Favole (La Fontaine)/Libro ottavo/I - La Morte e il Moribondo

Libro ottavo

I - La Morte e il Moribondo

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Jean de La Fontaine - Favole (1669)
Traduzione dal francese di Emilio De Marchi (XIX secolo)
Libro ottavo

I - La Morte e il Moribondo
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Impreveduta mai piomba la Morte
in capo al Saggio. In ogni tempo a guardia
veglia l’occhio di lui. Pronto è il fardello
a partire, ogni giorno, ogni momento
pel fatal malinconico viaggio.

Ogni tempo del Tempo è un’ora buona
al pagar la scadenza. Infimi e grandi,
soggiaccion tutti al gran tributo, e spesso
nelle culle regali aprono e a un punto
chiudon per sempre le pupille al sole
principi e re.
Che val splendor di trono,
beltà che vale e giovinezza e casta
virtù, di fronte all’impudica mano
della Morte che sradica e distrugge?
Giorno verrà che l’Universo intero
il mesto accrescerà regno di morte.

Nella sua grande, universal rovina,
se tanto è nota questa brutta Morte
e tanto è antica, or come mai per tanti
così tacita arriva ed improvvisa?

Un moribondo, che cent’anni almeno
avea vissuto, a bisticciarsi prese
colla Morte e chiamavala indiscreta,
che lo facea partire a spron battuto
senza il tempo di far un codicillo,
senz’avvertirlo... - È giusto ch’un sen vada
a piedi scalzi? aspetta almanco un poco.

Mia moglie vuol tenermi compagnia,
e deggio a un nipotin far qualche lieve
assegno; o aspetta almen, Morte, ch’io possa
rabberciare quest’angolo di casa...
Ih! che bisogno c’è per la partenza
di tôrre il fiato alla povera gente?

- Non ti sorprendo io già, - disse la Morte, -
e a torto, Vecchio, tu di me ti lagni.
Non conti forse i tuoi cent’anni? e quanti
sono in Parigi e in Francia, anzi nel mondo,
ch’hanno toccato un numero sì bello?
Tu mi rimbrotti che non t’abbia a tempo
avvisato e che compiere ti resta
qualche faccenda. Che so io di casa,
di nipote, di moglie, e testamento?
Ma non furono forse avvisi a tempo
e il tremolare delle gambe e il monco
fiato e la mente annuvolata e stanca?

Poco appetito, orecchia sorda e noia
fin del sole che splende e si diffonde,
come se il sol per te sprecasse i raggi,
voglia di nulla o desiderio insano
di ciò che non ti tocca, e molti morti
degli amici tuoi stessi, e moribondi,
e malati e infiniti accatarrati,
non eran segni, o Vecchio, della Morte?
Presto adunque e si lascino le ciarle,
andiam, che poco importa alla repubblica
che tu faccia o non faccia il testamento -.

Avea ragion la Morte. A creder mio
esser pronto dovrebbe ogni buon vecchio
a far di questa vita il suo fardello,
come quando un si toglie dal convito
e col cartoccio in man l’ospite inchina.

Di quanti giorni può tardar la fine,
Vecchio, de’ giorni tuoi? Vedi superbi,
e come a danza andar lieti alla Morte
i giovani soldati, e ad una morte

non men fatal per quanto inclita e bella.
Ma inutilmente io so che ti rimbrotto,
né spero di trar mai frutto veruno
dalle mie ciarle. È sempre il più restìo
a morir chi alla Morte più somiglia.