Gazzetta Musicale di Milano, 1842/N. 25

N. 25 - 19 giugno 1842

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GAZZETTA MUSICALE

N. 25

DOMENICA
19 Giugno 1842.

DI MILANO
Si pubblica ogni domenica. — Nel corso dell’anno si danno ai signori Associati dodici pezzi di scelta musica classica antica e moderna, destinati a comporre un volume in 4.° di centocinquanta pagine circa, il quale in apposito elegante frontespizio figurato si intitolerà Antologia classica musicale.
La musique, par des inflexions vives, accentuées. et. pour ainsi dire. parlantes, exprimè toutes les passions, peint tous les tableaux, rend tous les objets, soumet la nature entière à ses savantes imitations, et porte ainsi jusqu’au coeur de l’homme des sentiments propres à l’émouvoir.

J. J. Rousseau.

Il prezzo dell’associazione annua alla Gazzetta e all’Antologia classica musicale è di Aust. lire. 24 anticipate. Pel semestre e pel trimestre in proporzione. L’affrancazione postale della sola Gazzetta per l’interno della Monarchia e per l’estero fino a confini è stabilita ad annue lire 4. — La spedizione dei pezzi di musica viene fatta mensilmente e franca di porto ai diversi corrispondenti dello Studio Ricordi, nel modo indicato nel Manifesto — Le associazioni si ricevono in Milano presso l’Ufficio della Gazzetta in casa Ricordi, contrada degli Omenoni N.° 1720; all’estero presso i principali negozianti di musica e presso gli Uffici postali. Le lettere, i gruppi, ec. vorranno essere mandati franchi di porto.


FRAMMENTI.

Il sentimento religioso indispensabile alla Composizione Sacra.

Pensieri di Carlo Borromeo di Miltitz.


(Sotto questa Rubrica noi produrremo quindi innanzi tutti quei brani di critica, di estetica, di storia, o letteratura musicale che ne verranno scontrati nelle migliori opere letterarie di recente pubblicazione, nei giornali tedeschi o francesi specialmente dedicati alla musica. Pertanto avvertiamo i nostri lettori a non volerci far solidali delle opinioni varie e dei principj diversi che si manifesteranno in questi Frammenti, ma bensì a ritenere che li veniam producendo come mera espressione di parziali convinzioni artistiche, più o meno indipendenti dalle teoriche che noi professiamo, ma degne pur sempre di essere fatte palesi a chi ama seguire in qualche modo il grande movimento musicale del tempo nostro non solo in Italia ma anche fiori).

L’Esten.


".... Oppresso l’artista de’ passati tempi da una non meritata, dura ed inesorabile sorte, o dal tedio della vita, egli poetava - almeno cento anni fa - una canzone sacra, estendeva un Salve Regina, dipingeva una Santa. Dell'istesso modo la filiale gratitudine alla bontà di Dio spingeva 1'artista de’ secoli passati all’alta lode, componendo degli inni, un Te Deum laudamus, etc. Talmente, e non in altro modo nacquero le magnifiche opere del pennello e della penna, mirabili anche tuttora, ed è erroneo il credere che Raffaele, Leonardo da Vinci, Palestrina, e gli autori per la maggior parte ignoti de’ magnifici inni AEterne vector etc., A solis ortu etc. siano nati da una pratica artistica, alla quale noi non possiamo innalzarci. Oibò: anche al giorno d’oggi noi somministreremmo nella sfera dell'arte religiosa altrettante opere magnifiche, se avessimo la fede di quei tempi, la quale sgraziatamente è andata perduta affatto per noi. La sola verità regge nella vita siccome nell’arte. Un caso speciale ne abbiamo oggidì nella musica di chiesa, e da alcuni anni mi vennero presentati da giovani compositori delle messe e salmi e simili, una metà de’ quali mi rivoltava per una esuberante impudenza delle loro melodie ed istrumentazioni, mentre l’altra metà, quantunque scritta nello stile rigoroso, eccitavano la mia compassione per la loro rigida freddezza e pel misero spirito ond’erano animate. Colui, il quale al par di me, 40 anni di sua vita consacrò esclusivamente alla musica, ed osservò l’andamento della sua cultura, può ben mettere innanzi anch'egli una parola. Più che vi rifletto, tanto più mi s'invigorisce il convincimento, essere la cagione di tale decadenza il religioso indifferentismo che nella nostra epoca fece cotanti tristi progressi. Credo dunque mio dovere di dirne pubblicamente qualche parola. Non ispero già di produrre un cangiamento di vista, è probabile anzi che la mia voce s’estinguerà come quella di un predicatore nel deserto; ma non è nemmen impossibile che essa non penetri in qualche animo, per consolidarvi un vacillante convincimento.

«È noto che circa la metà dello scorso secolo il così detto periodo illuminato fece un’irruzione in Germania. 11 gran tema era di sottomettere tutte le idee trascendentali ad un libero esame. I dotti, gli educatori, le persone private, rispettabili e bassi uomini erano infuriati di combattere i pregiudizj, fra cui annoveravano i libri della religione positiva e della morale. È noto, e si comprende bene che il sensualismo venuto dalla Francia a queste parti rese i migliori servizj, giacché esso trova ovunque i suoi fautori e reclute. Talmente la seconda metà del secolo scorso segna un’epoca in cui la pluralità de’ culti abnegava ogni fede, contentandosi del concepimento razionale e morale del cristianesimo. Anche in riguardo alla musica avevasi vergogna di tutti gli usi de’ tempi anteriori, si abolivano quali cose superstiziose, ma tornavano ben presto, mentre coll'essersi liberato di ogni positiva credenza, l’animo restò perfettamente vuoto, e il principio religioso inerente all’uomo chiese di essere soddisfatto. La vera musica di chiesa distrutta in Francia, calpestata in Italia coll’adulterazione della musica di teatro, influì pur anco in certo qual modo sulla Germania, ove nell’attuale epoca materialistica e industriale, in cui non si ha voglia né di pensare e sentire, né di orare e ringraziare, ma bensì di godere e di far danari, onde procacciarsi ogni possibile piacere, si profana la sacra colla mondana. Simili abusi non si aboliscono sul momento, e tocca alla sapienza de’ Governi a sradicarli mano a mano, e formarne uomini più pii. Pertanto la risposta di due quistioui potrebbe in vario rapporto servire all’uopo;

1.° Che cosa è il vero stile di Chiesa?

2.° Come si genera la disposizione d'animo per iscrivere in questo stile?

«Già Godofredo Weber disse nella sua Scuola di Composizione star male colla dignità della musica di chiesa, la quale dipende soltanto da note majuscole, legature, rigorose preparazioni delle dissonanze, in somma da tutte le leggi dello stile rigoroso. Le antiche composizioni sacre di Palestrina, Allegri, ecc. non sono già vere musiche di chiesa per esser scritte in quello stile, ma perché vi domina uno spirito di profonda divozione, il quale rende anche in loro possibili quelle rigide forme. I più gran musici di quei tempi erano cattolici, educati nella divota venerazione degli usi liturgici della loro chiesa. E se non può negarsi che anche un protestante dotato di fede e di devozione, potrà scrivere una messa divota - e ne abbiamo delle prove -, d’altra parte egli è indubitato che per esempio il Salve Regina, lo Stabat Mater, la Litania Lauretana ed altre cose composte del delicato e commovente culto di Maria, dell'indivinizzato fiore femminile, sono concepite dal cattolico con più profondo rispetto e caldo cuore, che non dal protestante nazionale, il quale s’abbandona allo scetticismo e allo spirito d’esame, che costituisce il principio della sua chiesa, prima di pervenire alla poesia dell’animo.

«Il vero stile di chiesa consiste perciò in uno stile libero musicale, atto a produrre melodie divote e commoventi, nel quale, non già come nello stile legato, ogni passo è anticipatamente determinato e prescritto, ed ove predomina il ragionamento ed il calcolo, ma 1'intima devota penetrazione dell’oggetto della solennità inspira il compositore a sublimi melodie che gli si rendono possibili mercé un libero maneggio dell’armonia e della ricchezza d’istrumentazione. Non si creda però - fatta astrazione della correttezza - che si abbia da escluderne ciò che si chiama musica lavorata. Anzi le imitazioni, legature e sincopi, ingressi contrappuntistici alternati con liberi passi melodici producono il più incantevole contrasto, e laddove vi ha ragionevole cagione per una fuga, essa deve unire al brio ed al fuoco di moderna istrumenlazione il grave de’ tempi antichi nella scelta ed elaborazione del tema. Qui è il luogo ove il compositore deve esternare la sua abilità nelle varie dotte combinazioni, senza dimenticare che l’animo sia il principale oggetto nella musica di chiesa.

Veniamo alla seconda quistione: in qual modo si genera la disposizione per iscrivere una tal musica?... Le arti sorelle, la pittura, la poesia, richiedono una cultura scientifica, parte una cultura pratica, le [p. 112 modifica]quali, nel caso che l’artista non riesca nella sua vocazione, gli offrono tuttora la possibilità di una esistenza come dotto, come maestro, ecc. Non così nel compositore, se non è contemporaneamente virtuoso su qualche istrumento musicale. Chi dunque crede di aver vocazione a compor musica esamini prima di tutto il vero suo talento musicale e la direzione di tutto il suo essere. 11 più alto uso che possa farsi di tutte le arti, e conseguentemente anche della musica, è il loro impiego al culto della religione. Una fantasia vivace, un talento per inventare melodie gradevoli e brillanti possono, in unione all'abilità e sperienza, formare un valente compositore di camera e di teatro; lo che non basta per un vero compositore di chiesa. Egli deve esser altresì dotato di un animo divoto, di quella mistione di divozione e di puro amore che costituiscono l’indole di un carattere religioso. Chi non ha fede, chi non riflette sul senso del Kyrie, sulle parole del Salve Regina, Requiem e di simili inni sacri, scriva pure de’ walzer, marcie, musiche di camera e di teatro, si contenti del ben meritato applauso popolare, ma non si renda colpevole d’impiegare l’arte sua al culto dell’Altissimo, non avendoci la vocazione.

Ma sento domandarmi, non è egli possibile che nello stesso compositore vi sia unita la fantasia profana e religiosa?.... Può essere, e questo era il caso di Mozart, ma non lo era di Gluck, nè di Beethoven, e nemmeno del grande Sebastiano Bach ed havvi innumerevoli compositori moderni, i quali dovrebbero essere respinti dalla chiesa, e chiamati invece in teatro. E perchè il compositore ha d’essere grande in tutte le specie di musica? Klopstock non scrisse commedie, Raffaele non dipinse paesaggi, e Claudio Lorenese non dipinse ritratti e cose storiche. Se ognuno scrivesse soltanto quella specie di musica a cui ha vocazione, vi sarebbe per verità un minor numero di compositori e maggior vantaggio per l’arte. Sgraziatamente la cosa non è così, e per guadagnare il pane ogni giovine compositore occupa qualunque posto, compone quel che vuole e come si desidera - hinc illae lacrymae!

(Dalla Gazzetta Musicale Universale).


SCHIZZI BIOGRAFICI.

GIOVANNI PAISIELLO.

ARTICOLO II.

(Vedi il foglio N. 24).

La non breve dimora fatta da Paisiello nelle regioni settentrionali dell’Europa avea dato al suo genio un indirizzo novello. Per meglio gradire al gusto dei popoli del nord, più disposti dalla fredda loro natura a compiacersi delle studiate combinazioni della scienza che non delle spontanee emanazioni dell’ingegno, egli erasi vòlto a dar vigore al suo stile con elaborate combinazioni armoniche più di quanto non facesse prima in Italia, ove ancora si avevano principalmente in pregio le cavatine e le arie, nelle quali la voce del cantante è parte assoluta e il resto della concertazione non serve che di lieve e trasparente fondo al ricamo. In vece di dar lode a Paisiello di questo progresso da lui fatto nell’arte della drammatica composizione, il mondo filarmonico italiano di quel tempo, che, a que’ giorni come al presente, non dava prezzo se non a quanto in fatto di musica si conformava meglio ai limitati suoi gusti, accolse poco favorevolmente l’esimio maestro di ritorno dalla Russia, e lasciò che di lui corresse e prendesse consistenza la voce essersi poco men che spento il suo estro tra i freddi ghiacci del settentrione, e poco doversi ormai aspettare da un compositore che osava concepire le sue Opere con un novello ordine di idee e abbandonare il facile e vezzoso stile col quale aveva esordito sul teatro, per adottarne altro più succoso, più maschio, più ricco di tinte svariate e robuste. Ma l’autore dei Filosofi immagianrii e del Mondo della luna, sicuro e confidente di sé stesso non si sgomentò dell’ingiusta prevenzione cbe lo attendeva a Roma ove era stato chiamato a scrivere l’Opera buffa L’amor ingegnoso pel carnevale del 1785.

Questo spartito accolto sulle prime con freddezza si vide minacciato di una caduta al finale del primo atto e non si rialzò che al secondo. Ferito dall’idea dell’affronto soltanto minacciatogli, Paisiello, avvezzo com’era da lungo tempo a non progredire che d’uno in altro trionfo, fece in sé proponimento di più non iscrivere pei teatri di Roma, e osservasi in fatto ch'ei più non accettò impegni per questa capitale, "È singolare, dice il signor Fétis, che i romani, dopo avere addimostrato sì poca inclinazione per le Opere scritte da lui in Russia, abbiano poi provata tanta simpatia pel suo Barbiere di Siviglia, una tra queste, da voler far espiare a Rossini l’audacia di comporre una novella musica sul medesimo soggetto". E nondimeno, senza nulla detrarre al pregio della composizione paisieliiana, quanta distanza da questa all’Opera buffa per eccellenza dovuta alla mirabile vena del maestro di Pesaro? Nel primo la spontaneità, il garbo, la chiarezza, il vezzo piccante delle idee, l’intreccio delle parti offerte con una maestria irreprensibile, l’impronta insomma di un ingegno elegante, forbito, pieno di piacevolezza e di grazia; il tutto però soffuso di una lieve tinta di monotonia che talora potrebbe tacciarsi di grettezza, se a salvare in parte da questa condanna il compositore di Napoli non gli giovasse la data dell’anno in cui scrisse il suo Barbiere: nell’altro Barbiere all’incontro, il mirabile potere di una fantasia che si spiega con tutte le più svariate tinte, che pare si riaccenda nella medesima esuberanza degli effetti; le melodie più pure, più originali e bizzarre, profuse senza detrimento della chiarezza e della spontaneità delle modulazioni e della unità nel concetto; la verità comica, il giuoco teatrale recati a un punto di evidenza che mentre credi udir conversare naturalmente quei personaggi, sì vivamente posti in contrasto fra essi, per un prestigio tutto singolare t’accorgi che cantano d'un canto perenne, ineffabile, ecc... Il Barbiere di Paisiello è il lavoro d’una mente ordinata, chiara, precisa, sicura e conscia de’ propri mezzi e pronta ad accorrere cogli aiuti della scienza ai menomi stenti della fantasia; quello di Rossini è il miracolo dell’arte in cui tutto è vinto dall’onnipotenza del genio! è un modello di perfezione che emana dalla imaginazione più sfarzosa quasi ignara o non curante delle sovrane bellezze della sua creazione!

Napoli, ove dopo la semicaduta dell'Amor ingegnoso dato a Roma fu chiamato Paisiello per invito del medesimo re, ottenne quasi sola i prodotti della sua fantasia che col crescere dell’età pareva andasse ritemperandosi più viva e feconda.

Tredici anni egli visse in questa Capitale, nel corso dei quali compose le sue più belle partiture, quelle cioè nelle quali sono più evidenti una toccante sensibilità e una rara eloquenza del cuore "pregi la cui sorgente, al dire del sig. Fétis, Paisiello non trovò che nella sua testa." Le Opere di cui qui intendiamo parlare sono: La Molinara, La Nina pazza per amore e i Zingari in fiera le quali videro la luce appunto in questo felice periodo della vita del grande compositore napoletano.

Modello di grazie musicali e di maliziosa leggiadria è la tanto famosa cavatina "Chi vuol la Zingarella" nei Zingari in fiera, e il finale di quest'Opera si svolge con un fare sì largo e con un sì ingegnoso intreccio di parti che pochi pezzi concertati della vecchia scuola hanno maggior merito di invenzione e di composizione. Anche l’aria comica nell’atto primo di questo medesimo spartito "Te che alla linea - Formi il pentagono" è grandemente lodata da quanti nello scrivere buffo apprezzano, non l’accavallamento imbarazzato delle frasi, nè la ostentata eleganza dello stromentale (che spesso è indizio di estro fiacco eccitato per isforzo) ma la sobrietà e la semplicità de’ pensieri e il naturale svolgersi di uno o due di essi guidati con maestrevole giro a tutta intessere la chiara e nitida orditura.

La Nina o La pazza per amore è stimata, a giudizio d'ognuno, il capolavoro di Paisiello. È mirabile in essa la pittura di una passione profonda che gittatasi nell’anima di una giovinetta piena di ardente sentire, sì la signoreggia e la invade che la misera ne perde il senno. In poche musiche moderne, o forse in nessuna l’espressione del dolore morale, il linguaggio degli affetti più profondi del cuor femminile son recati a maggior punto di verità. Nel porre il Barbiere di Siviglia di Paisiello a raffronto con quello di Rossini, abbiamo data un'incontestabile superiorità al maestro de’ nostri giorni, ma per lo stesso sentimento di giustizia dobbiam aggiugnere ch'egli non arrivò mai a dipingere i moti più teneri del cuore, e ad essere così semplice e a un tempo così effettivo nel patetico, come vediamo addimostrarsi Paisiello in questa Nina che veramente può essere proposta ad istudio di quanti mirano all’eccellenza nella musica che noi chiameremmo intima, prendendo questo vocabolo nel senso col quale è usato a indicare una specie di poesia e di romanzo destinati all’analisi e alla pittura dei più reconditi affetti e ad offrire l’imagine di quelle lunghe lotte psicologiche onde son combattuti i cuori in preda alla passion dell’amore e a tutti i tormenti morali che a questa si accompagnano.

Fra i compositori de’ nostri giorni o ci inganniamo, o ne pare che il solo Bellini, nella meravigliosa sua Sonnambula abbia molto bene addimostrato lo studio ch’ei fece dello stile della Nina di Paisiello, pieno di appassionatezza e di soave melanconia, e a giusto momento svarieggiato e rallegrato da tinte più vive, e da più animati disegni. Se i limiti di una biografia non cel vietassero vorremmo ora qui istituire un confronto fra la Nina del vecchio maestro di Napoli e la Sonnambula del contemporaneo siciliano, e far chiaro quanta analogia di genio artistico riscontrar si possa in questi due spartiti, salve per altro sempre le differenze risul[p. 113 modifica]tanti dal grande progresso die dal tempi di Paisiello ai nostri venne facendo lo stromqntale, e quelle che derivano dall’inoguai merito dei due drammi, semplice il primo di una semplicità che confina colla insipidezza, l’altro ordito con gusto molto più moderno e per conseguenza sparso di piccanti incidenze, e pieno di vita e di interesse. A questo luogo dovremmo dire alcune cose anche della Nino, del maèstro Coppola, ma abbiamo le nostre buone ragioni per tacere su questo particolare argomento. Ora, per riprendere il filo della nostra biografica narrazione aggiugneremo, che per l’assenza di Cimarosa e di Guglielmi, Paisiello con molta sua soddisfazione si trovò in Napoli senza competitori, perocché verun altro compositore di que’ tempi, tranne i due nominati, poteva osare erigersi a suo rivale. Tornalo eli ei fu dalla sua dimora in Russia accettava da Ferdinando IV P incarico della direzione della sua reai cappella alla quale andava congiunto 1 emolumento di mille e duecento ducati. Nel 1788 il re di Prussia gli fece fare delle molto larghe offerte per ottenere eli ei si trasferisse a Berlino, ma Paisiello con nobile dilicatezza. resistè aduna seduzione che altre volte aveva signoreggiato il suo spirito, e rimase fedele all’impegno contratto colla Corte di Napoli. Indi a poco invitato a fare un secondo viaggio in Russia allegò per un rifiuto i motivi stessi che gli avevano valso presso la Corte di Berlino. Anche da Londra gli pervennero delle profferte, ed erano queste si laute che Paisiello, per non poterle accettar pienamente, impedito dai vincoli del contratto col re di Napoli, le accolse almeno in parte, e mandò all’impresario del teatro italiano di Londra la partizione delia Locanda, opera buffa che poi venne prodotta anche sulle scene di Napoli coll aggiunta di un nuovo quintetto, e col titolo Il Fanatico in bei lina. Nel 1797 il generale Bonaparte proponeva a concorso la composizione di una marcia funebre destinata a onorare le esequie del generale Hoche. Paisiello e Cherubini inviarono ciascuno il componimento dimandato, ma Bonaparte facendosi giudice del merito delle due partiture come se si trattasse di due piani di battaglia, assegnò di suo ampio arbitrio la palma all’autore della Nin.a. pel quale aveva una pronunciatissima prelezione, e lasciò poco men che inonorata la composizione di Cherubini, la quale al dire del sig. Fétis, valea molto più di quella del suo competitore fortunato. (Nel prossimo foglio il fine). B. DELL’ISTllOMENT.AZIONE ARTICOLO IV. (Fediifogli 5, 8, 10, 19 e 21J Gli sti omenti da fato, di legno, di metallo o di ottone, a ancia o senza ancia, a chiavi, a pompa o duttili, si dividono in numerose famiglie, le quali, quasi tutte, nello stato in che si trovano oggidì le orchestre, e in grazia delle molte parti d’insegnamento neglette nel nostro Conservatorio di Parigi, sono qual più qual meno imperfette. Non solo noi qui a Parigi manchiamo di molte nuove maniere di stromeiiti che facile sarebbe di creare con poco di spesa, ina ancora di quelle che in Germania si usano, di quelle che noi medesimi conosciamo, di quelle che i grandi maestri hanno riconosciute e adottate nei loro capolavori, e di quelle finalmente che un’orchestra rinomata dovrebbe ad ogni patto possedere. Ma, senza troppo andare avanti per ora, il fatto emergerà chiaro da sè nell esame che noi ci proponiamo di fare di queste diverse famiglie di stranienti. La prima specie si compone degli slromenti a doppia ancia (oboe, corni inglesi, fagotti, fagotti per quinta e contraffagotti). L’oboe manda un suono boschereccio, pieno di tenerezza e, direi quasi, di timidezza. Esso nondimeno è adoperato nei tutti, senza aver considerazione alla virtù del suo timbro, che in questo caso va fra il rumor confuso e ni uno effetto speciale produce. Così è della più parte degli altri stranienti tutti da fiato. Si vogliono senza più eccettuare quelli che hanno un’eccessiva sonorità, o un timbro assai deciso, forte e potente. Veramente, senza mettersi sotto piede e l’arte e il buon senso, non si possono questi impiegare come semplici stranienti d’armonia. Tali sono i tromboni, le officleidi, i contraffagotti, e, in molti casi, le trombe sciolte, e i corni-bassetti. Il candore, la grazia innocente, la dolce gioia, o il dolore d’un’anima oppressa, convengono agli accenti dell’oboe; egli, nel cantabile, esprime questi affetti a meraviglia. Àncora male non se gli affa un certo grado cf agitazione; ma bisogna ben guardarsi di non ispiugerlo sino ai gridi delia passione, sino al rapido slancio dell ira, della minaccia o dell’eroismo, perchè quella sua voce agro-melata diviene allora insufficiente e torna in ridicolo. Alcuni de’grandi maestri, e Mozart fra gli altri, non hanno causato questo inconveniente. Ne’ loro spartiti si incontrano certi passi la cui intenzion passionata o l’accento marziale stranamente discorda col suono degli oboe che li eseguiscono; e ne risulta non solo mancanza d’effetto, ma conlrassenso fra la scena e l’orchestra, fra la melodia e l’istromentazione. Un tema di marcia, sia pur egli il più belio, il più diciso e il più nobile, perderà tutte queste qualità ove sia affidato agli oboe; alcun poco ne conserverà se si assegni ai flauti; quasi tutte le conserverà se ai clarini. Nel caso in cui, per cagion di dare maggior ripieno all’armonia, e maggior forza alle masse degli slromenti da fiato messi in opera, s’avrà indispensabile necessita degli oboe in un pezzo delia natura di quelli che ho sopra accennati, sarà bisogno almeno allora di scriverli in modo che il loro timbro, sconveniente a un tale stile, vada interamente confuso ed assopito fra quello degli altri stranienti in guisa da non potere essere osservato. I suoni gravi dell’oboe, di cattiva tempera e spiacevoli quando sieno scoperti, possono convenire in certe strane e gemebonde armonie, uniti alle basse note de’ clarini e al re e mi bemolle medio de’flauti e de’corni inglesi. I tuoni acuti quasi tutti striduli e penetranti poco sono dilettevoli; solo i mediani sono deliziosi. Questo centro medio sta fra il sol in seconda riga e il do sopra le righe: e dentro questo spazio vogliono essere scritte le frasi melodiche, da chi ama che l’oboe le canti con tutta l’espressione e purezza di che è capace. I passi diatonici (toltine pochissime eccezioni) poco convengono agli oboe, e meno ancora loro si addicono i rapidi arpeggi. Gluck e Beethoven hanno inteso a meraviglia come ® debba essere usato questo timbro prezioso. y)Z L’uno e l’altro di loro debbono all’oboe pf le profonde emozioni prodotte da molte yj delle loro belle pagine. Basti, quanto a Gluck. citare il solo dell’oboe nell’aria di Agamennone nell’Ifigenia in Aitiide: «In cor suonar già sento»; que’ pianti d una voce innocente, quelle supplicazioni incessanti e ognor vive potrebbero elle convenire ad altro straniente che all’oboe?... E il famoso ritornello dell’Ifigenia in Tauride: «Sventurata Ifigenia!» E quell’altro grido ingenuo dell’orchestra quando Alceste, nel colmo dell’entusiasmo e tutta compresa del suo magnanimo sagrifizio. per la tenera rimembranza de’suoi figliuoletti, interrompe fieramente la frase del teina: a Senza te viver potrei?!» per rispondere alla commovente reminiscenza istromentale colla straziante esclamazione:» O finii miei!» E la dissonanza di seconda minore nell’aria d Armida, sotto il verso: «Deb! toglietemi all’amor!» Tutte queste cose sono sublimi non solo quanto a! pensiero drammatico, alla profondità dell’espressione, alla copia e bontà della melodia, ma ancora quanto alla istromentazione e alla mirabile scelta che l’autore ha fatto degli oboe in fra tutti gli altri stranienti, inetti o poco atti a produrre somiglianti impressioni. Beethoven ha richiesto ancora di più dal festevole accento degli oboe: ne sieno esempio il solo dello scherzo della sinfonia pastorale, quello dello scherzo della sinfonia con cori, quello del primo pezzo della sinfonia in si bemolle, ecc.; ma egli non ne ha tratto minore partito, loro assegnando tristi accenti di desolazione. Ciò può vedersi nel solo minore della seconda ripresa del primo pezzo nella sinfonia in /n, nell’andante episodico del finale della sinfonia eroica, e specialmente nell’aria del Fidelio, quando Floristano, morente di fame, si crede, nella sua delirante agonia, avere intorno la sua famiglia piangente, e mesce i suoi lamenti angosciosi agli interrotti gemiti degli oboe. Il corno inglese è il contralto dell’oboe; ciò imporla che egli ha, partendo una quinta al di sotto della sua nota più grave, la medesima estensione dell’oboe. Il timbro del corno inglese meno penetrante, più velato e grave di quello dell’oboe, non si presta, come l’altro, alle festevoli melodie agresti. Egli non potrebbe nè anco piegarsi a strazianti frasi; e gli accenti a un vivo dolore quasi si direbbe gli fossero interdetti. La sua è una voce melanconica, mistica, e sempre nobile, la cui sonorità esprime lo scomparire, la lontananza M; e ha un non so che di sfumato. direi quasi come di voce lontana; per il che esso va anteposto ad ogni altro istromènto, quando si traili di commovere col rimembrare -le imagini e i sentimenti del passato, e quando il compositore vuol toccare la corda secreta delle tenere ricordanze. 11 sig. Halevy se n’è servito molto lodevolmente nell’accompagnamento della sua bella cavatina di Rachele nel secondo (.i) Parni forse a qualche lettore die il sig. Beriioz in questi suoi articoli sulla varia indole degli stromcnti rechi una finezza di sentimento poetico che sa talora di astruseria; ma questi sfoghi ili una mente troppo inclinala a recare l’analisi metafisica in argomenti clic noi italiani siamo avvezzi a considerar un po più materialmente, vogliono essergli perdonati in grazia delie molto savie c originali rificssioui in che ce li offre avvolti, c delia non comune dottrina onde i suoi pensieri sono sempre opportunamente avvalorati. L’Eslms. [p. 114 modifica]atto della Juive "Pour lui, pour moi, mon père". Nell’adagio d'una moderna sinfonia, dopo avere ripetuto all’ottava bassa le frasi d’un oboe, come farebbe la voce d’un’adolescente messa in contrasto con quella d’una fanciulla, ne ripete i frammenti (alla fine del pezzo) con un sordo accompagnamento di quattro timballi, mentre tutto il resto dell’orchestra si tace1. I sentimenti di lontananza, d’oblio, di doloroso isolamento che si risvegliano nell’anima di certi uditori per questa melodia piena di abbandono, non avrebbero una quarta parte della loro forza se ella fosse cantata da altro stromento e non dal corno inglese. La mischianza de’ gravi suoni del corno inglese con quelli delle basse note de’ clarini, e delle tenute de’ corni, durante un tremolo de’ bassi, dà una nuova sonorità speciale, atta a colorire coi suoi minacciosi riflessi quelle idee musicali in cui dominano il sospetto e l’ansietà! Questo effetto non fu conosciuto nè da Gluck, nè da Mozart, nè da Weber, nè da Beethoven. Se n’ha un ottimo esempio nel duetto dell’atto quarto degli Ugonotti, ed io credo che il sig. Meyerbeer sia il primo che l'abbia fatto sentire in teatro.

(Sarà continuato).


VARIETÀ.


— In uno dei passati fogli di questa Gazzetta abbiamo affermato che mentre nella nostra Italia la Musica viene considerata tutt’al più come mera arte di passatempo o come professione di pronto e agevole lucro, in Inghilterra, in Francia e in Germania essa è avuta in molto maggior conto. Alcuni fatti recenti ci occorrono a sostegno di questa verità per quanto specialmente riguarda i due ultimi paesi or nominali. Accennammo già nello scorso nostro numero con quale spirito d’incoraggiamento il Comitato della Accademia delle Belle Arti di Parigi, chiamato ad aggiudicare i premi al concorso della grande composizione musicale, insistesse con maggioranza di voti, per volerli attribuire a tre principali concorrenti sebbene le composizioni di questi non fossero al tutto degne di tanto onore; ora vediamo la Giunta formatasi per l’erezione del monumento destinalo ad eternare la memoria di Cherubini, sollecita e zelante dell’assunto ufficio indirizzar lettere a tutte le società filarmoniche di Francia e di fuori per invitarle a concorrervi, e lieta di vedere coronate di felice esito le proprie cure. Ma il fatto più importante e più valevole a dimostrare la considerazione in che è tenuta in Germania l’arte musicale è certamente questo che tra gli otto o nove eccelsi artisti compresi fra coloro cui S. M. il Re di Prussia conferì ultimamente la novella decorazione del merito scientifico e artistico di fresco instiluita, quattro appartengono alla Musica, e sono Rossini, Meyerbeer, Mendelsshon-Bartoldy e Liszt.


CARTEGGIO.


Chiariss, sig. Estensore

Piacque al sig. T. rimandare l’accusa di errore a coloro che osservarono essere erronea l’asserzione che la sillaba si venisse trovata da Guido d’Arezzo, allegando l’autorità di Gafforio, di Laborde e di Villagre. Poiché io sono fra quelli che osservarono l’errore del sig. T., prego V. S. chiariss. d’inserire nella Gazzetta Musicale queste poche linee, che servano a chiarire da qual lato sia la verità.

Per assicurarsi che Guido non sia l’inventore della settima sillaba, basterebbe forse riflettere che egli ha vissuto nella prima metà del secolo XI, e che il si, quella sillaba che, distruggendo il sistema delle mutazioni, ha tolto tante difficoltà nello studio della musica, non fu in verun luogo praticato prima della metà del secolo XVII. Nulladimeno, se molti storici (vale a dire tutti quelli che vissero dopo l’invenzione della settima sillaba, salvo i tre sumenzionati) riferiscono ad un'epoca molto posteriore la di lei invenzione, perchè attenersi all’autorità dei pochi, schifando quella dei molti, e massimamente che Gafforio, benché antico, ha scritto non meno che cinque secoli dopo Guido? Ma v’è di più. Gafforio, nelle sue opere, non proferisce mai parola che abbia la benché menoma relazione con la pretesa invenzione di Guido; e Laborde, ben lontano dall’attribuirgliela, nel suo Essai sur la musique, tomo 2.° fasc. 22, dice queste parole: Il est bien singulier qu’un homme aussi habile que Gui, ne se soit pas avisé de nommer le septìème son,..... et qu'il ait préféré cette suie si compliquée des nuances, une operation aussi aisée que l’est celle d’un septième nom; e più abbasso: il nous semble qu’on s’acorde généralement à convenir que le si fut ainsi nommé par un Musicien du dernier siècle, nommé LE MAIRE. Quanto al Villagre, essendo scrittore affatto moderno, e unico ad attribuire l’invenzione del si a Guido, non crediamo ch’ei possa avere un’autorità competente.

E a proposito degli Schizzi storico-musicali, affinchè la Gazzetta Musicale non cammini in niuna parte a ritroso, io vorrei ancora pregare il sig. T. di accertarsi se il sistema di Guido constasse veramente di tre esacordi, o non forse di sette; se Guido abbia lasciato sussistere, od abbia abolito il discantus per quinte; se sia positivo che Palestrina sia stato scolare di Goudimel, o se questa non sia piuttosto una semplice opinione di qualche storico; se la Messa detta di Papa Marcello sia stata veramente composta d’ordine del Pontefice, oppure se questi non abbia permesso che fosse eseguita per istanza fattagli dal medesimo Palestrina; se in una parola, egli ha attinto da buone fonti i fatti dei quali tesse i suoi Schizzi.

E prego infine il medesimo sig. T. di non voler riguardare questi miei dubbi come nuove accuse ch’io gli muova, sibbene come stimoli all’attenta ricerca della verità.

Perdoni, sig. estensore chiarissimo, la libertà che mi prendo e mi creda quale sono di V. S.

Di Torino, alli 10 di Giugno 1842.

Devotissimo Servitore

LUIGI ROSSI.


NOTIZIE VARIE.


Genova. «La Felicità nuova cantata in due parti con poesia dell’illustre Cav. Romani e con musica espressamente composta dal chiariss. maestro Federico Ricci è un lavoro che credo sopravviverà all’occasione che lo fece nascere, e come tale merita che se ne faccia menzione anche in un foglio che ben poco si cura degli effimeri trionfi teatrali, dalle cento altrui trombe annunziati con incessante ribombo». Così ci scrive un nostro corrispondente ligure.

Vienna. II clamorosissimo esito ottenuto nella Sala del Ridotto dallo Stabat Mater di Rossini perfettamente nella sua integrità eseguito, sotto la direzione abile ed animata del maestro Donizetti, dalla Tadolini, Brambilla, Malvani e da Donzelli, Moriani, Castellan, Badiali, Varesi, Derivis, ecc. con numerosi cori ed orchestra aumentata, deve nuovamente servire a persuadere ognuno che per voler coscienziosamente giudicare, se non del merito intrinseco, almeno dell’effetto di una composizione del genio è indispensabile sentirla interpretata con espressione e precisione. I giornali viennesi compartono sempre nuove lodi alla nuova Opera di Donizetti. Siamo desiderosi di avere ad udirla quanto prima convenientemente eseguita sulle nostre maggiori scene onde ci sia data occasione di recare di essa il nostro personale giudizio, e di accertarci che i grandi encomii alla medesima compartiti furono ampiamente meritati.

Parigi. Un articolo del nuovo regolamento del Conservatorio stabilisce che per lo meno ogni mese nel corso dell’anno scolastico debbanvi essere degli esercizi lirici e drammatici. Il nuovo direttore Aubur non ha punto tardato a metter in pratica quello importante articolo. Domenica passata si eseguì il secondo Atto dell’Orazio di Corneille, la Prova di Marivaux ed i due primi atti del Barbiere di Siviglia di Rossini. L’orchestra, diretta da Alard, ed interamente composta da allievi eseguì una Sinfonia di Hayd e quella del Barbiere con un brio del tutto giovanile. Nell’Opera specialmente si encomiarono Gassier che disimpegnava la parte di Figaro e madamigella Rouvroy, incaricata di quella di Rosina: i cori ed i pezzi d’assieme sono stati eseguiti con molta precisione. Non avvi dubbio che questi esercizi non abbiano grandemente a contribuire sui progressi degli allievi.

— Si eseguì recentemente in un concerto della Sala Vivienne una sinfonia a grande orchestra composta da madamigella Leopoldina Blahetka in cui notasi una introduzione di uno stile largo e severo ed un a solo di clarinetto di squisita soavità. La Blahetka viene annoverata fra le più celebri pianiste della scuola moderna, e le molte sue opere per pianoforte sono in generale assai apprezzate in Germania. Essa vive ritirata a Boulogne-sur-Mer, ove coltiva la sua arte con quell’amore e con quella modestia che caratterizzano il vero artista.

- La celebre Madamigella Mars venne nominata ispettrice nelle scuole di declamazione nel Reale Conservatorio di Parigi. «Questa nomina, al dire della France Musicale, destò molto malcontento, per la semplice ragione che assorbendo una parte dei fondi dello stabilimento rende sempre più improbabile l’elezione a istitutori del Conservatorio stesso, di Emanuele Garcia e di Duprez.

— La Gazzetta e Rivista Musicale di Parigi promette di pubblicare quanto prima un piccolo romanzo musicale del cav. Giulio Lecomte che ora trovasi in Venezia. Il titolo di questa nuova produzione dello spiritoso romanziere è: Le Joueur de viole et le Pigeon de la place Saint-Marc.

Londra. Gli inglesi hanno giudicato l'Elena da Feltre di Mercadante in un modo non troppo favorevole all’egregio autore; si stampò: on trouve cette musique criarde trop chargèe d’harmonie et pouvre de melodie. - Thalberg anche in questa stagione è il lione musicale più in voga.

Pietroburgo. II gran pianista Liszt ottiene in questa capitale un grande successo. Egli or ora fece pubblicare un Capriccio sulla Sonnambula ed il celebre Settimino di Beethoven da lui trascritto per pianoforte solo. Queste due opere trovansi a Parigi presso Bernardo Latte.

Mosca. Camillo Sivori concittadino ed allievo di Paganini ne’ vari concerti da lui dati ottenne grandi encomii e non minor lucro. Questo giovine violinista italiano, che può gareggiare con molti concertisti della scuola francese ora celebrati in Europa e che qui si fecero applaudire, non è meno d’ammirarsi per la sicurezza, agilità, forza nel superare le più astruse difficoltà dell’arte, che per alcune sue composizioni assai brillanti; il suo concerto coll’originale cadenza è un pezzo de’ più notevoli. Grassi che per molti anni con tanta lode diresse l’orchestra di questo teatro e Sivori evidentemente provano che l’Italia anche in fatto d’istrumentisti occupa un rango distinto.

— Le solennità musicali destinate a soccorso degli incendiati di Amburgo continuano in Germania; ed è un vero conforto il vedere l’Arte Musicale giù sì nobile per sé stessa, fatta splendida ministra dello spirito filantropico che tanto onora il nostro secolo. A Magonza il giorno del Corpus Domini, le bande dei divetsi reggimenti prussiani si unirono a cinquanta coristi e diedero una Grande Accademia nei pubblici Giardini della Città. Quel giorno stesso la compagnia di canto dell’Opera di Francoforte recossi essa pure a Magonza nel proposito di darvi una rappresentazione medesimamente a benefizio degli sventurati Amburghesi. Ciò fu già annunziato nel nostro antecedente foglio. «Le rappresentazioni, concerti e solennità musicali a profitto degli incendiati di Amburgo (così la Gazzetta Musicale di Parigi) continuano in tutta la Germania con un fervore di patriottismo e di filantropia che non si potrà mai lodare abbastanza. A Monaco si rappresentò Caterina Cornaro, Opera di Halevy. A Berlino si eseguì la Creazione di Haydn ove cantò la Schroeder-Devrient. A Colonia si darà quanto prima, od è forse già data, una rappresentazione degli Ugonotti, Opera nuova per quella Città. Il ricavo di queste diverse pie beneficiate fu considerevole. Liszt che non lascia mai sfuggire alcuna occasione per mostrarsi generoso e filantropo, diede un concerto a benefizio degli incendiati di Amburgo, che produsse circa quaranta mille rubli.

— II prodotto delle sottoscrizioni individuali pel monumento da erigersi alla memoria di Cherubini, nella sola Parigi dal 29 Aprile al 3 Giugno ammontò a franchi 2433. Auber l’autore della Muta di Portici si sottoscrisse per 200 franchi.

— L'undecima Grande festa Musicale annua delle Società Filarmoniche (Liedertafeln) del nord della Germania avrà luogo a Minden nella Prussia renana il 18, 19, 20 Giugno. Gli esecutori saranno dai seicento ai settecento. Fato il programma di questo Festival. Parte stromcntalc l.° Sinfonia in re maggiore di Mozart; 2.° Sinfonia pastorale di Beethoven; 3.° Sinfonia dei Francs-Juges di Berlioz; 4 ° Sinfonia di Ries. Parte vocale. 1.° Messa in re minore di Cherubini; 2.° Inno di Mendelssonh-Bartholdy; 3.° Inni religiosi di Plopstok, posti in musica da Meyebeer. 4.° Il Giudizio Universale, Oratorio di Schneider. —

— Sono si rade le occasioni che ci si offrono di accennare con lode delle nuove composizioni musicali non appartenenti al solito genere fragoroso-gridatorio-caballettistico-teatrale, che in verità la poca volta in cui siam chiamati a menzionarne qualchuna, proviamo una vera particolare compiacenza. Per tanto ci affrettiamo a dire che molto fu encomiata la nuova Messa scritta appositamente dal Maestro Chiocchi per la Chiesa detta della Fava, in Venezia, nella ricorrenza della festa di San Filippo Neri, il 27 Maggio scorso. Ricordando questa solennità Musicale, la Gazzetta Veneta così si esprime: «La Musica del Chiocchi fu tutta sacra, quindi grave ed insieme festevole; e lunge dal cattivo costume di profanare l’orecchio dell’ascoltatore divoto, sollevava l’anima rapita dalle sante armonie alle preghiere ed ai voti, e benché non adulterata e senza reminiscenze teatrali pure sortì splendido effetto collo stile moderno».


GIOVANNI RICORDI

EDITORE-PROPRIETARIO.

  1. (1) Il sig. Berlioz accenna quid una delle sue sinfonie fantastiche.