramontar del Sole dirimpetto a un’alto monte, che sovrasta al Rio formoso. Questo è un profondo fiume, che ha la sua origine, molte, e molte miglia dentro terra. Sulle sue sponde nascono quantità di perfettissime canne d’India, che vengono poi gli abitanti di Malaca a tagliare, per farne negozio. Ve n’ha di quelle grossette senza nodo, che ponno servir di bastone; ed altre sottili, e lunghe sino a 18. palmi, che partite, servono a molti usi; cioè per lettiere, antiporti, sedie, banchi, canestri, corde, spago, e filo; poiche divise sottilmente, le fila si piegano senza rompersi, e vi si può comodamente cucire.

Il Martedì 5. stemmo sull’ancore; e benche tolte il Mercordì 6. per la contrarietà del vento, non facemmo cammino. Il Giovedì 7. per la stessa cagione, in vece di andare avanti, tornammo più; indietro; e peggio ne sarebbe avvenuto il Venerdì 8. se non avessimo riposte le già tolte ancore. Il Sabato 9. poi, tutto al contrario stemmo affatto in calma.

La Domenica 10. ritornato un poco [p. 314 modifica]favorevole il vento, lasciammo a sinistra l’Isola di Pulpisson (così detta dall’esser la sua figura simile a un fico; perche Pul significa Isola, Pisson fico in lingua Malaya) con due altri piccioli scogli vicini.

Il Lunedì 11. passammo l’Isola di Pulcariman, che quantunque ben grande, è nondimeno disabitata come l’altre. Demmo poi fondo alla bocca dello stretto, rima di farsi il Sole all’Occas; sì per lo vento contrario, come per andar misurando la profondità dell’acqua; giacchè que’ buoni Piloti di Macao, con tutto che vi passino ogni anno due volte non se ne ricordano mai. A sinistra (venendo da Malaca) è di quattro e cinque braccia, e di sei e sette a destra della bocca.

Sono moltissime altre Isole fra la Sumatra, e la punta d’Ihor (o Giohor corrottamente) che nelle Carte non si truovano notate; quantunque ve ne siano di tal grandezza, che portino titolo di Regni. Parte di esse sono de’ Re di Giambi, e di Palumbon (Isole contigue alla Sammatra, nella Costa contraria a Malaca, dove gli Olandesi tengono Fattoria) e parte dei Re di Rioò, a destra dello [p. 315 modifica]Stretto di Sincapura; tutti e tre Re di Religione Maomettana, e di nazione Malaya.

Da tante diverse Isole vengono formati varj Stretti, pericolosi a passarsi; particolarmente quello di Sincapura, nel quale noi ci trovavamo, che nondimeno è uno de’ più frequentati da’ naturali, per andare, e venire in brieve da Siam, Cocincinna, Tunchin, Manila, Cina, Giappone, ed altri Regni d’Asia. L’altro detto del Governador, per lo molto fondo non può ricevere troppo spesso le ancore de’ navigli; ma perche è assai più largo del suddetto, vi passano volontieri i vascelli Europei, come a dire Olandesi, Inglesi, Francesi, ed altri. Gli altri Stretti si dicono del Carvon, Durion, Xavon, e Giohor; e varj altri, che ricevono i nomi dall’Isole, dalle quali vengono formati. Si passa solamente fra Terra ferma, e l’Isole quello di Giohor; dove sbocca un lungo Canale, che conduce alla Metropoli dello stesso nome (composta di capanne) ed indi al Mar della Controcosta. Tengono in quella Reggia gli Olandesi Fattoria, per lo traffico del pepe.

Di buon’ora il Martedì 12. entramamo nella bocca del mentovato Stretto di [p. 316 modifica]Sincapura, ch’è un quarto di miglio largo sul cominciamento; dentro poi è più spazioso, benche serrato da tante Isole, che formano a’ vascelli un’intricato laberinto; da cui, chi non l’ha ancora passato, crede non possa giammai trovare scampo, vedendosi d’ogni parte circondato di terra. La seconda bocca è per la metà più stretta della prima, però non più d’un miglio lunga; e tutto il Canale dall’una all’altra bocca è d’otto miglia. Rendono più pericoloso lo stretto passo l’acque, che quivi, con molta violenza corrono avanti, e in dietro nella piena, e nella mancanza. Nel rimanente si ricrea l’occhio sul bel verde di tante Isole, d’alti, e spessi alberi adorne; senza che giammai rimangano offesi, come in Europa, dal rigore del Verno.

Lungo questo Canale, come in tante case notanti, e portatili abitano i Malay, detti Salittes. Eglino vivono dentro l’acqua, in barche coperte di stuoje, con canne tessute nel mezzo, per dormire; nè reca loro oltraggio, o la brutale solitudine, o la cattiva aria, o l’orridezza de’ vicini boschi. Ingegnosamente s’adoprano nella pescagione (donde traggono l’unico loro sostentamento) e con l’amo, [p. 317 modifica]e con lancia fatta di bambù, colla quale destramente trafiggono qualunque picciolo pesce. S’accostarono alcuni di essi al nostro vascello, colle loro donne, e figliuoli, entro le notanti case, per aver vasi, ferro, coltelli, tabacco, ed altre bagattelle, per prezzo di tanto pesce; non essendo da essi le monete conosciute. Dall’altro canto non si contenterebono d’avere in iscambio nè anche cento pezze da otto, tanto sono diffidenti, traditori, e forfanti; anzi per ogni leggiera causa cacciano in corpo di chi si sia la lancia, e’ piccioli coltelli, detti Crisi, che portano al fianco. Sono eglino sudditi del Re di Giohor, il quale per ciò, tiene la dogana del pesce nel mezzo del Canale. Quivi da presso noi demmo sondo, a cagion della calma, che sopravvenne.

Il Mercordì 13. uscimmo dallo stretto, lasciando a sinistra dieci case coperte di stuoje, sopra palificate di legno: e continuando lungo la corta di Giohor (dove dissi, ch’è l’altra bocca del Canale, di tal nome) divenne contrario il vento; sicchè fu di mestieri dar fondo presso così barbaro paese.

Il Regno di Giohor, o Ihor, come dissi, abbonda di pepe, rame bianca, detta [p. 318 modifica]da’ Portughesi Calcin, canne d’India, riso, arecca, cocchi, ed altre cose, per le quali fa commercio con molte Nazioni; particolarmente con gli Olandesi, i quali s’ingegnano perciò, con ogni studio, impedire gli altri, che vi vadano; non permettendo il passo da Malaca ad alcuna barca, senza licenza del Governadore.

Vanno vestiti gli abitanti di Giohor, e Sellitti d’una cabaya sino alla cinta; coprendosi indi in giù, tanto uomini, come donne d’un panno di lino. Portano queste i capelli negligentemente, senza treccie; ma gli uomini si radono il capo, e la barba, crescendosi solamente lunghi mostacci. In vece di turbante, si ligano intorno la fronte un picciolo panno di lino, come una benda.

Il Giovedì 14. per lo vento contrario, demmo fondo all’incontro il Capo di Romania. Il Venerdì 15. ripigliammo il cammino, lungo la costa di Romania; lasciando a destra un lungo ordine d’Isole, delle quali è molto copioso quel Mare. Passammo sul tardi la Preta Bianca (così detta da’ Portughesi) ch’è un picciolo scoglio bianco, poco elevato sopr’acqua; e posto talmente in mezzo al passo, con due altri contigui, che ha fatto [p. 319 modifica]naufragare più vascelli, che non lo conosceano.

Mi narrarono i medesimi Portughesi, che dovendo quindi passare uno di loro nazione, sopra una nave di suo conto, molto carica d’oro, e preziose merci; sempre dimandava al Piloto, quando si passava: e parendogli ogni momento mille anni, di vedersi fuori di tal periglio, ripeteva così spesso la dimanda, che fastidito il Piloto, gli rispose, che l’avea già passato. Allora, offuscatosegli l’intendimento dall’allegrezza, proruppe nell’esecrande parole: che Dio non lo poteva più impoverire. Ma non ne andò guari impunito, perocchè ben presto urtò la nave nella Preta bianca; e perduto tutto il suo avere, non gli rimase altro, che per maggior miseria, la vita.

Il Sabato 16. proseguendo, con vento gagliardo, il cammino, ci facemmo fuori di tante Isole; che stendendosi verso Mezzodì, per lo stretto della Banca (che si passa andando in Batavia) lasciavano libero, e spazioso il Mare a noi, che andavamo verso Oriente. Rinforzandosi il vento, ci allontanò dal Capo di Giohor; facendoci approssimare all’Isola di Borneo, posta sotto la linea Equinoziale. Il Capo [p. 320 modifica]suddetto di Giohor, stendendosi in una lunghissima Costa, sino a Bengala, si piega poi, e forma la Controcosta (fino al Regno di Siam) nella quale sono più Regni; e fra gli altri quello de’ Patani, sempre governato da una donna, come quello d’Acen, e di Canarà.

Questo paese abbonda di canfora, pepe, avorio, cayulacà (legno d’odore per uso del fuoco) cocco, Arecca, tele bianche, e tinte, come di nido di Passero; ed è di grandissimo commercio col vicino Regno di Bengala, per l’Istmo. La Regina è Maomettana, e Tributaria del Re di Siam. Seguitavamo allegramente a navigare, colla prora verso l’Isola di Pullaor, da noi desiderata; quando sopravvenne la notte una gran summatra, o tempesta dalla parte di Tramontana; che ne fece correre talmente a Mezzodì, che la mattina della Domenica 17. al comparir del Sole, fummo a vista dell’Isola di Borneo; e di quelle dette Siantones, avanti la medesima, abitate da’ Malay.