Filli di Sciro – Discorsi e appendice/Filli di Sciro/Atto secondo
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ATTO SECONDO SCENA I Oronte, Perindo, Sireno, Ormino.
Oron.Costi rimangan gli altri :
tu mi segui, Perindo, e vegnan teco
que’ duo vecchi pastori.
Sir.Vien tosto, Ormin, non odi?
Orm.Là dove trema il cor, non corre il piede.
Per.Siam qui, signor: ma vuoi
tu senza servi gir, senza soldati,
quinci soletto errando?
Oron.Per si dolci campagne,
fra mansuete genti,
non è d’uopo di gir cinto di squadre.
Vegno fuor de le tende,
perché ristori in questi campi ameni
la dolcezza del ciel gli orror del mare:
ma non par che de’ campi
sappia goder chi vuole
pe’ campi gir con cittadini onori.
Oh caro praticello,
oh leggiadro boschetto,
mira di che bell’ombre
incontra ? sole i suoi fioretti ammanta!
Ecco appunto una scena
pastorale, a cui fanno
quinci il mar, quindi i colli, e d’ogn’intorno
i fior, le piante e l’ombre e l’onde e 'l cielo
un teatro pomposo. Amici, avanti!
Qui, dove or cosi dolce
spira l’aura, posando,
seguirٍ di que’ figli
la fortunosa istoria.
Orm.Deh per pietà, signor, dimmi, viv’egli
Tirsi il mio figlio? Dimmi
prima se vive, il resto
dirailo poi a tuo bell’agio.
Oron.Udite.
Posciaché de’ fanciulli
la turba numerosa ebbi condotta
avanti al gran signor ne la gran sala,
ove parea vagir nascente il mondo,
mentre si fea di lor distinta mostra,
qui, dove apparian gli altri
cotai selvatichetti,
arditi e baldanzosi i vostri figli
innanzi al re con si leggiadri vezzi
bamboleggiando ad atteggiar si diero,
che ’ntenerita pur quella grand’alma
quasi con un sorriso
temprٍ ? severo aspetto.
Indi la man porgendo,
la man che usata è solo
a trattar arme e scettri,
lusingٍ lor le vermigliuzze gote,
e se non le baciٍ, sen vide almeno
fin su le labbra il bel desio del core.
Poscia ver me diss’egli: — Attendi: i’ veggio
in questi duo bambini alme si belle,
che a non volgare impresa
forza è che 'l ciel gli scorga,
se ne’ sembianti umani
scrive i suoi fati il cielo, e s’io gí’intendo. -
(Ned uom v’è già, ch’a par di lui gí’intenda).
— Ond’ io non vo’ (soggiunse)
che fra gli altri fanciulli al gran serraglio
sian questi due condotti,
ma fia tua cura, Oronte,
farli nudrir ad altri studi in corte.—
io cosi feci, e si mi furon cari,
che senza figli aver, senz’esser padre,
provٍ pur il mio core
per gli altrui figli anch’ei paterno amore.
Or, mentre che i fanciulli
crescean con gli anni, in loro
cresceva innanzi agli anni
il senno e la beltade.
Ma tutto è nulla; udite
meraviglia gentile. Amor fanciullo,
con lor (cred’io) scherzando,
si come appunto intra fanciulli avviene,
per fortuna ferilli,
e si gli venne fatta
gran piaga in picciol core. Oh che dolcezza
era veder duo fanciullini amanti
trattar lor vezzosissimi amoretti!
Con lingua ancor di latte balbettando
sepper chiamar, prima che mamma, amore.
Cominciavano appena
a trar l’aure vitali,
che sapean sospirare
i sospiri d’amore: aveano appena
gli occhi aperti a la luce,
che sapean vagheggiando
vibrar guardi amorosi.
Vedevansi talora
con la man tenerella,
che mal pur sapea dianzi
le mamme careggiar de le nudrici,
G. Bonarelli, Filli di Sciro. ^ 3
fatta a l’arti d’amor pronta e sagace,
lisciarsi il volto, inanellarsi il crine;
e quando parea lor d’esser più belli,
corrersi ad abbracciar quasi di furto
con dolcissimi baci.
Cosi amoreggiando i pargoletti,
pargoleggiava Amore.
Quinci de l’amor loro
innamorato 'l re, mi disse un giorno:
— Effetto esser non puٍ d’età si acerba
un si maturo amore.
Ei vien dal cielo, e ? cielo
non opra in vano: è forza
ch’ei sieno un di consorti.
io ? vo’, che il cielo il vuole. —
Ah che troppo alto è ? ciel, né giugner puote
la mente umana a suo voler lassuso !
Ammala il gran signor, e già si crede
vicino al giorno estremo;
già si dispone a l’ultima partita.
Né fra le gravi cure ond’in quel punto
avea ’ngombrato il cor, pose in oblio
i suo’ diletti amanti,
che fatti a sé condur: — Figli (lor disse)
G moro: a me non lice
di veder voi consorti.
Troppo maturo i’ son, voi troppo acerbi.
Sposi vedrovvi almen; di questo nodo
capace è ben la vostra etade e ? senno.
Porgetevi le destre, e ? ciel secondi
di tenerella man fede si pura. —
Ei, fra lieti e dolenti,
si dier la mano e si baciar piangendo.
il re qui trasse intanto
di sotto a l’origliere un cerchio d’oro,
intorno a cui scolpite
eran note d’Egitto, e per suggello ’
impressavi di lui la sacra imago.
Doppio era il cerchio, e ciascheduna parte
facea, benché divisa, un cerchio intero;
ma rimanean le note oscure e tronche.
Il re partillo, ed a’ novelli sposi
cintone il collo ignudo:
— Questo sarà (diss’egli)
del vostro amor memoria,
ed anco del mio amor fia segno un giorno. —
Poi si rivolse in altra parte, e credo
per contenere o per celare il pianto.
Allor ind’io li tolsi, e’ncontanente
con le cose più care al mio castello
condur li fei, temendo
(o stolta providenza!)
le stragi e le rapine
che soglion celebrar l’esequie a’ grandi.
Sparge la fama intanto
de la morte del re fallace grido.
Chi la bramava di leggieri il crede.
Il re di Smirna il crede,
e fatto ardito, di repente assale
i confini di Tracia, indi s’avanza
fin al castello, e con notturno assalto
il prende, il preda, il brucia.
Orm.Ed arser quivi,
ahi lasso, i nostri figli?
Oron.Un de’ miei servi,
che fra l’ombre del sonno
a’ nemici involossi,
narrٍ ch’ambiduo vivi
un soldato di Smirna
là di mezzo a lo ’ncendio
li ritolse a le fiamme.
Orm.E vivon dunque prigionieri in Smirna?
Oron.Ne temo. Udite. Arriva
de l’armi predatrici il suono in corte.
Il re sol tanto avea di senso e vita,
che bastٍ per udirlo. Ode l’ingiuria,
s’adira, e l’ira, il freddo sangue acceso,
arresta entro del cor l’alma fugace,
perch’ella sia del suo furor ministra.
Ma M nemico fellon, com’ebbe udito
che pur vivea colui,
la cui oreduta morte
fatto l’aveva ardito,
cosi fu vَlto in fuga, e per temprare
l’ira del re, e per fuggir più scarco,
ne rimandٍ in Bisanto
le spoglie co’ prigioni.
Orm.E i nostri figli?
Oron.Questi solo mancar, mancar sol questi,
che solo il re chiedeva; onde più fero
guerra immortale al re di Smirna indice,
se non gli rende intatti
non so s’io deggia dire i servi o i figli.
Quegli niega d’averli,
questi creder noi vuole,
perché vuole i fanciulli o la vendetta.
Allor si venne a l’armi.
Si venne allora a l’armi,
per cui distrutto giace
il paese di Smirna.
Onde non è ch’io speri
di riveder mai più que’ figli altrove,
ch’andammo invan cercando
fin sotto a le rovine
di quel cadente regno.
Orm.Oh miseri figliuoli!
Sir.Oh più miseri padri!
Oron.Miseri e figli e padri,
ATTO SECONDO
ma pur felici intanto,
che ne la lor miseria hanno versato
lagrime il re, mille e mille altri il sangue.
Orm.Di Jagrime e di sangue
oh infelice ristoro !
Per.(Piangono i vecchierelli, ed al lor pianto
Oronte ancor si turba.
Meglio è ch’io nel distolga.) Omai, signore,
vedi ch’a mezzo cielo il sol si libra
. per correr più veloce inyer l’occaso,
e sai che non abbiamo
scelti i fanciulli ancor, né pur la tromba
annunziatricé" del tuo arrivo in Sciro,
sonando, è gita ad assembrargli al tempio.
Oron.Torniam dunque a le tende: e voi, pastori,
per altro ombroso calle
conducetemi al mare; e vi consoli
1 che, vivi o morti, ovunque sien que’ figli,
forza è che sien graditi
o dagli uomini in terra,
o dagli dèi nel cielo.
Sir.O pietoso signore,
te pur consoli il ciel, quanto noi siamo
inconsolabilmente sconsolati.
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SCENA II
Serpilla, Celia.
Serp.Eh Celia!
Celia.Oimè! di’piano...
Serp.E che-paventi?
Celia.Vedi colà mio padre.
Serp.Egli sen parte,
né poté udir. Ma ’nvano
a me t’ascondi omai: que’tuoi sospiri
ch’ora spargevi al ciel, mentre credevi
che sol t’udisse in questo bosco il cielo,
m’han ridetto il tuo male: e ti consola,
ch’è mal d’amore, e non di morte, e male
che fa nascer la gente, e non morire.
Ma che riguardi? Volgi
ver me cotesto viso. Ah, ah, se tace
vergognando la lingua, odo che parla
rosseggiando la gota;
e dice in sua favella
ch’a la fiamma del cor avvampa, anch’ella.
Deh, s’ami, e perché vuoi
vergognando celarlo?
Celi nel cor, né porti
nella fronte l’amor, chi l’ha rugosa,
ch’una polita guancia
è bel teatro, in cui venga dal core
a far di sé pomposa mostra Amore.
Amai anch’io ? mio Sirto, e la tua madre
arse d’Ormino anch’ella.
Né tacemmo per onta:
s’ode ancor per le valli
l’eco dei nostri amori.
Ama Egeria Felisco, Urinda Armillo,
Amaranta Licandro, e la tua Clori,
la bella e saggia Clori,
Clori, colei che tanto
sembra d’amor nemica, or, se noi sai,
vive solo e respira
mentre d’amor sospira.
E se pur de’ suo’ amori
non parla a te, che sorda
forse d’amor non senti,
meco perٍ no ? tace.
Odi quel che men disse
un di, mentr’ io sdegnosa ’
la riprendea di core
senz’amor dispietato.
— O Serpilla, Serpilla,
(mi rispose piangendo)
senz’amante son io, non senz’amore.
Amo d’altre contrade
altro pastore, e tale
che, benché fors’estinto
giaccia sotterra, i’ vo’ perٍ che solo
il cener di quell’ossa
sia l’esca del mio foco. —
¦ O fanciulla gentile,
felice a cui è dato
arder sol d’una fiamma!
Celia.Oh me infelice!
Serp.Or che ti duole? è forse
la ’nfedeltل d’un disleale amante
l’empia cagion del tuo dolore?
Celia.Ah taci,
taci, Serpilla, e non voler ch’io scopra
l’orror de la mia piaga.
Serp.Or non m’apposi?
Ah cosi va, figliuola!
Nel cor de l’uom vedrai
pullular gli Amoretti
a guisa di colombi,
ove mentre che l’uno
ha l’ale grandi e vola,
spunta a l’altro la piuma:
l’un tronfio e pettoruto
va toneggiando e ruota,
l’altro col petto ’n terra
vieti pigolando e serpe:
nasce l’uno da l’uova
mentre l’altro si cova.
Ma non ten caglia, no: cruda e severa,
benché tarda talor, sopra gl’infidi
vien dal ciel la vendetta.
Non sai ciٍ che Peloro,
quel Peloro di cui ninfa non vide
più fido amante in Sciro,
non sai ciٍ ch’ei dicea?
La fede è la deità, per cui Amore
là su tra’ dei s’inciela.
Senza la fede Amore, egli dicea,
Amor non è, né dio.
È spiritel d’inferno,
che, accese in Flegetonte atre fiammelle,
finge d’Amor la face,
e i suoi mentiti ardori
va d’intorno spirando,
per la cui scelerata orribil colpa
colà giù ne lo ’nferno
(odi giusto castigo)
da’ quei mostri d’abisso,
in sembianza de’ suoi traditi amanti,
l’anima disleal vien tormentata.
Ma tu più chiaro omai
deh mi discopri il tuo dolor, che s’io
non potrٍ dargli aita,
te n’avrٍ almen pietade.
Celia.A me che pro?
Non spero aita e non desio pietade.
Serp.Non mi tacer almeno
l’infedel tuo nemico. G sarٍ teco,
e farem si ch’ei lasci
o la vita o l’amor, per cui t’offende.
Celia.La vita, e non l’amore.
Serp.E vuoi ch’e’ mora?
Celia.G vo’ ch’e’ mora. E s’altra man non trovo
del mio giusto desire
pietosa esecutrice,
ragion è ben che faccia
del mio cor la mia man degna vendetta.
Serp.(O cruda gelosia,
cosi fa ? tuo veleno
ch’una fanciulla infieri?
Ma s’io vo’ raddolcirla,
convien ch’io la secondi.) Or ti consola,
che, se fia uopo, io stessa
andrٍ con queste mani
a sveller da quel cor l’anima infida.
Ma dimmi, a che più ? taci?
chi è quel disleal? come t’offese?
Celia.Dirolti, or ch’io discerno
conforme al mio desire il tuo talento;
ma ve’ che non ti cangi.
Serp.Mi vedrai ben più tosto
l’alma cangiar che ? core.
Celia.E sia chi che si voglia,
nulla pietà ten prenda.
Serp.Contra me stessa ancor sarei crudele,
quand’ io fossi infedele.
Celia.Or odi, ed a te dico
quel ch’a’ secreti boschi ancor non dissi.
Come avrٍ lingua a dirlo?
Ah mal la lingua affreno,
s’io non affreno il core! Ecco, Serpilla,
ecco quel disleale, ecco quell’empio.
Qui dentro è ? mio nemico; i’ son colei,
io son colei che ’n seno
lo ’nfido Amor, lo spiritel d’inferno,
con doppia fiamma accolsi.
Serp.(Deh, costei si ritrova
duo be’ amoretti al seno;
tardٍ, ma ? fe’ gemello.)
O giustizia d’Amor! E’ non potea
contra cotesto tuo
si ribellante core
far uno strale solo
degna d’Amor vendetta?
Ma dimmi, io te ne priego,
chi son cotesti amanti ?
Celia.Che più debbo tacerti?
Conosci Aminta e Niso?
Serp.Quei che già per tuo scampo
furon feriti a morte?
Celia.Quegli appunto.
Serp.Ma come
nel tuo si forte petto in un momento
poté far doppie le ferite Amore?
Celia.Meraviglie n’udrai.
Amor, che trovٍ sempre
contra gli strali suoi forte il mio petto,
per le ferite altrui,
per l’altrui seno aperto
si fé’ strada al mio core.
Allor ch’essi feriti
stavan colà morendo,
tutto del sangue lor coperto Amore,
e prese di pietà sembianze ed armi,
sotto le ’nfinte spoglie il traditore
venne a ferirmi il core.
Allor presi a disdegno il cane e l’arco,
il mar, la terra e ? cielo;
pace per me non era,
se non quanto là presso
a’ feriti pastori
stava con lor languendo.
Quivi con le mie mani i’ rasciugava
a le smarrite fronti
l’agghiacciato sudor, con le mie mani
curava le ferite.
Oh per me troppo crude
feritrici ferite!
Ben talor mi riscossi,
fra me dicendo: — O Celia,
or che nuovi sospiri,
che non usato ardore
ti si ravvolge al sen? Ma, pazzerella,
(fra mio cor io dicea) quest’è pietade,
ben dovuta pietà; non la conosci?
Duolti d’aver pietade
di chi per te si muore? — *
Cosi, mentre credeami
pietosa e non amante,
lusingando i’ nudriva
il mio fero nemico
mal conosciuto ardore.
Ben poscia il riconobbi.
Oh tarda conoscenza! allor ch’amanti
conobbi lor, conobbi
me stessa ancor amante.
Al lume del lor fuoco
lo ’ncendio mio conobbi.
Serp.E da ciascun di loro
se’ dunque riamata?
Oh quinci assai più lieve
si fa la tua sciagura! Ed in che guisa
ten se’tu pur accorta?
Celia.E questo anco dirٍ. Per mille segni
già mi pareva udir entro me stessa
de l’amor loro un mormorar segreto,
e ? cor mei ridicea; ma non so come,
giovandomi lo ’nganno, i’ noi credea.
Pur egli avvenne un di che mentre Aminta,
per l’acerbo dolor de la sua piaga
senz’ora di riposo
traea le notti e i giorni, io per pietade
potei tanto di tregua
impetrar dal mio pianto,
che cantando i’ tentai
al sonno rinvitar gli occhi dolenti:
quand’ei ver me vibrando
con un sospiro un guardo: — O Celia, e’ disse,
s’io non ti veggio, i’ moro;
e s’io ti veggio, vuoi
ch’i’ dorma avanti al sol degli occhi tuoi? —
Quindi tutta sorpresa,
da lui ratto fuggendo,
corsi là dove Niso
a sé mi richiamava.
Quivi da la sua piaga,
mentr’ io la rilegava,
un rampollo di sangue,
non so come, spicciando,
venne a tingermi il seno.
Allor diss’egli : — O Celia,
deh non aver a sdegno
ch’a te corra il mio sangue!
Vedi, tu se’l mio core, e quand’uom more,
sen corre il sangue al core. —
Cosi d’ambidue loro
l’amoroso talento
mi fu noto ad un punto:
ed io, che fin allora
mai più non ebbi udita
voce d’amor senz’ ira,
punsi il mio core, e volli
destare’ncontra lor gli usati sdegni;
ma, lassa, io non potei!
Sentii che mal mio grado
quell’amorose voci
fer entro del mio core
un rimbombo amoroso.
Repente ind’io fuggii, ma perٍ tardi,
quantunque anco repente.
Allor fuggii, né fia mai più ch’io voglia
che giungan gli occhi ove sospira il core.
Ma s’io fuggo gli amanti,
non perٍ fuggo Amore:
ei mi segue a la traccia
de le cadenti lagrime,
e tra’ più scuri orrori, ov’ad ogni altro
sovente io mi nascondo,
non so, credo ch’ei forse
mi conosca a la voce
degli alti miei sospiri.
Ma per fuggir Amore andronne a morte.
Serpilla, omai che tardi?
Deh vieni, e di tua mano
svelli da questo cor l’anima infida.
Serp.Oh misera fanciulla!
Deh, Celia, figlia mia, Celia, rasciuga
il pianto, e ti consoli
che se la piaga duol, tosto risana.
Duolti per doppio amor esser infida?
Amane un solo, e sia vendicatrice
d’infedeltà la fede.
Celia.Il tuo consiglio è vano:
la mia piaga è insanabile.
Ch’io n’ami un solo? e quale,
oimè, fia ch’io disami?
Serp.Ama solo dei due
quel che più ? merta: è ? merto
degna ragion d’amore.
Celia.Ma tant’oltre i’ non veggio:
par a questi occhi miei che ? merto loro,
là dove ogni altro avanza,
pari fra lor s’adegui.
Serp.Ama solo cui prima
tu prendesti ad amare: è ben il tempo
privilegio d’amore.
Celia.Ad un tempo, ad un parto
nacquero e si fer grandi
i miei gemelli amori.
Serp.,Ama solo dei due
’Iquel che più t’ama: amore
al fin legge è d’amore.
Celia.Io con ugual misura
sparger per mia cagion gli ho visti entrambo
le lagrime, i sospiri,
anzi i singulti e ? sangue.
Serp.Forza è pur che talora
l’amoroso pensiero
in questa parte ? ’? quella
ondeggiando trabocchi:
segui chi vince, ed ama
ove più ? cor s’inchina.
Celia.In van, ti dico, in vano
tenti rimedio ov’il contende il cielo.
Egli è ben ver che, mentre
fra’ miei scuri pensieri
vo pur talora fuor di me stessa errando,
par che quasi di furto
or Aminta ora Niso
a sé ciascun mi tragga;
ma appena i’ dico allora:
— Son tua,—che di repente
sorge l’altro, e mostrando
per mia cagion anch’egli
squarciato il petto e i panni,
a forza di pietà me gli ritoglie.
Cosi ’n perpetua guerra,
alternando fra loro
brevissime vittorie,
non so cui dar la palma,
ma lascio ad ambidue,
povera preda ed infelice, il core.
Serp.Or cotesto è un furor; in tale stato
non puٍ durar lunga stagione un core.
Soffri, Clelia, e fia breve
il tuo soffrir; brev’ora
saprà mostrarti a cui donar la palma:
ad Aminta od a Niso
tutta al fin ti darai,
e ne fia saggio consigliere il tempo.
Celia.Ed io, perché non giunga
l’ora giammai di si ’nfelice tempo,
non vo’ dar tempo al tempo;
vo’ prevenir con la mia morte il tempo.
Serp.M’hai vinta; i’ mi ti rendo.
E che vuoi più ch’io dica?
S’esser non puoi fedele,
ha per te fatta il cielo
l’infedeltà innocente.
Altra fuga i’ non trovo:
amarne un sol non vuoi, amagli entrambo.
E fa buon cor: vedrai
de l’altre in questi campi
che san portar più d’un bambin nel seno.
Ecco appunto Nerea, colei che mentre
trovٍ chi le credesse,
ebbe sempre d’amori
piene le mani e ? grembo:
e si vien seco Aminta.
Celia.O tu mi segui,
o ti rimani: i’ parto.
(E pur convien ch’io vada,
quasi notturno augel, fuggendo il sole.)
Serp.Deh torna, o Celia, ascolta! —
Né torna, né risponde.
Meglio fia ch’io la segua.
SCENA III
Nerea, Aminta.
Ner.E vuoi dunque ch’io parli
d’amor a Celia, e che per Niso i’ parli?
Malagevole impresa
parlar d’amor a cor disamorato
per forestiero amante !
Amin.O mia gentil Nerea,
per te nulla è d’amore
malagevole impresa,
per te, che volger sai com’a te pare
tutto d’Amor lo ’mpero.
Ner.Ahi, tempo ne fu ben, cortese Aminta,
allor quand’io portava
ne le labbra le rose, nel crin l’oro!
Ma, la beltà sfiorita,
ogni altra forza è gita.
Amin.Quel ch’a tuo pro con la beltà valevi,
a pro d’altrui or con lo ’ngegno il vali.
Nel crine, ov’era l’oro,
ha sparto il senno Amore, e ne le labbra,
ove fiorian le rose, ha posto il mèle
1 di dolci parolette, onde tu vai,
qual più ’ngegnosa pecchia,
entro a’ favi del core
portando il mèi d’Amore.
Ner.Oh vera si, ma ingrata somiglianzà!
Pecchia son io, ch’ad altrui porto il mèle:
io ? porto, ed altri il gode.
Ma cosi vuole Amore,
Amor ch’a nulla età perdona, e vuole
che chi giovane in sé provٍ gli ardori,
vecchio altrui li ministri,
ATTO SECONDO
acciٍ ch’ad ogni tempo ogni uomo il serva
per esca o per focile,
per mantice o per fiamma.
Oh che tenero core
nelle cose d’Amor mi die natura!
In somma io non sostenni,
né sosterrٍ giammai,
d’amorosa bisogna
esser pregata o ripregata indarno.
Aminta, eccomi presta:
farٍ quanto richiedi.
Ma ve’, figliuolo, oh quanto
più lietamente udrei cotesti prieghi
che per altrui mi porgi,
se per te li porgessi !
Insensato garzَn (forz’è ch’io ? dica,
ancor ch’ai vento i’ parli),
come senz’onta, come
senza sdegno, senz’ ira
di te stesso, vedrai
ch’un pastor peregrino,
un che l’altr’ieri appena
giunse in queste contrade,
un che qui non è stato
se non con gli occhi avvolti
infra gli orror d’una vicina morte,
abbia perٍ saputo
vagheggiar e bramar quella beltade,
cui tu, che se’ pur nato
con lei, con lei nudrito,
né pur anco mirasti?
Amin.Ah non son cieco!
Ner.Tu se’ ben losco almeno,
che losco e torto mira
chi la beltà mirata
non sa mandar dirittamente al core.
G. Bonarëlli, Filli di Sciro.
Per te, per te, Aminta,
o mal tuo grado avventurato Aminta,
per te (ma tu noi sai, ma tu noi curi),
per te nacque dal cielo
la bellissima Celia.
Tu noi mi credi? Mira
quegli occhi suoi lucenti,
questi occhi tuoi sereni :
tai ve gli ha dati Amor, perché tra voi
di vostre alme bellezze
sien bei vagheggiatori.
Quelle sue chiome intorte,
questi increspati crini
sembran pur nati solo
per annodar tra voi più forte il core.
Quella guancia pienotta,
cotest’ancor lanuginosa gota
son fatte a riposar G una su l’altra
le fatiche amorose.
La sua vermiglia bocca,
le tue rosate labbra
invitansi a carpir bocca da bocca
quelle purpuree fragole,
che ’n su le vostre labbra Amor matura.
Ma quel suo bianco seno,
non vedi come acerbo e tumidetto
sfida ai sospir d’Amore
cotesto forte e rilevato petto?
Codardo, e tu la sfida anco ricusi?
scortese, e tu lo ’nvito anco rifiuti?
empio, contrasti al fato anco d’Amore?
Amin.Oimè lasso!
Ner.E che dici?
Amin.Io nulla dico, oimè, sospiro appena.
Ner.Tu sospiri? Ma donde
il tuo fallito cor, nudo d’amore,
toglie’? presto i sospiri? ed a che fine?
per parer forse sospirando amante?
Ma che dico io? non sono,
non son sospiri i tuoi:
chi d’amor non sospira,
sbadiglia, e non sospira.
Amin.Oimè, se i miei sospiri,
troppo veri sospiri,
questi che ’n larga vena
m’escon dal cor, ned io li cerco altronde,
gissen fuori mostrando
quel che ’n sé chiude il petto,
Nerea, Nerea, vedrian fors’anco i sassi
che questo cor, cui, nudo
d’amor, fallito appelli,
ei n’è perٍ di fiamme
si riccamente adorno,
che senz’aita altrui
puٍ ben aver in sé donde sospiri.
Ner.Odi novello Aminta,
di grembo alla sua Silvia
venuto or ora in Sciro !
Ve’ come ben s’adatta
a favellar d’amore!
Petto, cor, fiamme, amor, sospiri, omei,
queste son tutte voci
d’amoroso linguaggio:
cosí parlan gli amanti
là nel regno d’Amore.
Ma tu, quando giammai
fost’in quelle contrade?
ov’imparasti la natia favella?
Amin.Colà nel mezzo appunto
del bel regno d’Amore.
Quivi pur io fui tratto, e si m’aggrada
l’aer di quel paese,
che, bench’io per me’l veggia
nubiloso e tonante,
^ altro ciel non mi piace.
Ner.Ma tu mi parli in guisa,
e si bene accompagni
co’ sospiri le voci,
con le voci i sembianti,
ch’omai ti crederei
da vero innamorato.
Amin.Con amor non si finge.
Da vero un tempo i’ l’ho fuggito; or quando
ei m’ha pur giunto, ed io da vero il seguo.
Ner.Oh possanza infinita,
contra di cui non vai fuga né schermo!
Or sia lodato Amore, Amor che diede
al marmo del tuo cor sensi di vita.
Ma non vorrai tu dirmi
chi sia colei, cui scelse
per degna scorta a si grand’opra Amore?
Amin.Troppo fin qui n’ho detto:
ma il lagrimar del core
fa sdrucciolar la lingua.
È tempo omai ch’io taccia.
Ner.A me tacere? Or a tua voglia taci,
che se pur io son quella,
quella che volger sa come a lei piace
tutto d’Amor lo ’mpero,
vorrai fors’anco un di che per tu’ aita
io le tue fiamme ascolti,
e quanto or tu se’ muto,
io sarٍ sorda allora.
Amin.Parliam d’altro, Nerea; parliam di Niso:
a pro di lui t’adopra; io per me nulla
bramo, spero né cheggio.
Ner.Oh che rustico amante!
Se ’n cor selvaggio amor alligna, sente
del selvatico anch’ei. Guata che amore!
amor senza desio, senza speranza!
Ma sia com’a te piace:
per Niso adoprerommi ;
e se puote in amor ingegno od arte,
farٍ ne’ suoi contenti
che tu pentito del tuo error t’avveggia.
Allor che tu vedrai
la freddissima Celia,
quella massa di neve,
per opra di mia mano
(e fia de la mia mano opra vulgنre),
allor che la vedrai
arder tutta d’amore, e ’n questi campi,
in questi propri campi
che con l’errante piede
cacciatrice indefessa or va stampando,
allor che la vedrai
in braccio al suo bel Niso infra l’erbette,
cacciatrice di fere
fatta preda d’Amore,
che fia, lasso, di te? So ben ch’allora
tu mi verrai d’intorno, e lusinghevole:
— O Nerea (mi dirai), Nerea, aita! —
Ma certo in van, perch’io
ridendo schernirٍ le tue lusinghe.
Amin.E speri, oimè, con Celia,
e con Celia per Niso,
speri forse cotanto?
Ner.Il mio potere inforsi?
Con Celia, e con ogni altra
d’amor più dispietata;
per Niso, e per ogni altro
d’amor più sfortunato,
si ch’io spero cotanto.
Farٍ Celia di Niso.
Amin.(Oimè, son morto!)
Ner.E tua farٍ qual’altra
brama il tuo amor, se G amor tuo mi scopri.
Amin.Celia fatta di Niso,
altro non ho ch’io brami.
Ner.Ma tu perché ti lagni? Or che se’ a tempo,
il mio soccorso impetra.
Amin.(E sarà dunque Celia, oimè, di Niso?)
Ner.(Egli sen turba. Certo
costui m’inganna, ed altro
brama di quel ch’e’ chiede.
Io ? vo’ tentar, che raro
nasconder puٍ se stessa alma turbata.)
Omai che più ti duole?
Celia sarà di Niso,
cosi come richiedi. Egli è ben vero
che, con minor fatica,
ella saria d’Aminta,
s’Aminta, come Niso,
a quella fiamma ardesse.
So ben io quel ch’io dico:
ma non si deon ridir si di leggiero
i segreti pensier de le fanciulle
a cui di lor non cale.
Amin.Odi: non mi tentar, per Niso i’ parlo;
per Niso i’ vo’ che parli.
Ner.(Già crolla, e cadrà tosto.)
Cosi farٍ: ma quando
costei pur si trovasse
inesorabilmente
contra Niso ostinata,
allor non mi concedi,
che per te la ritenti?
Non ogni donna è contr’ogni uom crudele.
Amin.(Costei mi smuove il cor, né posso aitarlo.)
Ma che diria poi Niso?
Ner.— Aminta fece
più per me che per lui, ed io mi godo
che sien fortuna sua le mie sciagure. —
Ecco quel ch’ei diría. Ma tu che pensi?
A che grattar il capo,
se ? prurito è nel core?
Amin.Mercé, mercé, son vinto!
Or m’ascolta, o Nerea. (Ah taci, taci,
troppo tenero amante,
poco fedele amico !
Meglio fia ch’io mi parta.)
Io vo, Nerea: tu ? mio desire udisti.
Parlo di Niso, intendi?
SCENA IV
Nerea.
O nulla mai d’amore intesi, o certo
arde per Celia Aminta.
Ma che parla e’ di Niso?
Forse è follia d’amante:
s’infinge forse, e vuole
col finto amor di Niso
tentar di fede il cor de la sua ninfa.
O giovanetto incauto,
tentar di fé con nuovi amor le donne?
fidar l’esca a le fiamme?
creder le piume al vento? Ah tu non sai
quanti io n’abbia veduti a cotai prove
pentiti andar piangendo!
O fors’anco è pietà d’amico, forse
è ver che Niso anch’egli
arde per Celia, e ? sempliciotto Aminta
parla per lui, né sa che ’n sua ragione
amici Amor non cura.
Ma sia che vuoisi; giovi
credergli amanti entrambe»,
per aver doppie l’armi, ond’io più forte
il duro sen de la crudele assalga.
Andrٍ movendo al cor de la fanciulla
ambedue queste fiamme,
perch’una almen s’apprenda.
Dipingerٍ pietosa agli occhi suoi
per sua cagion ambo condotti a morte,
e le dirٍ da parte
e del padre e d’Amore
che ’n sua man n’è la scelta.
Pazzarella, se vuoi
ne la copia d’amanti
impoverir d’amore!
Deh, s’io potessi!... Cangia,
cangia meco fortuna,
ninfa crudele e bella, e tu ti prendi
il mio ’nfocato core, o tu mi presta
il tuo dorato crine.
Son troppo fieri mostri
con la chioma di neve un cor di foco,
o con la chioma d’oro un cor di ferro.
Ma vado or ora a ritrovarla, e certo
la vincerٍ costei,
che raro avvien al fin che donna bella,
ardendo altri per lei, non arda anch’ella.