Gazzetta Musicale di Milano, 1842/N. 17

N. 17 - 24 aprile 1842

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GAZZETTA MUSICALE

N. 17

DOMENICA
24 Aprile 1842.

DI MILANO
Si pubblica ogni domenica. — Nel corso dell’anno si danno ai signori Associati dodici pezzi di scelta musica classica antica e moderna, destinati a comporre un volume in 4.° di centocinquanta pagine circa, il quale in apposito elegante frontespizio figurato si intitolerà Antologia classica musicale.
La musique, par des inflexions vives, accentuées. et. pour ainsi dire. parlantes, exprimè toutes les passions, peint tous les tableaux, rend tous les objets, soumet la nature entière à ses savantes imitations, et porte ainsi jusqu’au coeur de l’homme des sentiments propres à l’émouvoir.

J. J. Rousseau.

Il prezzo dell’associazione annua alla Gazzetta e all’Antologia classica musicale è di Aust. lire. 24 anticipate. Pel semestre e pel trimestre in proporzione. L’affrancazione postale della sola Gazzetta per l’interno della Monarchia e per l’estero fino a confini è stabilita ad annue lire 4. — La spedizione dei pezzi di musica viene fatta mensilmente e franca di porto ai diversi corrispondenti dello Studio Ricordi, nel modo indicato nel Manifesto — Le associazioni si ricevono in Milano presso l’Ufficio della Gazzetta in casa Ricordi, contrada degli Omenoni N.° 1720; all’estero presso i principali negozianti di musica e presso gli Uffici postali. Le lettere, i gruppi, ec. vorranno essere mandati franchi di porto.


POLEMICA.

Risposta ad un articolo ilell in vnrnlo maestro Casamorata sullo Sl’ABAT di Rossi ai inserito nella t.VfiicHn Musicale di Milano del 3 aprile 181?. (Ci saremmo creduti in diritto di rifiutal e l’inserzione di questa Risposta, non solo per esserci stata incinta da Bologna senza nome <l’autore, il che può dar luogo a più di una interpretazione contraria, ma anche perchè ne sembra, dettata con quella concitazione di’ animo che non lascia, supporre abbastanza tranquillo e quindi imparziale Io scrittore. Nondimeno, poiché si tratta di una quistione riguardante un capolacoro musicale tanto in questi passati giorni acclamato, trovammo concernente prescindere dalle ragioni che poteano autorizzarci ad una giusta lipulsa, ed abbiamo ammessa la risposta in discorso, alla quale per altro abbinili creduto necessario apporre alcune nostre note intorno a cose di mero fatto e (C generali principii, non senza riservarci a pubblicare, se farà duopo, quelle controsseivazioni che il nostro collaboratore incriminato crederà docer fare alla Bisposta dell’anonimo bolognese. Dobbiamo intanto accertil e che, risiedendo a. Firenze sua patria il detto sig. Casamorata, non potremo dar posto alla sua replica in questi fògli cosi presto come corremmo. -Da ultimo,per ciò che riguarda la validità e 1approposito delle argomentazioni, usate dall’anonimo autore della seguente Bisposta a combattere l’articolo dello scrittore firentino, ogni lettore non preoccupato potrà da sè stesso far giusta ragione). G. Battaglia. u eseguito la sera del l i scorso L|p> marzo per la prima volta in FiSpÈlfrenze lo Stabat. Mater del maeVsPstr°cavaliere Rossini; e vi candidarono la signora principessa Elisa PoniatOAvslti, nata Montecatini, la principessa Lobonoff, Scliwaclikeim, Carolina Einzi-Morelli. ed i signori principi Carlo e Giuseppe Poniatowski, il cavaliere Montenegri ed il maestro Michele Giuliani, con gran numero di dilettanti d’ambo i sessi e di distinti artisti i quali lutti concorsero spontanei, ed ansiosissimi di poter udire un nuovo lavoro di quel sommo maestro. Tutti teneano per fermo si paleserebbe nella nuova opera la rediviva scintilla di quel versatile sublime ingegno che primeggiò per tanti anni sulle scene d’Europa intera, e che continua tuttora ad attirarsi l’ammi|| razione di chi intende e gusta il bello per eccellenza, e di chi dedicatosi allo studio dell’arte musicale, esamina le dotte carte ch’egli ha scritto. Mancava, come è noto, la partizione; quindi fu d’uopo contentarsi di una meschina riduzione a piano del signor Gabarre, francese, per eseguire la parte islrumentale, mediante due piani, cui sedevano i maestri Gordigiani e Marietti. La direzione era allidala al chiarissimo maestro Mencini. lo ho parlato con più d una persona trovatasi presente a quell’esecuzione, e diffusamente ne ho parlato; e fra gli altri con un dotto cavaliere, iiirlelligentissimo amatore e cultore di musica clic passò gli Appennini espressamente per udire lo Stabat di Rossini m Rologna dove si esegui la sera del 18 scorso marzo. Io fui presente, quando parlando egli coll illusile maestro Gonizetti narrava 1 immenso effetto, e la magica sensazione in lui prodotta da quel sublime capolavoro, udito nella sua integrità, e interrogato dal summentovalo Donizelti sullo Stabat eseguitosi in Firenze rispondeva - non potersi istituire un confronto giacché due terzi della bellezza e dell’effetto mancaron colà, e per la deficienza della ingegnosa magnifica istrumentazione e per la diversità dei movimenti qui in Bologna dati dall autore alla sua opera in gran parte sbagliati nella riduzione di Gabarre. - Era terminala la prima parte dello Stabat cioè il coro - Fja mater ìons amoris - quando accadea questo dialogo, che il celebre maestro direttore chiuse dicendo al suddetto cavaliere - Aspetta e sentirai Rossini anche più colossale. - Ora sopra l’esecuzione in Firenze di questo Stabat, e più sul merito della musica, ha pubblicato un suo articolo il signor avv. Casamorata, inserendolo nella Gazzetta Musicale di Milano al Num. 14, 3 aprile 1842. Non era certamente mio pensiero dire una sola parola sopra questo articolo. -11 farsi apologista o difensore della penna musicale del celeberrimo maestro è cosa inutile, quanto Io sarebbe il parlar de’ pregi di quel bell’astro che vivifica il mondo; il ritenerlo insultato dalle censure altrui sarebbe come voler ritenere scemato lo splendore del sole dal passare innanzi al suo disco di un’oscura nuvoletta o di una fugace meteora. - Ma l’inurbana animosità (A) (A) L’anonimo autore (li questa Risposta è in inganno. Rilegga a mente riposala l’articolo del sig. Casamorata e dovrà confessare che non v’ha in esso una sola parola cui possa attribuirsi il menomo senso d’inurbana animosità. La Gazzetta Musicale non avrebbe dato posto ad uno scritto che fosse dettato nel modo gratuitamente supposto dall’anonimo bolognese. con cui il coito critico parla dcH’opera di Rossini, merita clic io, non colto, nè dotto, nè conosciuto scrittore, ma amico del bello e del vero, palesi quanto poca sia in lui la cortesia, censurando si aspramente II lavoro di un sommo, quanto grande la presunzione erigendosi in giudice di lui, clic non ha forse ben compreso, e sprezzando anche l’opinione manifestata sullo Stabat dal dotto maestro della Cappella ili San Marco di Venezia, il sig. Perotti (R). 11 Casamorata vuol parlare delle bellezze, dei difetti, e del carattere di una musica della quale (supponendo anche sia in caso di giudicarne} non ha veduto che una informe riduzione! Ma ignora egli adunque quanto cambi l’indole e l’aspetto di una melodia il modo con cui è istrumentala, il movimento che le viene assegnato dall’autore? - Ignora egli che della maggior parte delle cantilene in dupola si ponno fare contraddanze o quadriglie ove se ne alteri il movimento; che della maggior parte dei canti in tripola si ponno lare dei vallz? - Ignora egli che una frase, che non avrebbe alcuna espressione religiosa (come pretende del secondo versetto che stranamente assomiglia all’Assedio ili Corinto ed al Guglielmo Teli, quasi si potesse somigliare una sola aria a, ine i.t lui sparti ri (C)) facendola per esempio eseguire da un brillante clarino in do con accompagnamento di trombe, timpani, sistri, in movimento allegro, acquista tal religiosa espressione quando la melodia viene soavemente eseguita dai violoncelli con placidi accompagnamenti dcU orcbestia, ed in moto di andante sostenuto? Ignora egli, che per dare un progresso alle scienze ed alle Belle Arti debbonsi alcune volte percorrere nuove strade, o scostarsi alquanto da quelle battute per secoli e secoli dai nostri predecessori? Ignora egli quali censure ed amare critiche si scatenarono dalle penne di que’ vecchi barbassòri clic vedevano nata per opera di Rossini una compiuta rivoluzione nella musica drammatica; censure e critiche clic niun altro effetto produssero nei maestri di musica che vennero in seguilo se non di maggiormente persuaderli a correre il sentiero aperto ila Rossini stesso perché cònducea a nuove bellezze e maraviglfosi effetti musicali! Se (B) Falso! Il signor Casamorata solo in alcuni pochi parziali punti si c dichiarato di opinione diversa da ((nella manifestata dal sig. Perotti, e si il fece con ogni maggior riguardo e colla più rispettosa stima verso il detto maestro di Venezia. (0) Sottigliezza die non può aver forza di ragione se non per que’ piccoli spiriti clic rinegano il vero senso sottinteso di un concetto per attaccarsi alla maggior o minor esattezza della frase. [p. 72 modifica]tutto questo egli ignora, che cosa fa dunque e perchè parla, e sentenzia in musica? E che vuol egli mai dire, quando discorre dell'esterna forma religiosa, e dell’intrinseco spirito di religione? Nelle Belle Arti la forma, e l'espressione che per mezzo della forma si mostra all’osservatore, non è dessa che palesa l'intrinseco spirito della composizione? Questo intrinseco spirito, o sentimento da che mai sarà reso materiale ai sensi, se non dalla forma? - Il dolore della Niobe per i perduti figli, del Laocoonte, del Gladiatore moriente, non è forse espresso dalla forma, cioè dalla espressione dei lineamenti del volto nella disperata madre; dalla contrazion dei muscoli di un padre che vorrebbe sottrar sè ed i suoi amati pargoli dalla stretta dei serpi; dall’abbandono nobile delie membra del ferito guerriero presso a spirar l’anima, ma che pur vorrebbe per un resto dell’antico valore reggersi ancora sul braccio? Queste forme non sono dunque l’imitazione della natura, l’espressione dell’intimo sentimento che vi domina? Se dunque le forme sono religiose, come saranno queste espressione di sentimento non religioso? Non io mel so, nè manco saprà dirmelo il signor Casamorata (D)1. Nella musica poi assai meno che nelle altre Arti Belle, avvi rapporto fra le forme e l’intrinsico spirito delle composizioni: giacché, a parer mio, la musica non è arte imitativa a quel punto che lo è la pittura, e la scultura (E)2 Difatto puossi col messo di artifizii musicali imitare lo scroscio delle saette, il sibilar de' venti, lo scalpitio dei cavalli, il placido ondular del flutto marino; ma non puossi con pari facilità, ed espressione imitare il dolore di chi langue e muore, gli accenti passionati di un disperato amante, il corruccio, il furore di un tradito consorte e tanti altri affètti che dipingendosi nei tratti del volto, e nella espressione dell'umana fìsonomia. ponnno essere agevolmente imitati, ricopiati dal pennello, o dallo scalpello ma non dalle combinazioni musicali. Il principio della musica stimo quindi essere più ideale che imitativo (F)3. Sonovi però nella musica certe forme di convenzione inveterata, che servono ad esprimere i diversi sentimenti, ma alquanto imperfettamente, come per esempio le sincopi denotano agitazione, singulto, i modi minori, i movimenti larghi indicano tristezza, dolore, ecc. - Così pure la musica è eccitativa di diverse sensazioni, come la melanconia, il coraggio, la gioja, la calma (G)4. E sicuramente lo Stabat di Rossini eccita quasi sempre il sentimento di una patetica mestizia, di una placida tranquillità mista talora alle forti commozioni che desta il grandioso < d il sublime. Il sommo maestro parlando del suo Stabat mi disse che costretto a rivestir di note musicali quest’inno, conobbe l’impossibilità di evitare f uno di questi due inconvenienti. o annoiare il pubblic o colla monotonia cui costringe l’uniformità dei poetici concetti, o allontanarsi alcun poco dalla strettissima significazione delle parole per ottenere l’effetto che deve proporsi la musica. quello cioè d interessare l’attenzione degli ascoltatori, e di procurar loro gradevoli sensazioni. Di questi due inconvenienti egli, saggiamente a parer mio, ha scelto il secondo. L’intento è stato favorito dal clamoroso successo universale che ebbe il suo bel lavoro O). Che se si consideri, come pur troppo è vero, lo stalo di decadenza in cui giace ora la musica sacra in Italia ( del che si può di leggieri convincere entrando nelle nostre chiese ed udendo c/nal musica vi si eseguisca) bisognerà convenire che la musica dello Stabat di Rossini ha molto più il carattere sacro che non l’odierna ecclesiastica, e che ove se ne imiti coscienziosamente e filosoficamente lo stile dai venturi compositori di musica per chiesa, sarà desso la prima norma di una nuova maniera, che senza perder nulla della castigatezza, della dignità, della santità clic si conviene all’inl’interpretazione, all’adornamento dei sacri canti della cristiana nostra religione, avrà il sommo pregio di arricchirli di più soavi melodie, eli più espressive forme, di più sublimi e nuovi effetti istrumenlali e vocali. Cessi dunque in cotesti critici d’Italia e d’oltremonte la mania di denigrare quelle Opere che hanno in loro l’impronta del genio; e si persuadano che le loro parole vanno sperdute dal vento, e non tolgono certamente niuno di retto sentire ed elevato ingegno, dalla via su cui li conduce lo studio dei classici. - Più degli altri tacciano i compositori di musica, che ben loro sta il silenzio, ove consideriamo l’immensa distanza che li separa da quel sommo, cui la posterità men severa, e più giusta tributerà sempre omaggi, arderà quegl’Incènsi che fumano dinanzi agli altari dei grandi che furono, Mozart, Havdn, Beethoven!!!

(i) Tutti i più accreditati giornali di Francia, il Débats. il Courier français il Temps, la Gazette, la France musicale, la Presse, ed altri cinque o sei giornali si accordano nel dare elogi immensi allo Stabat di Rossini dopo la esecuzione fattane al teatro Italiano (*); la France musicale particolarmente discorre di questa uniformità d’opinioni di tanti giornalisti sopra il capolavoro di Rossini. II signor Casamorata soltanto ha citato quel forse unico giornale che per sue particolari ragioni ha bandito la croce contro lo Stabat del gran maestro!!! Nota del signor anonimo. (*) Non però senza interpolare le loro parole di lode con ischiette riflessioni critiche, e con quella indipendenza di opinioni che l'uomo di buon senso non rinega mai, anzi più libero e confidente di sè professa allorachè si tratta appunto di celebrità già stabilite su inconcusse basi. E questo, checché voglia far credere in contrario il signor anonimo bolognese, fu appunto il caso del nostro collaboratore al cospetto di Rossini. L’Estens. CSegue il SispMìleìèieMtfòJ, [p. 73 modifica]Stippletnento alla JV. ttj. STÌJDJ BIOGRAFICI. CHKKMtlVI. (Continuazione efine; veggasi iN. 15 e 1G). ii II Requiem nel suo complesso, a mio credere è il capolavoro di Cherubini:, nessun1 altra composizione del grande maestro può sostenere il confronto con questa per l’ampiezza delle forme, la sostenuta elevatezza di stile, ed ove si ommettesse l’impetuosa Fuga su quel brano di frase senza alcun senso - quatn oliai Abrahae promisisti. - dovrebbesi ben anco aggiugnere, per la continua verità di espressione. L’Agnus a decrescendo supera lutto ciò che in questo genere è stato tentato: è la prostrazione per insensibili gradi dell’essere sofferente; lo si vede a poco a poco spegnersi e morire: lo si sente emettere l’ultimo sospiro. La fattura di questa partizione è inoltre di un pregio grandissimo: il tessuto vocale vi è stretto e.nell’istesso tempo chiaro; l’istromentazione eoloi’ita, energica e sempre conforme al suo scopo. E inutile di aggiungere che questo Requiem è molto superiore all’ultimo da Cherubini composto pe’ suoi funerali e che, giusta l’ultima sua disposizione, fu eseguito nella chiesa di San Rocco la mattina del 19. Il piano generale di cjucsto è molto meno esteso: il soffio dell’inspirazione più di rado si fa sentire; quella specie di ruvidezza, o tendenza alla collera, che troppo sovente si rivela in alcune produzioni di Cherubini, qui è più sensibile, ed i pensieri non sono sempre di merito distinto. Contiene però varj intieri pezzi di gran portata e della maggior bellezza: e tra questi principale il Lacrymosa 55. Nel 1855 volendosi eseguire il gran Requiem di Cherubini all’occasione de’ funerali di Boieldieu, l’autorità ecclesiastica non volle più permettere che le voci di donna fossero ammesse nelle musiche da chiesa: perciò Cherubini si pose allora ad immaginare un nuovo Requiem per voci di uomini e lo pubblicò nel 1836, essendo in età di 76 anni; fu questo l’ultimo suo lavoro. Le cose del Conservatorio di Parigi procedevano con alquanto di freddezza, o permeglio dire andavano declinando, allorché si pensò ad affidarne la direzione a Cherubini, e colla nomina di questo uomo altrettanto probo e fermo, che sapiente, molti miglioramenti vi vennero introdotti. Si riformarono i costumi, si rianimò la passione pe’severi studj, e molti giovani d’incontrastabile talento segnarono in que’ fasti una luminosa epoca, mettendo in pratica i buoni esempj e gli utili precetti di Cherubini. Egli per riuscir di maggiore utilità allo stabilimento, al quale per si lungo corso di anni rendette i più importanti servizj. scrisse molte lezioni per una, due, tre e quattro voci, inserite nella famosa collezione dei Solfeggi del Conservatorio di Parigi: nei metodi di violino e violoncello dell’istesso stabilimento, segnò scelti bassi di accompagnamento, e nel 1835 in fine, presso l’editore Schlessingèr, diede alla luce un Metodo del contrappunto e della Fuga il quale è una specie di riassunto delle lezioni eli" egli diede al Conservatorio dal 1795 al 18112, epoca in cui le funzioni di direttore lo obbligarono a rinunziare al professorato. Le regole vi sono esposte in modo conciso ma con chiarezza, e gli esempj tolti parie dalle migliori produzioni dell’antica scuola d’Italia, c parte daU’istesse Opere di Cherubini, o da lui espressamente coni- I posti, sono altrettanti eccellenti modelli per la perfezione di stile. In questo notevole trattato, che per l’incremento dell arte vorremmo fosse fra le mani di tutti i nostri studiosi del contrappunto, Cherubini dichiara e prova che la Fuga è il fondamento della composizione. Affinchè i lettori che si compiaceranno ricorrere a questa biografia, compilata dietro i più riputati scrittori, siano informali di tutto quanto Cherubini operò e compose, è necessario risalire ancora al 1821, e notare come uno de’ più belli concepi«nenti musicali il coro - JJors noble enfant ch’egli introdussenella Bianca di Provenza, Opera composta insieme a Boieldieu, Berteli e Kreutzer e che sopravvisse alla circostanza che la produsse, cioè la nascita del Duca di Bordeaux. La rivoluzione di Luglio, sopprimendo la cappella del Be, privò Cherubini del posto di sopraintendente e portò gran danno all’arte distruggendo una scuola modello di esecuzione e di composizione quanto a musica religiosa. Cherubini altre due volte ancora volle provarsi nel genere teatrale. Nel 1831 immaginò una introduzione per la Marchesa di Brinvilliers che fu giudicata mirabile per una certa freschezza ed energia al tutto giovanile; ed ultimamente nel luglio del 1853 fece rappresentare, alla Grand Opera, Ali-Bqba in quattro atti, cattivo melodramma di Scribe e Melesville, nel quale intruse alcuni pezzi del Koukourgi, non adoperati nella’ Faniska. LiAli-Baba ci presenta il fenomeno di un vecchio di 75 anni che osa cimentar nuovamente le sue forze in un’immensa composizione, che non teme entrare in aringo colle fervide immaginative de’ giovani compositori, e che ha conservato abbastanza di vigore per non rimaner vinto in quell’ardua lotta. La musica dell’Ali-Baba lascia scorgere qua e là che il compositore.non volle o non seppe uniformarsi a tutte le esigenze della moderna esagerazione drammatica, ed in questo spartito non trovasi nè la leggerezza, nè il brio, nè lo sloggio delle risorse musicali del giorno: ma non si può negar che in varj pezzi sianvi degli squarci pieni di effetto. La romanza della Damoreau, il duetto fra Nourrit e Levasseur; l’incantevole terzetto de’ ladri addormentali che serve d’introduzione al terzo atto, il finale dell’istesso ed un sestetto nel quarto provano ad evidenza che il genio del compositore non era spento e la sua abilità scientifica non aveva al certo scapitalo. 1 j Ali-Baba a Parigi fu accolto freddamente. La Germania vendicò l’illustre settuagenario dell" ingratitudine della Francia. Ivi in alcune città ebbe grande successo, ed è ancora nel repertorio di varj teatri transrenani. Cherubini scrisse pure la Primavera, cantata a quattro voci ed orchestra; un Canto sulla morte di Bay da a tre voci ed orchestra, composizione lodata dal Carpani: diversi notturni e canoni a due, tre e quattro voci, due sinfonie a grande orchestra, una suonata per due organi, una fantasia per pianoforte, e tre quartetti per istromenli di arco di uno squisito stile e che dovrebbero esser più generalmente conosciuti. Noi non ci dimenticheremo mai di averne udito uno diretto dal ehiariss. Beriòt, nel quale notavasi un adagio di un’espressione si toccante che tutti gli uditori, compresa l’incomparabiie Malibran, ne furono deliziosamente commossi. Finché Cherubini ha conservalo un po’ di forza rimase al posto che imponevagli il suo dovere e non si è deciso ad abbandonarlo che il giorno 5 dell’ora scorso febbrajo, non sentendosi più capace di occuparlo. A chi lo consigliava di chiedere un permesso di alcuni mesi, la cui prolungazione sarebbe stata facilmente ottenuta, ei- soleva rispondere: «Non è da «uomo dilicato ed onesto esigere ogni «mese l’emolumento senza averlo guadali guato. Io non sarei stalo condiscendente ii col professore che fosse venuto a doli mandarmi un permesso: come dunque «potrei invocarlo per me? 55 In queste poche parole si riassume tutto il carattere dell’uomo e dell’artista. Pochi di prima dell’ultima sua ora, la sua mente era ancor libera, il suo spirito pronto ed acuto, vigorosa la sua memoria. Ad un sol tratto la sua vita si è spenta. 11 grande maestro spirò il martedì 15 Marzo a sei ore della sera, pronunziando interrotte parole, senza che alcuno di coloro che gli stavano attorno potesse prevedere che quelle parole erano l’estremo suo addio. Sabato giorno 19 alle dieci ore antimeridiane, per rendere l’ultimo tributo al venerando compositore, eransi riunite al Conservatorio di Parigi più di tre mila persone, tra le quali notavausi gran numero di pari e di deputati, e tutte le notabilità letterarie ed artistiche della capitale. 11 convoglio alle undici ore si diresse alla chiesa di San Rocco. I fiocchi del drappo mortuario erano sostenuti da Auber che succedette a Cherubini nella direzione del Conservatorio, lìaleyy, Raoul-Rochelte e Ledere. Una banda di 75 musicanti eseguiva delle mareie funebri, fra le altre la bellissima composta dal trapassato pe’ funerali del Generale Hoclie, che nella chiesa venne ripetuta da una banda militare, indi dall’orchestra. In seguito Ira l’universale commozione, si eseguì il secondo suo Requiem da membri della Società de’Concerti ai quali eransi uniti i principali cantanti dei tre teatri musicali. Compiuto l’uffizio il funebre corteo si avviò verso il cimitero del Pére Lachaise fra una straordinaria moltitudine di popolo, affollato sulle piazze e nelle strade. Un distaccamento del 68." reggimento di linea precedeva e seguiva il convoglio; ed arrivato al campo dell’eterno riposo rese gli onori militari al defunto come commendatore della Regimi d’onore, insigne distinzione conferita a Cherubini un mese prima di sua morte, e per la prima volta in Francia accordata ad un artista di musica. Quattro discorsi furono pronunziali sulla sua tomba, il primo da RaoulRochette a nome dell’Istituto, il secondo da Lafont, a nome di Zinnuermann, il terzo da Ilalevy, e l’ultimo da un allievo del Conservatorio a nome de’ suoi compagni. Questi discorsi sono stali ascoltati con un religioso silenzio e tutte le persone stettero ferme al loro posto malgrado cadesse una forte pioggia con grandine. Dopo i magnifici funerali di Boieldieu, giammai più splendido omaggio funebre in Parigi venne reso ad un compositore di musica. Già si pensa ad innalzare a Cherubini un decoroso monumento, e a tal fine la Società de’ Concerti darà una grande accademia il giorno 2-4 aprile. Come uomo, Cherubini, è stato differentemente, e più di una volta fors’anco, con ingiustizia giudicalo. Le sue risposte ed i suoi moti di prima impressione parevano spiacevoli a motivo del suo carattere al sommo risentito, brusco, irritabile [p. 74 modifica]della sua soverchia ostinazione nel sostenere le metodiche sue opinioni, e dell’assoluta indipendenza che in esse dimostrava. Pure a chi si diceva a considerarlo attentamente, e quando egli trattava e parlava di cose indifferenti, oppure conversava con alcuni suoi amici intrinsici, non poteva a meno di apparire l’eccellente sua indole. Cosi ad onta della disuguaglianza del suo umore, e della severità delle sue massime, egli era adorato da tutti coloro che avevano a fare secolui. La venerazione che gli professavano i suoi allievi (fra’ quali si annoverano Boieldieu, Auber, Caraffa, Halevy, Zimmermann, ecc.) partecipava quasi del fanatismo; e Cherubini li ricambiava di quell’affetto ond’era da loro amato. Halevy sopra tutti era da lui prediletto e veniva considerato come suo figliuolo. Ei sempre rifuggi da quelle speculazioni che riducono l’arte ad un’industria: non iscrisse mai per solo spirito di guadagno, non conobbe intrighi nè basse mene, e perciò non è da far meraviglia s’egli alla vedova ed a’ suoi figli per retaggio lascia solo un nome immortale. Eredi di Luigi Cherubini sono 1 Italia, la Francia e la Germania ed altre nazioni a cui appartengono oramai e gli allievi che egli ha formati e 1» Opere da lui composte. Possa la prima delle tre nominate nazioni mostrare ia propria riconoscenza ad una delle più splendide sue illustrazioni, e render meno grave il proprio disdoro di averla finora negletta, col ricorrere alle classiche composizioni dell’estinto maestro onde attingervi utili lumi e non volgar diletto, e cosi compensare gli amatori della buona musica delle tante abbiette profanazioni cui vediamo ogni di condannati i nostri teatri lirici! is. c. Gambale e lo ha presentato di un suo nuovo CRITICA BIBLIOGRAFICA. I. Romance Variée pour le Piano expressément composée pur S. Thalberg [tour être publiée avec les nouveaux signes «le la Réforme Musicale d’IÎMMANUEL C-AVIBALE (1). Nell’ultimo numero di questa Gazzetta ci congratulavamo con noi stessi, osservando che il nostro articoletto di polemica risguardante la Ri/òrma Musicale del maestro Gambale, aveva già prodotto un frutto che appena osavamo sperare, e vogliam dire, la promessa che il sig. Alighieri ci faceva di una serie di articoli da inserirsi tra breve nella Fama del 18111 destinati ad annichilare gh oppositori della Riforma stessa, tra’ quali, per cortese distinzione, fummo annoverati dal sig. Alighieri suddetto. Davamo poi termine a quel brevisimo cenno, avvertendo il sig. Gambale, che in simili questioni le parole valgono tutt’al più la sola metà delle prove di fallo. Ed ecco in fatti che coi Jatti per l’appunto il signor Gambale, prevenendo impaziente l’amico suo, si accinge alla savia impresa di aprire gli occhi ai nonveggenti e di proclamare la sua vittoria. Thalberg, che fino dalla sua dimora tra noi s’era protestato e a voce ed in iscritto caldo propugnatore della Riforma Musicale, ha steso pel primo la mano amica al signor (I) Milan, chez l’éditeur Emmanuel Gambale rue de la Spiga X. 1384, chez le libraire Andrée Ghicini, Corso Francesco, X. CIO, et chez le papetier Joseph Penati, ’x rue del Pesce, X. 4981. Ìlezzo dettato co’nuovi segni musicali della iiforma, e il qual pezzo al dire dello stesso sig. Emularmele Gambale - deora formar la pien e angulaire (l’un nouvel èdifice musical, auquel la génèrositè artistique da cèlebre Riuniste servii a d’ègide contre la jalousie de ceux qui sans examen consciencieuoc, ont cru pouvoii’ eriger en Italie un tombeau à la Riforme. Cosi scrive il nostro signor Emmanuele Gambale. Le parole che abbiamo qui riportate fan parte di una lettera che precede la romanza della quale brevemente toccheremo; sulle leggiadre e veramente gentili espressioni di che è condita quella lettera di dedica, tiriamo un velo, non essendo noi avvezzi a farci carico delle aberrazioni di chi parla accecato da ingiusta collera. Questa Romance Fariée è infatti come le Romances sans paroles di Thalberg, una Romanza aneli5 essa senza parole; la quale si ripete due volte sovrapponendo a ciascuna delle ripetizioni i soliti e prediletti arpeggi o fioriture dell’autore, che sembra sempre più accarezzare questo suo metodo di comporre, divenuto forse oltremodo sbrigativo per lui, ma per noi, abbenchè sempre elegante, troppo trito e diremmo nojoso. Ma per avventura il celebre compositore, sia per non essere ancor egli stesso perfettamente addentrato nel sistema Gambale, sia colla speranza d’essere più presto in questo primo saggio letto e compreso dal volgo, avrà voluto tenersi espressamente, in codesto suo ultimo componimento, ad un genere al tutto semplice, comune e facile: ben inteso, parlando comparativamente alle altre opere del rinomato pianista. Anche alcuni errori incorsi nella stampa di questa Romance giova attribuirli più che altro alla poca perizia dello scrittore nell’uso de’ nuovi segni musicali, anziché ad assoluti errori di stampa; mentre vogliamo ritenere che il signor maestro Gambale avrà voluto essere ben diligente ed attento, acciocché almeno in questo primo esperimento, nessuna negligenza tipografica avesse a tradire le intenzioni del manoscritto del pianista compositore. Gli errori da noi notati nella lettura di questo pezzo, e che qui amiamo riportare allo scopo che qualche studioso del nuovo Metodo non abbia a torturarsi la mente più del bisogno, sarebbero per esempio i seguenti: Alla pagina seconda, sbarra quarta, rigo delia mano sinistra, tempo quinto, primo indicasuono (vulgo nota) avvi un Ra (vulgo la bemolle) sottoposto a un Ta (vulgo si bemolle): ebbene quel Ra dev’essere pure un Ta, tredicesima (vulgo ottava) inferiore del Ta suaccennato. Passiamo alla pagina quarta,sbarra prima, rigo della mano destra, ultimo tempo, dopo il segno di riposo primo e superiore indicasuono, vi si trova un Ca (vulgo re bemolle) che pare doversi tramutare in un Fa (vulgo mi bemolle). Questo veramente sembra semplicemente un errore di stampa, perchè 1 indicasuono è posto all’elevazione del fa e non gli manca che la lineetta alla testa. Alla pagina ultima, sbarra ultima, rigo della mano sinistra, tempo terzo, indicasuono quarto; il La (vulgo Mi) sembra doversi cangiare in Ra (la bemolle). Poco corretta ne sembrò pure la ma| niera di scrivere nella quarta pagina, (sbarra || terza, tempi terzo e quarto, mano diritta) la frase della cantilena principale: dove il Ma ( fa ) che è tenuto tutto il tempo sembrerebbe doversi tenere due soli terzi di tempo per risolvere sul fa (mi bemolle) dell altra mano: e così pure il ca (re bemolle) del tempo seguente sembra non doversi tenere che un terzo di tempo per continuare la cantilena sul Ta (si bemolle e Pa (sol) dell’altra mano, dappoiché ne pare che l’intenzione dell’autore fosse di ottenerne la melodia ma, fa, ca, te, pa (fa, mi bemolle, re bemolle, si bemolle, sol). Almeno il modo nel quale è scritto il primo di questi due tempi deve ritenersi per vera impurezza armonica. Così pure per ultimo siamo alquanto dubbiosi se nella quarta sbarra della terza pagina, tempo sesto, rigo della mano diritta, il sig. Thalberg, invece del secondo indicasuono fi (mi bemolle) non abbia avuto intenzione di scrivere, come poco più indietro la (mi bequadro)-, e più sotto alla sbarra quinta, pagina stessa, tempo ultimo, mano diritta, secondo indicasuono, in luogo del ta (si bemolle) si desidererebbe il va (si bequadi o). Poniamo queste ultime osservazioni come semplici reticenze, asserendo noi pure che nulla urtano colla severità delle regole armoniche, ma che nella composizione in discorso ci sembrarono nuli’altro, che una meschina ricercatezza di nessun buono effetto. La Romanza è nel tuono di Ra naturale (vulgo la bemolle maggiore): la melodia che forma la Romanza propriamente detta viene preceduta da un breve ritornello di poche misure, dopo le quali ella si apre soavissima e d’impronta italiana; viene subito dopo variata, o per meglio dire, ripetuta con fioriture non dissimili da quelle adoperate dallo stesso autore a prima variazione della preghiera del Mosè, le quali alla seconda parte della cantilena si tramutano in altre non meno comuni, fino a che il compositore accenna di rimettersi di nuovo sul tema per una terza variazione, ciocché però non succede così subito, ma invece l’autore si travia in un labirinto di transizioni cromatiche, che eseguite nel tem giusto, vale a dire in molta fretta, sili remino la testa più armonica dell’universo a poter comprendere, e seguirne l’andamento precipitato e diremmo accavalcato. Senonchò il lutto poco dopo si aggiusta, e con una preparazione, la quale potrebbe ancora maggiormente essere prolungata e far sospirare di più il ritorno della deliziosa cantilena, si rimette l’autore alla terza variazione, la quale pure in mezzo a’ solili arpeggi fa sempre spiccare affettuosa e marcata la melodia. Dopo di che chiudesi a dirittura pianissimo questo pezzo, che se non altro, per i pregi della lodata cantilena, può formar il passatempo gradevole di tutti que’ nostri pianisti, i quali amano congiunta all’eleganza del componimento una difficoltà d esecuzione non isconfortante. Avanti di dar termine a questo Cenno, vogliamo pregare il chiarissimo Riformatore della musica sig. Emmanuele Gambale a tenerci per iscusati se nell’esame di questo nuovo lavoro del signor Thalberg siamo caduti, forse involontariamente, a far uso ancora di qualche termine tecnico musicale non consentaneo alla Riforma, da lui immaginala. Ma fino a che egli non pensa ad onorare e rischiarar l’arte col da tanto tempo promesso suo Trattato d Armonia (il quale, ad appoggio delle sue dottrine avrebbe dovuto pubblicare unitamente alla Slitti [p. 75 modifica]scuola della nuova segnatura, e questa anzi non far apparire se non se come un’emanazione di codesta Rivoluzione armonica), yèy noi poveretti non possiamo che aggirarci «ancora per entro alla misera e ristretta sfera del nostro vecchio sistema armonico, e perciò non ci è dato lino ad ora che servirci de’ vecchi termini d arte, forse già abiurati dal signor Gambale. Avvertiamo perciò seriamente V egregio Riformatore, che da noi, e seco noi da tutta l’arte musicale attendesi colla massima ansietà la comparsa di questo nuovo Trattato armonico, senza dei quale (nè può essere chi voglia negarcelo ). per quanto lodevole èd ammirabile possa anche apparire agli occhi di taluno codesta Riforma, essa non sarà mai altro ( per servirci delie parole medesime del chiaro Maestro) che una semplicissima ed isolata piene angulaire cT un edificio, che non esiste •, e il qual edificio lino ad ora l’arte non saprebbe neppur debolmente in travvedere con qual disegno sopra siffatta pietra possa innalzarsi. Alberto Mazzucato. II. Solfeggio a dite Voci <li A. Pauserò» (0. Augusto Panseron, professore di canto al Conservatorio di Parigi,, dedicava ultimamente al suo istitutore ed amico Bcrton, parimenti professore nello stesso stabilimento, un’opera col titolo di Solfeggio a due voci composto di 50 lezioni progressive da solfeggiarsi e vocalizzarsi. 11 signor Panseron non attendendo i giudizii altrui, fa egli stesso, nella prefazione di questa sua nuova opera, mille elogj dell’utilità di tale lavoro, e ne dice che studiato codesto libro, l’artista musicale si troverà sicuro non solo dell’esecuzione de’duetti, ma anche dc’lerzctli, quartetti, quintetti, infine di qualunque pezzo d’assieme, il che non è dir poco; e perciò, aggiunge egli, consiglio gli allievi di dedicarsi seriamente a questo genere di musica. In seguito l’autore ne accenna il modo di studio da tenersi nell esecuzione del suo Solfeggio, sì dai soprani, come dai tenori, dai bassi, contralti, e così via discorrendo. Compito lo studio di questi solfeggi, continua il signor Panseron, sarà giovevole d’esercitarsi con de’ terzetti e quartetti, al quale scopo posso mettere in vista la mia opera pubblicata sotto il titolo di liécreations vocales. Dice che da vent anni in qua non ha fatto che insegnare la musica vocale; che diede alla luce metodi per tenore, soprano, basso, baritono, contralto; che questi metodi furono adottati c in Francia c all’estero; che ha pubblicato Va, b, c, musicale, e che finalmente l’anno venturo farà di pubblica ragione un metodo di solfeggio in ogni chiave e con cangiamento di chiavi, dell’importanza del quale egli stesso asserisce essere inutile parlare. Dice ancora di più: vale a dire che fino a questo momento, tutti i solfeggi non furono che lezioni ed esempi d’abitudine, e clic egli il primo (!) risolse il gran problèma di far progredire lo studioso dal cognito all’incognito. Chiude questa modesta prefazione avvertendoci che colla promessa sua ultima opera avrà compiuta niente meno che la sua m issione, avrà raggiunto il suo scopo. e fornito all’arte vocale un corso completo. Di tutte queste meraviglie che ci racconta il signor Panseron, teniamone per buone pur anche una sola metà, un terzo, un quarto se volete, un decimo anche, c vedrete che ne rimarrà sempre in buona dose- ad elogio di quest’opera, che racchiude in fatto molte cose degne d’elogio, in ispccial modo nella ragionata progressività, nell’eleganza c facilità delle cantilene, nella giusta tessitura vocale, nella varietà delle forme melodiche e delle loro combinazioni, c, cosa insolita, anche nella purezza e nell’intreccio contrappuntistico e ad un tempo non pedante sì del canto com’anche degli accompagnamenti. Questi solfeggi insomma vogliono essere caldamente raccomandati alla gioventù studiosa del canto. A. 31. (1) Milano. presso Giovanni Ricordi. SCHERZI. I Virtuosi anticlù e i Virtuosi moderiti. I Virtuosi del tempo nostro che altro sono essi se non se i così detti menestrelli o rainestrieri dei bei primi tempi del medio evo? Vero è però che qualche differenza esiste fra gli antichi e i moderni Virtuosi. I contemporanei di Federico li di Svevia e del re Manfredi cantavano giatis ed amore, e si accontentavano di aver tavola ed alloggio in questo o in quel castello, e di essere guardati con occhio benevolo da qualche Dama dal biondo crine e dal sospiroso petto. Che se talora accettavano qualche regalo dalla muniiicenza dei principi c dei re, creduto avrebbero commettere un atto poco cortese se tosto non lo umiliavano ai piedi della dea del loro cuore. Di solito essi facevano udire i loro melodiosi accenti nel silenzio della notte, al bel chiarore di luna. Viaggiavano soletti, a piedi e senza altro bagaglio tranne la loro cetra, qualche libercolo di poesie provenzali, e qualche pegno di affetto della lor amanza. Mangiavano poco: qualche piccola focaccia con miele, un po’ di mandorle e di uve secche, ecc.} bevevano pochissimo, acqua di fontana o di ruscelletto, e alla festa qualche bicchieretto di vino siciliano. La loro niente non pascevasi che della contemplazione del bello poetico e della metafisica del cuore: essi non consideravano questo basso mondo che come l’ignobile palco scenico della loro gloria; i loro pensieri erano sempre nell’aria, nel cielo, in mezzo alle immagini della più pura e casta bellezza, fra le soavi ed angeliche fantasie dell’amore il più nobile e sentimentale. Una bella composizione poetica, una canzone, una sirventese scritta con armoniosi versi a’ loro occhi aveva maggior pregio di qualsiasi altro tesoro. Un atto di virtù e di fedeltà in amore era da essi apprezzato meglio di qualunque ricchezza. (Quando intervenivano alle leste e a’ tornei che i marchesi od i baroni castellani davano ai signorotti del contado, essi formavano f oggetto della venerazione delle dame e dei cavalieri: le loro parole, i loro alti spiravano sempre la più dolce, la più ingenua virtù. il loro gentile aspetto, la molle lisciatura delle loro chiome innanellate, e delle loro pallide guancie, esprimevano tutto il candore del loro animo unicamente educato alle più tenere e patetiche emozioni. Quanto sono mai diversi dagli antichi i moderni menestrelli ossia Virtuosi! Costoro non si accontentano già della vita poetica. Essi pensano prima di lutto alla parte materiale della loro esistenza, indi se hanno tempo di pensare anche alla intelelluale, bene; se no, poco loro importa. Ed è per questo che quando, dopo avere studiala la professione, cominciano a diventar celebri, volgono il primo pensiero ad ottenere grossa paga; quindi fatta la scrittura, studiano di viaggiare dall una all altra piazza coi migliori comodi possibili, poi attaccano lite cogli osti e coi locandieri se sono mal serviti ili tavola e di letto. Essi vivono come tanti Pascià, si guardano bene dall’esporsi al menomo insulto dell’aria, stanno a letto sino a giorno inoltrato, e, quando si alzano, si avvolgono sino al mento in una grande veste da camera alla turca o alla chinese, si provano la voce tossendo e sputando, bevono acqua calda zuccherata, prendono il caffè od il thè cogli amici, cogli adulatori, e coi giornalisti cortesi, ricevono le visite dei dilettanti più distinti della città, danno qualche occhiatala alla sfuggita o solfeggiano sotto voce la parte dell Opera nuova, escono presso l’ora del pranzo, fanno un giro al pubblico passeggio, salutano i conoscenti con dei cordiali baciamano, poi vanno a tavola, mangiano e bevono allegramente, indi entrano in teatro, si chiudono nel camerino, s’imj piastriccian il viso di belletto, si tingono i capelli, s’imbottiscono le gambe, si pongono la parrucca e la barba posticcia, si avvolgono nella toga romana o nella corazza, e si presentano sul palco a fare di sé meraviglia al pubblico. Essi non pensano, non sognano, non parlano die teatri, che accademie, che paghe, che scritture, che quartali; 11011 hanno vera venerazione che per l’agente teatrale che li mette a posto, per l’impresario che li paga, per l’articolista clic li loda alle stelle anche quando fanno fiasco, per i fanatici che li applaudono e li chiamano fuori, dopo che hanno stuonato alla peggio. Tutto il resto della terra è per essi un vero nulla. Si agitino pure gl’imperi, si scontrino pure in battaglia gli eserciti, le città cadano pure; essi sbadigliano se parlate loro di tali cose, o tutt’al più cantarellando qualche motivetto, interrompono la narrazione dei disastri di Calmi o delle sconfitte di Abd-el-Kader per farvi ammirare una beltà passata di tuono o un si di petto, ovvero per darvi la nuova clic qualche loro rivale è stato sonoramente fischiato. Chiedete a me se questo vivere di spassi, di buon tempo e di spensierataggine, sia il più proprio ad elevare il genio degli artisti alla sua più nobile altezza, e vi risponderò che no. Né anche i più prediletti della natura ponno giugnere a toccare la vera eccellenza nelle arti, se ai sentimenti del cuore, se alle più gentili e recondite facoltà della mente non danno sviluppo ed impulso con quella educazione di spirito e di pensiero che forma gli uomini sommi di tutte le categoriedelfumano sapere. E voi, virtuosi moderili, clic diventando grassi e palfutti negli agi procacciativi a furia di trilli, gorgheggi, e cabalette, e cavatine, e rondò, vi circondate della più densa ignoranza ili tutto ciò che non ha a che fare colla vostra speciale e nuda tecnologia; voi che paghi di saper volare colla vostra voce sui varj registri della scala, di saper filare i tuoni, lisciarli e trillarli, spingere e rattenere il fiato con bel garbo, ecc., voi menestrelli o menestrieri del di d’oggi che, imparata materialmente a memoria la vostra parte, non vi curate per ombra di conoscere lo spirito, di penetrare il concetto poetico del dramma in cui dovete rappresentare un personaggio del quale non avete la menoma idea storica; voi, tante volte salutati esimii ed immortali clic vi pensate ili aver toccato l’apice della musical gloria quando giugneste ad ottenere da un impresario una paga di cinquanta o sessanta mila franchi per anno e coi vostri risparmi poteste porre insieme un bel patrimonio di beni stabili e di effetti bancarii; credete voi di essere artisti veramente sublimi, e di valer meglio dei menestrelli o virtuosi del bel tempo di re Manfredi e di Raimondo Berengario, i quali ben di rado avevano più di cinque soldi in tasca e non possedevano altra ricchezza mobiliaria fuorché il liuto che portavano sempre con sé o la catenella il argento, ricevuta in dono da qualche gentile castellana dilettante di ìomanze provenzali? Per me, in verità ci ho i miei bravi dubbii. B. AD AICIS’I ÙI«KAII MIIiAISESI. © Dp Alcuni ile nostri giornali milanesi hanno pigliato in mala parte i Cenni dati dal signor A. M. nel foglio scorso di questa Gaz- ggN; [p. 76 modifica]zetta sui diversi giudizii recati intorno allo Stabat di Rossini. Brameremmo poterli persuadere che quei Cenni furono dettati dal nostro collaboratore unicamente nello scopo di offrire compendiate le più marcate opinioni del nostro Giornalismo, anzi che di discutere del valore di esse. - Che se al detto signor A. M. è caduta dalla penna qualche parola che possa interpretarsi suggerita in questo ultimo senso, ciò vuol dire che v‘ha de’ casi in cui nel riferire anche nudamente il concetto dei detti altrui riemolto difficile il farlo in modo die o tanto o poco non appaja il diverso sentire. Ma questo non può essere preso in significato d* offesa se non da una suscettività soverchia. Quanto a noi, dal dì che ci siamo accinti a redigere questa Gazzetta specialmente dedicata agli studii ed alla critica musicale, come ci siamo proposto eli conservare assoluta indipennenza ne’ nostri giudizii. così vogliamo rispettar sempre quella degli altri, anche allora quando non sia importante, come nel caso dello Stabat, f occuparsene direttamente. Aggiugniamo due parole in particolare al Figaro ed alla Moda. Ai Figaro: ci gode Panimo di avergli dato occasione di spiegare Vopinione sua intorno al merito dello Stabat meglio di quanto non abbia fatto nel suo primo articolo, il cui senso, per dir il vero, fu generalmente interpretato nel modo poco favorevole col quale lo abbiamo inteso noi. Alla.Moda: si dia la pena di rileggere l’articolo del signor maestro Perotti e Faltro del maestro Casamorala ov’) è parlato diffusamente della sacra composizione rossiniana, e si persuaderà che le opinioni manifestate da quei due nostri collaboratori, se differiscono in qualche punto secondario, concordano pienamente nelPinsieme e ciò che più conta, sono esposte, bensì con rispettosi modi, ma ad un tempo con quella franchezza che nasce da un’interna persuasione non pigliata a prestito dalla voce pubblica ma desunta dai propri studii. G. B. INVENZIONI MUSICALI. Riproduciamo con piacere il seguente articolo del Figaro nel quale senza veruna pompa ciarlatanesca e senza quel corredo di ampollose millanterie che tante volte spargono di ridicolo anche la promulgazione di non inutili scoperte, è riferito il risuì}tamento di alcuni studii fatti da un benemerito meccanico italiano. Però noi crediamo necessario avvertire i nostri lettori che il Pàntófono e il Musicografo del sig. Masèra di cui con giusta lode parla nel Figaro il sig. Malvezzi, non è invenzione recente ma risale a molti anni addietro. Feggasi il pregevole dizionario della musica del dott. Lìchtental, il quale ne da un cenno tratto dalla Gazzetta Piemontese. S’aggiunga quanto al Musicografo che già fino dal 4747 un prete a Londra di nome Creed tentò dimostrare la. possibilità di una tal opera d’arte. Veggasi il detto Dizionario alla parola macchina di notazione MOVE MACCHINE MUSICALI. Venni gentilmente invitato, or son tre giorni, dal signor Stefano Abate, negoziante di clavicembali, ad assistere ad uno sperimento meccanico-musicale, che in casa sua alla presenza di varie ragguardevoli persone dava il rinomato macchinista Giuseppe Maséra da Chicri, impiegato nell’arsenale di Torino, già ben accetto al re defunto Carlo Felice, ed ora premiato dal re Carlo Alberto con medaglia d oro di prima classe; e son ben lieto di esservi intervenuto. — 11 sullodato sig. Maséra ci offerse ad esaminare una macchinetta da aggiungersi al pianoforte comune che puossi denominare Fantófono; giacché per mezzo di essa chiunque, anche ignaro della musica, trovasi in grado di eseguire qualsiasi suonata, qualora si dia solo la pena di trascrivere a traforo su d’un cartoncino il pezzo musicale stampato o scritto dietro il metodo dal Maséra indicato, e di fissare il cartoncino traforalo ad un cilindro: la macchina messa in moto eseguisce poi il pezzo od i pezzi da se sola. Nè a questo risultato, sebbene già lodevole, si arrestò il genio creatore del Maséra, che anzi procedette ad altra invenzione molto più importante e maravigliosa. Egli sovrappose al cilindro già nominato una tastiera messa in relazione diretta col cilindro stesso e col pianoforte per mezzo d’ingegnosissimo macchinismo, onde avviene che il suonatore, toccando i tasti mentre il cilindro gira, e mentre intorno ad esso si avvolge un cartoncino vergine, fa suonare al solito le corde, c intanto sul cartoncino restano segnate le note col rispettivo loro valore e con tutti i loro accidenti. Quindi è che il Fantófono colla tastiera potrebbesi appellare con vocabolo greco il Musicografo. Due signore si provarono ad eseguire sul gravicembalo munito del Musicografo due differenti motivi, e questi non solo rimasero sul cartoncino segnati perfettamente, ma un momento dopo, cioè appena traforato il cartoncino, si ebbe la gratissima sorpresa di udirli ripetere fedelmente dalla macchina messa in moto. A rendere perfetti i due suindicati mirabili congegni mancherebbe solo che il cilindro non:oìsc messo in moto dalla mano dell’uomo, ma sibbene da una specie di cariglione, c che nell’esecuzione delle suonate si potesse anche ottenere il piano e il forte, al che ha già pensato il sullodato Maséra, ed ha già in pronto gli opportuni meccanismi. Tanto il Pàntófono, quanto il Musicografo servirebbero non solo a procurare innocenti diletti ad ogni genere di persone in ogni tempo ed in qualsiasi circostanza, 11 a ben anche a conservare, quando lo si creda opportuno, gl’improvvisi musicali; ciò che ne sembra la sua più vera e nobile destinazione. Luigi Malvezzi. I — Anche qui lo Stabat di Rossini, eseguito due volte,; colla maggior pompa e col più gran successo, mise in; movimento tutti i dilettanti, professoii di musica c gior- | | nalisli. I primi rimasero sorpresi delle inspirate bellezze che abbondano in quell’importante componimento: i secondi tacciarono alcuni pezzi di poco adatti alla sublii mità c severità che convengonsi alla musica sacra; gli i ultimi pubblicarono de’ giudizj fra loro assai conlraddi| centi. Strasburgo 31 marzo. — L’accademia di canto ha solennemente inaugurato la riorganizzazione de’suoi esercizi pubblici collo Stabat di Rossini e colla gran scena, coro ed aria della seconda parte dell’Orfeo di Gluek. Udine. — L’asilo infantile invitò pel venerdì Santo la carità pubblica ad assistere nella chiesa di Santo Spirito allo Stabat del Pcrgolesi cantato dalle brave alunne dcll’udinese Istituto filarmonico c filodrammatico. La soave armonia di quel cantico religioso pareva giugnesse più gradita all’orecchio degli astanti, dacché la si udì dalle voci medesime che nei sociali trattenimenti fanno sentire le composizioni de’ melodrammi teatrali. Ed è pur esempio imitabile, fra le semplici pareti di quella chiesa, la carità pubblica, la religione, c quelle gravi cantilene cospiranti in bell’accordo a commoverti l’anima a pietosi sentimenti. - Così le più svariate istituzioni sociali cooperano a vicenda al benessere comune. ove le fecondi un intimo senso di operosa carità. (Dalla Favilla). Bologna. Taluno avendo fatto osservare a Rossini che la bella voce di Miss Clara Novello non era accompagnata da un talento drammatico abbastanza grande: Ciò è vero, rispose il sommo de’ maestri, ma spero ben anco ch’essa non lo avrà giammai.... col loro furore drammatico i cantanti del giorno d’oggi ci danno piacere sei mesi, e poi ci straziano le orecchie pel rimanente della loro vita. Quanti esempj in appoggio di questa sentenza clic può dirsi giusta fino a un certo punto, ciò solamente allorché si riferisca all’abuso della drammatica espressione. Vociferasi che Rossini si occupi a porre in musica la sequenza de’ morti - Dies irac che certamente all’incomparabil suo genio offrirà più vasto campo della flebile e monotona leggenda di fra Jncopone da Todi. I. C. MOVE Pl’BBLICAZIOM MUSICALI DELL*1!. 11. STABILIMENTO NAZIONALE PItIVILEG.0 Di GIOVANNI RICORDI. NOTÌZIE varie. Parigi. — Les Deux Journées di Cherubini furono riprodotte al Teatro Reale dell Opera Comica, c i conoscitori della musica le accolsero 10.1 quel labore che vuol essere riservato per le occasioni distinte. E la ricomparsa di un simile capolavoro ilei teatro musicate francese, deve appunto annoverarsi fra queste. I Giornali parigini seppero compartire le meritale lodi ai direttori dell Opéra Comiquj, i quali col richiamare all onor della scena una delle più acclamale produzioni dell’illustre compositore ora defunto, mirarono a rendere un giusto omaggio alla gloriosa sua memoria anzicne a consultare quello spirito di bassa speculazione che è la guida suprema degù Impresarii imperiti. 1 primi mentre giovano ai progressi dell arte giovano anche a se stessi; gii altri, ingannati dalla loro male intesa economia cooperano al sempre maggiore scredito della scena musicale e sono in ultimo puniti dal vedere i loro teatri vuoti, e dal sapersi giustamente bersaglio alle censure e al biasimo degli imparziali. B. — Dopo la sua partenza da Milano, Thalberg ha dato i seguenti concerti: uno a Torino; tre a Nizza, l’ultimo de’quali a benefizio de’ poveri; quattro a Marsiglia di cui tre al gran teatro ed uno nella sala della.Borsa per i poveri alla presenza di due mila persone; due a Monpellieri; uno a Nimes; quattro in dieci giorni a Lione, cd uno a Bijou per i poveri. Da per tutto e sempre con islraordinaria allluenza di spettatori e con entusiasmo crescente. Questo pianista per eccellenza la sera del T2 corrente si è prodotto al teatro italiano c già da molti giorni prima tutti i posti erano stati accaparati. — I compositori di musica e scrittori di drammi e commedie in Italia leggendo il seguente riassunto de’ diritli-d’autore percepiti nel corso degli ultimi cinque anni in Trancia non potranno a meno d invidiare la fortunata sorte de’ loro confratelli.

837-38 introitati franchi 712,722.

-1838-39 709,032. 1839-40 758,348. 1 $40-41 885,454. 1841-42 842,394. Totale di cinque anni 3,967,950 franchi. Nel solo 1841-42 gli eredi di Dalayrac (morto fino dal -1809 ), hanno percepito fr. 533 52; quelli di Grctry (morto nel -1813) fr. 1792 15, ecc. - A Donizelti per la sola Lucia di Lammermoor fatta da lui tradurre in francese, vuoisi in tre anni sian toccati più di venti mila franchi. Berlino. — Molti giornali hanno pubblicato una lettera del Ministro dell’interno diretta a Spontini, colla quale questo celebre maestro fu dichiarato sciolto dagli impegni che fino dal 1819 lo ponevano in relazione coll’intendenza generale de’ teatri reali. Gli vennero però conservati tutti i titoli e tutti gli emolumenti di prima, onde a suo bell’agio c giusta il desiderio di S. M. potesse per l’avvenire dedicarsi interamente alla composizione. e. 2. m Op. 23. - Fr. 5 30. DIECI PICCOLI DUETTI FACILI 1)0’ due flotti i Ito tir le Violoncelle Op. 142 - Fr. 3. amili si min MUSICA DEL M.° Riduzione completa per Piano/bi le solo Fr. 18. (L’istess’Opera è pure pubblicata completa per Canto con accompagnamento di Pianoforte). Op. 4. Pour rioloncelle seul... Fr. o 30 Avec accompd d’un 2 Violoncelle «4 — Avec accomp.1 de Piano...» â — GIOVACI KH’OKIH EDITORE-PROPRIETARIO. j*B. Sé uniste a questo foglio il pezzo UT. 4 «HJl’AXTOlOtJI V CLASSIC I Ml’SICAlE Ball’I. E?. Stabilimento Nazionale Privilegiato «11 Calcografia, Copisteria c Tipografìa ÌTIusicale «li GIOVABfJfl KICOKWI. Contrada degit Omenoni N. 1720.

  1. Quanto sia chiara e fondata su buone leggi estetiche questa digressione dell'anonimo bolognese e fin dove abbia a che fare coll’articolo del sig. Casamorata, in verità noi non sapremmo capire.
  2. (E) Domandiamo mille perdoni al signor anonimo bolognese, ma non possiamo non dichiararci di opinione in tutto contraria alla sua, non foss’altro al solo oggetto di far onore all’epigrafe di Rousseau adottata per questa nostra Gazzetta. E vogliamo dire che non solo noi crediamo fermamente che la musica sia arte imitativa per eccellenza, ma che tale ella, possa essere vantata al di sopra della pittura e della scultura. E in fatto, quale altra arte può competere colla musica nella proprietà imitativa, ove solo si rifletta ch’essa giugne perfino a poter esprimere le tenebre, la luce, il silenzio, la solitudine, il disordine ec., o spieghiamoci meglio; a poter svegliare nel nostro animo le impressioni stesse che sogliono destar in noi codeste modificazioni della natura fisica e della vita, chè in questo solo e non in altro significato vuol essere presa la imitazione musicale subbie ttiva, ossia quella che ha sua azione più sul nostro animo che sui nostri sensi. Pigliamo alcuni esempii dalle Opere medesime dell’immortale autore dello Stabat. Si vegga l’Introduzione del Mosè, nella quale la tenebria che avvolge la corte di Faraone è con sì potente evidenza dipinta dall’indole speciale delle musicali modulazioni, dal supremo artifizio delle armonie, e da tutto il sapiente prestigio della stromentazione che lo spettatore per poco non è illuso al punto da credersi quasi avvolto nella caligine che regna sul ciglio de’ costernati egizii. E pel contrario, dopo la potente invocazione del temuto taumaturgo, si noti con quanta magia d’effetto la musica esprime il dissiparsi improvviso della fitta oscurità e il subito irradiar della luce. Nè si dica che questo mirabile effetto imitativo è prodotto dall’associazione de’ mezzi meccanici di altre arti ed in ispecie dalle indicazioni dell’azione drammatica. Certo è che la musica per ottenere tutto il suo trionfo pittoresco ha bisogno del sussidio de’trovati scenici e della poesia; ma poiché vediamo che v’ha delle musiche le quali, anche vantaggiate da questi medesimi aiuti, non raggiungono al par di altre lo stesso imitativo effetto, è duopo convenire ch’esso è per la massima parte dovuto alla sola arte de’ suoni per se medesima. Agli esempii or riferiti per sostenere che la musica è tanto imitativa da poter per fino rendere l’immagine delle tenebre e della luce, altri vorremmo aggiugnerne onde provare che la sua forza imitativa arriva pure al punto di ritrarre al nostro spirito l’idea della solitudine, del silenzio, del disordine... Veggasi ad esempio il classico duetto della Rosa rossa e la rosa bianca dell’esimio Mayer «È deserto il bosco intorno». Veggasi il primo pezzo della Creazione di Haydn ove con tanto studio di numeriche combinazioni è simulato il caos che precede la formazione degli elementi, ecc. E in un altro genere di musica veggasi l’introduzione dell’Italiana in Algeri ove sì vivamente è resa l’imagine d’un mare poco prima agitato dalla tempesta e coi fiotti ancora sordamente rimescolati. Certo è che a ben rilevare codesta specie di pitture musicali è uopo soccorra lo spirito dell’uditore e la sua più o men pronta immaginazione; ma e quando mai il bello dell*Arti ad essere ben compreso potè far senza dell’intelligenza e delio spirito di chi riguarda? e per ciò appunto dal maggiore o minor concorso di questa condizione estrinseca all’Arti stesse deriva che un mirabil quadro, una stupenda statua, un pezzo di musica ridondante di espressione, riescono muti e freddi d’effetto per taluni, in tali altri in vece, dotati di più pronta suscettibilità comprensiva, risvegliano gagliarde e sublimi impressioni. Dopo il fin qui detto osiamo sperare che il signor anonimo bolognese vorrà convenire con noi che la musica è arte imitativa non già al di sotto, ma anzi molto più della pittura cdella scultura, dacché ottiene d’esprimere que’ fenomeni stessi cui indarno vorremmo vedere imitati dalle altre due arti or nominate
  3. (F) Erronea sentenza che è contraddetta dalla opinione de’ più acclamati scrittori d’estetica musicale. Vedi Rousseau, Ginguenè, Momigny, Arteaga, Martini, Carpani, Lichtental e cento altri. Nessun dubbio che la musica sia dotata della imitazione obbiettiva, come da un dotto estetico (i cui profondi scritti verranno quanto prima inseriti in questa stessa Gazzetta) è chiamata quella imitazione che più specialmente si propone simulare i suoni materiali c i fisici fenomeni; ma questa specie secondaria di imitazione in ben poco conto è avuta dai grandi compositori; e se Havdn, se Paisiclio, se Cimarosa, se Gluck, e Gretry ne diedero alcuni luminosi esempii più il fecero per chiarire fino a che punto sapesser giugnere i meccanici artifici dell’arle, anziché per dar prova della vera sua potenza imitativa. Ed allorachò si proposero di addimostrarsi imitativi nel più alto significato della parola (1), non ad altro mirarono fuorché a dipingere gli alletti c le passioni poste in conflitto. Voler sostenere che la musica è più atta a imitare lo scroscio delle saette, il sibilar del vento e lo scalpitio dei cavalli.. anziché esprimere il dolore di chi langue e muore, gii accenti passionati di un disperato amante, ecc., c uno stesso che voler negare i più grandi prestigi dell’arte, quella potenza per cui si resero immortali i nomi de’sommi compositori della scuola italiana, i quali salirono a incontestata celebrità appunto perché colla musica seppero adeguare, anzi superare la massima potenza della poesia drammàtica in cui non è vera vita se non scaturisce dalla pittura dell’uomo morale con tutte le sue più svariate modificazioni psicologiche. Non per la maggior parte de’ nostri lettori, clic crediamo versati a sufficienza in simili disquisizioni da non avere bisogno dell’evidenza dc’fatti a convincerli della verità di quanto affermiamo, ma per rimovcrc dal suo inconcepibile abbaglio l’anonimo bolognese crediamo ben l’atto richiamargli alla memoria il terz-atto dell’Otello di Rossini. In questo solo brano di un sì lodato capolavoro, quanti esempii non si riscontrano da valere a confondere fino al rossore chi osi negare alla musica il potere di esprimere gli affetti c le passioni e sostenere che l’arte dei suoni è più ideale che imitativa! La patetica mestizia di Desdemona, il casto suo amore per lo sposo, c perfino il suo tristo presentimento della morte, con quale sublime c commovente verità musicale non sono dipinte nella sola romanza! E nella scena finale, la cupa disperazione del Moro, il delirio della gelosia, lo scherno atroce, il dubbio, la titubanza, indi Io scoppio di un furor brutale che anela a saziarsi nel sangue d’una vittima creduta colpevole... Con quali sublimi ispirazioni non sono ritratte tutte queste fasi diverse di uno spirito sconvolto dalle più violenti passioni!.. Rossini in questa scena seppe adeguare l’immenso genio di Shakespeare, e ciò è quanto mai possa dirsi per affermare che la musica è drammatica per eccellenza, ovverossia, atta per eccellenza a dipingere le morali alterazioni dell’animo umano. Ma è vano il più a lungo diffondersi. Se il signor anonimo bolognese vorrà riandare colla sola rimembranza la prodigiosa varietà di bellezze imitative ( e ripetiamolo, sempre ben inteso nel senso morale e col mezzo idealistico deil’arte) di che è ricca l’or ricordata composizione rossiniana, dovrà trovarsi ben mortificato d’aver proferita tale una eresia in fatto d’estetica musicale da togliere a chi osò porla innanzi il diritto di non più parlare di musica almeno per tre anni.
  4. (G) Con questa sua alquanto indeterminata definìzione il signor anonimo bolognese ci fa dubitare che ci non sappia bene clic cosa veramente debbasi intendere per imitazione musicale. E per tanto lo preghiamo a voler ricorrere alle opere filosofiche che trattano di proposito di simile importante argomento. B.