Gibilterra salvata
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La Fata Morgana | ► |

GIBILTERRA SALVATA
POEMA.
Chiare storie passate, Eroi che furo,
Per ornarli del canto, in cor volgea,
Quando a l’orecchio mio venir su l’aura
Parve tal voce: l’età prische obblia,
5E de la tua fregia i bei fatti e i nomi.
Dunque allor solo andrà un Eroe cantato,
Che già reso ombra ignuda e polve sorda,
Di sue laudi Febèe non sa, non gode?
Alma voce gentil, Dio vero, o dolce
10Illusion, qual sei ti seguo: in fondo
M’andasti al core, e maggior fatta or sento
La bella, che ho nel sen, fiamma di Pindo.
O Calpe,[1] a te drizzo lo sguardo: io l’arco
De le Muse in man tolgo, e te, lontana
15Calpe, pur vo’ ferir d’un dardo alato.
Veggio le torri tue, veggio le alpestri
Tue mura, e la gran baja, e i moli, e il porto,
E te, che il piede nel soggetto mare
Bagni, e le acute spalle alzi superba
20Sì, che l’armato capo hai tra le nubi.
De’ fabrili strumenti, e di percosse
Pietre odo il suon, cui fan risposta e accordo
L’onde, che a’ fianchi tuoi mugghiano intorno,
E fida di tue rupi ospite l’Eco.
25Ma tu di mar non temi ira o di cielo,
E immota ridi a le procelle, al vento.
Fissa nel monte, che ti sorge incontro,
Sempre le annose ciglia, è perchè forse
Torti dal vagheggiar quelle non sai
30Che di te parti un dì furo, e che svelse
Dal corpo tuo forza nemica: serba
L’un lito e l’altro ancor de le disgiunte
Membra i vestigj, e de l’antica piaga.[2]
Poco a te lunge in grembo al mar si cela
35Cadendo il Sol: te mirar gode in viso
Pria di dar volta, è d’un purpureo indora
La fronte salutata ultimo raggio.
Ma quali in faccia tua veggo apparecchj
Su la terra, e sul mar d’uomini e d’arme?
40Altro par ben che quando, or son più lustri,
Destin cambiasti e scettro, altro che quando,
Or più secoli son, fu volta in bianca
Tua negra faccia, e assottigliato il labbro.[3]
Coverto è il suol d’ostili tende: or mani
45Ben diecimila a le grand’opre intorno
Vibransi ratte, e sorgon nuove a un tratto
Colline, ove giacea sol piano inerte,
E de l’Emola sua Natura ha sdegno.
Ferve il lavor, cui sotto l’ombre amiche
50Col secreto compagno, e con l’inganno
Il silenzio presiede. E il giorno, al Sole
Terso lampeggia immenso acciaro, e un tuono
Di grida e di nitriti ogni aura scuote,
Balza ogni cor. Ma chi è colui che cinto
55Muove da eletta schiera, e l’opre e l’arti
Guarda e inanima a un tempo? un’alma gli esce
Nata real del volto: io lo ravviso,
E’ d’Artesia il Signor; venne, e di Senna
Pregaro, sospiraro invan le Ninfe:
60Ove t’affretti? ah il sol cocente, ah il lungo
Non t’offenda viaggio! incontra almeno
Non porre a rischio alcuno un così dolce
Capo, e ti basti trionfar col Mirto,
Che la cara ti cinge ambrata chioma.
65Nè vien da l’onde men crudel, meno alta
Minaccia; il mar per le gran vele imbianca:
Son le vele raccolte? un’ampia selva
Di spesse antenne par nuotarvi sopra,
Qual forse un dì ne le materne spume
70Co’ suoi boschi ondeggiar Delo fu vista.[4]
Chi de’ bronzi tonanti, onde ogni nave
Muove in triplice giro i fianchi armata,
Può il numero contar? ma quanto i figli
De l’uom trovaro a danno lor, fu poco,
75Se novello di strage aspro argomento
Fuor non uscia: macchine vaste e gravi,
Cui navigli rinchiusi, e di lor tetto
Muniti io dir potrei, qual fu l’antico,
Che il seme uman salvò per l’onde ultrici,[5]
80O mobili castella, che di cavi
Fulminator metalli e d’uomin piene
Su la docile meni onda, e a nemiche,
Puoi mura anco appressar, come sen giro
Le torri un dì gravide d’armi e armati
85Sul duro campo, e fin d’allor che stette
Contra i muri del sacro Ilio la Greca
Misteriosa macchina d’Epèo.[6]
Tai, se non mente Clio, nel mar che giace
Del Sole appo la culla, o non diverse
90Fur molto quelle moli incontra spinte,
Quai d’arborea testura agili rocche,
Da l’Indico Monarca al Lusitano
Valor nemico: parean monti accesi,
Che lanciasser nuotando e pietre e foco,
95Ma invan; che fu tanto apparecchio e insulto
Da l’Achille del Tago arso e disfatto.[7]
E tu, Calpe, quai forze a tanto nerbo,
Quai scudi opponi al tempestar vicino?
Tu però non diffidi; e spesso il guardo
100Parmi, qual figlia in dubbio stato al padre
Ch’alzi, onde meglio assicurarti, al Duce,
Che pien la lingua e il cor d’alto consiglio
Nestore a Troja, e presso Tebe Adrasto
Sotto canuto crin ricorda, e oscura;
105E già la foglia de gli Allor che spunta
Tra le nevi del crin verdeggia e splende.
Queste cagion da l’alto, e un tanto moto
L’antico Eroe nel mondo, ora in ciel Nume
Ercole vide, e al Re d’uomini e Dei
110Recossi avanti, e così disse:[8] O Padre,
Ch’è questo or dunque? a quella gente incontra
Che voglion si gran moti, e quali or deggio,
Signor, memorie io rinfrescarti ancora?
D’una mortale, amor tuo dolce, io nato,
115Sai che tra l’opre, onde immortal mi resi,
Col più caro piacer vantomi ch’io
I lunghi insegnai primo util viaggi,
Ond’uom se stesso e altrui giovando a un tempo
Mena quel, di che abbonda, a esterne piagge,
120E ciò, di cui va manco, indi ne reca.
Quindi al mio cor loco più dolce in terra
Di quel non è, cui si fier Marte or tiene,
Meta di tanti corsi miei, fatica
Ultima. E Tebe, suol paterno, e Tiro,
125Ove sì ricco a me tempio sorgea,
Minor m’è cura: io spesso adagio il fianco
Su Calpe mia, sanlo gli Eterni, e un lungo
De’ tetti aurei celesti obblio vi bevo.
Qui visito le sedi, e i voti accolgo
130Del popol mio, popol di cui nè al prisco
Tempo, nè quelle sedi al tempo nuovo
Tenne, che amassi io più. Quale altra gente
Meglio il mio Nume onorò mai? qual gente
Men timida e più dotta a metter vela
135Meglio ne l’arte de’ Commercj vede,
E più quindi ha ragion su i nostri amori?
Or contra lei, se il ciel non anche, l’uno
Congiura e l’altro mondo: Iberi, e Galli
Ecco cingerla, stringerla, e più lunge
140Il Batavo apprestar le navi e l’ira;
Mentre in sua nimistà fermo s’applaude
L’American ribelle, e mira il Gange
Poro novel, che a’ nostri danni un nome
Barbaro fa volar con meraviglia.
145Forte, costante è il popol mio, ma solo
Contra gli empj Titan, tu Giove, oprato
Che avresti? e se mutar pur dee di scettro
La città vinta, che più resta, o Padre,
Fuor che imporre al Fratel, che l’onde alzate,
150Se la cuopra ed ingoj, venuta al Figlio
Sotto nuovo Signor troppo men cara.
Ma il fisso de le cose ordine eterno,
Che anco a te sovrastà, vuol questo: or bene
Il sorgere e il cader del Sole, e il giro
155Del ritornante in se mutabil Anno
Non è d’ordine eterno? e tale infranto
L’hai pure in quella tua notte si lunga,
Padre, ch’io fui concetto. Ah! per lo dolce
Di quella che a te fu si dolce notte,
160Per la Madre, per te; per quel ch’io feci,
S’io feci cosa, ond’aver grazia, ï mostri
Or domando più atroci, or de le imposte
Sfere ad Atlante alleviando il peso,
Signor, fa non sia vinto, o me del cielo
165Scaccia, e mortal torna qual fui; che amaro
Questo già fora a me nettare, e grave
Questa immortalità su l’alma incarco .
Tal supplicava Alcide, e tal gli feo
Il Re d’uomini e Dei breve risposta:
170Benchè guardar là su l’Eusino or deggia,
Ve civil foco in Tauride mi chiama,
Ed il regno tra due scettri conteso,[9]
Pur già mi volgo a l’Occidente, ei casi,
E le vicende, onde ansio vai, contemplo,
175Di te memore, e libro. E tu, se l’ami,
Pur vanne \in terra, ed a favor di questo
Tuo popol caro urta pur, muovi e tenta
Quanto puoi, quanto sai: Giove nol vieta..
Disse, e del cenno feo tremar l’Olimpo.
180Qual se le frutta d’oro in quello tolte,
O a l’Amazzone avesse il cinto tratto,
Tal parve allor Tirinzio a i rai di gioja,
Che gli usciron del volto. E tosto in terra
Scende: piegò sotto l’Erculeo piede
185L’asse del globo: ei tutto avvolto e chiuso
In sen d’una gran nube rapidissimo
Su d’Abila calossi, Abila immune
Da i furor di Bellona, e qual da i merli
Esplorator soldato, anch’ei de l’alto
190Giogo, per osservar, s’assise in vetta.
Non ozioso intanto, e a mense e a giuochi
Non è già sempre inteso il gran Nemico.
Chi l’armi tratta, e il braccio addestra e l’alma,
Chi vallo, argin, trincea, fossa e riparo
195O leva, o afforza, o scava: e spesso l’ira
De’ terrestri s’udia folgori, ch’ora
Fendean per dritta via l’aere sonante
Ora salian ver l’alto, indi venuti
Come di cielo, ricadean piombando .
200Vegghia per tutto, e ovunque drizza e intende
○ gli occhi, o i passi, o il cor la saggia etade
Del buon Duce. Britanno: ed or le piaghe
Fa sanar de le mura, or manda ingrate
Risposte al campo, e anch’ei sopra il lanciato
205Ferro ritondo fa volar le Morti,
Non però tante; o manchi d’arme, o voglia
Serbarle a più grand’uopo, e l’oste avversa
Invitar, rinfuocar, mostrando il fianco.
E già mortale occhio non v’è, che a l’alta
210Rocca non miri, e che di lei non dica,
Labbro non v’è. Chi la Britanna in duri
Tempi fermezza fino al ciel solleva,
Chi la fidanza Gallica, e ricorda
Chi l’aurea possa del Monarca Ispano .
215Gli occhi su pinta immago altri conduce,
E stretti in breve tela i luoghi accenna,
Molte cose volgendo, e i più cantati
Assed; d’ogni età sospende e libra,
E questo d’infra tutti estolle e vanta.
220Ma le Suore e le Madri, anche ove bagna
Sebeto, e Pò, sonni tremanti e brevi
Traggon lontane: hanno ancor esse in cura
De’ suoi cari l’onor, ma de’ suoi cari
Gelano al rischio, e pende l’alma e ondeggia,
225Qual se cosa ad un tempo odiasi ed ama;
E lacrima nascente, e mal troncato
Sospir talora i forti detti accusa.
E’ notte, e stende le brune ale il sonno
Su la terra e sul mar: tardi, e per poco
230Chiuse il buon Duce le canute ciglia,
Che subito gli apparve in sua nuďombra
L’estinto Cornuaglio.[10] Riconobbe
Le note forme, e il capo alzando, O, disse,
Sostegno un tempo e onor di questa terra,
235Ben ritorni opportuno: ahi dopo quanti
Travagli, e quanta de le nostre mura
Ruina io ti riveggio! onde or ne vieni,
E perchè si tardasti? A questo ei nulla,
Come ad un vano ricercar; ma fosco,
240Qual chi grave pensier dispiega in viso,
Sorgi, grida alto, sorgi: al fiero assalto
Già s’appresta il Nemico; in fiamme, in foco
Vedrai mar, cielo e terra, ed a le stelle
Ultime salirà l’alto rimbombo.
245E già sul primo albor, l’ancore tolte,
S’eran date a salpar le fluttuanti
Rocche nemiche: del novello incarco
Meraviglian quell’onde, e a veder fuori
Più d’un Nume marino alzò la testa.
250Già son presso a le mura e tra due moli
Sfilate e insiem congiunte a fronte stanno
De la città. D² alto mirava il Duce
Anglo, e in vederle appressar tanto, è fama,
Che giù per la senil guancia una pia
255Gli discorresse-lagrima: rivolto
Indi a’ suoi con la voce; o figli miei,
Vedete quanto in lor può disciplina,
Che vengono a tal rischio; ah in voi cotanta
Fedeltà io vegga, e la vittoria è mia .
260Ciò detto appena, ecco infierir da l’alte
Moli ondeggianti la maggior di Marte
Virtù: corre la man, s’accende il bronzo,
Scoppia il nitro commosso, ed impennato
Parte e stride sul mar l’orribil dardo:
265Voci alte e varie, e folte grida al cielo
Ne vanno; e tanti escon dal sen de l’atro
Nugolo, epe’squarciati aerei calli
S’odono rimbombar fulmini tanti,
Che Giove più non ne contorse in Flegra.
270Nè ruina minor, nè parte contra
Gli assalitor da l’assalito monte
Furia minor: tal da gli armați fianchi,
Da le spalle, dal sen, da l’alta bocca
Sgorga sonante e rapido di viva
275Fiamma torrente, e tal di sassi accesi
Spiccasi un grandinar, fumo cotanto
Involve l’aria, e d’un tenor si diro
Il mar rimugghia, e si rattrista il cielo,
Che orrendo più su le stesse onde al guardo,
280Se infuria, e foco spande e pietre scocca,
Non sorge Etna iracondo, e non più orrendo
Da le Nordiche s’alza onde lontane
Quell’Hecla emulator de l’ira Etnèa.
Chi poi, se ferrea voce anco e se tenga
285Cetra di ferro armata, il suon, quel suono
Può cantando agguagliar pien di spavento,
Ch’esce da Calpe, e a’ più lontani lidi
Si diffonde e s’eterna? i duri gioghi
Scossi ne furo d’Alcaraz, che il verde
290Crine crollò fermi l’Anasse e il Beti
Stettero, e metter poi l’inorridito
Piede ne l’Ocean s’ardiro appena,
Ed oltra il suol Tarraconese, e giunse
Sino a l’alta Pirene il fier rimbombo;
295E si strinser le Madri i figli al seno .
Ma il Duce d’Albion, che su le fiamme
Posti i volanti avea globi di Marte,
E fatti, qual’ talor la vaporata
Luna, sul tramontar del Sole avverso,
300Sorgendo appar con le infocate guance,
Non ignaro de l’uopo, ed incoccati
Nel cavo fianco poi de’ lor gran tubi
Gli avea si, che a ferir dritto i tessuti
Movesser lati de l’opposte moli,
305Dà il segno. Al tempestar de le infiammate
Saette immani, che tra l’aria e l’acqua,
Qual se talor vedesti augel marino,
Volano, e ribollir fan l’onde sotto,
A la tempesta, che più ria quel mare
310Non n’ebbe mai, parte non è che tenga,
E alfin non dia fumi, scintille e vampi,
E gran volumi d’atra pece, e nubi.
Invan le opposte lane, invan l’interno
Metallo opra, e la tromba, e i legni strani
315L’onda svolta in canal rigira invano,
E invano il mar lor vien sopra versato:
Per gli alberi, pe’ banchi or monta, or serpe,
E prore e poppe e sponde investe il foco
Voracissimo: cede ogni testura
320Corrosa, le giunture apronsi, e tutto
Stridendo in ogni lato e sempre instando
La vincitrice fiamma arde e consuma.
La gente, in cui valor più omai non vale,
Solo intende a salvar la cara vita,
325E spesso, in torsi dal periglio, dentro
Vi corre più: chi per fuggir gl’incendi,
Salta ne l’onde e affoga, e chi notando,
Poi torna incerto e stanco ov’è la fiamma
Non ignaro de l’uopo, ed incoccati
Nel cavo fianco poi de’ lor gran tubi
Gli avea si, che a ferir dritto i tessuti
Movesser lati de l’opposte moli,
305Dà il segno. Al tempestar de le infiammate
Saette immani, che tra l’aria e l’acqua,
Qual se talor vedesti augel marino,
Volano, e ribollir fan l’onde sotto,
A la tempesta, che più ria quel mare
310Non n’ebbe mai, parte non è che tenga,
E alfin non dia fumi, scintille e vampi,
E gran volumi d’atra pece, e nubi.
Invan le opposte lane, invan l’interno
Metallo opra, e la tromba, e i legni strani
315L’onda svolta in canal rigira invano,
E invano il mar lor vien sopra versato:
Per gli alberi, pe’ banchi or monta, or serpe,
E prore e poppe e sponde investe il foco
Voracissimo: cede ogni testura
320Corrosa, le giunture apronsi, e tutto
Stridendo in ogni lato e sempre instando
La vincitrice fiamma arde e consuma.
La gente, in cui valor più omai non vale,
Solo intende a salvar la cara vita,
325E spesso, in torsi dal periglio, dentro
Vi corre più: chi per fuggir gl’incendi,
Salta ne l’onde e affoga, e chi notando,
Poi torna incerto e stanco ov’è la fiamma
La Rondine così, che al tempo, in cui
A i dolci climi uopo è varcar si trova
Co’ cari parti ancor non-atti al volo,
360Stassi indugiando: cra ver l’altre allunga,
Che già trattano l’aure, ed or lo sguardo
De l’ale de’ suoi nati al crescer lento
Torce trista, inquieta: alfin dal primo
Ghiaccio vien colta, e muore in un co’ figli;
365Chiara, o Materno Amor, vittima tua.
La Notte, che avea già steso dal giogo
Caucaseo a quel di Teneriffa il velo,
Crebbe l’orror del caso, e fier risalto::
N’ha la lugubre scena. Il lume ch’esce
370De l’incendio, anzi che sgombrarle, insegna /
Le sovrastanti tenebre, e da tanti
Reflessi acceso avvampar sembra il mare,
Come a vedersi è giù ne’ campi Inferni
L’innavigabil Flegetòn, che volve
375Sotto ciel tenebroso acque di ’foco.
E quelle genti ancor, che al fosco e mezzo
’Lume di quella notte han d’Ombre ignude.
Più che d’uomin sembianza, e l’alte grida,
E gli ahi gli ahi di color che naufraghi, arsi,
380L’uno a l’altro le man lunghe stendendo,
Più disperavan che chiedean pietade,
Ben più che il breve mar tra Libia e Europa,
Fean quel loco apparir l’ultime case
De l’inamabil Dite, e il tristo Averno.
385Già le infelici fluttuanti, parte
Da. gl’infiammati strali eran consunte,
Parte dal foco, cui nel rischio estremo
Di chi asceso vi fu la propria, amica
Man v’appiccò: sorse l’Aurora, e tristo
390Spettacolo s’aperse, e inorridita
La bella del mattin figlia si feo
Di nubi un velo a le pupille, e a mano
Versò men piena le lucenti rose.
Eran gioco de l’onda i bruni avanzi
395De le navi disfatte, e per quel mare
Ondeggiavano in un rotti e disperse
I securi pensier, l’alte speranze,
E le vane fatiche, e l’auro Ibero:
E sol di quelle navi una con sola
400Di se stessa metà, negra ed ancora
Fumante, si reggea su l’onde a stento,
Quasi narrando il duro caso e ai Numi
Rinfacciandolo ancor. Ma l’infelice
Gallico Epèo,[11] visto perduta a un tratto
405Quell’opra, onde levar credea bel grido,
Guardo non è, cui non si tolga, loco
Non s’apre, in cui non si nasconda. Afflitto
Tauro così, che dal rival sia vinto,
E l’amata giovenca abbia perduto,
410Sen va lungi e si cela: odia la luce,
Odia a i compagni, a i noti paschi, al tetto
Mostrarsi avito, e in la più folta selva
Con se stesso cuoprir tenta il suo scorno.
Intanto sotto al Mar s’agitan nuove
415Cose, che tutta la Nettunia Corte
Tengon sospesa. Innanzi al Re due fiumi;
Cui la baja di Calpe, ove concordi
Spandonsi amareggiando, al corso è meta,
Stavan, Palmona e Goaranga, e molte
420Mettean querele, arse del crin mostrando
L’alghe e le canne e il turpe volto e sozzi
Di fuligine gli occhi alto tenendo.
Molte anche a lor s’eran congiunte in via
Spaventate Nereidi: altre avean bianca
425La faccia, e il crine del color che veste
Pomo immaturo, altre avean bruno il viso,
E più folta la chioma, e tinta in guisa,
Che tra il verde ed il nero inforsa il guardo.
E tra loro era pur quel regio e prode
430Duce,[12] che dopo il lagrimevol caso
Da’ suoi fu cerco invan: cadde ne l’onda,
E il raccolser le Ninfe; ed a Nettuno
L’addusser tosto: ei quella notte e il crudo
Narrò incendio così, che muover seppe
435Nel Regnator de l’acque il pianto e l’ira.
Ma le antiche cagioni, e l’odio antico
Più che tutto l’infiamma. Ahi, disse, gente
Sempre abborrita! ecco novelli oltraggi;
Fin m’accende i miei regni, ed io securo
440Tra tutte l’acque mie mal son dal foco.
Ma che stupir? non è quel popol, quello
Che mai non riconobbe il Nume mio,
Che vuol tutto de l’onde in man l’impero,
Quasi a lui, non a me, sia dato in sorte
445E l’argentea corona, e il fier tridente,
E del Giove marittimo le veci?
E ch’io tutto io divori? e non almeno
Con sola una vendetta ingiurie tante
Consolerò? cosi parlando, indice
450Prima a que’flutti, che purgato e mondo
De la fuligin ricevuta, e salvo
Il Duce a’ suoi sia ricondotto e al campo.
Poi trae de l’onde il capo, e misurati
Tutti d’un sol divino sguardo i mari,
455Prontissime imbasciate ad Eolo invia,
Eolo signor di nembi e di tempeste,.
Che scioglie e imbriglia gli Aquilon ritrosi.
Pel Nordico Ocean naviga intanto
Lieta e superba d’Albion l’Armata,
460Lieta del più seren cielo, e superba
Di sue ferree baliste, ond’è munita.
Saggio Inventor de’ vasti ordigni, or sotto
La tua man dunque vien più lieve il ferro
Si, che men förte non ne torni?[13] E’ dritto,
465Che due versi a te pur volino sacri,
Che a’ rai d’ogni virtute ardon le Muse.
Ma quel seren non rise a lungo:[14] i venti
Già sciolti Eolo avea, che imperversando
470Sbucano, e pria, quasi campion che solo
Con finti colpi il cor riscalda e il braccio,
Muraglia o torre uno riversa, l’altro
Sbarbica e torce in aria antico pino,
Poi s’avventaro, il vigor desto e l’ira,
475Tutti nel mare, ove: Albion veleggia.
Già chiuso è il cielo d’ogni parte: fatto
Già valli e monti è il mar, che alternamente.
Or s’abbassano, or s’alzano, e con l’aspro.
Cigolio de le sarte i fischj al cielo
480Van de’ Piloti, e de’ Nocchier le grida.
Ogni nave ha il suo duol; questa un’antenna
Perde; a quella, ne l’atto in che si cala
La maggior vela odi scrosciar stracciata;
Quattro e sei mani e grossa fune in una
485Fermo il temone non tien sì che alfine
Nol giri il flutto vincitor; ne l’altra,
Che l’inimica onda riceve, indarno
Giuocan le trombe, il mar rendendo al mare:
E v’ha per tutte chi su carte il corso
490Sentiero, a lume di lucerna, appunta,
Oil mobile riguarda ago incantato
Che il perduto gli rende Artico cielo.
E già per tutto il mar divisi e sparsi
Mira i suoi legni, e divietar nol puote,
495L’Anglico Capitan: qual s’abbandona
Del rio vento in balia; qual d’importune
Baje nel seno è a riparar sospinto;
Tal giunse ne l’Ibernia, e fu che al lido,
Onde sciolto avea pria con l’altre navi,
500Stretto fu ritornar, nunzio giugnendo
Non comandato de l’avverso caso.
Ma il caso avverso non fuggì dal guardo
Di Tirinzio, che al suo monte d’in cima
Vedea l’opre de’ venti e la gran testa
505Crollando irato, ecco il mio tempo, ed altro
Non disse, e ratto a la sua nube in mezzo
Spiccossi ond’era. Incontra a lor tal vasta
Nube venir veggon già d’Eolo i figli,
E non mossa da lor, ben pensan ch’entro
510Un Dio sta, un Dio che la si muove intorno.
Ed ecco uscirne pria la lunga clava,
E il gran braccio toroso indi, e poi tutta
La faccia, e con la faccia uscir del nembo
Due lampi e un tuono; che parean due lampi
515Gli accesi occhi da l’ira, e tuon la voce.
Ciascun ravvisa il Nume, e gran pensiero
N’ha; pur s’appresta a la battaglia. Tosto
Di tutte le sue nebbie Austro la fronte
Scuro e scuro gli sguardi, e di sue pioggie,
520E di grandini s’arma e giù versando,
Da i boschi de la barba e de la chioma
Diluvj, prende a incrudelir; ma nulla
Quindi l’infuriato Ercol s’arresta.
Borea intanto ammassò gran copia in fretta
525De’ più acquosi vapori, e in lor si forte,
Gonfiando più che mai le immense gote,
Co’gelidi spirò fiati, che n’erse
Tosto di saldo ghiaccio alta muraglia,
Cui ponsi dietro e il gran Nemico attende,
530Quasi da Rocca d’adamante intero.
Tai furo un dì su l’Iperboreo Neva
Le tessute di gel mura ad illustri
Ospiti alzate, a regal pompa, e degne
Che le sacrasse una gran Dea col guardo.[15]
535Ma rise d’un fier riso Alcide, e il peso
De la gran mazza alto a due man levando,
Tal diè d’un colpo in su l’estranio muro,
Che in mille e mille andò lucide schegge,
Ed il fragor ne salse al Ciel, che tutto
540D’umidi spruzzi rugiadoso apparve.
A se Borea par nudo, e varie cose
Va pur volgendo; insta Tirinzio, e gli alza
Sul capo la fedel clava, ma l’altro,
Cui piombar parve su la testa un monte
545Agile deviolla, e mostrò il tergo,
E la tema di due gli feo mille ali.,
Gli altri, che ciò del più possente han visto
Fratello, alcun non è che tenga il campo;
Fuggono e chi ne’ ciechi antri s’interna
550Deʼmonti più vicin, qual torna al Padre
L’onta a narrar, qual vola intero un giorno;
E fu chi mosse a saziar lo sdegno.
○ in altri mari, o su l’adulta speme
Del piangente Villan, che non ne ha colpa.
555Sgombro il Ciel di tal peste, e dolce reso
D’abbaruffato il mar novellamente,
Ecco, ecco unirsi le disperse navi,
A vicenda mandar cari saluti "
E liete, e de’ sofferti oltraggi e danni
560Restaurate, riporsi a poco a poco,
Per veleggiar tutte a dilungo, in via.
Tale un popol di Grù, che l’oceano
Navigabile a lui de l’aria tratta
Geometrizzando, con remeggio d’ale,
565Se d’improvviso atra lo assal procella,
Forza è uscir del cammino, e ne vien rotta
La tricuspide squadra: indi quel primo
Seren tornando, a l’ordin primo ei torna
E più dolce il Sol nuovo e di Natura
570Riconsolata a lui più bello è il volto.
Già per le Occidentali onde tranquille
Si distendea l’Anglico Marte: sorto
Era già sopra la città d’Ulisse;[16]
E col Sole che a lui, nascendo in faccia,
575L’alto de le velate antenne inaura,
Al varco, che divide Abila e Calpe,
Feroce s’indirizza. Ed ecco al guardo
Del Capitan de l’Anglia un tetro, orrendo
Mostro aereo apparir, che il piè nel mare
580E la fronte ha nel cielo: il nominaro
Uragano i Nocchier. Dietro la buja
Sua forma il Sol langue ecclissato; gli occhi
Pajon due fosche vampe: io così vidi:
Gran torre in mar, che d’alto splende, e addita
585I porti di lontan. Ma suon di cento
Venti è la voce, ed appo l’ale immani
Sembra falda di neve ogni gran vela;
E un tridente a due mani alza che quello
Somiglia di Nettun ma grande e d’atra
590Caligine tessuto, onde arbor, vele
Lacerar, flagellar gode, e talora
Le più gran navi urta, riversa e affonda.
E al mio cospetto, ei grida, osi tu dunque,
Sciagurato Guerrier, tentar quest’acque?
595E il Capitan: no, non ti temo, informe
Mostro de l’aria: a chi men core ha in petto,
E ne le travagliate opre del mare
Men d’arte e men d’esperienza, i tuoi
Terror tu reca, o nebuloso figlio
600Di sotterranei. fuochi: io non ti temo.
E voi, Compagni, ardir; cresce virtude
Ne’ rischj, e l’ardua, non la bella in vista,
E’ de’ Saggi al guardar la più grand’opra.
Ne la baja di Calpe il nerbo unito
605De le navi d’Iberia e de le Franche
Sta su l’ancore intanto: annunzio vola,
Che s’appressa Albion; brilla ogni core,
Si raccolgono i Duci, e par che un suono
Spandasi intorno: no, con questo cielo
610Non affronta Albion, non prende il varco.
Ed ecco, quel che men da lor s’aspetta,
Ecco d’alto apparir l’Anglica Armata,
Che in ordin muove di battaglia, e al varco
S’affaccia, ed entra. Allor sfilar, far fronte
615Tenta il Nemico, e quanto puote adopra;
Ma il crudele Uragan batte i gran vanni,
E grida e infuria: una rapita antenna
Piangono questi; altri a la riva, ed altri
Tra le ostili ei sbalzò braccia di Calpe,
620Che ne fer preda, e navi due bandite
Fur de la Baja, onde nel mare interno
Non volontarie inalberàr le vele.
Mentre da l’Ocean cala, e quell’onda,
Che a tali angustie non usata, il corso
625Sembra che affretti, onde ancor poi si spanda,
L’Anglo solcando vien tra piaggia e piaggia,
Spinto da le correnti acque, e curando
Nulla le furie de l’aereo mostro.
Suona rumor, che allor ch’ogni altro augello
630Da pioggie e nembi è offeso, oltra le nubi
L’animoso Airon poggia, e secure
Da la procella fa le penne e il volo.
Tale il prò Capitan vibra le ardite
Sul flutto Gaditano ali secure,
635E giunto a fianco de la Rocca, in essa
De’ bramati sussidj entrar fa parte,
E allarga poi ne l’altro mar suo volo.
Va pur, prode Guerrier, che anch’io ti seguo
Con quest’ali Febèe: spuntar dal suolo,
640Cui tu soccorri, io la tua palma or veggo,
E tra poco vedrò cresciuta ed alta.
L’Ispano e il Franco avean lor forze intanto
Raccolte, e messe in mar, le varie tracce
Spiando de le prore Angle, o seguendo.
645Tirar di funi od allentar, di vele
Chiudere o aprir, snudar di fianco a destra
Quando e quando a sinistra, e a l’aure a i venti
Torcer, drizzar, mutar la via del fiato,
E tai marinaresche altre bisogne,
650Che in ambo fersi le nemiche Armate,
Ama saper più che narrar la Musa.
E già, gli Euri chiamati, ecco la prua
Girar; salir, scender le corde; e tutta
La vela a gli Euri ubbidienti aperta,
655Il navigato mar rinavigando,
L’Anglo Almirante ritornar ver Calpe,
Farla felice d’ogni cara aita,
E risalir le anguste onde, e di nuovo
Sorger ne l’Ocean, colta la palma,
660Che da le mie Castalie acque irrigata
Forse più rigogliosa al ciel si leva...
Come l’Alba in veder dopo si lunga
Notte l’abitator del polo esulta,
Tal fu, Calpe, di te, giunti que’ primi
665Rinfrescamenti; ed or che la vitale
Sua luce tutta a te mandò il tuo Sole,
Più di te non gioi mai l’uom del polo,
Già sorto il caro Sol, cui leva il capo,
Cui bee tutto per gli occhi, e ne la cui
670Luce s’avvolge a lungo e tinge e indora.
Venia dietro il Nemico, ma nè Dii,
Nè uguali penne avea: pur giunto anch’esso
Su l’Atlantico mar, cruccioso e ardente
Per sete di vendetta il cor deluso
675Contra l’Angliche poppe il bronzo alluma.
Ma il Duce d’Albion, che a fin condotta
Vide già l’opra sua, che al dubbio evento
D’una pugna affidar non dee senz’uopo
Le prore e i fidi suoi, saggio non piega
680Da l’impreso cammino. Il marziale
Valor, che sorto in piè gli era a sinistra,
L’urta e smuove talora, onde a i nemici
Legni talor, qual fu de’ Parti usanza,
Che inaspettato stral ’torcean da tergo,
685Venenate saette anch’ei rimanda,
Ma il Senno marzial, che al destro fianco.
Gli siede, ecco il rampogna e sgrida, e in seno
Quelle fiamme premendo, a lor viaggio
Fa che le vincitrici intendan vele.
690Tal de le fere il Re, che ancor tra ceppi
Di que’ spirti natii qualch’aura serbi,
Se mai stolto animal vicin gli passa,
Alza e stende ver lui l’unghiata zampa,
Poi la ritira, del Custode al grido,
695E i dispiegati ne raccoglie unghioni;
Ma ben quel ch’ei non fa chiaro si legge
Fra le giubbe, nel guardo, e su la coda.
Tirinzio allor, cui non più cura o tema
Pe’ suoi cari Britanni il cor sospende,
700Lasciò la terra, e al ciel si ricondusse.
Su le porte del cielo Ebe, la fida
Moglie incontro gli mosse, annuvolata
Pel soverchio tardar d’ira amorosa.
Pur d’ambrosia recente un aureo nappo
705Gli offrì, ristoro a le fatiche; e intanto
I gran sudor tergea da’ l’igneo volto,
Già da lui, da le udite opre addolcita,
E amante aperta più, perchè tranquilla .
Del talamo a la via poi, che di Giove
710Sorge lor ne la Reggia ornato e vago,
Mosser d’un passo, e su i trapunti letti
Ambo a l’amor s’abbandonaro, e al sonno:
Ebe, la Dea più candida del cielo,
E Tirinzio le membra irsuto e fosco .
715Tai di Pluto a veder gli abbracciamenti
Con Proserpina fur, sul monte e prima
Che le tiepide nevi e l’ostro vivo
Le s’infoscasse pel veduto Averno.
De’ bei fatti de l’Anglia andò la fama
720Pel cielo intanto, e i Dii tutti e le Dee,
Come a favor pendean di questi o quelli,
Sdegno e letizia al cor ne risentiro.
Ma che fatta ne sia memoria in Pindo,
E s’alzin quivi d’Albion le lodi,
725Giove al figliuol Febo imperò. Le Muse
Febo raccoglie, ed a Calliope accenna,
Gran tessitrice di ghirlande eterne,
E sempre d’aurei nomi il grembo piena;
Ed Ella ritta, e fra le intente Suore,
730Che le forman sedute un cerchio intorno
Feo dal petto divin volar quest’Inno.
Alma Gente immortal, d’Eroi felice,
Una selva di lauri a te non basta,
A te ch’ergi la fronte vincitrice,
735Quando più ria tempesta alto sovrasta.
Così addoppia Leon la forza ultrice
Poi che ferillo il Cacciator de l’asta,
L’Idra così sotto l’Erculea clava
Crescea le teste, e il vincitor crucciava
740Dunque da’ primi antichi Padri intesa
Quella indarno non fu voce divina:
Mura d’intesto abete a voi difesa,
E campo al guerreggiar sia la marina.
Tal vincere in Europa Asia discesa
745Poca gente poteo del mar Reina,
E forse al Correttor del Mondo piacque,
Ch’aggia le terre chi è signor de l’acque.
Ma tutto ha suoi confin: se il volto santo
Mostra la Pace, e la sua verde fronda
Comincia a metter fuor del bianco manto,
Non sia per te che ancor ritiri, e asconda.
Ceder regni dovrai? cedansi; io canto
Innebbriata di profetic’onda:
755Cedansi; i più gran danni inclita, immensa
Virtù, che in lor s’affina, indi compensa.
Una parte del Mondo è che si giace
Di sotto al polo meridionale,
Cinta da l’onde, e tanto ampia e capace
760Ch’Europa insieme, Affrica ed Asia, vale.[17]
Ma per ogni nocchiero anche più audace
Le folte nebbie, e il rio ghiaccio immortale,
Che pur fa fede di vicina terra,
A l’Isola infinita il varco serra.
765Ma non sempre chiudrà: felici antenne
Da’ tuoi porti salpar veggio, o m’inganno?
E a l’Antartico ciel sciolte le penne,
Oltra le vie del sol, le vie de l’anno,
Far quel che per ria morte a far non venne
770L’ultimo Eroe veleggiator Britanno.[18]
Ceder loro ogni nebbia, e il duro impaccio
Ceder veggio del trionfato ghiaccio.
E già il nuovo saluta ospite lito,
Or favoloso ancora, indi giocondo
775Balza di nave il Capitano ardito,
E di grand’orma imprime il terzo Mondo.
Un regno a l’India occidental rapito
Ti vien? ti venga: a nullo altro secondo
Regno il destin là t’apparecchia, e il petto
780Colma d’onde presaghe io tel prometto.
Intanto godi, che se quattro e nove
Provincie in terra, il volle Iddio, perdesti,
Di nuovi mondi in ciel, non che di nuove
Provincie, acquisto glorioso or festi:
785Poi ch’un de’ figli tuoi rinserra, e muove
Così, mel disse Urania, i rai celesti,
Che tale ottico suo nuovo instrumento
Ignoti astri scuopri sei volte cento.[19]
Non puossi, è ver, là dove or giunge il ciglio,
790Mandar Coloni, e trarne argento ed oro,
Benchè d’aereo volator naviglio
Abbia un Dedalo Franco in man lavoro.[20]
Ma gente, che al valor pari ha il consiglio,
Sa che tal di bell’arti evvi tesoro
795Per cui quello, che alfin tutto soverchia,
De’ secoli Oceano invan la cerchia.
Forse che veri a le scoperte ruote
Mondi non son cotante nuove stelle?
Ed ove, tua mercè, rifulgon note,
800Dirò di ragion tua che non sien quelle?
Così se ne la Luna or coglier puote
Il tuo sguardo Lincèo cose novelle,
Quante non mai sperò pupilla alcuna;
Dirò non sia di tua ragion la Luna?[21]
805Fu de l’Italia (vuol ch’io questo esprima
L’amor che sempre a questa parte io posi ) .
Sin da quel di, che la conquista prima
Ne fero que Toscani occhi famosi.
Ma Italia, cui quanto ebbe in terra prima
810Omai rapiro i Numi invidiosi,
Come che il dirlo è al cor puntura infesta,
Or perde ancor quello che in ciel le resta.
Così vuole il destin, che il giovin passo
Muova tal gente a gli onor primi in fretta,
Tale altra caggia da l’altezze al basso:
Molto, Albion, di gloria ancor t’aspetta.
Altri animar le tele, ed il compasso
Di Vitruvio a girar meglio si metta,
820O meglio sappia ancor le armate squadre
Spiegar sul volto de l’antica madre.
Voi seguite, o Britanni, i vostri fati:
Di Sofia meditar quel ch’è più arcano,
E di Marte e Mercurio a l’opre nati
825Le vele alto levar ne l’Oceano .
Felici, e ancor per molta età, se i grati
Troppo grati piacer, se il guasto e insano
Costume, e di lung’ozio infausta calma
Tutto il vigor non vi torrà de l’alma .
Note
- ↑ Calpe la montagna di Gibilterra, una delle colonne d’Ercole, come vuolsi dai più, rimpetto alla quale sorge l’altra colonna, cioè Abila, o sia la montagna di Ceuta nell’Affrica. Per Calpe intendesi anche la città di Gibilterra, il cui nome non par ch’abbia luogo in tal genere di poesia.
- ↑ Si sa che lungo le coste d’Affrica e Spagna furono osservati i medesimi strati di pietra e di terra di qua e di là dello stretto, pruova, dice il Plinio Francese, d’una irruzione dell’Oceano nel Mediterraneo prodotta o da un tremuoto, che sprofondate abbia le terre al sito dello stretto, o da uno sforzo violento dell’Oceano, che abbia rotto l’ostacolo tra i promontorj di Gibilterra, e di Ceuta.
- ↑ E’ noto che Gibilterra fu tolta alla Spagna dagli Anglolandi nel 1704., rimanendo agl’Inglesi, e che nel 1303. Ferdinando IV. la conquistò sopra i Mori, che ne aveano ab antico il dominio.
- ↑ Il parto di Latona fu l’epoca della stabilità dell’Isola Delo, che prima era mobile, dice la favola. E la filosofia, che fermossi, uscita che fu interamente, cioè o terminato l’abbassamento del mare, o l’azione de’ sotterranei fuochi compiuta.
- ↑ Il fatto dell’Arca s’appartiene alla storia in generale. Luciano nell’operetta sopra la Dea Siria dice di Deucalione quello nè più nè meno che di Noè la Bibbia; e io dico questo per chi non vuol nulla di sacro mescolato al profano, ed abbisognasse di tale avvertenza.
- ↑ Il Cavallo di Troja era forse altro che una gran torre da battere quelle mura?
- ↑ Il Samorino, cioè l’Imperatore di Calicut combattendo contra il valorosissimo Portoghese Odoardo Pacheco fece precedere l’Armata sua di 298. navi da otto Castelli galleggianti, condotti ciascuno sopra due Galeoni legati fortemente uno all’altro; i quali Castelli erano armati di grossa artiglieria, e di varie macchine, che Ingegneri Mori aveano inventato.
- ↑ Basterà notar qui a mostrar brevemente ciò che fu Ercole, che questo nome, secondo molti, non era proprio, ma sì appellativo, come dato ai celebri Negozianti, che andavano a scuoprire nuovi paesi, a stabilirvi colonie, e rendendosi anche famosi per la cura di purgarli dalle bestie feroci che gl’infestavano, non meno che pel traffico che v’introducevano.
- ↑ Eusino il mar Nero, Tauride o sia la Taurica Chersoneso la Crimea.
- ↑ Governatore di Gibilterra prima del Sig. Elliot.
- ↑ È nota la confusione del Sig. d’Arçon.
- ↑ Del Sig. Principe di Nassau non si ebbe novella alcuna per qualche tempo.
- ↑ Pretendesi almeno che questi nuovi cannoni del Sig. Caron portino sino a 1800. pertiche delle palle di 132. libbre, e che per questo non pesino più di quelli di 48.; e che ciò non dipenda dal minor calibro, ma per aver saputo renderne men compatto il ferro, conservandogli nel tempo stesso tutt a la sua forza.
- ↑ Il Sig. Howe sofferse molto dalle tempeste prima di poter soccorrere Gibilterra, siccome è noto.
- ↑ Si sa che gli Accademici di Petersburgo nel 1740. ricevettero la Imperatrice e la Corte a una pubblica festa in un palagio di quadroni di ghiaccio.
- ↑ Lisbona anticamente Ulissipona.
- ↑ Il sopra lodato Sig. di Buffon scrive che le terre supposte del polo Antartico potrebbero esser grandi quanto l’Europa, l’Asia e l’Affrica insieme.
- ↑ Il Capitano Cook. Pare che dopo i viaggi di questo celebre viaggiatore più non sussistano le terre Australi: ma è la insussistenza di queste, o la difficol: tå somma dello scoprimento che fu dimostrata?
- ↑ Il Sig. Hertskell con un suo nuovo telescopio di maggiore ingrandimento e maggior campo ha già scoperto più di 600. stelle doppie, e trovato esser quintupla una stella veduta doppia dal Sig. de la Lande; ed in alcuni di cotesti gruppi, forse planetarj sistemi, ha già rilevato del movimento. Quel che dà peso e autorità a questa gran nuova si è che le suddette osservazioni furono fatte a Greenwich sotto l’ispezione del noto astronomo Sig. Maskelyne, e che il Re gli passa già 300. lire sterline annue, ed una casa in vicinanza di Windsor.
- ↑ Si accenna la barca volante del Sig. Blanchard. Le prime volte, che stampati furono questi versi, non avea per anche il pallone volante, ossia la macchina Aereostatica del Sig. di Montgolfier, dato da cantare ai Poeti non meno, che ai Fisici da pensare.
- ↑ Il sopra lodato Osservatore pretende veder nella Luna, con quel suo telescopio, un oggetto della grandezza del tempio di S. Paolo di Londra.